La virtù del consumismo

MARCO FARACI


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Il consumismo è da sempre uno dei maggiori bersagli degli strali del mondo cattolico e progressista. Si accusano, in pratica, i ricchi egoisti di cercare solamente la propria felicità anziché aiutare i meno fortunati.
E' triste, tuttavia, notare che la retorica anticonsumistica sembra sempre più venire assimilata anche dal centro-destra, come dimostra anche un recente articolo sul "Giornale" del suo più influente economista, l'onorevole Tremonti.
Eppure quando 6 anni fa il Polo colse una clamorosa affermazione elettorale fu anche per l'immagine del suo leader che in fondo rappresentava proprio quello spirito consumistico tanto odiato dai boriosi intellettuali benpensanti.
Allora Silvio Berlusconi era la persona più adatta che potesse mettersi alla guida di un partito liberale e liberista, perché i principi liberali e liberisti prima ancora di propugnarli, li incarnava. Era infatti la figura più politicamente scorretta e più lontana dal credo dominante catto-comunista che si potesse trovare. Sembrava fatto apposta per far imbestialire i Paissan, gli Occhetto, i Martinazzoli o i Garavini, tutti quelli cioé che avevano sempre considerato il profitto, il capitalismo ed il mercato sterco del demonio.
Lui ERA il profitto, lui era il capitalismo, lui era il mercato, lui era il supermercato! Ma sì l'uomo che possedeva la Standa, che possedeva i supermercati, luogo simbolo della perdizione, simbolo del consumismo e del capitalismo selvaggio.
Lui era l'uomo della televisione. Ah... la televisione! Strumento del demonio! Quella che trasmette i telefilm americani! Quella che vuole americanizzare la nostra società! Quella che trasmette le donnine nude! Mamma mia! Quella che trasmette la pubblicità!
La pubblicità... c'è qualcosa di più edonista e consumista? Ebbene Berlusconi era l'uomo della pubblicità, era il leader con cui la pubblicità arrivava sempre in orario.
Era il mercato fatto uomo, era la sfida al sistema pubblico fatta uomo.
Sinceramente non credo proprio che il centro-destra nel 1994 potesse trovare un leader più sgradito a tutto l'establishment cattocomunista, serboprogressista e terzomondista.
Era un sogno e milioni di persone si buttarono a capofitto in quel sogno. Dallo zero al 20% in due mesi, e poi addirittura al 30% in occasione delle elezioni europee. Forza Italia volava.
Poi sappiamo bene come sono andate le cose, con Berlusconi che si è piegato alla logica conformista del solidarismo. L'uomo dei supermercati si è ridotto a votare contro la liberalizzazione del commercio, contro i supermercati. L'uomo delle televisioni si è ridotto a votare contro le televisioni. L'uomo simbolo dell'edonismo e del consumismo si è ridotto a sostenere leggi degne del più democristiano oscurantismo.
Ma che cos'è, in pratica, questo consumismo che fa tanta paura? Cosa vuol dire essere consumisti?
Secondo gli anticonsumisti è consumista colui che, dopo avere soddisfatto le necessità fondamentali, cerca egoisticamente anche il superfluo anziché utilizzare i risparmi per aiutare il prossimo.
A tali tesi anticonsumiste mi viene naturale innanzitutto ribattere che io non intendo permettere a nessun altro di decidere al mio posto di che cosa ho realmente bisogno e di cosa no.
Ma poi ci si puòanche chiedere: che cos'à realmente il superfluo?
David Friedman spiega bene ne "L'ingranaggio della Libertà" che il costo di una dieta base composta da germogli di soia e latte in polvere è di poche centinaia di dollari l'anno. Di conseguenza ogni altra cosa potrebbe, in teoria, essere considerata un lusso.
E quali sarebbero, poi, i risvolti pratici di quello che gli anticonsumisti propongono? Cosa succederebbe se io decidessi di rinunciare all'abbonamento a Stream, alla settimana bianca od al computer? E che cosa succederebbe se migliaia, milioni di persone cessassero di essere "consumiste", di fare acquisti "non necessari" e cominciassero ad usare il denaro risparmiato a favore dei non abbienti?
La conseguenza più immediata è che si disincentiverebbero le attività produttive, cioè quelle attività che forniscono dei servizi che - checché ne dicano i bigotti - aumentano il nostro benessere e la nostra felicità, mentre si finanzierebbero le attività non produttive, cioé parassitarie.
E se proprio tutti rinunciassimo al "superfluo" l'esito sarebbe prima di tutto fare restare senza lavoro tutti coloro che sono impiegati in attività "non essenziali", il che vuol dire, in una società avanzata come la nostra, la maggior parte dei lavoratori.
Evidentemente si trasformerebbe in breve un'economia avanzata in un'economia di pura sussistenza; si trasformerebbe un'economia in grado di assicurare benessere per tutti in un'economia che fallirebbe persino nell'obbiettivo fondamentale che la ispira, quello cioé di soddisfare i bisogni primari. Non si può infatti negare la forte interdipendenza tra tutti i settori produttori: il campo alimentare non potrebbe certo essere così sviluppato se non si avvalesse anche dell'avanzamento di tanti altri settori. La ricchezza, inoltre, non é un qualcosa di statico, da redistribuire, confiscare, etc. E' un qualcosa che non esiste a meno che non la si crei e la ricchezza si crea grazie al lavoro ed alla creatività degli individui ed alla possibilità per loro di interagire gli uni con gli altri liberamente. Ed un paese che metta al bando l'estro individuale e la libertà economica in nome dell'etica egualitaria del solidarismo non riuscirà neppure a dare da mangiare alle persone che vi vivono.
Malgrado questo il mondo progressista e, nelle sue componenti più stataliste e pauperiste, il mondo cattolico si scagliano contro l'"immoralità" della società dei consumi. Ma come possono, invece, essere morali delle ideologie che vanno contro la felicità dell'uomo, che vanno contro l'uomo e gli impongono la mortificazione e l'autosacrificio?
I solidaristi cattolici cercheranno in particolare di convincerci che perseguire la propria felicità è peccato e porterà alla morte della nostra anima. Scultoree sono le parole che la Rand mette in bocca a John Galt a questo riguardo: "Avete maledetto l'uomo. [...] Avete usato la paura come vostra arma e avete presentato all'uomo la morte come punizione per avere rifiutato la vostra moralità. Noi gli offriamo la vita come ricompensa per accettare la nostra".
Se molti cattolici vanno giù duro contro il consumismo, certo non ci vanno più leggere le sinistre. Quello che i cattolici denunciano come peccato, molti progressisti, infatti, lo giudicano addirittura un crimine. Criminale secondo loro è la diseguale distribuzione della ricchezza , sia all'interno dei singoli stati, che tra paesi ricchi e paesi poveri. La soluzione che loro propongono è, naturalmente, sempre la solita. La redistribuzione forzata delle ricchezze da chi produce di più verso chi produce di meno.
Spiace, in definitiva che a simili concezioni oscurantiste si accodi, nel nostro paese, anche un centro-destra dal quale speravamo ben altro. Sarebbe bello se Berlusconi ritornasse ad incarnare quello che fino a qualche anno fa incarnava, prima di convertirsi, per scelta elettoralistica, al conformismo buonista del cattolicesimo sociale. Sarebbe bello se tornasse ad essere l'uomo delle televisioni. Se tornasse ad essere l'uomo dei supermercati.
I nostri avversari, del resto, ci accusano spesso proprio di volere trasformare il mondo in un supermercato.
Sì. E' vero. Noi libertari vogliamo trasformare il mondo in un supermercato. E ce ne vantiamo. Che cos'é in fondo un supermercato se non un luogo accogliente dove puoi trovare tutto quello che ti serve? Dove puoi scambiare il frutto del tuo lavoro con altre persone consenzienti, comprando quello che vuoi e pagando per quello che compri?
Noi vogliamo trasformare il mondo in un supermercato perchè è molto meglio che vederlo trasformato in un gulag o in un lager.
Noi siamo edonisti, perché non ci piace fare voto di povertà come gli integerrimi coreani del nord.
Noi siamo consumisti, perché crediamo in una società in cui sempre più persone possano accedere ai beni di consumo e sempre più persone possano trovare lavoro nella produzione di beni di consumo.
Ma soprattutto noi siamo convinti che, di fronte all'arroganza di chi vuole cancellare asetticamente le disuguaglianze e le soggettività, il "consumista" assurga ad un ruolo estremamente meritorio, quello difensore di un diritto fondamentale dell'uomo, il diritto a perseguire il valore più soggettivo che esista, la propria felicità personale.


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