GAETANO TIRLONI
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“Dai frutti conoscerete gli alberi”, sentenzia Gesù nel Vangelo. E quelli del Vaticano II, giudicando le sue mele alla Eva, son proprio scadenti. Analizziamo una fondamentale della Chiesa: il missionario. Com'era negli anni Cinquanta. Com'ora si appalesa. Mezzo secolo fa i sacerdoti andavano in terre lontane. A portare luce spirituale e sostegno materiale. Sul posto intraprendevano lo sviluppo. Secondo i costumi, i ritmi, gli usi locali. Imparavano la lingua del Paese che li ospitava. E conservavano quel che di utile lì trovavano. Non dilapidavano miliardi costruendo cattedrali nel deserto. Ma investivano milioni con saggezza, edificando cappelle e, vicino, le opere essenziali. Dove il deserto bruciava la terra, scavavano pozzi. Dove le malattie tralignavano in epidemie, innalzavano dispensari. Dove il fatalismo recava inerzia, insegnavano la bellezza del lavoro. Il tutto innestato nell'annuncio della Salvezza. Fertilizzante indispensabile perché i risultati gratificassero. Guarivano corpo ed anima. Battezzavano e medicavano. Sapendo che l’anima non è meno importante del corpo. Periodicamente rientravano in Italia. Con la scusa di riposarsi battevano campagne e villaggi. Incitavano a sacrifici in favore dei popoli più sfortunati. Nei pomeriggi festivi, profittando dei pulpiti parrocchiali, sciorinavano edificanti episodi perché la carità si sostanziasse. Fuori dai giochi diplomatici, andavano diritti ai problemi, senza analisi, fuorché quella dell’Amore. Perseguitati, rispondevano col martirio. Conservavano nei cuori gli eroismi dei primi martiri: ed era per loro gioia imitarli. Appena possibile, scrivevano mirabili corrispondenze. Che poi riviste missionarie o fogli cattolici pubblicavano. Erano uomini meravigliosi. E spesso irraggiavano anche i cuori dei non credenti. Poi si celebrò il Concilione. In un turbine di utopia e sociologismo. Pilotato da vescovi digiuni di fede e pietà, rovesciò i Valori e dissacrò la Tradi zione. Sfigurò la figura del missionario. Abbruttendola in quella di rivoluzionario. E i peggiori colsero subito l'occasione per imbastire violenze e soprusi. Tacciarono ogni occidentale di colonialismo. In ogni europeo si vide uno sfruttatore. Come spesso capita nei cataclismi, il negativo cancellò qualsiasi positività. L'aspetto materiale violentò quello spirituale. Così che una fetta di sacerdoti si prostitui al marxismo. Da qui nacquero i movimenti di liberazione. Che dietro i soliti neologismi affascinanti, in realtà erano bande di predatori. I rientri diventavano occasione di propaganda devastante. Non si chiedevano più aiuti. Non si favorivano i fioretti. Si imbastivano omelie di propaganda alla Lenin. Riviste un tempo votate all’apologia, si traformarono in bollettini di guerra anticapitalisti. Il Vangelo assurse a verbo d'immanenza, defraudandone l'essenza e tradendo Cristo. Fra soddisfazioni eunuche di intellettuali da salotto, strategie di marketing sostituirono la forza inesauribile della Grazia. Son passati quarant’anni. E i guasti si riverberano ancora nel mondo occidentale, prono all'autolesionismo. Per fortuna qua e là segni di risveglio emergono. Gruppi sempre più numerosi di fedeli pretendono il ritorno alla Tradizione. Alla purezza delle origini. Alla fortezza dei Padri. Ma i guasti sono immensi. E una mentalità diabolica ha pervaso pure anime dolci ed innocenti. Dobbiamo coltivare la speranza. Che è una virtù teologale. Anche contro l'evidenza di un tramonto turbinoso. Per i padani cattolici stimolante è l'area d'impegno. Compito primo: emarginare quel clero che sotto le insegne della solidarietà (monotematica) fa di tutto per affondare la Chiesa. Pensiamo a quel centro di potere (socialista) che prende il nome di Caritas. Pensiamo ad Alex Zanotelli. Missionario perfetto per i no global e i compagni atei di una ideologia disperata. Preghiamo: san Pio X, proteggici.


[Data pubblicazione: 16/09/2004]