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    Predefinito 92° anniversario della Rivoluzione d'ottobre

    Buon anniversario della rivoluzione d'ottobre a tutti



    <<la rivoluzione proletaria Russa divide il mondo intero in due campi: da una parte si trovano la classe operaia e le classi semiproletarie di tutti i paesi, dall'altra parte stanno i capitalisti, i banchieri, gli speculatori di tutto il mondo>>

    Antonio Gramsci
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    Predefinito Rif: 92° anniversario della Rivoluzione d'ottobre

    altro che quello della caduta del muro
    Dannato Barone Rosso.

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    Predefinito Rif: 92° anniversario della Rivoluzione d'ottobre

    Onore ai compagni che hanno combattuto per le rivoluzioni di tutta la nostra storia.

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    Predefinito Rif: 92° anniversario della Rivoluzione d'ottobre

    92° Anniversario della Rivoluzione Inviato da : redazione | Sabato, 07 Novembre 2009 - 07:01

    Salvare il progetto di civiltà dell’’Ottobre


    di Paola Pellegrini

    Fin dal primo momento, la Rivoluzione di Ottobre è stata un punto di riferimento per il movimento operaio e per tutte le organizzazioni socialiste che non erano arretrate di fronte al militarismo e alla follia nazionalista che trascinò il mondo nel grande massacro della Prima Guerra mondiale. “Una ondata rivoluzionaria si diffuse a livello mondiale”, scrive Hobsbawm all’inizio del suo Il secolo breve, “nei due anni successivi alla rivoluzione d’Ottobre e le speranze dei bolscevichi assediati non parvero irreali”. “Vennero formati dei soviet dagli operai delle tabaccherie a Cuba, un paese nel quale pochi sapevano dove fosse la Russia. In Spagna gli anni dal 1917 al 1919 passarono alla storia come il biennio bolscevico…”movimenti studenteschi rivoluzionari insorsero a Pechino nel 1919 e a Cordoba, in Argentina, nel 1918, per diffondersi ben presto nell’America Latina….”in Messico…Marx e Lenin divennero le icone della rivoluzione messicana, insieme con Montezuma, Emiliano Zapata e altri indigeni vittime dell’oppressione…Negli USA, i finlandesi, che tra gli immigrati costituivano la comunità nella quale più si erano diffuse le idee socialiste, si convertirono in massa al comunismo e ravvivarono gli squallidi insediamenti minerari del Minnesota con raduni «nei quali i cuori sussultavano a udire il nome di Lenin. In un silenzio mistico,,,noi adoravamo ogni cosa che venisse dalla Russia». In Italia, il nostro biennio rosso nelle grandi fabbriche del nord coincise con la formazione del gruppo dirigente che diede vita al Partito comunista d’Italia.



    Non è stato dunque per caso che la data della prima rivoluzione socialista della storia sia stata per settant’anni il punto di riferimento per milioni di uomini e donne in tutte le latitudini del mondo. A partire dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica, per tutti questi venti anni di restaurazione selvaggia del capitalismo, nel mondo e nella terra di Gorky e Mayakovsky, dovunque si è cercato di liquidarne ogni valore o attraverso la più spudorata falsificazione storica o attraverso l’oblio. Mentre scrivo queste poche cose per il sito del nostro partito, penso a quanto suicida sia questo oblio, e lo penso a partire da noi, dalla nostra difficoltà di mantenere aperta la strada della memoria storica, non per ripiegamento nostalgico, ma per rinnovare una più piena coscienza del nostro futuro, attraverso un confronto diretto con una storia senza la quale non saremmo quelli che siamo, ricerca che farebbe crescere, magari di un piccolo gradino, quel faticoso processo di apprendimento che non avviene né con le facili consolazioni né con le abiure. Senza questo corpo a corpo con la storia della rivoluzione e dell’Urss, dei suoi grandi e tragici protagonisti, delle condizioni in cui fu costruita, delle sue conquiste come degli errori e delle sue impossibilità, senza questo lavoro di comprensione e di sedimentazione in una nuova consapevolezza diffusa, l’attacco ideologico anticomunista è destinato ad aumentare la sua forza di orientamento e di penetrazione. Ma è un lavoro davvero difficile, che non ammette semplificazioni: ancora solo abbozzato, salvo alcune preziosissime eccezioni: penso al contributo sia storico che filosofico di intellettuali come Canfora, Vegetti, Prestipino, Losurdo,contributi ignorati dall’opinione pubblica più larga, ma anche da molti militanti e dirigenti della cosiddetta sinistra per bene, che non vuole correre il rischio di essere scacciata dai salotti buoni della politica nostrana, malata di provincialismo. Avverto anche per questo la lacerante inadeguatezza politica nostra, e mi riferisco ai nostri partiti che dicono di voler mantenere i nomi e i simboli del comunismo e che, mentre tra pochi giorni daranno vita alla comune Federazione della sinistra, non hanno saputo trovare lo spazio per una iniziativa comune - non di propaganda ma di riflessione e studio - in occasione di questo 92° anniversario della rivoluzione che diede vita al primo esperimento socialista della storia.

    Il 7 novembre ha rovesciato, svelandone la natura “storica e transitoria”, tutti quei rapporti di dominio sociale che fino ad allora si erano mostrati immutabili al pari di un "fatto di natura". Per la prima volta, il proletariato industriale, i soldati insorti nelle trincee della guerra, i contadini al servizio di una aristocrazia terriera arcaica, tutti questi diventavano protagonisti della storia.

    Il 7 novembre fu la data di un evento destinato - per usare un'espressione di John Reed - a sconvolgere il mondo: la Russia, travolta da un’ondata di sommosse e sconvolgimenti sociali, all’origine dei quali la guerra fu elemento scatenante per l’insostenibilità di quella condizione materiale di sfruttamento, di miseria e disperazione; e il resto del mondo che, da allora non poté più essere lo stesso.

    Tutto lo svolgimento del ‘900, secolo che si è concluso proprio in corrispondenza della crisi e della sconfitta dell’URSS, è stato per la sua gran parte determinato dalla Rivoluzione d’Ottobre, che ha aperto processi politici, sociali e culturali che hanno appunto cambiato la realtà mondiale. Non è superfluo ricordare in tempi come questi la portata di tali cambiamenti.

    La rivoluzione russa e la successiva formazione dell'Unione Sovietica hanno impresso una accelerazione formidabile allo sviluppo della realtà internazionale, la stessa attuazione dello "Stato sociale" e delle varie riforme nei paesi capitalistici industriali ha preso le mosse dalla competizione con la crescita sovietica e dalla pressione operaia e popolare ch'essa ha sollecitato in occidente. La presenza dell'Unione Sovietica al fianco dei paesi occidentali nella guerra contro il nazifascismo ha reso possibile la sconfitta del più grave attacco alla civiltà che abbia avuto luogo nell'epoca moderna. I processi aperti dall'Ottobre russo hanno avuto il merito storico di imprimere una spinta determinante ai movimenti di liberazione dal colonialismo in tutti i paesi del Terzo Mondo. Si è trattato di rivoluzioni contro la guerra e contro il dominio di potenze straniere. Il dissolvimento del sistema Sovietico ha determinato uno squilibrio totale dei rapporti internazionali, ha permesso il riaffermarsi del dominio imperialistico e ha fatto ripiombare l’intero pianeta sotto l’incubo della guerra infinita e dentro una nuova fase di dominio neocoloniale di interi paesi di cui non riusciamo a vedere oggi la fine.

    “Fu soltanto a partire dalla Rivoluzione d'ottobre, e poi grazie all'esistenza statuale dell'Unione sovietica, che poté venir posta all'ordine del giorno nel mondo intero la rivendicazione di una equa soddisfazione dei bisogni sociali, materiali e intellettuali, di grandi masse di uomini e di donne, come la rivoluzione francese aveva fatto per i diritti di cittadinanza. Senza la Rivoluzione d'ottobre e la sua eredità, la storia del Novecento sarebbe stata soltanto una storia di conflitti intercapitalistici e interimperialistici, dove le classi subalterne avrebbero ancora una volta assunto il ruolo di "carne da cannone", i paesi coloniali quello di posta in palio della spartizione del mondo”. Quelle classi subalterne che drammaticamente, oggi, vedono il loro presente e il loro futuro prossimo tornare indietro, a quella dimensione di in- significanza e cancellazione dalla storia.

    A vent’anni esatti dalla caduta del Muro di Berlino e dalla sconfitta dell’esperienza socialista in Europa, con la liquidazione dell’URSS e degli Stati sorti all’indomani della sconfitta del nazifascismo, è così sembrata definitivamente perduta ogni possibilità, reale e simbolica, di alternativa - economica, giuridica e istituzionale - al capitalismo. Anche riflettere sulle principali conseguenze ideologiche e politiche di tutto questo è necessario, se si vuole ricominciare a battersi in maniera coerente e organizzata per un’altra società da quella capitalistica.

    C’è chi considera impegni di questo tipo un orizzonte sterile e definitivamente chiuso dagli accadimenti di vent’anni fa e confermato dalle difficoltà di oggi. Ora, per dirla tutta, noi proviamo un certo qual fastidio a sentirci fare la predica sulla inutilità del lavoro teorico e culturale dei comunisti, soprattutto quando viene da quelli che, dicendosi stati comunisti e spesso autodefinendosi ancora marxisti e materialisti si sono da tempo nei fatti calati nell’abitus mentale e nelle forme di pensiero dell’avversario, in una sorta di nichilismo storico, molto ideologica e poco materialistica, dimenticando una verità molto scomoda, ma molto materialistica: che anche le idee e le ragioni giuste possono essere sconfitte, se i rapporti di forza sono sfavorevoli, o se il processo storico concreto trasforma i luoghi e gli attori del conflitto di classe. Del resto, non mi pare che, a parte la propaganda denigratoria sparsa senza ritegno dagli avversari legittimi e sempre di più dai pentiti di diverso conio, la vicenda della sconfitta e distruzione dell’Urss sia stata davvero messa sotto la lente di un’analisi puntuale, per comprenderne fattori non casuali o solo soggettivi, ma storici, economici e di contesto. Conoscere effettivamente la natura di un evento spartiacque per l’oggi e per un tempo ancora assai lungo e rifletterci fuori da ogni stanca ripetizione apologetica, è vitale se si vogliono ritrovare, fin dall’atto fondativo di quella storia, la Rivoluzione dell’ottobre ‘17, le ragioni ancora valide del progetto comunista, che può trovare un nuovo slancio solo se si proietta nel nuovo secolo, senza abiure di comodo e senza atteggiamenti reducisti: una ricerca vera che può e deve farsi con gli strumenti intellettuali del marxismo.

    Si può essere sconfitti, dunque ma si può ricominciare, anche se l’esperienza bruciante della fine del “socialismo” sovietico è parsa a molti – fortemente interessati - la conferma pratica della fine delle “grandi narrazioni”, secondo una formula ormai tanto usata da essere abusata, quella fine della storia predicata da Fukuyama, e dai seguaci della scuola economica di Chicago. Il punto di approdo è così diventato, trasversalmente, unico come il pensiero: la storia non è comprensibile, né esiste come luogo dello svolgersi del processo sociale né, Dio ci scampi, della lotta delle classi. La storia è quella della vulgata giornalistica, date, nomi e personaggi, oppure quella dei dossier e dei Libri neri, solo un’ininterrotta ed irredimibile sequenza di scontri di potere, violenze e atrocità. Il punto cruciale di tale impostazione è dunque che la storia non può più essere letta per interpretarne le linee di sviluppo e trarne indicazione e lezione, è una scena priva di fondale, da cui scompaiono gli elementi di contraddizione interni al processo di sviluppo e al modo di produzione, e le forze reali oggettivamente e soggettivamente in competizione (forze produttive, forze sociali, gruppi economici, strutture statuali). Siamo alla cancellazione di uno dei tratti fondativi non solo per la cultura marxista, ma anche del pensiero democratico nato dai tronchi più fecondi dello stesso pensiero liberale europeo. La storia non può essere conosciuta perché l’assetto sociale non può essere cambiato: questo l’involucro ideologico di tutta l’operazione. Secondo questa linea, non solo la Rivoluzione d’ottobre ma anche la Rivoluzione francese, per il suo intrinseco significato di evento simbolo della possibilità del sovvertimento dell’ordine preesistente, deve essere riscritta e, soprattutto nella sua versione democratica e giacobina, negata e denigrata. Ai comunisti spetta ancora il compito di salvare quel progetto di civiltà e di umanità nuova che, dall’illuminismo, passando per Marx, é giunto a noi attraverso la Rivoluzione dell’Ottobre 1917.
    92° Anniversario della Rivoluzione :: Partito dei Comunisti Italiani :: www.comunisti-italiani.it
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    Predefinito Rif: 92° anniversario della Rivoluzione d'ottobre

    92° Anniversario della Rivoluzione Inviato da : redazione | Sabato, 07 Novembre 2009 - 07:01

    Salvare il progetto di civiltà dell’’Ottobre


    di Paola Pellegrini

    Fin dal primo momento, la Rivoluzione di Ottobre è stata un punto di riferimento per il movimento operaio e per tutte le organizzazioni socialiste che non erano arretrate di fronte al militarismo e alla follia nazionalista che trascinò il mondo nel grande massacro della Prima Guerra mondiale. “Una ondata rivoluzionaria si diffuse a livello mondiale”, scrive Hobsbawm all’inizio del suo Il secolo breve, “nei due anni successivi alla rivoluzione d’Ottobre e le speranze dei bolscevichi assediati non parvero irreali”. “Vennero formati dei soviet dagli operai delle tabaccherie a Cuba, un paese nel quale pochi sapevano dove fosse la Russia. In Spagna gli anni dal 1917 al 1919 passarono alla storia come il biennio bolscevico…”movimenti studenteschi rivoluzionari insorsero a Pechino nel 1919 e a Cordoba, in Argentina, nel 1918, per diffondersi ben presto nell’America Latina….”in Messico…Marx e Lenin divennero le icone della rivoluzione messicana, insieme con Montezuma, Emiliano Zapata e altri indigeni vittime dell’oppressione…Negli USA, i finlandesi, che tra gli immigrati costituivano la comunità nella quale più si erano diffuse le idee socialiste, si convertirono in massa al comunismo e ravvivarono gli squallidi insediamenti minerari del Minnesota con raduni «nei quali i cuori sussultavano a udire il nome di Lenin. In un silenzio mistico,,,noi adoravamo ogni cosa che venisse dalla Russia». In Italia, il nostro biennio rosso nelle grandi fabbriche del nord coincise con la formazione del gruppo dirigente che diede vita al Partito comunista d’Italia.



    Non è stato dunque per caso che la data della prima rivoluzione socialista della storia sia stata per settant’anni il punto di riferimento per milioni di uomini e donne in tutte le latitudini del mondo. A partire dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica, per tutti questi venti anni di restaurazione selvaggia del capitalismo, nel mondo e nella terra di Gorky e Mayakovsky, dovunque si è cercato di liquidarne ogni valore o attraverso la più spudorata falsificazione storica o attraverso l’oblio. Mentre scrivo queste poche cose per il sito del nostro partito, penso a quanto suicida sia questo oblio, e lo penso a partire da noi, dalla nostra difficoltà di mantenere aperta la strada della memoria storica, non per ripiegamento nostalgico, ma per rinnovare una più piena coscienza del nostro futuro, attraverso un confronto diretto con una storia senza la quale non saremmo quelli che siamo, ricerca che farebbe crescere, magari di un piccolo gradino, quel faticoso processo di apprendimento che non avviene né con le facili consolazioni né con le abiure. Senza questo corpo a corpo con la storia della rivoluzione e dell’Urss, dei suoi grandi e tragici protagonisti, delle condizioni in cui fu costruita, delle sue conquiste come degli errori e delle sue impossibilità, senza questo lavoro di comprensione e di sedimentazione in una nuova consapevolezza diffusa, l’attacco ideologico anticomunista è destinato ad aumentare la sua forza di orientamento e di penetrazione. Ma è un lavoro davvero difficile, che non ammette semplificazioni: ancora solo abbozzato, salvo alcune preziosissime eccezioni: penso al contributo sia storico che filosofico di intellettuali come Canfora, Vegetti, Prestipino, Losurdo,contributi ignorati dall’opinione pubblica più larga, ma anche da molti militanti e dirigenti della cosiddetta sinistra per bene, che non vuole correre il rischio di essere scacciata dai salotti buoni della politica nostrana, malata di provincialismo. Avverto anche per questo la lacerante inadeguatezza politica nostra, e mi riferisco ai nostri partiti che dicono di voler mantenere i nomi e i simboli del comunismo e che, mentre tra pochi giorni daranno vita alla comune Federazione della sinistra, non hanno saputo trovare lo spazio per una iniziativa comune - non di propaganda ma di riflessione e studio - in occasione di questo 92° anniversario della rivoluzione che diede vita al primo esperimento socialista della storia.

    Il 7 novembre ha rovesciato, svelandone la natura “storica e transitoria”, tutti quei rapporti di dominio sociale che fino ad allora si erano mostrati immutabili al pari di un "fatto di natura". Per la prima volta, il proletariato industriale, i soldati insorti nelle trincee della guerra, i contadini al servizio di una aristocrazia terriera arcaica, tutti questi diventavano protagonisti della storia.

    Il 7 novembre fu la data di un evento destinato - per usare un'espressione di John Reed - a sconvolgere il mondo: la Russia, travolta da un’ondata di sommosse e sconvolgimenti sociali, all’origine dei quali la guerra fu elemento scatenante per l’insostenibilità di quella condizione materiale di sfruttamento, di miseria e disperazione; e il resto del mondo che, da allora non poté più essere lo stesso.

    Tutto lo svolgimento del ‘900, secolo che si è concluso proprio in corrispondenza della crisi e della sconfitta dell’URSS, è stato per la sua gran parte determinato dalla Rivoluzione d’Ottobre, che ha aperto processi politici, sociali e culturali che hanno appunto cambiato la realtà mondiale. Non è superfluo ricordare in tempi come questi la portata di tali cambiamenti.

    La rivoluzione russa e la successiva formazione dell'Unione Sovietica hanno impresso una accelerazione formidabile allo sviluppo della realtà internazionale, la stessa attuazione dello "Stato sociale" e delle varie riforme nei paesi capitalistici industriali ha preso le mosse dalla competizione con la crescita sovietica e dalla pressione operaia e popolare ch'essa ha sollecitato in occidente. La presenza dell'Unione Sovietica al fianco dei paesi occidentali nella guerra contro il nazifascismo ha reso possibile la sconfitta del più grave attacco alla civiltà che abbia avuto luogo nell'epoca moderna. I processi aperti dall'Ottobre russo hanno avuto il merito storico di imprimere una spinta determinante ai movimenti di liberazione dal colonialismo in tutti i paesi del Terzo Mondo. Si è trattato di rivoluzioni contro la guerra e contro il dominio di potenze straniere. Il dissolvimento del sistema Sovietico ha determinato uno squilibrio totale dei rapporti internazionali, ha permesso il riaffermarsi del dominio imperialistico e ha fatto ripiombare l’intero pianeta sotto l’incubo della guerra infinita e dentro una nuova fase di dominio neocoloniale di interi paesi di cui non riusciamo a vedere oggi la fine.

    “Fu soltanto a partire dalla Rivoluzione d'ottobre, e poi grazie all'esistenza statuale dell'Unione sovietica, che poté venir posta all'ordine del giorno nel mondo intero la rivendicazione di una equa soddisfazione dei bisogni sociali, materiali e intellettuali, di grandi masse di uomini e di donne, come la rivoluzione francese aveva fatto per i diritti di cittadinanza. Senza la Rivoluzione d'ottobre e la sua eredità, la storia del Novecento sarebbe stata soltanto una storia di conflitti intercapitalistici e interimperialistici, dove le classi subalterne avrebbero ancora una volta assunto il ruolo di "carne da cannone", i paesi coloniali quello di posta in palio della spartizione del mondo”. Quelle classi subalterne che drammaticamente, oggi, vedono il loro presente e il loro futuro prossimo tornare indietro, a quella dimensione di in- significanza e cancellazione dalla storia.

    A vent’anni esatti dalla caduta del Muro di Berlino e dalla sconfitta dell’esperienza socialista in Europa, con la liquidazione dell’URSS e degli Stati sorti all’indomani della sconfitta del nazifascismo, è così sembrata definitivamente perduta ogni possibilità, reale e simbolica, di alternativa - economica, giuridica e istituzionale - al capitalismo. Anche riflettere sulle principali conseguenze ideologiche e politiche di tutto questo è necessario, se si vuole ricominciare a battersi in maniera coerente e organizzata per un’altra società da quella capitalistica.

    C’è chi considera impegni di questo tipo un orizzonte sterile e definitivamente chiuso dagli accadimenti di vent’anni fa e confermato dalle difficoltà di oggi. Ora, per dirla tutta, noi proviamo un certo qual fastidio a sentirci fare la predica sulla inutilità del lavoro teorico e culturale dei comunisti, soprattutto quando viene da quelli che, dicendosi stati comunisti e spesso autodefinendosi ancora marxisti e materialisti si sono da tempo nei fatti calati nell’abitus mentale e nelle forme di pensiero dell’avversario, in una sorta di nichilismo storico, molto ideologica e poco materialistica, dimenticando una verità molto scomoda, ma molto materialistica: che anche le idee e le ragioni giuste possono essere sconfitte, se i rapporti di forza sono sfavorevoli, o se il processo storico concreto trasforma i luoghi e gli attori del conflitto di classe. Del resto, non mi pare che, a parte la propaganda denigratoria sparsa senza ritegno dagli avversari legittimi e sempre di più dai pentiti di diverso conio, la vicenda della sconfitta e distruzione dell’Urss sia stata davvero messa sotto la lente di un’analisi puntuale, per comprenderne fattori non casuali o solo soggettivi, ma storici, economici e di contesto. Conoscere effettivamente la natura di un evento spartiacque per l’oggi e per un tempo ancora assai lungo e rifletterci fuori da ogni stanca ripetizione apologetica, è vitale se si vogliono ritrovare, fin dall’atto fondativo di quella storia, la Rivoluzione dell’ottobre ‘17, le ragioni ancora valide del progetto comunista, che può trovare un nuovo slancio solo se si proietta nel nuovo secolo, senza abiure di comodo e senza atteggiamenti reducisti: una ricerca vera che può e deve farsi con gli strumenti intellettuali del marxismo.

    Si può essere sconfitti, dunque ma si può ricominciare, anche se l’esperienza bruciante della fine del “socialismo” sovietico è parsa a molti – fortemente interessati - la conferma pratica della fine delle “grandi narrazioni”, secondo una formula ormai tanto usata da essere abusata, quella fine della storia predicata da Fukuyama, e dai seguaci della scuola economica di Chicago. Il punto di approdo è così diventato, trasversalmente, unico come il pensiero: la storia non è comprensibile, né esiste come luogo dello svolgersi del processo sociale né, Dio ci scampi, della lotta delle classi. La storia è quella della vulgata giornalistica, date, nomi e personaggi, oppure quella dei dossier e dei Libri neri, solo un’ininterrotta ed irredimibile sequenza di scontri di potere, violenze e atrocità. Il punto cruciale di tale impostazione è dunque che la storia non può più essere letta per interpretarne le linee di sviluppo e trarne indicazione e lezione, è una scena priva di fondale, da cui scompaiono gli elementi di contraddizione interni al processo di sviluppo e al modo di produzione, e le forze reali oggettivamente e soggettivamente in competizione (forze produttive, forze sociali, gruppi economici, strutture statuali). Siamo alla cancellazione di uno dei tratti fondativi non solo per la cultura marxista, ma anche del pensiero democratico nato dai tronchi più fecondi dello stesso pensiero liberale europeo. La storia non può essere conosciuta perché l’assetto sociale non può essere cambiato: questo l’involucro ideologico di tutta l’operazione. Secondo questa linea, non solo la Rivoluzione d’ottobre ma anche la Rivoluzione francese, per il suo intrinseco significato di evento simbolo della possibilità del sovvertimento dell’ordine preesistente, deve essere riscritta e, soprattutto nella sua versione democratica e giacobina, negata e denigrata. Ai comunisti spetta ancora il compito di salvare quel progetto di civiltà e di umanità nuova che, dall’illuminismo, passando per Marx, é giunto a noi attraverso la Rivoluzione dell’Ottobre 1917.
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