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    Predefinito Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    L'Egitto misterioso

    La religione Egiziana precede tutte le religioni "dei misteri" e si sviluppa attorno ad un mistero. Le spiegazioni che ci sono state fornite fino ad oggi lasciano ancora molto da capire, e le interpretazioni sul sistema di convinzioni, molto a desiderare. Una consistente perdita di materiale si aggiunge alla difficoltà di comprendere una religione così complessa. E’ anche vero che la missione dell’interpretazione di queste credenze è diventata secondaria in tempi recenti, per la prevalenza accordata alle questioni filologiche e storiche.

    Lo studio delle possibili origini della religione Egiziana, potrebbe svilupparsi come naturale conseguenza dello studio del sistema di credenze del neolitico. Ma è molto più di questo. E’, in parte, una ricerca sulla primitiva capacità dell’uomo di osservare, misurare, e predire i cambiamenti celesti che risultano dal fenomeno chiamato della precessione degli equinozi. Ed è anche una ricerca sulle scritture religiose dei tempi storici e la ricerca di indicazioni sui continui mutamenti nei cieli.

    Gli studi sulla preistoria suggeriscono che i primi uomini non si dedicassero all’osservazione del cielo in modo regolare, ancora meno a registrare e trasmettere questo genere di informazioni. E’ stato sostenuto che nei primi tempi della storia, gli antichi osservatori del cielo non avrebbero notato neppure i mutamenti apportati dalla precessione. Ma noi sappiamo che un’attività di osservazione semplice, seppure accurata e protratta nel tempo, sarebbe sufficiente per comprendere la presenza del movimento precessionale ed il modo in cui esso si sviluppa: e la considerazione che la religione dei primi egiziani si fondasse su questa specifica conoscenza, ci porta a non poter ignorare il peso che essa può avere avuto.

    Tutte le posizioni stellari cambiano a causa della precessione, anche se molti individuano come unica conseguenza il migrare del polo nord celeste intorno ad un cerchio nel cielo, e come sua conseguenza il fatto che la stella designata come polare muti nel corso dei millenni. Più immediatamente, l’esistenza del moto precessionale si può evincere dalla data in cui una stella sorge nuovamente, dopo la sua assenza stagionale, specie per quelle stelle che sembrano viaggiare sulla stessa rotta del sole, o vicino ad essa. La "prima levata" o "levata eliaca" si verifica subito prima dell’alba. Orione, una volta, ritornava nei cieli all’inizio della primavera, ma oggi gli osservatori debbono attendere i cieli della tarda estate perché la costellazione riappaia. Se partiamo dal presupposto che le antiche culture basassero le certezze dei loro miti sui risultati osservabili della precessione, le continue differenze nel cielo dovevano riflettere le composizioni religiose scritte durante i tre millenni e rotti di storia Faraonica in Egitto.

    Quali miti si possono essere originati da queste osservazioni? Potrebbero queste informazioni essere considerate tanto importanti da essere state preservate già dai tempi della tradizione orale?

    E’ risaputo che il movimento dei cieli era una parte necessaria dell’educazione dei sacerdoti dai primi tempi della storia. Le stelle annunciavano l’arrivo dell’alba: l’apparire del dio Sole. Ogni importante momento del corso del sole era accompagnato da un rituale prescritto, e certe date erano ricordate e festeggiate con riti speciali. Sappiamo che, in tempi storici, una posizione importante tra i sacerdoti egiziani era quella dell’ "osservatore delle ore" o imy-wnwt, e questo sacerdote può essere immaginato seguire in tutto il suo peregrinare celeste, la stella o la costellazione che annunciava l’imminente sorgere del sole. Di prima importanza era stabilire il periodo esatto del tempo prima dell’alba; trascorrere le ore della notte a preparare i cibi e le cerimonie… tutto doveva essere pronto per lo speciale momento.

    L’alba purificava il sacerdote, il sostituto del re, che avrebbe rimosso la statua del dio dal "buco dei buchi". Era una cerimonia di grande solennità, e doveva svolgersi nel preciso istante in cui il sole compariva all’orizzonte.

    La magnificente armonia del cielo si muove con grande regolarità, e niente sulla terra può rivaleggiare questa precisione. Ciò nonostante, casi di irregolarità, come le eclissi, ed il risultato del lento moto retrogrado della precessione, mentre portavano sicuramente terrore in alcuni, avrebbero significato, per i prescelti, situazioni da motivare e giustificare adducendo plausibili ragioni.

    Una volta appurato che il fenomeno precessionale era un fenomeno normale, gli antichi pensatori dovettero cercare in qualche modo di misurarlo e comprenderne il preciso funzionamento, e le prove suggeriscono che è quello che hanno fatto.

    I miti non sarebbero altro che vettori di informazione sui movimenti celesti e su eventi ciclici molto ben conosciuti, e tramandati per lungo tempo prima di essere posti per iscritto. Quando si è cominciato a leggere le più antiche scritture della storia, gli studiosi hanno avuto l’impressione che alcune siano state scritte da uomini dotti e colti, e altre da uomini spaventati e superstiziosi. Ma un testo che racchiudesse in sé le conoscenze, astronomiche e matematiche, fondamentali per la religione, ed essenziali per datare i giorni sacri e stabilire quindi i riti religiosi, non è mai stato trovato. Solo dopo lunghi studi e ricerche si è compreso che per riscoprire queste conoscenze, era necessario decifrare l’intricato vocabolario della mitologia.

    L’osservazione del cielo aveva luogo ed era registrata nei templi, ma non si può certo credere che non fosse già praticata e registrata prima che i templi fossero costruiti. Quando non si aveva ancora una scrittura, la trasmissione della conoscenza e dei dati dipendeva dall’effettività del linguaggio parlato e dalla memoria dei pochi. Leggiamo in Platone che quando il dio egiziano della parola concesse al Faraone il dono della scrittura, questo non fu ricevuto con grande entusiasmo. Il Faraone disse che l’arte di ricordare si sarebbe persa, adesso che ognuno poteva portare le sue conoscenze scritte sulla carta. Ma una volta affermatasi la scrittura, la conoscenza della parola fu affidata agli scribi, e la costruzione di ogni parola considerata lo specchio della mente divina. Le somiglianze ovvie, come quelle rivelate nei giochi di parole, non sembravano essere considerate accidentali, e la conoscenza dei sacerdoti era necessaria per scoprire il significato divino di tutte le sottili connessioni. Questo appare dalle loro scritture: si operavano delle distinzioni mediante la ricerca di relazioni di una parola con altra parola, e della designazione con altra designazione.

    Gli antichi egizi solevano ricordare il loro passato e ritenevano che più la scrittura fosse antica, più era sacra. La religione aumentava in complessità ed inglobava in sé idee e forme, che quando si incontrano nei testi sono scambiate per contraddittorie commistioni di discorsi senza senso sulle origini degli dei e sul destino dei morti, accanto all’incantata convinzione di possedere un potere in se stessi.

    E’ stato detto che gli egiziani non sarebbero stati egiziani se non avessero preservato a lungo il nuovo con il vecchio. E’ anche stato detto che: "la religione egiziana attrae come i fuochi fatui per causa del suo mistero e a dispetto della sua assurdità".

    Questo perché solo in tempi recenti si è stati capaci di studiare le scritture di questi illuminati personaggi del passato. La Stele di Rosetta fu scoperta nel Luglio del 1799 ma non fu prima del 1822, che grazie al diligente ed ispirato lavoro di Thomas Young e Jean Francois Champollion, divenne possibile decifrare gli enigmatici geroglifici.

    Nel diciannovesimo secolo, si avevano ovunque testi religiosi ancora non tradotti, la maggior parte dei quali, incisi sulle fiancate dei monumenti sparsi per il paese; altre erano scritte su rotoli di papiro, a lungo sotterrati e solo successivamente riportati alla luce dal lavoro degli archeologi. Nel 1880 i lavoratori della piana di Saqqara, 32 miglia a sud ovest del Cairo, penetrarono nella piramide di Pepi I, un faraone della sesta dinastia, e nel 1881 si scoprì la piramide di Unas, della quinta dinastia. Entrambe aggiunsero grande quantità di testi.

    Questi edifici piramidali differiscono in modo sostanziale dalle più note costruzioni di Giza, che le hanno precedute. Le tombe costruite dagli ingegneri della quarta dinastia non hanno decorazioni di alcun tipo sui muri interni. Quelle di Unas e di Pepi erano invece ricche di iscrizioni meravigliose. I loro corridoi e camere sono ricoperte di scritti che riga dopo riga si sovrappongono perpendicolarmente, con tracce di dipinti ancora perfettamente conservati e con immagini finemente decorate. Poco era conosciuto a quel tempo della grammatica o del vocabolario egizio, ma una traduzione preliminare di G. Maspero non si fece attendere.

    Immediatamente dopo queste due, altre quattro nuove piramidi furono scoperte a Saqqara, e si trovarono testi similari iscritti sulle loro pareti. Queste iscrizioni furono chiamate collettivamente i "Testi delle Piramidi", la più antica e completa raccolta al mondo di testi religiosi. Fin dalla loro scoperta, le traduzioni e grammatiche sono proliferate e la conoscenza del linguaggio Egiziano è diventata la branca di una vera e propria disciplina scientifica.

    Ma contestualmente alla scoperta dei Testi, si è verificata una cospicua perdita di interesse nell’interpretazione della religione essa stessa. Nel 1948, Henri Frankfort, noto professore e ricercatore di Archeologia Orientale all’Università di Chicago, scrisse:

    La religione egiziana è cresciuta in interesse per il mondo occidentale molto prima che i geroglifici fossero decifrati. La favolosa antichità della civiltà egiziana e le sue stupende rovine hanno sempre suggerito che ci fosse un retroterra di profonda conoscenza… ma la decifrazione dei documenti ha deluso secoli di aspettative… i testi introducono ad un’apparente giungla di teorie religiose, così impenetrabile alla nostra comprensione che gli Egittologi hanno evitato in modo crescente la missione della loro interpretazione.

    Frankfort sottolineava come l’indirizzo impartito ai nuovi studi in materia di egittologia, preferiva credere che la religione fosse sempre una conseguenza del potere politico, e così ne tralasciava lo studio.

    Nel 1952 fu pubblicata una versione inglese dei Testi delle Piramidi di Samuel A. Mercer. Nel 1954, il primo di sei volumi di una traduzione di vari testi religiosi tratti da tombe e papiri, fu offerta da Alexandre Piankoff. Nel 1969 i testi di tutte le cinque piramidi furono tradotti in inglese da R.O. Faulkner. La pubblicazione avvenne nel 1972.

    Nel 1954 Piankoff scrisse:
    L’egittologia è una scienza giovane. Dai tempi dalla decifrazione delle iscrizioni geroglifiche da parte di Champollion, è stata già portata avanti un’evoluzione tempestosa. Per esempio, l’approccio allo studio della religione egiziana è passato senza transizione da un estremo ad un altro. Per i primi egittologi la religione era altamente misteriosa e mistica… quindi è venuta un’improvvisa reazione: gli studiosi hanno perso tutto il loro interesse nella religione e hanno cominciato a vedere i testi religiosi solamente con fonti di materiale per le loro ricerche storico-filologiche.

    Alexandre Piankoff morì nel 1966 con gli ultimi due volumi della sua traduzione avanti abbastanza per essere pubblicati postumi nel 1968 e nel 1974. Anche il lavoro sul Libro dei Morti di Thomas G. Allen fu pubblicato postumo.

    Fino a quando la ricerca filologica sarà al centro della ricerca generale, in che modo si potranno incoraggiare gli studiosi ad attribuire valore a questioni puramente speculative come le origini delle credenze religiose? Solo recentemente alcune riviste specializzate hanno iniziato a volgersi in questa direzione.

    Nel libro "La morte degli dei nell’antico Egitto", Jane B. Sellers porta avanti un’ investigazione attenta sui testi degli antichi egizi e le loro connessioni con i fenomeni astronomici, e suggerisce che la precisa conservazione, in modo sia scritto che orale, di questi dati, ha come necessario punto di partenza Osiride, il dio dei morti egiziano. Gli osservatori del cielo del neolitico registravano e studiavano il complesso movimento dei cieli. Una nuova consapevolezza relativamente al processo logico di adattamento ai cambiamenti celesti (cambiamenti sui quali era basata la storia originale della morte e della nuova nascita di Osiride) ci darebbe una differente visione delle attività intellettuali delle culture antiche. Del resto la religione egiziana è sempre stata vista come la forza dell’Egitto, ma è una religione le cui origini sono completamente sconosciute. Se queste potessero essere identificate, non solo gli scritti, ma l’intera antica cultura, i disegni e le pitture, i riti funerari ed i festeggiamenti, l’architettura ed il governo, potrebbero essere finalmente compresi.


    Scena funeraria

    La Sellers sostiene, sulla base delle prove esistenti (in primo luogo l’orologio stellare degli egiziani) che i primi osservatori del cielo, fossero innanzitutto osservatori dell’orizzonte. Altri autori, tra cui Hancock e Bouval, credono invece che i primi egiziani osservassero i transiti. La configurazione celeste che supporta la data del 10.500 a.C. per il cosiddetto "Primo Tempo" degli egiziani, è interessante. Ma questa configurazione non ha niente a che vedere con la data per l’origine della storia egiziana, quando cioè Osiride fu immerso nella sua stessa acqua.

    La Sellers ritiene che quando Hancock e Bouval riportano che:

    "Alla luce delle nostre conoscenze è difficile immaginare che il riferimento ad Osiride che arriva "sulla Terra" possa significare qualcosa di diverso da una costruzione fisica del "corpo di Osiride sulla terra" sulla riva occidentale del Nilo – nella forma della Grande Piramide"

    stiano ignorando deliberatamente sia un espressione Egiziana per "morire", sia la spiegazione precessionale della mancata comparsa di Orione sull’orizzonte est.

    C’è un altro punto che Jane B. Sellers sottolinea chiaramente. Il numero 72 viene considerato da molti autori come centrale nella matematica e negli studi sulle proporzioni egizi. Ma la Sellers invita a non dimenticare che tale numero viene introdotto da Plutarco quando tratta la storia di Osiride. Al tempo in cui visse Plutarco (dal 45 al 120 d.C.) i sacerdoti egiziani, da cui Plutarco aveva ricevuto le testimonianze, sapevano che questa storia aveva riguardo al movimento retrogrado della precessione, un movimento che però, per il 120 d.C. era ampiamente conosciuto, grazie ad Ipparco. Questo è effettivamente differente che dire che il numero 72 era contenuto nella tradizione Egiziana.

    Primariamente, Jane B.Sellers vuole convincere i lettori sull’origine dei due miti principali della religione egiziana e vuole sperare che i lettori saranno ben preparati a considerare perché le principali caratteristiche di così tanti dei miti del mondo sembrino avere tanto in comune. Dechend e Santillana hanno dato a ciò grande risalto, e sebbene non abbiano mai investigato a fondo i miti dell’antico Egitto, nelle prime pagine del loro libro può essere letta questa affermazione provocatoria:

    "L’intensità, la ricchezza, e la coincidenza dei dettagli del pensiero comune, hanno portato alla convinzione che il racconto sulle origini del mondo, sulla sognata prima età del mondo, sia nato nel Vicino Oriente"

    Lo studio del pensiero degli antichi è al tempo stesso affascinante e frustrante. Le teorie relative ai popoli prima della letteratura, devono essere comprese con un grado minore di certezze, e la più profonda convinzione di dovere aspirare solo ad un buon grado di probabilità.

    Le origini dei miti egizi sono sconosciute e queste origini giacciono possibilmente sepolte o nascoste nell’età comunemente definita preistorica. In questa età la memoria era un elemento importante che avrebbe potuto perpetuare le tradizioni, mediante il racconto e la ripetizione orale; ed il movimento degli oggetti celesti era molto più misterioso di quanto non sia oggi.

    Nel 1969 Giorgio De Santillana ha descritto nel "Mulino di Amleto", una summa dei miti di uno spazio di tempo, il primo riconoscimento di un reame ancora incontaminato. Professore di storia e filosofia e scienze al MIT realizzò, come fece Frazer, l’inevitabile fatto che non riusciremmo mai a penetrare totalmente la mente e il ragionamento degli antichi. Non potremmo mai condividere gli stessi quesiti e interrogativi, o l’orrore agghiacciante che gli eventi inesplicabili scatenavano negli uomini di quel tempo, affrettando il loro battito cardiaco e sconvolgendo la loro mente.

    De Santillana ed il suo co-autore Herta Von Dechend, Professore di Storia e scienze all’università di Francoforte, presentarono una complessa analisi dei grandi miti del mondo. Giunsero alla conclusione che tutti avessero un’origine comune e che il fenomeno noto come precessione degli equinozi fosse la base per molte delle storie antiche, strettamente intrecciata alla morte degli dei e alla loro susseguente risurrezione. Ora Santillana è morto, ma la sua teoria vive ancora. Philips Morrison, professore di fisica al Mit, rileggendo il "Mulino di Amleto" (nel 1969) scrisse per Scientific American:

    "Questa è la chiave che ci consentirà di aprire molti cancelli"

    Ma nessuno ha usato ancora questa chiave o l’ha applicata specificamente ai miti dell’antico Egitto.

    Nel suo giudizio critico al "Mulino di Amleto", Morrison scrive ancora:
    "L’esistenza di un’età dell’oro è la componente dei desideri dell’uomo, parte del suo inconscio; ma ci fu un periodo veramente luminoso, attorno al 6000a.C., e non sulla terra, ma in cielo. In quel tempo l’area del cielo dove il piano dell’eclittica attraversa l’equatore celeste era occupata contemporaneamente dalla Via Lattea e dalle stelle lucenti della Cintura di Orione. A dispetto di ciò il libro di Santillana da solo un rapido sguardo alla religione degli egiziani, una religione che indicava Orione come un aspetto di Osiride, uno degli dei più importanti nel pantheon egizio. Suggerisco che la mancata apparizione di Orione, dovuta al moto processionale, diede luogo, attraverso i secoli ad una tradizione orale circa la morte del dio. Credo che la morte di Osiride, essendo la morte di un dio celeste, fosse una morte più preoccupante e inspiegabile di quella di una figura storica. Il fatto che questi eventi fossero celestiali, ha reso la sua risurrezione non solo possibile, ma addirittura certa.

    Nell’enigmatica e confusa religione di questi abitanti delle rive del Nilo, ci sono due eventi di primaria importanza; la morte e la rinascita di Osiride e il sacrificio fatto per Osiride da suo figlio, dell’importantissimo occhio di Horus. Nonostante il sacrificio dell’occhio di suo figlio, (e la sua promessa di vita eterna per tutti coloro che fossero stati bene equipaggiati per averla) possa sembrare particolarmente egiziana, la storia ha vaghe eco in tutti i miti del mondo.

    Se la tradizione collegata a Osiride e Horus, si è originata nei millenni prima della scrittura, e se l’ origine è stata determinata dal maestoso movimento nei cieli, allora la ricerca deve trovare un supporto testuale di queste tesi.

    Tale supporto dovrebbe riflettere il fatto che nel lasso di tempo tra i primi insediamenti conosciuti nella Valle del Nilo, fino alla dismissione della religione egiziana, dunque almeno sei millenni, il ritardato arrivo, causato dalla precessione, di importanti stelle, avrebbe dovuto riguardare anche altri gruppi chiave di stelle, dopo il trauma iniziale della scomparsa di Orione. Se il mito riflette le conseguenze della precessione, il collegamento tra le antiche convinzioni circa la risurrezione e i cambiamenti occorsi nel cielo, si vanno rafforzando. Il lungo periodo dell’antica storia egiziana prevedere un inusuale terreno di prova per una simile teoria."

    I Testi delle Piramidi dell’Antico Regno e altre scritture funerarie, come il Libro dei Morti, il Libro delle Caverne e la Litania del Re, dovrebbero essere esaminati prestando attenzione al fatto che gli antichi guardavano al cielo per cercare i loro dei, e che questo fosse un evento infinitamente più importante per la formazione della loro religione, che qualunque cosa potesse accadere sulla terra. La religione egiziana dei tempi storici può essere considerata incentrata sul mito del Sole; ma nell’era predinastica, il più importante oggetto di venerazione a Eliopoli, più tardi luogo centrale per il culto del dio-sole Ra, era quello delle stelle.

    L’egittologo Jhon A.Wilson spiegò che nelle prime scritture mortuarie, i Testi delle Piramidi, la destinazione dei morti era l’area delle stelle circumpolari che giravano attorno alla stella del Nord. Questo è vero, ma quando si leggono questi testi, appare evidente che un importante e forse intermediaria speranza fosse per i defunti rinascere ancora come Sahu-Orione. Ciò non toglie che l’ultima speranza per i morti fosse quella di risuscitare sotto forma di stella, che non sarebbe mai più perita, come "Akhus". Il morto diventa "Akhu" attraverso il rituale funerario quando diventa uno "Spiriti prefigurato ben equipaggiato. Si credeva che l’ Akhus possedesse la luce, e la luce era vista come una pre-condizione per la vita.

    Questi "esseri luminosi" avrebbero poi occupato l’area circumpolare – chiamata DUAT- un’area mai toccata dalla morte. Le stelle circumpolari non scompaiono mai per un’assenza stagionale, né sono toccate dagli effetti della precessione, per la loro particolare posizione nel cielo.

    Nei Testi delle Piramidi la storia di Osiride sembra essere riportata per quello che oggi sarebbe una verità "data". Questa storia era accettata per fede, e le sue origini erano vaghe e misteriose. Tanto che, recentemente, alcuni egittologi hanno insistito nel dire che il culto di Osiride non esistesse fino alla Quinta Dinastia (2501-2342), poiché le prime menzioni di questo Dio si troverebbero solo nei Testi delle Piramidi, nella tomba dell’ultimo legislatore della Quinta dinastia e nella tomba di un re della Sesta. Molti altri elementi conducono invece alla differente conclusione che la storia di Osiride si perda nei secoli di una distante antichità, molto prima di questa data. La scoperta a Helwan di un simbolo molto antico di Djed, e del volto di Iside (la controparte femminile di Osiride) mostrano che durante il periodo arcaico (dalla I alla II dinastia) il culto di Osiride fosse già esistente.

    Gli egiziani avevano necessità di una visione dell’Universo come immutabile. I loro tentativi di registrare e spiegare le deviazioni delle cose sono state tristemente male interpretate dai ricercatori. Questa è la storia, al meglio di come può essere presentata:

    Osiride è il legislatore d’Egitto, Iside è sua moglie / sorella e Seth il fratello cattivo. Seth uccide Osiride e butta il suo corpo chiuso in un sarcofago dentro il Nilo. Iside riesce a recuperare il sarcofago e nasconderlo; ma Seth lo trova e taglia il suo corpo in 14 pezzi e li disperde per il territorio dl’Egitto. Iside piangente vaga per tutto il territorio alla ricerca dei pezzi del corpo di suo marito, e quindi, con l’aiuto di Nefiti, sua sorella, di Anubi, il dio dalla testa di sciacallo e di Thoth, dio della conoscenza e della parola, mette insieme i pezzi del corpo smembrato, avvolgendolo in bendaggi di limo e pronunciando sacre parole e riti magici. Quindi Iside avvolge il corpo di Osiride con le sue ali e riesce a farlo rivivere il tempo sufficiente a concepire Horus.

    Nonostante diventi predominante nel mito ad un livello di molto successivo, sembra che l’episodio dello smembramento non figuri nella tradizione più primitiva. I 14 pezzi in cui il corpo è stato diviso, possono rappresentare i 14 giorni di crescita della luna, e anche i 14 giorni della sua riduzione progressiva. I testi matematici successivi mostrano questa frazione, che è basata essenzialmente sulla aritmetica Egiziana, e si pensa che ogni parte rappresentasse una frazione del tutto.

    Osiride è ora diventato legislatore dei morti, non potendo mai più occupare il suo trono precedente. Comunque, nelle scritture e nei disegni sui muri dei templi Tolemaici, il ritrovamento del corpo è salutato al pianto di "Evviva, è risorto". Infatti, i testi più antichi che abbiamo, i Testi delle Piramidi, parlano del legislatore morto dicendo "sorgente come Osiride". Lui è risorto ma la sua natura è mutata, ed il suo posto sulla terra è ora occupato da suo figlio.

    Iside si isola per tutta la durata della gravidanza ed il bambino Horus viene partorito in un luogo segreto. Questi cresce fino all’età adulta ed in un evento descritto come "il giorno della battaglia", Horus combatte contro l’assassino di suo padre.

    Questa battaglia è dettagliatamente raccontata dagli scribi come un evento avvolto nel mistero. Nel Libro dei Morti, specialmente nella linea 17, importante perché ci da un racconto dettagliato della battaglia, le glosse aggiunte dagli scribi successivi chiedono "cosa è successo quindi?" e "Chi è lui?". Le glosse e le interpretazioni delle innumerevoli generazioni di sacerdoti, sono state accettate come un modo per ricercare la verità.

    Horus perde il suo occhio nella battaglia e Seth perde i testicoli, Horus e Seth ingaggiano una susseguente contesa per il periodo di otto anni durante i quali gli altri dei sono stati profondamente incerti nel tentativo di decidere chi dei due avesse ragione di occupare il posto vacante di Osiride.

    E’ sconcertante che alcuni egittologi accettino la data del conflitto tra Horus e Seth più prontamente di quanto non facciano per le origini della storia di Osiride. Un primitivo prototipo di un falco su una serekh, tipica rappresentazione del dio Horus, è datata a quella che è chiamata la cultura Naqada I, 4000a.C. La serekh è una struttura con una facciata a nicchia, un dettaglio architettonico creduto essere stato una prima innovazione della cultura dell’est, impiegata nei palazzi dei primi re o nelle loro tombe a mastaba.

    Una raffigurazione di Seth è stata trovata in un cimitero predinastico datato molto indietro nel tempo, e artefatti come vasellame, piatti, e altri utensili, tutti attestano la possibilità che esistesse un culto molto primitivo di entrambe le divinità. Certamente, al tempo del secondo insediamento Neqada (3500 a.C. circa) il significato religioso di un falcone non può essere revocato in dubbio.

    La battaglia tra Horus e Seth è detto sia stata determinata dalla disputa su chi dovesse succedere sul trono di Osiride, e suggerisce l’esistenza di una storia su Osiride antica almeno quanto il culto di Horus. L'antico testo riporta che Horus prese l’occhio che aveva sacrificato per Osiride e glielo portò nell’aldilà. Dando a suo padre il suo occhio, gli diede eterna vita e Osiride poté dirsi "ben equipaggiato".

    Nel papiro Chester Beatty, dal regno di Ramesses V, datato 1160-1154 a.C. (circa mille anni dopo i Testi delle Piramidi), troviamo un racconto del conflitto tra Horus e Seth. Qui si dice che la contesa tra i due continuò per otto anni.

    Anche in questo caso, dunque, si potrebbe supporre che la battaglia abbia avuto qualcosa a che fare con accadimenti osservati nel cielo, con il lento ma verificabile moto della precessione; quindi, se la storia degli dei è collegata agli eventi celesti, qualcosa deve essersi verificato nei cieli sopra l’Egitto, e protratto per un periodo di circa 8 anni. Ma può essere prospettata un’altra soluzione. I miti egizi indicano anche che ad un ceto punto l’occhio di Horus fu perso, certi testi riferiscono di una ricerca simile a quella per il corpo di Osiride; ma l’occhio venne ritrovato, ed è allora che Horus lo portò a suo padre, Osiride. Nella risurrezione di Osiride gli egiziani volevano leggere la speranza di una vita eterna per se stessi, dopo la morte. Il defunto assume il titolo di Osiride, se la famiglia o gli amici faranno per lui ciò che è stato fatto per Osiride, ad esempio mediante la dazione di offerte, (in luogo del sacrificio dell’occhio) affinché il defunto viva per sempre.

    Dal sito Centro Commercio on line - Aziende Sport Eventi in Piemonte
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 28-05-15 alle 14:47
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  2. #2
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    Predefinito Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Consiglio la lettura di questo libro del De Lubicz...

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-02-10 alle 00:45

  3. #3
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    Predefinito Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    I geroglifici e le piramidi altro non sono che simboli. Simboli che rappresentano il "linguaggio degli Dei" e che consentono di accedere al mondo superiore.

    Non a caso la Piramide di Cheope era un centro di iniziazione e non una tomba, come erroneamente riportato nei libri di storia.

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-02-10 alle 00:45

  4. #4
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    Predefinito

    LA MUMMIFICAZIONE


    Imbalsamazione di Osiride


    Poichè il mondo è stato creato dalla forza vitale dell'universo, lo spirito eterno deve tornare, quando il suo percorso terreno giunge al termine, all'ordine e all'armonia. Sia il racconto sacro che fa morire e poi rinascere Osiride, sia la quotidiana vicenda del dio-sole che al tramonto è sopraffatto dalle tenebre ma il giorno dopo risorge trionfante, rappresentavano per gli egizi la garanzia della fede nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte. Tuttavia, perché ciò avvenisse, l'anima aveva bisogno che il corpo non si corrompesse o si disperdesse. Nei tempi più antichi, una vera vita oltre la morte era considerata privilegio del faraone e i sudditi speravano che l'immortalità del sovrano si riflettesse in qualche modo su di loro. Più tardi, alla fine dell'Antico Regno, la sopravvivenza diventò un diritto di tutti coloro che potevano disporre di una tomba e permettersi i riti funebri.

    La prima conservazione di resti umani in Egitto deve essere avvenuta casualmente. Nei cimiteri dell'epoca predinastica, costituiti da fosse poco profonde dove i defunti venivano deposti in posizione fetale, il clima molto caldo e secco faceva essiccare naturalmente i corpi, ma non si sa se la sopravvivenza nell'aldilà fosse intrinsecamente collegata alla loro conservazione. Quando i corpi cominciarono ad essere deposti in tombe con coperture artificiali, inizialmente venivano avvolti in bende di lino e ricoperti di gesso compresso e levigato. Quando il gesso era asciutto, il guscio esterno veniva dipinto (spesso di verde, colore della rinascita) e al viso erano dati i lineamenti del defunto. Durante il Medio Regno, la tecnica di mummificazione si affinò fino a raggiungere i suoi risultati migliori e definitivi nel Nuovo Regno. Ci furono, in epoca tarda, anche inutili tentativi di ridare al corpo le sue naturali caratteristiche con imbottiture di lino e altri materiali, ma la decomposizione di questi supporti provocò proprio quello che gli imbalsamatori cercavano di evitare. Non ci sono illustrazioni né iscrizioni che ci informino sul procedimento di mummificazione. La descrizione di Erodoto, che parla di tre diversi tipi di mummificazione, sembra comunque piuttosto attendibile.

    * Il primo sistema, il più semplice ed economico, serviva per imbalsamare i poveri: si ripuliva il ventre con una purga, poi il cadavere veniva messo sotto natron (una combinazione di carbonato di sodio e sale) per settanta giorni e infine consegnato alla famiglia.

    * Il secondo metodo era più costoso. Consisteva nell'iniettare olio di cedro nel ventre del cadavere attraverso l'ano, senza procedere all'asportazione degli intestini. In seguito si metteva il corpo nel natron per il periodo prefissato e infine si faceva uscire l'olio di cedro, che portava via con sé gli intestini e i visceri macerati. Le carni venivano consumate dal natron, così del cadavere rimanevano solo la pelle e le ossa. Alla fine il corpo veniva consegnato ai parenti sensa ulteriori lavorazioni.

    * Il terzo metodo, il più costoso, riservato in genere alle ricche famiglie dei faraoni, prevedeva un'incisione lunga circa 10 cm sul lato sinistro dell'addome, da cui venivano estratti tutti gli organi interni, tranne il cuore: in seguito si puliva l'addome sciacquandolo con vino di palma e spezie tostate e lo si riempiva con mirra pura macinata, cassia e altre spezie.



    L'estrazione delle viscere


    Così descrive il procedimento Erodoto: "Per prima cosa, servendosi di un ferro ricurvo estraggono il cervello attraverso le narici : in parte appunto estraendolo con questo mezzo; in parte versandovi dentro un liquido drogato. Poi, con un'aguzza pietra d'Etiopia praticano nell'addome un'incisione, dalla quale sogliono trar fuori l'intestino completo che puruficato, e una volta lavato con vino di datteri, viene di nuovo trattato con aromi tritati. Infine dopo aver riempito la cavità addominale di mirra pura tritata, di cassia e di altri aromi eccetto l'incenso, la ricuciono. Ciò fatto disseccano il corpo con natron tenendovelo immerso per settanta giorni : non devono lasciarvelo più oltre. Trascorsi i settanta giorni, lavano il cadavere e l'avvolgono tutto con bende tagliate in un lenzuolo di bisso, spalmadone la parte interna di gomma che gli egiziani usano per lo più invece della colla. Da questo momento lo ricevono i parenti che fanno confezionare una bara di legno a forma d'uomo".

    Le viscere estratte dal corpo del defunto venivano poi collocate in un cofanetto diviso internamente in quattro parti con coperchi a forma di teste umane. Più tardi si utilizzarono i vasi canopi. Nel periodo dei Ramessidi, rappresentavano i quattro figli di Horus: Daumutef, il vaso con la testa di sciacallo, conteneva lo stomaco; Quebehsemut, il falco, conservava gli intestini; nel vaso con la testa umana, quella di Ismet, veniva riposto il fegato e quello di Hapi, con la testa di babbuino, conteneva i polmoni. I vasi canopi venivano poi collocati nelle tombe.



    Vasi canopi


    I reni, spesso considerati sede delle emozioni, e il cuore, che serviva al defunto per essere giudicato, venivano ricollocati nel corpo svuotato. Il cervello asportato veniva sostituito da una calotta di metallo. Il corpo veniva poi sistemato sotto mucchi di natron asciutto, un sale naturale che si trovava in abbondanza nel letto di un lago prosciugato nel Delta occidentale (l'odierno Wadi el-Natrun); il natron è composto essenzialmente di cloruro di sodio e contiene un'alta percentuale (17%) di bicarbonato di sodio, indispensabile per la riuscita del procedimento. Questo sale assorbiva i liquidi del corpo che, dopo circa 70 giorni, diventava un solido guscio non più soggetto alla decomposizione.

    Quando la mummia era pronta, veniva purificata e i sacerdoti procedevano alla bendatura. Si usavano bende di lino, spesso quelle stesse che si aveva a disposizione in casa. Solo per i faraoni, i loro famigliari e gli alti dignitari si usavano bende tessute appositamente. Prima venivano bendati gli arti e le articolazioni e poi tutto il corpo; le braccia erano fasciate intorno al corpo e le gambe unite insieme. Mentre si collocavano i vari strati di lino, si inserivano anche gli amuleti in punti fissi e il sacerdote recitava le formule per assicurare l'efficacia del procedimento. Spesso, finita la bendatura, si poneva una maschera sul volto del defunto: d'oro e d'argento per i re, di cartapesta dipinta (ossia di papiro e lino mescolati a gesso) per i meno abbienti. La mummia era quindi deposta in una cassa antropoide dipinta, a volte contenuta all'interno di altre. Per i ceti sociali più elevati e per i re si usava anche un sarcofago rettangolare di pietra. Durante la bendatura, la collocazione nella cassa e la sepoltura si versavano grandi quantità di preziosi unguenti e profumi, che formavano poi quella sostanza caratteristica dura e simile alla pece.

    La mummia, dentro la cassa e con un baldacchino sovrastante che rappresentava il cielo e le stelle, veniva portata su una slitta verso la tomba. La seguiva una processione funebre recante cibi e bevande, mobili e oggetti personali per arredare le camere funerarie, mentre le donne emettevano lamenti funebri. All'entrata della tomba avveniva la cerimonia detta apertura della bocca: la cassa veniva sollevata verticalmente, in modo che un sacerdote potesse toccare delicatamente, con un'ascia da falegname in miniatura, i punti corrispondenti agli occhi, al naso, alle labbra, alle orecchie, alle mani e ai piedi, come per sollevare il legno e permettere ai sensi di funzionare. La frase rituale era :" La mia bocca e aperta! La mia bocca è spaccata da Shu (dio dell'aria) con quella lancia di metallo che usava per aprire la bocca degli dei. Io sono il Potente. Siederò accanto a colei che sta nel grande respiro del cielo" (Libro dei Morti, Formula 23). La cassa veniva poi calata nella tomba e intorno si collocavano gli oggetti funebri. A questo punto l'entrata veniva sigillata con pietre e fango. Nelle colline occidentali di Luxor si imprimeva nello stucco un'impronta ovale, con Anubi sdraiato su nove prigionieri legati, e spesso si inserivano tra le pietre coni di terracotta con i nomi e i titoli dei defunti.



    Vasi canopi

    Liberamente tratto dal sito Antico Egitto di Iside
    Ultima modifica di Silvia; 04-11-09 alle 22:25

  5. #5
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    Predefinito Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    La teologia egizia, nella sua grandezza e nel suo vasto arco temporale, supera i cinque secoli di indagini di veri e propri sacerdoti-scienziati. Il senso dell'immortalità attraverso la fissazione dell'anima come compimento di un'opera, il legame indissolubile fra corpo e resurrezione attraverso il mantenimento della carne così dando origine anche all'estetica, la nascita dei processi alchemici per il compimento del CORPO DI GLORIA, il concetto della Grande Madre trasposto nella mater ISIDE, l'ordine attraverso il ragionamento matematico-filosofico-musicale.
    La nostra scienza moderna non ha compreso (anche per fortuna) questa sapere vastissimo che si muove negli infiniti mondi; prove per passare agli altri mondi, per passare le porte della salvezza.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-02-10 alle 00:45

  6. #6
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    Predefinito Rif: Alla radice del pensiero... L'Egitto e i suoi misteri

    Nuovo studio sui misteri delle maestose piramidi egiziane. Secondo lo studioso italiano Stefano Gasbarri, le piramidi erano templi; "espressione del linguaggio degli dei, esprimevano cioè la prova tangibile che i faraoni erano divinità incarnate sulla Terra". Per Gasbarri, architetto specializzato presso l'Istituto Superiore di Sanità in Edilizia Sanitaria e progettista di numerosi complessi ospedalieri in Italia ed in Africa, gli architetti, che progettavano le piramidi e che erano i sommi sacerdoti del faraone-dio in terra, "attraverso le forme di quegli eterni quanto affascinanti monumenti, volevano testimoniare che i corpi custoditi in quelle tombe erano appunto l'espressione terrena degli dei incarnati".

    A differenza dei più noti egittologi e archeologi che si sono sperimentati su questa stessa tesi, Gasbarri, 69 anni e grande appassionato di storia dell'architettura egizia, è arrivato a questa conclusione "attraverso una serie di complessi calcoli geometrici e astronomici" da lui individuati "in 20 anni di ricerche".

    "Dico le stesse cose che dicono gli egittologi, ma con un linguaggio e un metodo differente: quello della geometria e dell'astronomia relativa al movimento del Sole" spiega all'ADNKRONOS Gasbarri, che ha appena pubblicato i risultati del suo studio nel volume "Simboli geometrici e astronomici dell'antico Egitto - Dalla piramide di Cheope all'esodo degli ebrei dalla terra dei faraoni".

    Nel suo volume, Gasbarri riporta le conclusioni della ventennale ricerca condotta "sui simboli geometrici e astronomici desumibili dalla forma e dimensioni delle piramidi dei faraoni Cheope, Khepren, Smefru e Mykerinos", secondo i nomi tramandati dalla tradizione greca ed ellenistica; piramidi tutte appartenenti, quindi, a sovrani inseriti nella IV dinastia.

    "Il mio studio - afferma - è partito dalla più affascinante relazione geometrica, passata alla storia della scienza come la 'quadratura del cerchio', il simbolo che meglio rispecchia l'idea della 'identificazione dell'uomo con dio'". Gasbarri racconta che tutto è partito dai tanti quesiti che gli vennero in mente nel corso delle prime di una lunga serie di visite nel sito archeologico dove si ergono le piramidi della IV dinastia. "In quei primi viaggi - dice - mi sono chiesto come mai le piramidi della IV dinastia fossero così maestose ma del tutto anonime e come mai la loro forma geometrica fosse così perfetta.

    L'idea che mi venne in mente fu che gli architetti, nonché sommi sarcedoti del faraone, attraverso i simboli della geometria e del percorso del Sole in quell'area geografica, volessero tramandarci un messaggio".

    "Ho deciso così di analizzare i progetti antichi delle piramidi scaturiti - continua lo studioso - dai rilevamenti archeologici degli egittologi Vito Maragioglio e Celeste Rinaldi. E' da lì che sono partito". "Nel corso degli anni - continua ancora - ho provato a fare misurazioni, a mettere a confronto le coincidenze che accomunavano le diverse piramidi, attraverso calcoli legati sia alla geometria di questi monumenti che al movimento del Sole alla latitudine in cui le piramidi furono costruite, seguendo calcoli astronomici".

    La risposta ai miei calcoli - prosegue Gasbarri - è stata sempre pari alla data di incoronazione dei faraoni delle piramidi da me studiate, cifre, quindi date, coerenti con gli studi dei più famosi egittologi. In altre parole, con il mio metodo, cioè attraverso la geometria e l'astronomia, sono approdato alle stesse conclusioni. I miei studi, però, vogliono indicare un metodo d'indagine diverso che può servire a continuare altre ricerche".

    "Vorrei sottolineare - conclude - che la geometria è la scienza che descrive le leggi che governano l'Universo, leggi che si ritiene siano dettate da dio-creatore; il Sole, quindi l'astronomia legata a questo corpo celeste, è la stella dell'Universo di riferimento nella quale il faraone si identificava. Ecco perché, con il metodo da me proposto, penso si possa affermare che i sommi sacerdoti e architetti egiziani volessero, con le piramidi, esprimere il linguaggio degli dei incarnati nella figura del faraone".
    (fonte Adnkronos - Adnkronos News )
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 27-02-10 alle 00:46

  7. #7
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    IL LIBRO DEI MORTI

    Il Libro dei Morti è una raccolta di testi funerari di epoche diverse che forniva al defunto tutte le indicazioni utili per assicurargli la sopravvivenza nell'aldilà. I testi erano scritti su un rotolo di papiro che veniva posto nella tomba accanto alla mummia o dentro il piedistallo della statuetta del dio funerario Ptah-Sokar. Compilato durante il Nuovo Regno partendo dai Testi dei Sarcofaghi del Medio Regno, il Libro dei Morti non era un testo sacro e non rivestiva alcuna importanza nella vita religiosa quotidiana degli antichi egizi, ma diventava assolutamente indispensabile al momento del trapasso. Conteneva infatti formule magiche, invocazioni e inni dedicati agli Dei, in particolare Ra e Osiride, che regnavano sulla sconfinata e pericolosa terra dei morti. Questi testi magici avevano il potere di vivificare il mondo dei morti e di proteggere il defunto nel corso del difficile, interminabile viaggio nel mondo dell'aldilà.
    Il Libro dei Morti era anche una sorta di percorso guidato, che consentiva al trapassato di trovare la strada e di evitare i numerosi pericoli che avrebbero potuto ostacolarlo, sotto forma di demoni e di mostri fantastici: le illustrazioni pervenute fino a noi ci forniscono il quadro di un oltretomba disseminato di laghi e fiumi di fuoco, di strade e portali dietro ai quali si nascondevano creature terrificanti.


    Iniziava con le formule che accompagnavano il bendaggio della mummia, mentre i sacerdoti mettevano i vari amuleti, che sarebbero serviti a proteggere il morto, in punti ben specifici.

    "Tu hai il potere, Iside! Tu conosci la magia! Questo amuleto proteggerà quest'anima grandiosa. Allontanerà coloro che vorranno farle del male!"
    ( Formula 156 )

    Quando la mummia era pronta si procedeva con il rito dell'"apertura della bocca", per mezzo del quale si poneva fine all'interruzione rappresentata dalla morte fisica e si "ridava la vita" al defunto. La formula era pressappoco questa:

    "La mia bocca è aperta! La mia bocca è spaccata da Sciu con quella lancia di metallo che usava per aprire la bocca agli dei. Io sono il Potente. Siederò accanto a colei che sta nel grande respiro del cielo."
    ( Formula 23 )

    Il defunto veniva quindi condotto da Anubi, guardiano del regno dei morti, nella Sala del Giudizio, al cospetto di Osiride, seduto su un trono, fiancheggiato da Iside e Nefti, e accompagnato da una moltitudine di divinità.

    "O cuore mio, non testimoniare contro di me! Non essermi contro durante il Giudizio. Non essermi ostile in presenza di Colui che tiene la bilancia."
    ( Formula 30b )

    Questa formula, incisa sul dorso di uno scarabeo avvolto tra le bende della mummia, aiutava l'anima ad estrarre il cuore dal corpo per presentarlo agli dei. A questo punto il sovrano del regno delle tenebre formulava il suo giudizio, attraverso la pesatura del cuore (o dell'anima), la psicostasia. "Non ho truffato sul peso della bilancia, non ho tolto il latte di bocca ai bambini, non ho deviato l'acqua fuori stagione", recitava il defunto, e proseguiva con una lunga confessione nella quale affermava di non aver peccato né contro gli dei né contro gli uomini.

    Anubi poneva quindi il cuore (o l'anima) sulla bilancia. A far da contrappeso la piuma di Maet, mentre Thot, dio della saggezza e delle scienze, registrava l'esito della pesatura: se il cuore (o l'anima) pesava più della piuma, la dea Ammit si gettava sul defunto per divorarlo e trascinarlo in una seconda e definitiva morte, in caso contrario Osiride dichiarava l'anima "voce sincera" e l'accoglieva nel suo regno.


    Libro dei morti – Papiro Hunefer (Londra, British Museum )



    Particolare della pesatura dell'anima
    Ultima modifica di Silvia; 05-11-09 alle 22:34

  8. #8
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    Questa formula, incisa sul dorso di uno scarabeo avvolto tra le bende della mummia, aiutava l'anima ad estrarre il cuore dal corpo per presentarlo agli dei. A questo punto il sovrano del regno delle tenebre formulava il suo giudizio, attraverso la pesatura del cuore (o dell'anima), la psicostasia. "Non ho truffato sul peso della bilancia, non ho tolto il latte di bocca ai bambini, non ho deviato l'acqua fuori stagione", recitava il defunto, e proseguiva con una lunga confessione nella quale affermava di non aver peccato né contro gli dei né contro gli uomini.
    Ecco la formula completa che il defunto doveva recitare davanti al Tribunale di Ra...

    • Non ho commesso iniquità
    • Non ho maltrattato gli inferiori
    • Non ho detto il falso
    • Non ho cercato di sapere quel che non si deve
    • Non ho commesso il male
    • Non ho bestemmiato
    • Non ho impoverito un uomo dai suoi beni
    • Non ho fatto ciò che è vergognoso
    • Non ho calunniato uno schiavo presso il padrone
    • Non ho afflitto nessuno
    • Non ho affamato nessuno
    • Non ho fatto piangere
    • Non ho ucciso nessuno
    • Non ho ordinato di uccidere
    • Non ho recato dolore a nessuno
    • Non ho rubato le offerte nei Templi
    • Non ho sporcato il pane degli Dei
    • Non ho commesso atti di pederastia
    • Non ho fornicato nei luoghi sacri
    • Non ho barato sui terreni
    • Non ho alterato i pesi della bilancia
    • Non ho sottratto il latte ai bambini
    • Non ho tolto il pascolo al bestiame
    • Non ho teso trappole agli uccelli dei prati degli Dei
    • Non ho pescato nei loro stagni
    • Non ho trattenuto l'acqua durante l'inondazione
    • Non ho opposto dighe all'acqua che scorre
    • Non ho spento fuochi che dovevano bruciare
    • Non ho trascurato le offerte di carne
    • Non ho ostacolato la processione di un Dio

  9. #9
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    Libro dei morti - Frammento papiro (1500 a.C. circa)
    Torino, Museo Egizio


    In questo frammento si vedono due defunti che si presentano al cospetto di Osiride. Sono un uomo e una donna. Da notare come sia presente l'uso di distinguere il sesso delle persone con la diversa colorazione della pelle: le donne hanno un colorito più chiaro e pallido, gli uomini più scuro e rossastro. I due defunti sono in atteggiamento implorante, dopo aver deposto ai piedi della divinità un'offerta di cibi e bevande.

  10. #10
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    ERODOTO SI SBAGLIAVA:
    LE PIRAMIDI NON FURONO COSTRUITE DAGLI SCHIAVI




    Contrariamente a quanto riferito da Erodoto nel II libro de Le Storie e dalla Bibbia, le grandi piramidi di Giza non furono costruite da schiavi ma da uomini liberi. La sorprendente scoperta è dovuta all'individuazione di un'altra necropoli nelle immediate vicinanze delle tombe dei faraoni destinata ad ospitare coloro che avevano lavorato all'edificazione delle piramidi. Il fatto che «queste tombe costruite accanto alle piramidi dei re (tra quella di Cheope e quella di Chefren) indica che queste persone non potevano essere in alcun modo degli schiavi», ha spiegato Zahi Hawass, il sovrintendente capo delle Antichità egiziane. Le prime sepolture di operai vennero scoperte negli anni '90.

    Nel sito portato alla luce ora sono state ritrovate delle iscrizioni in cui gli operai si definiscono «amici di Cheope», un ulteriore elemento per Hawass per avvalolare l'ipotesi che non si trattasse di schiavi. L'altra grande novità è che gli operai erano 10.000, un decimo di quelli indicati da Erodoto. Alla stima si è giunti grazie al ritrovamento del resoconto della fornitura giornaliera di cibo per i lavoratori: i contadini del delta del Nilo, in cambio dell'esenzione dalle tasse, inviavano ogni giorno 21 bufali e 23 pecore al campo.

    Matteo Sacchi – Il Giornale, 12 gennaio 2010

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