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Discussione: Lettera aperta al PQM

  1. #1
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    Predefinito Lettera aperta al PQM

    Colleghi del PQM.
    On. asti_sinistra

    Nei vostri cartelloni propagandistici noto che è scritto con evidenza che il PQM è un partito "socializzatore".
    Di quale "socializzazione"si tratta?
    Forse di quella avviata da Benito Amilcare Andrea Mussolini d'Duce d'Italia, ultimo Cesare (1922-1945)?
    Con questo termine rinnegate il vostro passato e futuro squallido di sindacalismo?
    E' l'inizio di una svolta sociale nazional-popolare?

    On.italianuova2
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    Segretario DRS-RNP

  2. #2
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    La lettera puoi pure chiuderla, ti mancano le basi socio-politiche per poter dialogare di socialismo e socializzazione.
    Passo e chiudo.

  3. #3
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    In Origine postato da asti_sinistra
    La lettera puoi pure chiuderla, ti mancano le basi socio-politiche per poter dialogare di socialismo e socializzazione.
    Passo e chiudo.
    di quale socializzazione parli?
    Secondo me non sai nulla ne di socialismo ne di socializzazione ma per alcuni voti cosa non fareste voi comunisti i post-comunisti

  4. #4
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    comunque una delle mie letture preferite:


    ITALIA REPUBBLICA SOCIALIZZAZIONE



    CORPORATIVISMO, SOCIALIZZAZIONE. LA MARCIA DEL FASCISMO VERSO LO STATO NAZIONALE DEL LAVORO.

    SOCIALIZZAZIONE E STATO CORPORATIVO I passaggi fondamentali per giungere al Manifesto di Verona
    Filippo Giannini


    "La Socializzazione non è se non la realizzazione italiana, romana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell'economia, ma respinge la livellazione di tutti e di tutto, livellazione inesistente nella natura umana e impossibile nella storia" (Mussolini - 14 ottobre 1944)
    Il teorico e storico della dottrina cattolica, Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo studio e all'insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini nell'ultimo decennio della sua vita "fu quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell'impresa a partecipante alla gestione e alla proprietà e quindi ai risultati economici della produzione”. E aggiunge: "Durante la RSI ... fu emanato un decreto che prevedeva la socializzazione delle imprese. E' stato questo, sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E' un messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo sia al social-capitalismo. In quest'ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico”.
    L'idea di un "socialismo effettuabile" sorse in Mussolini già nel 1914, quando uscì dal Partito Socialista, "organismo" velleitario e ciarliero e la sviluppò nell'immediato primo dopoguerra.
    Nel 1919, Mussolini parlando, agli operai della "Dalmine" che avevano occupato le fabbriche e innalzato le bandiere tricolori anziché quelle rosse e continuato a lavorare sotto la guida dei tecnici, fra l'altro dichiarava che "il lavoro doveva essere conquista, vittoria di uomini liberi. Voi non siete più salariati ma compartecipi, corresponsabili nella produzione”.
    In questo dopoguerra è stato scritto e detto che l'idea di Mussolini della Socializzazione "fu solo un tardivo espediente per ingannare le masse lavoratrici". E' una delle tante menzogne, fra le mille e mille, di un regime corrotto e inetto terrorizzato di dover affrontare un serio confronto con il Governo che lo ha preceduto.
    Tutta l'attività del Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e leggi di chiare finalità sociali all'avanguardia non solo in Italia ma, addirittura, nel mondo.
    Quelle leggi, di cui i lavoratori italiani ancora oggi ne godono i privilegi, sono quelle volute da Mussolini nei suoi vent'anni di Governo. Qualsiasi confronto con quanto fatto dai Governi di questo dopoguerra, risulterebbe stridente.
    Citerò solo alcune di quelle leggi o decreti, quelle, cioè che ritengo più rappresentative, ricordando che prima del fascismo nello specifico campo legislativo c'era il vuoto più assoluto:

    Tutela lavoro donne e fanciulli (R.D. 653 - 26/4/1923);
    Assistenza ospedaliera per i poveri (R.D. 2841 30/12/1923);
    Assicurazione contro la disoccupazione (R. D. 3158 - 30/12/1923);
    Maternità e infanzia (R.D. 2277 - 10/12/1925);
    Assicurazione contro la TBC (R.D.2055 -27/10/1927);
    Esenzioni tributarie famiglie numerose (R.D.1312 - 14/6/1928);
    Opera nazionale orfani di guerra (R.D. 1397 - 26/7/1929);
    INAIL (R.D.264 - 23/3/1933);
    Istituzione libretto di lavoro (R.D. 112 - 10/1/1935);
    INPS (R.D.18274/10/1935);
    Riduzione settimana lavorativa a 40 ore (R.D. 1768 - 29/5/1937);
    ECA (R.D. 847 - 3/6/1937);
    Assegni familiari (R.D. 1048 - 17/6/1937);
    Casse rurali e artigiane (R.D.1706 - 26/8/1937);
    INAM (R.D. 318 - 11/1/1943);

    Da tutto ciò si evince il motivo per cui i governi che seguirono nel dopoguerra, per evitare un democratico confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e varare quelle leggi antidemocratiche e lesive al libero pensiero, quali le “Leggi Scelba”, “Legge Reale" e "Legge Mancino" '
    Su questo argomento torneremo in un prossimo futuro e rientriamo prontamente in tema ricordando l'enunciazione mussoliniana “andare verso il popolo", trasformata poi nel più sociale "stare con il popolo".


    &&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&


    I principi essenziali dell'ordinamento corporativo sono espressi e ordinati nella "Carta dei Lavoro" che vide la luce il 21 aprile 1927.
    "La Carta del Lavoro" trasportava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.
    In un articolo di fondo apparso alcuni anni or sono su "Il Giornale d'Italia", fra l'altro si legge: "La nascita dello Stato Corporativo rappresentò il tentativo di superare i limiti del cosiddetto Stato Liberale e l'incubo dello Stato Sovietico. Il secondo conflitto mondiale infranse l'esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell'isolamento internazionale provocate dalle sanzioni e dall'autarchia>.
    Il Diritto Corporativo tende a porre l'Uomo al centro della Società postulando dei principii di cui ne cito alcuni ritenendoli i più caratterizzanti e avvalendomi dello studio del Dott. Sebastiano Barolini:

    1. 1) ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa;
    2. 2) partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa;
    3. 3) partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali ad evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
    4. 4) intervento dello Stato attraverso suoi funzionari immessi nei Consigli di Amministrazione allorquando le imprese assumono interesse nazionale a maggior difesa dei lavoratori
    5. 5) diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;
    6. 6) diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale di contro all'appiattimento collettivista ed alle concentrazioni capitaliste;
    7. 7) edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la previdenza sociale, l'assistenza gratuita alla maternità e all'infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l'assistenza agli anziani, i dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via dicendo;
    8. 8) eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia da se, altrettanto deve valere per i conflitti sociali ed evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;
    9. 9) abolizione dei sindacati di classe ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
    10. 10) Attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale che toglie ai latifondisti le terre incolte, le rende produttive e le distribuisce in proprietà gratuita ai contadini poveri.
    Questi enunciati, che risalgono ai primi anni '30, non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente nel "Manifesto di Verona". (1)
    Come logica successione di questo processo che, come abbiamo visto, partì nel lontano 1914 e giunse ad approdare alle "Leggi sulla Socializzazione" nella Repubblica Sociale Italiana.
    Sin dalla seduta del Consiglio dei Ministri del 27 Settembre 1943 (quindi a pochissimi giorni dalla sua liberazione), Mussolini fra l'altro dichiarava che "la Repubblica avrebbe avuto un pronunciatissimo contenuto sociale” e il 29 settembre ancor più esplicitamente: “(la Repubblica Sociale Italiana avrebbe avuto) un carattere nettamente socialista stabilendo una larga socializzazione delle aziende e l'autogoverno degli operai”.
    La Socializzazione era uno strumento per una più ampia trasformazione dello Stato così come era nel pensiero fascista: socializzare l'economia per socializzare lo Stato.
    Questo pensiero può risultare più chiaro leggendo uno stralcio della Relazione che accompagnò il Decreto Tarchi, Ministro dell'Economia: “(...) la civiltà tende ad un nuovo ciclo, e quel nuovo ciclo nel quale l'uomo riassumerà il ruolo di protagonista della propria storia e del proprio destino in funzione della sua personalità estrinsecantesi in attività concrete sociali, cioè nel lavoro. Sotto tale profilo l'affermazione programmatica che riconosce il lavoro come soggetto dell'economia (...)".
    Ecco allora prender forma la dottrina della società come era intravista da Saint Simon, da Owen, da Mazzini, concezioni vilipese dal Bolscevismo ma ben focalizzare dal "socialismo effettuabile" di Mussolini e riportate nel "Manifesto di Verona" e ufficializzate nella dichiarazione programmatica del 13 gennaio 1944 e nel decreto legislativo dell'11 febbraio seguente.
    La Borsa di Milano, che era ben vitale nella Repubblica Sociale, il 13 gennaio, all'annuncio dei provvedimenti sulla Socializzazione, determinò il giorno dopo la caduta dell'indice generale da 854 a 727 punti. Dopo un periodo di stasi, quando il 13 febbraio furono emanati i decreti di Socializzazione, l'indice generale scese a 567 punti, poi però, ad iniziare da marzo riprese a salire fino a toccare, il 6 giugno 1944 il ragguardevole livello di 1745 punti (2).
    Certamente il Paese che sopportava oltre quattro anni di disastrosa guerra e diversi mesi di lotta intestina, ben difficilmente poteva attuare in tempi rapidi un così ambizioso progetto di trasformazione dello Stato. Progetto, però, che, come disse Mussolini a Milano "qualunque cosa accada, è destinato a germogliare”. Giustamente l'avvocato Manlio Sargenti ha recentemente rilevato: "Purtroppo questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni dell'idea del Fascismo e della Repubblica Sociale”.

    1) Questi principi rivoluzionari che avrebbero posto in discussione i "diritti acquisiti" costrinsero tanti "potenti della terra", a coalizzarsi per ostacolare il processo mussoliniano prima imponendo le Sanzioni, obbligandoci poi alla guerra, quindi "inventandosi" il "25 luglio", l'8 settembre ed infine i massacri del secondo dopoguerra allo scopo che di quelle idee non rimanesse più traccia. Paradossale è che di questo diabolico progetto la grossa finanza si avvalse proprio di quella classe che ne sarebbe stata lesa: la classe dei meno abbienti. E l'inganno continua!
    2) Solo per conoscenza storica il 6 giugno, alla notizia dello sbarco angloamericano in Francia, si verificò il crollo del 30% chiudendo, però, l'anno borsistico il 2 agosto 1944, al buon livello di 1219 Punti.

    Prima di chiudere il lavoro e concludere, ritengo importante citare gli articoli che sono di base della nostra lotta politicosociale, articoli che, ovviamente a cinquant'anni dalla loro promulgazione, possono essere ritoccati lì dove è necessario ma il cui spirito deve rimanere inalterato.

    1. Art. 9) base della Repubblica Sociale Italiana e suo soggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
    2. Art. 10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.
    3. Art. 12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale), le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione dell'equa ripartizione degli utili tra il fondo e la riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori (...). Gli articoli non menzionati sono certamente meritevoli di essere ricordati, ma motivi di spazio mi inducono a citare quelli essenziali che da soli caratterizzano lo spirito di base del "Manifesto di Verona"; e sempre per tirannia di spazio sono costretto a rinunciare ad un dovuto commento anche degli articoli menzionati.
    L'attuazione della "Legge sulla Socializzazione" trovò enormi difficoltà causate sia dagli industriali, per ovvi motivi; dai tedeschi timorosi che la resistenza passiva da parte degli industriali avrebbe potuto danneggiare la produzione bellica; da parte dei comunisti, che ormai plagiavano i lavoratori, timorosi che la Socializzazione li scavalcasse a sinistra.
    Questa situazione di stallo persistette sino a quando Concetto Pettinato, che Mussolini stesso aveva definito "la nostra più importante mente giornalistica”, creò un caso clamoroso. Un suo articolo, pubblicato su "La Stampa" (di cui era direttore) del 21 giugno 1944, dal titolo: "Se ci sei batti un colpo", diede una sferzata al Capo della RSI e lo costrinse a mettere in atto quelle Leggi sulla Socializzazione che, come abbiamo visto, erano già approvate in sede legislativa ma rimaste inoperanti.
    Mussolini ruppe gli indugi e autorizzò il Decreto del giugno '44 e l'entrata in vigore del Decreto del febbraio precedente.
    A causa della drammatica crisi che attraversava il Paese, Mussolini ritenne opportuno attuare la Socializzazione per gradi; iniziando dalle imprese editoriali.
    La situazione stava precipitando, ma nelle imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della produzione. A dicembre 1944, Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondadori traendone sorpresa ed emozione. A seguito di ciò inviò una lettera a Mussolini nella quale, fra l'altro scrisse: "Ho parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di Gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione dato che gli utili dopo questi primi mesi è di circa 3 milioni”.
    La guerra ormai volgeva alla fine e, come ha scritto Amicucci ne "I 600 giorni di Mussolini": "Mussolini voleva che gli angloamericani e i monarchici trovassero il nord d'Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero, nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste socialiste raggiunte con la RSI”.
    Proprio a questo scopo il 22 marzo 1945 il Consiglio dei Ministri decise che si procedesse entro il 21 aprile alla Socializzazione delle imprese con almeno 100 dipendenti e un milione di capitale.
    Per ripagare il grande contributo avuto dai grandi industriali, i comunisti che controllavano appieno il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 25 aprile 1945, proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato "l'olocausto nero", ripeto, come primo atto ufficiale fu l'abolizione della "Legge sulla Socializzazione".
    Era iniziata la grande beffa a danno dei lavoratori.

  5. #5
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    Decreto Legge sulla Socializzazione

    Altro documento storico, di incontrovertibile datazione storica, che rappresenta l'avanzatissimo stato sociale realizzato durante la R.S.I. Superfluo chiedersi come mai la storiografia ufficiale lo ingori.

    LA SOCIALIZZAZIONE
    Decreto legislativo e premessa sulla socializzazione

    Il consiglio dei ministri del 13 gennaio 1944 aveva approvato una “premessa fondamentale per la creazione della nuova struttura dell’economia italiana”.
    Nel consiglio dei ministri del 12 febbraio 1944 fu approvato il decreto legislativo per la “socializzazione” preceduto dalla seguente relazione in cui si riassumevano principi ed obbiettivi:


    “1) accompagnare l’azione delle armi con l’affermazione di una idea politica;
    2) rivendicare la concezione mussoliniana di una più alta giustizia sociale, di una più equa distribuzione della ricchezza, della partecipazione del lavoro alla vita dello Stato;
    3) normalizzare la situazione interna nei rapporti fra capitale e lavoro, dando ad ogni fattore produttivo i diritti, i doveri e le responsabilità che ad essi incombono per la vita stessa dello Stato;
    4) valorizzare in pieno la funzione sociale, la responsabilità e la figura del dirigente d’impresa nei confronti dell’attività produttiva, della sua organizzazione e dei rapporti sociali nella vita dell’impresa stessa, basando su concetti obbiettivi la valutazione e i meriti di ciascuno;
    5) aumentare attraverso la organizzazione della produzione e la normalizzazione della vita dell’impresa, la capacità produttiva dei singoli settori, creando uno strumento il più efficiente possibile per la soluzione dei problemi bellici, nell’intento di contribuire con lo sforzo dell’economia italiana a quello continentale dell’Asse e del domani post-bellico;
    6) contrapporre alla concezione comunista che si risolve in un capitalismo di Stato, nel quale i singoli fattori produttivi non hanno diritto di rappresentanza né di partecipazione alla vita dello Stato, il concetto fascista e nazionalsocialista che vuol portare il capitale ed il lavoro a collaborare alla vita stessa dello Stato;
    7) salvaguardare e potenziare l’attività produttiva privata entro l’orbita dei principi sanciti dalla Carta del Lavoro, antidoto al programma comunista, da una parte, e a quello plutocratico, dall’altra;
    8) creare il presupposto di un ordine nuovo che dia ai popoli la possibilità di costruire il loro domani e di conquistare il loro posto sul piano internazionale europeo, dopo la vittoria dell’Asse.”


    IL D.L. DELLA SOCIALIZZAZIONE approvato dal Consiglio dei ministri:

    Il Duce della Repubblica Sociale Italiana

    Vista la Carta del Lavoro;
    Vista la premessa alla nuova struttura economico-sociale, approvata dal Consiglio dei ministri il 13 gennaio 1944;
    Su proposta del ministri per la Economia Corporativa, di concreto con il ministro per le Finanze e col ministro per la Giustizia;
    Decreta:
    (Titolo I)
    Art. 1. - Gestione dell’impresa.
    La gestione dell’impresa, sia questa di proprietà dello Stato, sia di proprietà privata, è socializzata. Ad essa prende parte diretta il lavoro. L’ordinamento delle imprese socializzate è disciplinato dal presente decreto, dallo statuto o regolamento di ciascuna impresa, dalle norme del Codice Civile e dalle leggi speciali, in quanto non contrastino col presente provvedimento.
    Art. 2. - Organi di gestione della impresa.
    Gli organi di gestione della impresa sono:
    a) per le imprese private che abbiano forma di società per azione o di società a responsabilità limitata con almeno un milione di capitale: il capo dell’impresa, l’assemblea, il consiglio di amministrazione (di gestione) ed il collegio sindacale;
    b) per le imprese private che abbiano altra forma di società: il capo dell’impresa ed il consiglio di amministrazione;
    c) per le imprese private individuali: il capo dell’impresa ed il consiglio di gestione;
    d) per le imprese di proprietà dello Stato: il capo dell’impresa, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale.
    Sezione I
    Amministrazione delle imprese di proprietà privata

    Capo I. - Amministrazione delle imprese a capitale sociale.

    Art. 3. - Organi delle società per azioni e delle società a responsabilità limitata.
    Nelle società per azioni ed in quelle a responsabilità limitata con almeno un milione di capitale, fanno parte degli organi collegiali di amministrazione rappresentanti eletti dai lavoratori dell’impresa: operai, impiegati amministrativi, impiegati tecnici e dirigenti.

    Art. 4. - Assemblea, consiglio di gestione, collegio sindacale.
    All’assemblea, ferme restando le disposizioni degli articoli 2368 e seguenti del Codice Civile sulla sua regolare costituzione, nonché quelle relative ai suoi poteri, partecipano i rappresentanti dei lavoratori con un numero di voti pari a quelli del capitale intervenuto.
    L’assemblea nomina un consiglio di amministrazione, formato per metà dai rappresentanti dei soci e per metà dai rappresentanti dei lavoratori. L’assemblea nomina altresì un collegio sindacale che deve avere tra i suoi componenti almeno un sindaco effettivo ed un supplente, proposti dai rappresentanti dei lavoratori, ferme restando le disposizioni del Codice Civile per i collegi sindacali.

    Art. 5. - Votazioni.
    Nelle votazioni tanto dell’assemblea quanto del consiglio di amministrazione, prevale, in caso di parità di voti, il voto del capo dell’impresa che di diritto presiede i predetti organi sociali.

    Art. 6. - Consiglio di gestione delle società che non sono per azioni o a responsabilità limitata.
    Nelle società non contemplate nel precedente articolo 3) e che abbiano almeno un milione di capitale o impieghino almeno cento lavoratori, il consiglio di amministrazione è formato dai soci e da un egual numero di rappresentanti, eletti dai lavoratori dell’impresa.

    Art. 7. - Poteri del consiglio di gestione.
    Il consiglio di amministrazione delle imprese private a capitale sociale, sulla base di un periodico e sistematico esame degli elementi tecnici, economici e finanziari della gestione:
    a) delibera su tutte le questioni relative alla vita dell’impresa, allo indirizzo ed allo svolgimento della produzione nel quadro del piano nazionale determinato dai competenti organi dello Stato;
    b) esprime il proprio parere sulla stipulazione dei contratti di lavoro aziendali con le associazioni sindacali facenti capo alla Confederazione Unica del Lavoro, della Tecnica e delle Arti e su ogni altra questione inerente alla disciplina e alla tutela del lavoro e della impresa;
    c) esercita in genere nell’impresa tutti i poteri attribuitigli dallo statuto e quelli previsti dalle leggi vigenti per gli amministratori, ove non siano in contrasto con le disposizioni del presente provvedimento;
    d) redige il bilancio dell’impresa e propone la ripartizione degli utili ai sensi delle disposizioni del presente provvedimento e del Codice Civile.

    Art. 8. - Cauzione dei membri del consiglio di gestione.
    I membri del consiglio di amministrazione eletti dai lavoratori sono dispensati dall’obbligo di prestare cauzione.

    Art. 9. - Capo dell’impresa.
    Nelle società per azioni e in quelle a responsabilità limitata che abbiano almeno un milione di capitale, il capo dell’impresa è nominato dall’assemblea. Nelle altre imprese a capitale sociale il capo dell’impresa è nominato tra i soci con le modalità previste dagli atti costitutivi, statuto e regolamento delle società stesse.

    Art. 10. - Poteri del capo dell’impresa.
    Il capo dell’impresa convoca l’assemblea, nelle imprese in cui esiste, e la presiede; presiede altresì il consiglio di amministrazione; rappresenta l’impresa nei rapporti con i terzi. Egli ha le responsabilità e i doveri di cui agli articoli 21 e seguenti e tutti i poteri riconosciutigli dallo statuto, nonché quelli previsti dalle leggi vigenti ove non contrastino con le disposizioni del presente provvedimento.

    CAPO II - Amministrazione delle imprese private a capitale individuale.

    Art. 11. - Consiglio di gestione.
    Nelle imprese individuali, purché il capitale in esse investito sia di almeno un milione o il numero dei lavoratori in esse impiegati sia di almeno cento, viene costituito un consiglio di gestione, composto di almeno tre membri eletti, secondo il regolamento dell’impresa, da ognuna delle categorie di lavoratori: operai, impiegati amministrativi, impiegati tecnici e dirigenti.

    Art. 12. - Capo dell’impresa, poteri del consiglio di gestione.
    Nelle imprese individuali l’imprenditore, il quale assume la figura giuridica di capo dell’impresa con le responsabilità e i doveri di cui ai successivi articoli 21 e seguenti, è coadiuvato nella gestione dell’impresa stessa dal consiglio di gestione che dovrà uniformare la sua attività agli indirizzi della politica sociale dello Stato. L’imprenditore capo dell’impresa deve riunire periodicamente, almeno una volta al mese, il consiglio per sottoporgli le questioni relative alla vita produttiva dell’impresa ed ogni anno, alla chiusura della gestione, per l’approvazione del bilancio ed il riparto degli utili.

    Sezione II
    Amministrazione delle imprese di proprietà dello stato

    Art. 13. - Capo dell’impresa.
    Il capo dell’impresa di proprietà dello Stato è nominato con decreto del Ministero per l’Economia Corporativa di concreto con il Ministero per le Finanze, su designazione dell’Istituto di Gestione e Finanziamento, tra i membri del consiglio di amministrazione dell’impresa e fra gli altri elementi dell’impresa stessa o di imprese del medesimo settore produttivo che diano speciali garanzie di comprovata capacità tecnica o amministrativa. Il capo dell’impresa ha la responsabilità e i doveri di cui agli articoli 21, e seguenti, ed i poteri saranno determinati dallo Statuto di ogni impresa.

    Art. 14. - Consiglio di gestione.
    Il consiglio di amministrazione è presieduto dal capo dell’impresa ed è composto di rappresentatnti eletti dalle varie categorie dei lavoratori dell’impresa: operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, dirigenti, nonché di almeno un rappresentante, proposto dall’Istituto di Gestione e Finanziamento e nominato dal Ministero per l’Economia Corporativa, di concreto con il Ministero per le Finanze. Le modalità di elezione ed il numero dei membri del consiglio saranno determinati dallo statuto dell’impresa. Nessuno speciale compenso, salvo il rimborso delle spese, è dovuto ai membri del consiglio di amministrazione per tale loro attività.

    Art. 15. - Poteri del consiglio di gestione.
    Per i poteri dei consigli di amministrazione delle imprese di proprietà dello Stato valgono le norme contenute nel precedente articolo 7.

    Art. 16. - Collegio sindacale.
    Il collegio sindacale delle imprese di proprietà dello Stato è costituito con decreto del Ministero per l’Economia Corporativa di concreto con il Ministero per le Finanze, su proposta dell’Istituto di Gestione e Finanziamento. Il compenso dei sindaci è determinato dall’Istituto di Gestione e Finanziamento.
    Art. 17. - Approvazione del bilancio e riparto degli utili - Deliberazioni eccedenti l’ordinaria amministrazione.
    Il bilancio delle imprese di proprietà dello Stato e il progetto di riparto degli utili, gli aumenti e la riduzione di capitali, nonché le fusioni, le concentrazioni, lo scioglimento e la liquidazione di imprese di proprietà dello Stato, sono proposti dall’Istituto di Gestione e Finanziamento, sentito il consiglio di amministrazione delle imprese interessate, e approvati dal Ministero per l’Economia Corporativa, di concerto col Ministero per le Finanze e con gli altri Ministeri interessati.

    Sezione III
    Disposizioni comuni alle sezioni precedenti

    Art. 18. - Atti costitutivi e statutari delle imprese di proprietà dello Stato.
    Gli atti costitutivi e gli statuti delle imprese di proprietà dello Stato, come pure ogni loro modificazione sono approvati con decreto del Ministero per l’Economia Corporativa, di concreto con il Ministero per le Finanze.

    Art. 19.- Statuti e regolamenti delle imprese di proprietà privata.
    Entro il 30 giugno 1944 tutte le imprese a capitale privato dovranno provvedere ad adeguare gli statuti alle norme contenute nel presente decreto. Le imprese individuali non regolate da statuto dovranno redigere il regolamento entro il termine suddetto. Statuti e regolamenti saranno sottoposti nel termine di 30 giorni all’omologazione del Tribunale competente per territorio che, riscontratane la regolarità e la rispondenza al presente decreto ed alle altre leggi vigenti in materia, ne ordinerà la trascrizione nel registro delle imprese.

    Art. 20. - Modalità di elezione dei rappresentanti dei lavoratori.
    I rappresentanti dei lavoratori chiamati a far parte degli organi delle imprese socializzate, siano esse di proprietà dello Stato o do proprietà privata, sono eletti con votazione segreta da tutti i lavoratori dell’impresa: operai, impiegati tecnici, impiegati amministrativi, e dirigenti, su una lista formata dai sindacati comunali delle singole categorie. La lista comprenderà un numero di lavoratori multiplo di quello dei rappresentanti da eleggere e proporzionalmente alle singole categorie dei lavoratori dell’impresa.

    Il capo dell’impresa e gli amministratori

    Art. 21. - Responsabilità del capo dell’impresa.
    Il capo dell’impresa, sia essa di proprietà privata, sia dello Stato, è personalmente responsabile di fronte allo Stato dell’andamento della produzione dell’impresa e può essere rimosso o sostituito a norma delle disposizioni di cui agli articoli seguenti oltre che nei casi previsti dalle vigenti leggi, quando la sua attività non risponda alle esigenze dei piani generali di produzione e alle direttive della politica sociale dello Stato.

    Art. 22. - Sostituzione del capo dell’impresa di proprietà dello Stato.
    Nell’impresa di proprietà dello Stato, la sostituzione del capo dell’impresa è disposta dal Ministero per l’Economia Corporativa, di concerto con il Ministero per le Finanze, d’ufficio o su proposta dello Istituto Gestione e Finanziamento o del consiglio di amministrazione o dei sindaci, premessi gli opportuni accertamenti.

    Art. 23. - Sostituzione del capo dell’impresa privata a capitale sociale.
    Nelle società per azioni, la sostituzione del capo dell’impresa è deliberata dall’assemblea. Nelle altre imprese a capitale sociale la sostituzione del capo dell’impresa è regolata dagli atti costitutivi, statuti e regolamenti, oppure può essere promossa dal consiglio di amministrazione, con la stessa procedura prevista dagli articoli 24 e seguenti per le imprese private a capitale individuale. E’ in facoltà del Ministero per l’Economia corporativa di provvedere alla sostituzione d’ufficio del capo dell’impresa quando egli dimostri di non possedere senso di responsabilità e manchi ai doveri indicati dall’articolo 21.

    Art. 24. - Sostituzione del capo dell’impresa a capitale individuale.
    Nelle imprese private a capitale individuale l’imprenditore, capo dell’impresa, può essere sostituito solo in seguito a sentenza della Magistratura del lavoro che ne dichiari la responsabilità. L’azione per la dichiarazione di responsabilità può essere provocata dal consiglio di gestione dell’impresa, dall’Istituto di Gestione e di Finanziamento, qualora interessato nell’impresa, o dal Ministero per l’Economia Corporativa, mediante istanza al Procuratore di Stato presso la Corte di Appello competente per territorio.

    Art. 25. - Procedura davanti alla Magistratura del lavoro.
    La Magistratura del lavoro, sentito l’imprenditore, il Pubblico Ministero, il consiglio di gestione dell’impresa, o dell’Istituto di Gestione e Finanziamento, se interessato, premessi gli opportuni accertamenti, dichiara con sentenza la responsabilità dell’imprenditore. Contro la sentenza è ammesso ricorso per Cassazione a norma dell’art. 426 del Cod. Pr. Civ.

    Art. 26. - Sanzioni contro il capo dell’impresa.
    A seguito della sentenza che dichiara la responsabilità dell’imprenditore, il Ministero per l’Economia Corporativa prenderà quei provvedimenti amministrativi che riterrà del caso affidando, se occorre, la gestione dell’impresa ad una cooperativa da costituirsi fra i dipendenti dell’impresa medesima.

    Art. 27. - Misure cautelari.
    Pendente l’azione di cui agli articoli precedenti, il Ministero per la Economia Corporativa può sospendere con proprio decreto, l’imprenditore capo dell’impresa dalla sua attività e nominare un commissario per la temporanea amministrazione dell’impresa.

    Art. 27. - Misure cautelari.
    Pendente l’azione di cui agli articoli precedenti, il Ministero per la Economia Corporativa può sospendere con proprio decreto, l’imprenditore capo dell’impresa dalla sua attività e nominare un commissario per la temporanea amministrazione dell’impresa.

    Art. 28. - Responsabilità del consiglio di gestione.
    Qualora il consiglio d’amministarzione dell’impresa, sia di prorpietà dello Stato , sia di proprietà privata, dimostri di non possedere sufficiente senso di responsabilità nell’assolvlimento dei compiti affidatigli per l’adeguamento dell’attività dell’impresa alle esigenze dei piani di produzione e della politica sociale della Repubblica, il Ministero per l?economia Corporativa, di concreto con il ministero per le finanze, può disporre, premessi gli opportuni accertamenti, lo scioglimento del consiglio e la nomina di un commissario per la temporanea gestione dell’impresa. L’intervento del Ministero per l’Economia Corporativa può avvenire di ufficio o su istanza dell’Istituto di Gestione e Finanziamento se interessato, o del capo dell’impresa, o dell’assemblea, o dei sindaci.

    Art. 29. - Sanzioni penali.
    Al capo dell’impresa ed ai membri del consiglio di amministrazione di essa, sia di proprietà dello Stato, sia di proprietà privata, sono applicabili tutte le sanzioni penali previste dalle leggi per gli imprenditori, soci e amministratori delle società commerciali.

    (Titolo II)
    SEZIONE IV
    Responsabilità del capo dell’impresa e degli amministratori

    Art. 30. - Passaggio delle imprese in proprietà dello Stato.
    La prorpietà di imprese che impegnino settori base per l’indipendenza politica ed economica del Paese, nonchè di imprese fornitrici di materie prime, di energia e di servizi indispensabili al regolare svolgimento della vita sociale, può essere assunta dallo Stato secondo le norme del presente decreto. Quando l’impresa comprende aziende aventi attività produttiva diversa, lo Stato può assumere la proprietà di parte soltanto della impresa stessa. Lo Stato può inoltre partecipare alla formazione del capitale delle imprese private.

    Art.31. - Determinazione della impresa da passare in proprietà dello Stato.
    Con decreto del Capo dello Stato, sentito il consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per l’Economia Corporativa, di concreto col Ministro per le Finanze, saranno di volta in volta determinate le imprese di cui lo Stato intenda assumere la proprietà.

    Art.32. - Sottoposizione a sindacato, nomina dei sindacatori e di commissari di Governo.
    Con lo stesso decreto di cui allo articolo precedente e con decreti successivi, le imprese per le quali sia stato decviso il passaggio in proprietà dello Stato, vengono sottoposte al sindacato con la procedura di cui alla legge 17 luglio 1942 n. 1100, e vengono nominati i sindacatori. Potrà anche essere affidata ad uno degli amministratori dell’impresa la gestione straordinaria di questa, in qualità di commissario del Governo.

    Art. 33. - Nullità dei negozi che modificano il rapporto di proprietà del capitale.
    Saranno considerati nulli i negozi fra vivi che comunque modificaino il rapporto di proprietà nei riguardi dei titoli azionari rappresentanti il capitale delle imprese, per le quali viene deciso il passaggio in proprietà dello Stato, effettuati dal giorno dell’entrata in vigore del provvedimento che decide il passaggio di proprietà.

    Art. 34. - Amministrazione del capitale delle imprese di proprietà dello Stato.
    Il capitale delle imprese assunte in proprietà dalla Stato è amministrato per mezzo di un Istituto di Gestione e Finanziamento, ente pubblico con propria personalità giuridica. La costituzione dll’Istituto e l’approvazione del relativo statuto saranno disposte con separati provvedimenti.

    Art. 35. - Compito dell’Istituto di Gestione e Finanziamento.
    L’Istituto di Gestione e Finanziamento controlla l’attività delle imprese di cui all’articolo 30, secondo le direttive del Ministero per l’Economia Corporativa ed amministra altresì le partecipazioni assunte dallo Stato in imprese private.

    Art. 36. - Trasformazione delle quote di capitale.
    Le quote di capitale già investito nelle imprese che passano in proprietà dello Stato vengono sostituite da quote di credito dei singoli portatori verso l’Istituto di Gestione e Finanziamento, rappresentate da titoli emessi dall’Istituto medesimo ai sensi dei successivi articoli.

    Art. 37. - Valore di trasferimento delle quote di capitale.
    La sostituzione delle quote di capitale già investito in ciascuna impresa che passa in proprietà dello Stato con i titoli dell’Istituto di Gestione e Finanziamento viene effettuata per un ammontare pari al valore reale di dette quote di capitale.

    Art. 38. - Determinazione del valore delle quote di capitale.
    Il valore reale delle quote di capitale delle imprese da trtasferire in proprietà dello Stato saraà determinato con decreto del Ministero per l’Economia Corporativa, di concreto con il Ministero per le Finanze, su proposta dell’Istituto di Gestione e Finanziamento, in contraddittorio con gli amministratori dell’impresa. Contro il decreto del Ministero per l’Economia Corporativa è ammesso ricorso, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, al Consiglio di Stato in sede di giurisdizione da parte degli amministratori dell’impresa o di tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale.

    Art. 39. - Caratteristiche dei titoli dell’Istituto di Gestione e Finanziamento.
    I titoli dell’Istituto di Gestione e Finanziamento sono nominativi, negoziabili e trasferibili e a reddito variabile. Essi vengono emessi in serie distinte corrispondenti a singoli settyori di produzione. Per ciascuna serie il reddito sarà annualmente determinato dal Comitato dei Ministri per la Difesa del Risparmio e l’Esercizio del Credito, su proposta dell’Istituto di Gestione e Finanziamento, tenuto presente l’andamento dei relativi settori produttivi e quello generale della produzione.

    Art. 40. - limitazioni alla negoziabilità dei titoli.
    E’ demandata al Comitato dei Ministri per la Difesa del Risparmio e l’Esercizio del Credito la limitazione della negoziabilità dei titoli dell’Istituto di Gestione e Finanziamento, emessi in sostituzione di quote di capitale, e anche l’iscrizione nei libri dell’Istituto di Credito dei titolari di tali quote, senza che venga effettuata la materiale consegna dei titoli.

    Art. 41. - Modalità del passaggio di prorpietà allo Stato
    Con decreto che dispone il trapasso dell’imprese allo Stato verranno stabilite le norme integrative e di esecuzione, le modalità e i termini del trapasso medesimo, nonchè quelle altre norme, modalità e termini che si renderanno necessari ed opportuni per il trasferimento del capitale allo Stato e per l’assegnazione e distribuzione dei titoli dell’Istituto di Gestione e Finanziamento agli aventi diritto.


    (Titolo III)

    Art. 42. - Determinazione degli utili.
    Gli utili netti delle imprese risultano dai bilanci compilati secondo le norme del Codice Civile e sulla base di una contabilità aziendale che potrà successivamente essere unificata con opportuni provvedimenti di legge.

    Art. 43. - Remunerazione del capitale.
    Sugli utili netti, dopo le assegnazioni di legge alla riserva, e la costituzione di ventuali riserve speciali, che saranno stabilite dagli statuti e regolamenti, è ammessa una remunerazione al capitale investito nell’impresa in una misura massima fissata per i singoli settori produttivi dal Comitato ministeriale per la tutela del risparmio e l’esercizio del credito.

    Art. 44. - Assegnazione degli utili ai lavoratori.
    Gli utili che residueranno dalle assegnazioni di cui all’articolo precedente verranno ripartiti tra i lavoratori: operai, impiegati tecnici amministrativi e dirigenti, in rapporto all’entità delle remunerazioni percepite nel corso dell’anno. Tale ripartizione non potrà comunque eccedere il 30% del complesso delle retribuzioni nette corrisposte ai lavoratori nel corso dell’esercizio. Le eccedenze saranno destinate ad una Cassa di compensazione, amministrata dall’Istituto di Gestione e Finanziamento e destinata a scopi di natura sociale e produttiva. Con separato provvedimento del Ministero per l’Economia Corporativa, di concreto col Ministero per le Finanze, sarà approvato il regolamento di tale Cassa.

    Art. 45. - Le quote di utili.
    La quota di utile delle imprese a capitale individuale da volgere a favore dei lavoratori dovrà essere commisurata ad una percentuale del reddito accertato ai fini della imposta di ricchezza mobile.

    Il presente decreto sarà pubblicato nella “Gazzetta Ufficiale d’Italia” e iscritto, munito del sigillo dello Stato, nella raccolta ufficiale delle leggi e decreti, entrerà in vigore il giorno che sarà stabilito con successivo decreto del Duce della Repubblica Sociale Italiana.

  6. #6
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    1. la carta del lavoro
    La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi i azione superiori per potenza e durata a quegli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. è una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista.
    2. Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzativi ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato. il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.
    3. L'organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato, legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito; di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre loro contributo e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.
    4. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidariet¦ tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.
    5. La magistratura del lavoro è l'organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia che vertano sull'osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia che vertano sulla determinazione di nuove condizioni di lavoro.
    6. Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l'uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento. Le Corporazioni costituiscono l'organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. in virt di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le Corporazioni sono dalla legge riconosciute come organi di Stato.
    7. Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le Corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate.
    8. Lo Stato corporativo considera l'iniziativa nel campo della produzione come lo strumento pi efficace e più utile nell'interesse della Nazione.
    L'organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l'organizzatore dell'impresa è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo Stato. Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. il prestatore d'opera, tecnico, impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell'impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità. [...]
    9. L'azione del sindacato, l'opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della magistratura del lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all'accordo delle parti nei contratti collettivi.
    10. Le conseguenze delle crisi di produzione e dei fenomeni monetari devono equamente ripartirsi fra tutti i fattori della produzione.
    I dati rilevati circa le condizioni della produzione e del lavoro e la situazione del mercato monetario, e le variazioni del tenore di vita dei prestatori d'opera, coordinati ed elaborati dal Ministero delle Corporazioni, daranno il criterio per contemperare gli interessi delle varie categorie, delle classi fra di loro e di queste coll'interesse superiore della produzione.
    11. [...] Quando la retribuzione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione dei cottimi sia fatta a periodi superiori alla quindicina, sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali.
    Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in pi rispetto al lavoro diurno. Quando il lavoro sia retribuito a cottimo, le tariffe di cottimo debbono essere determinate in modo che all'operaio laborioso, di normale capacità lavorativa, sia consentito di conseguire un guadagno minimo oltre la paga base. [...]
    12. Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell'azienda, commessi dai prenditori di lavoro, sono puniti, secondo la gravità della mancanza, con la multa, con la sospensione dal lavoro e, per i casi pi gravi, coi licenziamento immediato senza indennità. Saranno specificati i casi in cui l'imprenditore può infliggere la multa o la sospensione o il licenziamento immediato senza indennità. [...]
    13. Il contratto collettivo di lavoro estende i suoi benefici e la sua disciplina anche ai lavoratori a domicilio. [... ]
    14. Lo Stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori, indice complessivo delle condizioni della produzione e del lavoro.
    15. Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l'obbligo di assumere i prestatori d'opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell'ambito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloro che appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo la anzianità di iscrizione.
    16. Le associazioni professionali di lavoratori hanno l'obbligo di esercitare un'azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne sempre di pi la capacità tecnica e il valore morale.
    17. Gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla polizia del lavoro da parte dei singoli soggetti alle associazioni collegate.
    18. La previdenza è un'alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d'opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa.
    19. Lo Stato fascista si propone:
    1. il perfezionamento dell'assicurazione infortuni;
    2. il miglioramento e l'estensione dell'assicurazione maternità;
    3. l'assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all'assicurazione generale contro tutte le malattie;
    4. il perfezionamento dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria;
    5. l'adozione di forme speciali assicurative dotalizie pei giovani lavoratori. [...]
    20. L'educazione e l'istruzione, specie la istruzione professionale, dei loro rappresentanti, soci e non soci, è uno dei principali doveri delle associazioni professionali. Esse devono affiancare l'azione delle opere nazionali relative al Dopolavoro e alle altre iniziative di educazione.
    G. De Rosa, i partiti politici in Italia , Minerva italica , Bergamo - Milano 1972, pp. 286-291.

  7. #7
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    In Origine postato da italianuova2
    1. la carta del lavoro
    La Nazione italiana è un organismo avente fini, vita, mezzi i azione superiori per potenza e durata a quegli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. è una unità morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato fascista.
    2. Il lavoro, sotto tutte le sue forme organizzativi ed esecutive, intellettuali, tecniche, manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato. il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale.
    3. L'organizzazione sindacale o professionale è libera. Ma solo il sindacato, legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato, ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito; di tutelarne, di fronte allo Stato e alle altre associazioni professionali, gli interessi; di stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, di imporre loro contributo e di esercitare, rispetto ad essi, funzioni delegate di interesse pubblico.
    4. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidariet¦ tra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione.
    5. La magistratura del lavoro è l'organo con cui lo Stato interviene a regolare le controversie del lavoro, sia che vertano sull'osservanza dei patti e delle altre norme esistenti, sia che vertano sulla determinazione di nuove condizioni di lavoro.
    6. Le associazioni professionali legalmente riconosciute assicurano l'uguaglianza giuridica tra i datori di lavoro e i lavoratori, mantengono la disciplina della produzione e del lavoro e ne promuovono il perfezionamento. Le Corporazioni costituiscono l'organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. in virt di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali, le Corporazioni sono dalla legge riconosciute come organi di Stato.
    7. Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le Corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate.
    8. Lo Stato corporativo considera l'iniziativa nel campo della produzione come lo strumento pi efficace e più utile nell'interesse della Nazione.
    L'organizzazione privata della produzione essendo una funzione di interesse nazionale, l'organizzatore dell'impresa è responsabile dell'indirizzo della produzione di fronte allo Stato. Dalla collaborazione delle forze produttive deriva fra esse reciprocità di diritti e di doveri. il prestatore d'opera, tecnico, impiegato od operaio, è un collaboratore attivo dell'impresa economica, la direzione della quale spetta al datore di lavoro che ne ha la responsabilità. [...]
    9. L'azione del sindacato, l'opera conciliativa degli organi corporativi e la sentenza della magistratura del lavoro garantiscono la corrispondenza del salario alle esigenze normali di vita, alle possibilità della produzione e al rendimento del lavoro. La determinazione del salario è sottratta a qualsiasi norma generale e affidata all'accordo delle parti nei contratti collettivi.
    10. Le conseguenze delle crisi di produzione e dei fenomeni monetari devono equamente ripartirsi fra tutti i fattori della produzione.
    I dati rilevati circa le condizioni della produzione e del lavoro e la situazione del mercato monetario, e le variazioni del tenore di vita dei prestatori d'opera, coordinati ed elaborati dal Ministero delle Corporazioni, daranno il criterio per contemperare gli interessi delle varie categorie, delle classi fra di loro e di queste coll'interesse superiore della produzione.
    11. [...] Quando la retribuzione sia stabilita a cottimo, e la liquidazione dei cottimi sia fatta a periodi superiori alla quindicina, sono dovuti adeguati acconti quindicinali o settimanali.
    Il lavoro notturno, non compreso in regolari turni periodici, viene retribuito con una percentuale in pi rispetto al lavoro diurno. Quando il lavoro sia retribuito a cottimo, le tariffe di cottimo debbono essere determinate in modo che all'operaio laborioso, di normale capacità lavorativa, sia consentito di conseguire un guadagno minimo oltre la paga base. [...]
    12. Le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell'azienda, commessi dai prenditori di lavoro, sono puniti, secondo la gravità della mancanza, con la multa, con la sospensione dal lavoro e, per i casi pi gravi, coi licenziamento immediato senza indennità. Saranno specificati i casi in cui l'imprenditore può infliggere la multa o la sospensione o il licenziamento immediato senza indennità. [...]
    13. Il contratto collettivo di lavoro estende i suoi benefici e la sua disciplina anche ai lavoratori a domicilio. [... ]
    14. Lo Stato accerta e controlla il fenomeno della occupazione e della disoccupazione dei lavoratori, indice complessivo delle condizioni della produzione e del lavoro.
    15. Gli uffici di collocamento sono costituiti a base paritetica sotto il controllo degli organi corporativi dello Stato. I datori di lavoro hanno l'obbligo di assumere i prestatori d'opera pel tramite di detti uffici. Ad essi è data facoltà di scelta nell'ambito degli iscritti negli elenchi con preferenza a coloro che appartengono al Partito e ai Sindacati fascisti, secondo la anzianità di iscrizione.
    16. Le associazioni professionali di lavoratori hanno l'obbligo di esercitare un'azione selettiva fra i lavoratori, diretta ad elevarne sempre di pi la capacità tecnica e il valore morale.
    17. Gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla polizia del lavoro da parte dei singoli soggetti alle associazioni collegate.
    18. La previdenza è un'alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d'opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa.
    19. Lo Stato fascista si propone:
    1. il perfezionamento dell'assicurazione infortuni;
    2. il miglioramento e l'estensione dell'assicurazione maternità;
    3. l'assicurazione delle malattie professionali e della tubercolosi come avviamento all'assicurazione generale contro tutte le malattie;
    4. il perfezionamento dell'assicurazione contro la disoccupazione involontaria;
    5. l'adozione di forme speciali assicurative dotalizie pei giovani lavoratori. [...]
    20. L'educazione e l'istruzione, specie la istruzione professionale, dei loro rappresentanti, soci e non soci, è uno dei principali doveri delle associazioni professionali. Esse devono affiancare l'azione delle opere nazionali relative al Dopolavoro e alle altre iniziative di educazione.
    G. De Rosa, i partiti politici in Italia , Minerva italica , Bergamo - Milano 1972, pp. 286-291.
    Me cojoni! E.....scusa, quando sarebbe entrata in vigore?
    Che benefici ha portato?

    Ah...se avesse ascoltato il Bombacci....pover'uomo.

    Insomma, come il Berlusca, promette la Ferrari a tutti per poi ci rifila una Duna...
    Mejo che gnente...n'est pas?

  8. #8
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    In Origine postato da T34
    Me cojoni! E.....scusa, quando sarebbe entrata in vigore?
    Che benefici ha portato?

    Ah...se avesse ascoltato il Bombacci....pover'uomo.

    Insomma, come il Berlusca, promette la Ferrari a tutti per poi ci rifila una Duna...
    Mejo che gnente...n'est pas?
    entrò eccome in vigore.

    ma lo sai che lo stato sociale fu costruito in Italia dal Duce?


    certo che nemmeno la storia più semplice conoscete!

  9. #9
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    In Origine postato da italianuova2
    entrò eccome in vigore.

    ma lo sai che lo stato sociale fu costruito in Italia dal Duce?


    certo che nemmeno la storia più semplice conoscete!
    Certamente....

  10. #10
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