Nell’ambito degli studi sui fascismi, sono detti revisionisti quanti, sulla scorta di una corrente storiografica strutturatasi in Europa intorno ad alcune figure chiave di intellettuali e pensatori, si richiamano ad una strategia interpretativa volta alla ricostruzione dei nessi che intercorrerebbero tra esperienze ideologiche e politiche distinte, fondata sui seguenti passaggi:
1. la propensione, metodologica, ad operare sintesi di ampio respiro, ragionando secondo criteri che tendono ad incorporare periodi e fenomeni, anche compositi, cercando di trovare in essi una radice comune (ad esempio, l’affermazione di Ernst Nolte che le politiche repressive bolsceviche furono il “prius logico e fattuale” dei lager nazisti);
2. il riconoscimento dei fatti in quanto tali ma la loro lettura in chiave causale, dove i nessi prevalgono sulle specificità. Tale modo di operare, ancorché legittimo sul piano storiografico, se portato alle sue estreme conseguenze, come per l’appunto i revisionisti fanno, induce distorsioni di valutazione e sovrapposizioni di giudizio fino al rischio di una forzatura dei fatti stessi;
3. la valutazione dell’impianto culturale e l’identificazione di correlazioni teoretiche tra nazionalsocialismo e comunismo sovietico;
4. l’adozione di una visuale politica informata a posizioni corrispondenti a quelle della destra liberale o, alternativamente, di certa sinistra radicale, entrambe motivate da un accentuato anticomunismo. Non è da sottovalutare il fatto che l’ipotesi, formulata e ripetuta da Nolte, in virtù della quale il nazismo sarebbe essenzialmente una reazione anticomunista (espressa con particolare enfasi già quarant’anni fa nel suo “I tre volti del fascismo”) raccolse a suo tempo i favori della sinistra, immemore della vocazione razzista o, per meglio dire, radicalmente razzialista presente in tale dottrina. Oggi Nolte - e con lui gli storici della sua vulgata - disgiungendo anticomunismo da antisemitismo, possono attenuare l’impatto del secondo nella valutazione delle politiche del Terzo Reich, beneficiando degli effetti derivanti dalla caduta dei regimi del “socialismo reale” e della condivisione di un giudizio comune fattosi severamente anticomunista.
Anche qui il passo successivo, non obbligato e neanche necessitato ma a tratti manifesto, è quello di recuperare qualcosa del passato, se non altro per riaffermarne una presunta preveggenza riguardo ai successivi sviluppi. Insomma, a farla breve, il nazismo e il fascismo furono “buoni” rispetto ad almeno una cosa: la contrapposizione al bolscevismo.