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    Predefinito Una Sinistra Forte Una Grande Coalizione Democratica - 15 Tesi



    All'Assemblea Nazionale del Correntone DS presentati gli Appunti per il Congresso in 15 tesi. UNA SINISTRA FORTE UNA GRANDE COALIZIONE DEMOCRATICA Un documento aperto al contributo e alle opinioni di tutti gli iscritti ed iscritte ai DS

    In questa fase precongressuale dei Democratici di Sinistra il Correntone DS propone i seguenti appunti al dibattito fra tutti gli iscritti, le iscritte, le diverse aree politiche, i cittadini che intendono portare un contributo alla nostra discussione.

    E' attivo il sito internet www.vivalasinistra.it dove si potrà lasciare un proprio contributo, le critiche, i suggerimenti a questo documento aperto.

    LA QUERCIA E GLI ALTRI.

    1. La sinistra Ds fa bene ai Ds e alla sinistra.

    La sinistra Ds, che si costituì al congresso di Pesaro con la mozione “Per tornare a vincere” e candidò Giovanni Berlinguer alla segreteria del partito, ha svolto un ruolo importante: nella rappresentazione di interessi sociali, nel collegamento con i grandi movimenti di massa (per la democrazia, la pace, il lavoro), nella formazione di una cultura critica. Ha condotto battaglie, come quella sulla guerra in Iraq (contro la missione militare italiana) che hanno spinto il partito e l’intera coalizione di centrosinistra a definire una posizione più chiara e più ferma. Ha contribuito significativamente al successo nelle elezioni amministrative, regionali ed europee tenutesi dopo la drammatica sconfitta alle politiche del 2001. Ha contribuito al dialogo unitario con le altre forze della sinistra e del centrosinistra, in un rapporto costante e positivo con i movimenti e con la Cgil. Noi, firmatari della presente mozione, continuiamo a pensare che la barra dei Ds deve essere tenuta più a sinistra. I partiti socialisti più moderati e liberisti in Europa sono in declino. Le “terze vie” alla Blair, le sinistre come “nuovo centro” alla Schroeder, hanno fallito. Credibili alternative di governo oggi si costruiscono sulla base di più radicali idee di riforma e di cambiamento della società e del mondo. Dunque la funzione della sinistra Ds non è esaurita. Resta essenziale. Così come è essenziale che i Ds non regrediscano a un partito unanimistico e conformista. La democrazia è prima di tutto discussione pubblica, dentro e fuori i partiti. Il pluralismo nel partito è un’acquisizione irreversibile. C’è anche un dovere di reagire alla crisi, aperta in tutto il mondo, dei partiti politici: da strumenti di partecipazione attiva e di formazione della coscienza individuale e collettiva a macchine elettorali e centri di potere. Occorre incrementare in tutte le formazioni politiche la libertà, la democrazia, la collegialità, il rapporto con la società civile e con i movimenti. Noi torniamo a proporre l’elezione in congresso del segretario. Il meccanismo dell’elezione diretta ha dilagato in tutte le istituzioni pubbliche e politiche. Se non si comincia a frenare, sarà difficile resistere alla regola ferrea del presidenzialismo, fino alle sue estreme conseguenze nella forma di governo.

    2. Battere la destra, cacciare Berlusconi dal governo, costruire l’alternativa.

    Il centrodestra si è affermato promettendo libertà, ricchezza, modernizzazione. E magie: meno tasse e più di tutto per tutti. Ma questi anni di governo Berlusconi sono stati anni orribili per l’Italia. Compresso il lavoro e i suoi diritti, spenta la competitività delle imprese, esaltata la disuguaglianza, riacceso il motore del debito pubblico, favorita l’illegalità e l’irresponsabilità sociale, devastata la scuola e la ricerca scientifica, consumata la memoria storica di un Paese risorto nei tempi moderni grazie alla Resistenza e all’antifascismo. Disarticolati i poteri dello Stato e assoggettata l’informazione. Promossa la divisione dell’Europa e condotta l’Italia in guerra. Alla guida del Paese si è insediato un coacervo di forze complessivamente prive di coscienza nazionale e di senso morale. La fase attuale è di incertezza. Si è aperta una crisi vera del berlusconismo e del blocco di centrodestra. Ma la partita non è chiusa, i rischi sono grandi. In particolare due, se il governo in carica dovesse durare: 1) il rischio che la promessa fiscale per le classi alte, tanto più se mantenuta in presenza di una sostanziale stagnazione economica e di una grave crisi della finanza pubblica, porti inesorabilmente allo smantellamento dello Stato sociale; 2) il rischio che la riforma costituzionale in discussione, se davvero realizzata, colpisca l’unità nazionale e introduca nuovi tratti autoritari nella vita della Repubblica; 3) il rischio di un irreversibile declino di importanti filiere industriali e l’esplosione di una crisi sociale sempre più acuta. Democrazia e Stato sociale sono la posta in gioco. Il primo dovere politico di tutti è dunque quello di contribuire ad organizzare e unire le forze - politiche, sociali, culturali – per battere il centrodestra e realizzare una alternativa. Da questo dovere la sinistra ds – che ha fin dall’inizio contrastato decisamente valutazioni blande dell’avversario e tentazioni di dialogo tra gli schieramenti – non intende minimamente discostarsi. Ma qual è la strada che porta ad un centrosinistra vincente?

    3. Per vincere serve un programma comune

    Le condizioni politiche del centrosinistra sono già decisamente migliori rispetto al 2001. Rifondazione comunista punta non più sulla desistenza elettorale ma su un accordo di governo. La situazione italiana e mondiale è decisamente cambiata. Ci vuole dunque un programma nuovo, e c’è poco tempo, anche nel caso che le elezioni politiche si tengano alla loro scadenza naturale, nel 2006. Occorre stabilire subito l’agenda della Convenzione programmatica del centrosinistra. Il metodo deve essere partecipativo. Partiti, soggetti sociali, rappresentanti delle istituzioni, uomini e donne della società civile e della cultura devono essere chiamati in condizioni di parità a discutere dei contenuti programmatici per una alternativa di governo. Nel quadro chiaro del bipolarismo, che rappresenta una preziosa conquista di sistema da difendere. Federare. Il foedus, cioè l’alleanza, il patto che occorre stipulare è questo: far convergere su un programma comune, su un’idea di società ed un progetto per l’Italia, le principali forze e culture politiche democratiche del Paese, trovando anche i necessari compromessi. Il principio di maggioranza potrà valere, nell’adottare decisioni, solo se esse verranno sottratte alle oligarchie e affidate ad un processo largo e partecipativo. Così può nascere una coalizione democratica maggioritaria, che deve definire rapidamente il suo universo di nomi e di simboli. Una sorta di “confederazione democratica” di partiti, movimenti, esponenti della democrazia locale. Gli effetti di un “riformismo senza popolo” li abbiamo già misurati con la sconfitta del 2001. Le opposizioni attuali possono unirsi, e presentare una proposta di governo alternativo, solo costruendo il consenso sui contenuti. La candidatura di Romano Prodi alla presidenza del Consiglio non è in discussione. Eventuali elezioni primarie, cui possano partecipare tutti gli elettori che si registrano per la coalizione democratica, hanno comunque un senso solo se ci sono più candidati che presentano distinti programmi.

    4. No al partito e alla federazione “riformista”.

    L’Ulivo del ’96 valeva, nel maggioritario, il 45% e quello del 2001 il 43,7%. La lista “Uniti nell’Ulivo” ha preso, nel proporzionale delle Europee del 2004, il 31,1%. Un terzo esatto della coalizione di centrosinistra ne è fuori. L’Ulivo si è ristretto, e il simbolo non appare più utilizzabile per più larghe coalizioni. Si è rivelata una pura fantasia anche la previsione di una evoluzione dei gruppi politici europei coerente con l’esperimento italiano: gli eletti nell’Europarlamento si sono divisi, una parte nel gruppo socialista, una parte in quello liberaldemocratico, ed hanno subito dato voti contrapposti nella elezione dei due presidenti, del Parlamento e della Commissione europea, Borrel e Barroso. Sull’ipotesi del Partito unico riformista (Ds, Sdi, Margherita, Repubblicani europei), dopo il risultato delle europee è stata messa la sordina. Dire che non c’è e non c’è mai stata è un clamoroso falso. Il congresso dei Ds deve formalmente archiviarla. Ma a che serve una “Federazione riformista”? Se non c’è più il progetto del nuovo soggetto politico, del nuovo “Partito riformista”, una federazione nella quale si mantenga l’autonomia delle singole forze diventa più o meno un modo per regolare il traffico tra gruppi dirigenti. E’ una idea destinata a vita breve, ma che contiene un veleno: la distinzione forzosa tra “riformisti” e “radicali”. Così diventa inevitabile una deriva moderata e centrista. Ma alla fine - se la federazione si dà un simbolo con cui presentarsi alle elezioni, un gruppo dirigente, un programma –ecco che è nato il “partito riformista”. Non è vero che si vince sfidando la destra sul suo terreno e cercando voti al centro: bisogna piuttosto rappresentare, convincere e dare fiducia ad un vasto elettorato di sinistra e centrosinistra che, unito nelle sue varie anime, ha già più volte dimostrato di poter prevalere e vincere. Quanto al “riformismo”, esso non è un codice genetico. Non siamo più a contenderci l’eredità di Turati o di Lenin. Può valere solo un motto: dimmi che riforme vuoi e ti dirò chi sei. E i cittadini questo si aspettano: il progetto concreto delle nostre riforme. Sul quale la sinistra abbia una parola autonoma da spendere.

    5. Sì ad un forte partito socialista e di sinistra collocato nel cuore di una grande coalizione democratica.

    La paura di un inesorabile declino del maggior partito della sinistra italiana, collegato al socialismo europeo – il nostro partito – non c’è più. I Ds sono tornati a crescere, valgono ora più del 20%. Dopo la svolta dell’89, hanno subito numerose metamorfosi. Ma è il momento di stabilizzare storicamente questa forza, di spenderla per rinnovare il socialismo europeo, per rafforzare le grandi correnti critiche del mondo contemporaneo, per costruire una alternativa in Italia. In Italia i Ds possono sviluppare una politica unitaria a tutto campo: verso le formazioni più di centro, e verso quelle più di sinistra. Sarebbe altrettanto sbagliato contrapporre una “federazione di sinistra” alla “federazione riformista”, anche se non si può accettare come un dato eterno l’esistenza di due o più sinistre. Da quale punto muovere, oggi? Dal programma della coalizione. L’evoluzione della posizione di Rifondazione Comunista (“mai più desistenza, ora accordo di governo per l’alternativa”), ha introdotto una importantissima novità nella situazione italiana. Che va accolta stabilendo da subito un rapporto paritario con tutte le forze della coalizione democratica, aperto alla società, ai movimenti, alla cultura. La Quercia resta. Le identità non possono essere volatili e la continuità storica non può essere garantita semplicemente dal permanere dei gruppi dirigenti. Ma un partito di cui scompare il simbolo per una, due, tre tornate elettorali è un partito sciolto. Dunque alle prossime elezioni regionali e politiche, per le parti in cui vige la regola proporzionale, i Ds si presenteranno con il proprio simbolo.

    B. UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE.

    1. Oltre la civiltà del petrolio.

    Quelle viventi sono le generazioni che devono fronteggiare la sfida più alta, la sfida che si risolve, per il meglio o per il peggio, in questo secolo: quella di un vero e proprio salto di civiltà. Il mondo è in riserva: la domanda di combustibili fossili è crescente, l’offerta è calante e la tendenza è destinata a consolidarsi e ad aggravarsi. C’è poco tempo. Il riscaldamento del pianeta non è più una vaga ipotesi apocalittica, ma un fenomeno misurabile: potremmo in pochi decenni scoprire che aver dato fondo a tutto il carburante disponibile ha finito per rendere il nostro pianeta inadatto alla vita umana. L’idea che domina i governi di tanti Paesi industrializzati, d’America e d’Europa, di mantenere, anche con la guerra, il controllo di quel che resta del petrolio, tirando avanti quanto è possibile, è insensata. “L’impronta ecologica”, e cioè la pressione umana esercitata sugli ecosistemi globali, è già largamente superiore alle capacità della Terra. L’unica opzione realistica è operare dunque rapidamente straordinari cambiamenti, una autentica rivoluzione globale: - Occorre ridurre il fabbisogno energetico dei Paesi più sviluppati, e cioè cambiare profondamente il modello di produzione e di consumo delle società occidentali, modello che non può essere imitato, a loro volta, dai Paesi emergenti; - Occorre investire subito enormi risorse nella ricerca sulle energie rinnovabili e sulle relative tecnologie. Queste sono le priorità assolute dell’agenda politica mondiale. I governi attuali dei Paesi più forti paiono drammaticamente inadeguati se persino un accordo limitato come il protocollo di Kyoto sulle emissioni di gas-serra viene ripudiato o disatteso. La sinistra deve promuovere in tutto il mondo leadership coscienti del problema fondamentale: organizzare una economia e una società umana capaci prima di tutto di garantire le condizioni di produzione e riproduzione della vita sulla Terra. L’ecologia deve diventare la chiave di lettura dei processi economici e politici contemporanei e la bussola per una politica che assuma l’etica della responsabilità verso le generazioni presenti e future, verso l’umanità tutta.

    2. La crisi dell’egemonia americana.

    Caduta l’Urss, gli Usa sono restati l’unica superpotenza. Hanno però la forza, ma non il consenso. Sono diventati il motore di una globalizzazione liberista che ha spalancato nuove voragini di disuguaglianze tra gli esseri umani. Vivono al di sopra delle loro possibilità, facendosi finanziare un enorme debito nazionale dal resto del mondo. Sotto la direzione dei neoconservatori hanno accentuato l’unilateralismo, svuotato le istituzioni internazionali (a partire dall’Onu), compiuto la scelta tragica della guerra preventiva. Un nuovo capitalismo aggressivo ha scosso dalle fondamenta il doppio compromesso - con il liberalismo, che ha prodotto la democrazia, con il socialismo, che ha prodotto lo Stato sociale – da cui derivano le più alte acquisizioni del mondo moderno. Persino il patrimonio di solidarietà, giustamente venuto dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, si va consumando. E’ importante oggi sostenere un cambiamento a Washington, nella speranza però di una svolta vera verso un nuovo multilateralismo, e di una drastica correzione delle pretese di dominio sul mondo. Il mercato globale non si autoregola, se la politica non riconquista il suo primato, e non cambia radicalmente: l’esperienza insegna che il neoliberismo ha prodotto anarchia. Una svolta è possibile se verranno costruite e ricostruite istituzioni sopranazionali nelle quali possa pienamente riconoscersi la comunità internazionale, capaci di regolare le relazioni globali con la pace e i mercati secondo giustizia. Si tratta di fondare non un nuovo sistema della forza, ma del diritto.

    3. L’Europa politica, una buona carta nelle mani del mondo.

    Il processo di costruzione dell’Europa rappresenta una delle fondamentali opportunità per la comunità internazionale. Gli evidenti limiti della Costituzione che è stata approvata – troppo condizionata in molte sue parti dall’ideologia del privato e del mercato – non giustificano alcuna regressione nazionalistica ed euroscettica. Il patrimonio storico dell’Europa liberata dalle dittature, costituito da società democratiche, riconosciuti diritti sociali, civili, del lavoro, culture pluraliste, può giocare un ruolo fondamentale di cooperazione e di pace verso il resto del mondo. Per questo non deve fermarsi la costruzione di una Europa federale, unita e autonoma. L’Europa è in grado di governare i grandi flussi migratori dell’età moderna nello spirito dell’accoglienza e della cittadinanza aperta, mettendo fuori gioco leggi nazionali barbariche come l’italiana Bossi-Fini. I Centri Territoriali Permanenti vanno aboliti. La sinistra deve scommettere su questo progetto. Impegnandosi anche per modificare il Patto di stabilità, oggi troppo “stupido”, cioè incapace di distinguere la qualità della spesa pubblica degli Stati membri, e inadatto a sviluppare quei piani continentali di larga scala indicati più di dieci anni fa da Jacques Delors.

    4. Un nuovo inventario dei beni comuni dell’umanità.

    La spinta alla “privatizzazione del mondo” è stata ed è tuttora fortissima. Il suo effetto primo è quello della formazione di una minoranza di ricchi e superricchi e di una sterminata maggioranza di dannati della Terra. Miliardi di persone vivono sprofondate in una miseria abietta. E, anche quando si riduce la povertà assoluta, aumentano le disuguaglianze, di reddito, di conoscenza, di speranza di vita. Il mondo ha bisogno che venga pattuito un nuovo inventario dei beni comuni dell’umanità, non disponibili per interessi privatistici e speculativi, e messi al riparo dall’egoismo e dall’avidità: - Beni comuni naturali: acqua dolce, mari e oceani, foreste, spazio; - Accesso di tutti ai medicinali e alle cure sanitarie; - Diritto alla libertà personale, politica, religiosa; - Equa distribuzione della tecnologia, del sapere e dell’informazione accumulati, resi disponibili per ogni essere umano ed ogni comunità locale e nazionale. Dev’essere risolto il problema del controllo sulle transazioni finanziarie (Tobin tax) e quello dei paradisi fiscali, veri centri della pirateria moderna. Questo comporta una battaglia di lungo periodo, con il pieno coinvolgimento di nazioni e di popoli, per sradicare il pregiudizio etnico e razziale, per contrastare l’intolleranza, per orientare la politica mondiale, oggi prevalentemente volta al dominio e alla guerra, verso la cooperazione e la pace. Solo così potranno farsi spazio i valori universali della democrazia.

    5. Il terrorismo è una minaccia vera. La guerra deve diventare un tabù

    Il terrorismo su scala globale è una minaccia vera, che dev’essere fronteggiata e spenta. Ci sono sempre cause dell’agire umano, ma la deliberata scelta del terrore non può trovare giustificazione alcuna: essa appartiene all’ordine dei crimini contro l’umanità. La guerra non rappresenta una risposta, e non può essere riconosciuto a nessuno il diritto alla guerra preventiva. La lotta al terrorismo è persa se le contraddizioni del presente deflagreranno in un conflitto di civiltà, a sfondo etnico e religioso. L’attacco all’Iraq (degli Usa e della coalizione dei “willings”, nella quale il governo Berlusconi ha irresponsabilmente trascinato l’Italia) ha già prodotto danni permanenti: ha provocato caos, distruzione e morte in Iraq; ha diviso l’Europa, e allontanato Europa e Stati Uniti; ha alimentato l’odio del mondo arabo e islamico contro l’Occidente; ha gettato discredito sui valori di democrazia e libertà portati sulla punta dei cannoni e sulle ali dei cacciabombardieri; ha provocato un effetto domino opposto a quello annunciato: sciiti e sunniti ostili agli occupanti, sconfitta dei riformatori di Teheran e rafforzamento delle correnti fondamentaliste in Iran, ulteriore approfondimento e drammatizzazione del conflitto israelo-palestinese. Una catastrofe politica che rende tanto più necessario il ritiro del contingente militare italiano dall’Iraq. La guerra deve diventare un tabù nella vita delle nazioni. L’uso estremo della forza può essere affidato solo all’Onu, in un numero di casi chiaramente e rigorosamente statuito nella sua Carta fondamentale, che deve essere riscritta attraverso la piena partecipazione delle nazioni e dei popoli, superando i limiti imposti dalla guerra fredda (dal potere di veto alla composizione del Consiglio di Sicurezza). Deve essere rilanciato il processo del disarmo, aperto all’indomani della fine della guerra fredda e poi interrotto. Il mondo è in pieno boom delle spese militari, salite già oltre i 900 miliardi di dollari, la metà dei quali spesi nel bilancio degli Usa. E’ ferma la ratifica dei trattati volti al controllo degli armamenti. E’ ripresa la spinta verso la costruzione di nuove generazioni di armi atomiche, chimiche, batteriologice. Di questo passo, tutto il surplus dell’economia mondiale, anziché al sostegno e allo sviluppo, alla lotta alla povertà, alla ricerca sulle energie rinnovabili, sarà destinato alle armi, nei paesi ricchi come in quelli poveri. La riduzione degli armamenti deve ritrovare un posto nel programma fondamentale delle forze democratiche e socialiste.

    C. SI GOVERNA CON IDEE ALTERNATIVE ALLA DESTRA

    1. Reagire al declino italiano. Uguaglianza e libertà vanno insieme.

    La filosofia della destra (“meno tasse, meno regole, meno Stato”) ha prodotto una politica che ha drammaticamente aggravato le condizioni del Paese. L’economia ristagna, l’inflazione corre, gli investimenti (soprattutto in ricerca, sviluppo, innovazione) sono fermi, il debito pubblico è di nuovo in crescita (e l’attivo primario si è drasticamente ridotto), l’industria è in una crisi nera, il patrimonio ambientale e culturale è stato ferito, la rete infrastrutturale non è stata modernizzata, Mezzogiorno, scuola, università e formazione sono stati definanziati, gli Enti locali mortificati, si sono perse quote rilevanti di commercio con l’estero. Milioni di lavoratori dipendenti sono scivolati verso la soglia di povertà, e le classi medie si sono impoverite. Economia sommersa e lavoro nero hanno attinto livelli mai raggiunti prima, con più di sei milioni di donne e uomini privi di ogni tutela, contratto, previdenza, con una ricchezza sottratta alla collettività superiore al 20% del Pil. Si è arricchita enormemente una élite, al cui centro sta Silvio Berlusconi. Per tutta una fase questa politica è stata apertamente contrastata, unico tra gli attori sociali, dalla sola Cgil, che non ha messo la propria firma in calce al “Patto per l’Italia”. E’ positivo che oggi la dura replica dei fatti abbia creato le condizioni per un più ampio schieramento unitario, sindacale e sociale. Di fronte a noi sta il compito gigantesco di restituire speranza e fiducia al Paese. Mobilitando le energie popolari del lavoro, dell’impresa, della cultura. Ridando forma politica ai diritti vecchi e nuovi. Indicando le politiche pubbliche necessarie ad un progetto riformatore. Contro l’ideologia della destra l’idea della sinistra: uguaglianza e libertà vanno insieme.

    2. Il valore sociale del lavoro, il valore universale del sapere.

    In età di liberismo scatenato, il lavoro ha subito una doppia svalorizzazione, culturale ed economica: tra le attività umane, è quella che è stata fatta scendere di più nella scala delle misure della dignità e della qualità delle persone; tra le merci, è tra quelle che ha visto di più scendere il suo prezzo relativo. In vaste aree del mondo, dove i capitali circolano alla ricerca del massimo profitto, milioni di persone (compresi i bambini) lavorano in condizioni poco più che schiavistiche. Nei Paesi economicamente più sviluppati, dilagano le forme di lavoro precario e sottopagato, che rendono particolarmente incerta la vita delle nuove generazioni. Cui bisogna garantire il futuro anche con un sostenibile sistema previdenziale pubblico e una politica dell’invecchiamento attivo. Nuove tecnologie e cambiamenti strutturali continui dei sistemi di produzione richiedono certamente una inedita versatilità del lavoro, autonomo e dipendente. Ma il costante incremento della flessibilità, i bassi salari, la riduzione delle tutele dei diritti (all’inseguimento delle forme più basse di lavoro di quei Paesi del mondo dove i lavoratori non hanno attualmente né rappresentanza politica né sindacale), non sono figli della tecnica, bensì di logiche di sfruttamento. Bisogna ora incominciare a ridurre la flessibilità. Nel programma della coalizione democratica deve essere fortemente affermato l’obiettivo della piena e buona occupazione. La Legge 30, che trasforma il mercato italiano del lavoro in un autentico supermercato, dove non troverebbero più posto nemmeno i contratti collettivi, deve essere abrogata. E’ necessario un nuovo Patto sociale che punti a tre risultati: a) una più equa redistribuzione degli aumenti di produttività; b) una decisa modifica del rapporto tra volume dei profitti e monte salari; c) una strategia di incremento della produttività fondata sugli investimenti in ricerca, innovazione, formazione. Bisogna perciò risollevare una situazione particolarmente critica. Se l’Italia distrugge il capitale disponibile di conoscenza e cultura, e perde il treno della “società dell’informazione”, parte grande del futuro è compromessa. Tra le prime azione da condurre, con un nuovo governo, ci sarà quella di archiviare la Legge 53, che ha reintrodotto una scuola di classe di stampo ottocentesco.

    3. Politiche sociali, economiche e fiscali che redistribuiscano il reddito

    Il peso della crisi sta gravando sempre di più sui salari e sugli stipendi fissi, sui pensionati, sui giovani. Le classi medie si impoveriscono, mentre è stata sfrenatamente incoraggiata l’evasione fiscale e contributiva. E’ in atto una riduzione delle prestazioni sociali e dei sevizi pubblici, in particolare attraverso il sempre più pesante definanziamento del welfare locale. La crociata anti-tasse della destra destruttura la solidarietà e il principio stesso di cittadinanza. La tassazione deve essere adeguata all’esercizio di politiche pubbliche volte a rispettare, secondo criteri di efficienza i diritti universalistici. Occorre riprendere con vigore la lotta all’evasione fiscale, prevedendo anche un più significativo prelievo sulle rendite finanziarie e sui patrimoni. Occorre una politica fiscale e tariffaria di sostegno ai redditi più bassi, falcidiati dall’inflazione, dal fiscal drag, dalla minore offerta di servizi pubblici, che i singoli e le famiglie devono sempre più acquistare sul mercato. Senza una forte politica redistributiva e un forte Stato sociale (della cittadinanza, delle opportunità, della persona) non ci sarà ripresa del mercato interno, né prospettiva di una solida ripresa economica di qualità. La coalizione democratica deve essere orientata a creare possibilità nuove di sviluppo umano.

    4. La nuova questione morale.

    Tangentopoli non è mai finita: lo scandalo della corruzione pubblica, e delle degenerazioni affaristiche nel rapporto tra politica ed economia, continua. Ora a più alta ora a più bassa intensità, si mantiene in vita il virus che vent’anni fa Enrico Berlinguer lucidamente vide infettare la vita delle istituzioni pubbliche e dello Stato. La malattia si è aggravata. I moderni Principi e i loro dignitari si sentono più sciolti dalle leggi, e molti attori del mercato svincolati dai doveri della trasparenza e della concorrenza leale. Il capitalismo contemporaneo si è largamente dissociato dalla sua stessa etica, come dimostra la più recente impressionante catena di casi di truffa – dalla americana Enron all’italiana Parmalat – che hanno distrutto milioni di posti di lavoro e rovinato milioni di risparmiatori. Si è spalancato un regno dell’arbitrio dove vige la legge del più forte, del più furbo, del più spregiudicato. E’ essenziale ripristinare il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, e introdurre nuove regole nel sistema economico e finanziario, volte a rafforzare controlli pubblici, rigorose sanzioni del falso, tutela della libera concorrenza e degli interessi dei consumatori e dei risparmiatori. Restituire al mercato un’etica è diventato oggi uno dei più alti compiti della buona politica, e di uno Stato restituito alle sue funzioni regolatrici.

    5. Per uno Stato laico.

    Il pluralismo delle scelte etiche – individuali e comunitarie – è il cuore della libertà. Il principio della laicità dello Stato non appartiene al pluralismo delle scelte, ma ne è la condizione prima. Esso deve entrare pienamente nel programma della coalizione democratica. La laicità dello Stato è messa in discussione oggi da un ritorno di fiamma reazionario e integralistico, volto a limitare la libertà e la responsabilità delle persone, e in particolare delle donne. Questa spinta ideologica e proibizionistica minaccia di far rotolare indietro la nostra società e di allontanare l’Italia dall’Europa. Occorre reagire. Occorre intanto cambiare radicalmente il segno della legge sulla procreazione assistita, assumendo il punto di vista di coloro che desiderano un figlio, e consentendo la libera ricerca scientifica. Occorre difendere leggi civili come quelle sull’aborto e sul divorzio (che può semmai essere modificata per consentire il “divorzio breve”). Occorre introdurre una nuova legislazione a tutela dei diritti delle coppie di fatto, etero ed omosessuali (legge sui Pacs). Non si possono, mai, far gravare obblighi di Stato sugli stili di vita dei cittadini, condizionare l’autonomia delle persone. E mettersi costantemente in cerca di quegli “invisibili” che, scomparsi alla vista dei poteri pubblici, non godono né di tutele né di diritti

  2. #2

  3. #3
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    lo avevo letto qualche tempo fa ha qualche spunto interessante ma nel complesso è da rigettare

  4. #4
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    In origine postato da benfy
    lo avevo letto qualche tempo fa ha qualche spunto interessante ma nel complesso è da rigettare
    Azzz addirttura da rigettare...urca!
    Non ti chiedo di analizzarlo punto per punto...chissa' dove si finirebbe!

  5. #5
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    Iraq
    Giovanni Berlinguer:
    D'Alema può cambiare parere ma...
    suo intervento su ritiro truppe
    avvelenerà Congresso DS

    (ANSA) - ROMA, 3 OTT - Giovanni Berlinguer contro Massimo D'Alema sulla questione del ritiro delle truppe dall'Iraq.

    ''Ho letto che il presidente del partito al quale appartengo - dice Berlinguer - ha dichiarato che la discussione sul ritiro delle truppe italiane dall'Iraq equivale a 'beghe di cortile', aggiungendo che la richiesta del ritiro 'serve solo a disturbare la lista unitaria e movimentare il congresso dei Ds'; D'Alema accusa quindi la sinistra di usare strumentalmente la tragedia irachena, che appare ogni ora piu' grave''.

    ''D'Alema, che giorni fa ha dichiarato al Parlamento europeo, insieme a Bertinotti, che il ritiro e' necessario - osserva Berlinguer - come chiunque ha il diritto di cambiare il parere, come pure di proporre modi e scadenze di un atto che i Ds chiedono concordemente da tempo.

    Penso pero' che avviare la discussione congressuale con un'accusa ingiustificata, rivolta a quella minoranza che ha contribuito efficacemente a costruire le decisioni di tutto il partito, rischia di avvelenare il clima congressuale e non giova alla dialettica unitaria nei Ds, che tutti sentono come necessaria e urgente''.

  6. #6
    Obama for president
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    è quello che ho sempre pensato io

  7. #7
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    Ottimi spunti.

    "Sarebbe altrettanto sbagliato contrapporre una federazione di sinistra"......

    questa frase non mi trova assolutamente d'accordo. Una federazione a sinistra sarebbe LA soluzione per farla tornare a contare qualcosa nella politica. Un partito socialista al 3-4% non è efficace e incide poco.......una federazione al 15% oltre a incidere DECIDE!!!!

 

 

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