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Risultati da 1 a 10 di 35
  1. #1
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito Il Dio Giano: caratteri, simbolismo, iconografia


    Ecco la discussione apposita per questo numen.
    Provvedo a riportare gli interventi già presenti altrove.

  2. #2
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da Paul Atreides
    L'unità trascendente delle tradizioni poggia su cosa? Sull'estremamente generico simbolismo guénoniano? Aggiungo solo che se poi tale simbolismo guénoniano è tipo quello di Giano [cfr. le critiche di Rutilio, Del Ponte, Consolato], beh, più che generico è semplicemente sballato.

  3. #3
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da janus77
    Distinto Paul Atreides,
    sul simbolismo di Giano avrei qualche dubbio: a parte la questione Collegia Fabbrorum, nella quale non è dimostrabile tale assimilazione ma neanche il contrario (il sapere del Guènon è iniziatico, ma anche quello di Evola, De Giorgio, Reghini..., quello di Del Ponte è solo erudito!), la questione delle chiavi viene vista solo in rapporto a raffigurazioni romane, quando l'immagine a cui fa riferimento Guènon, e soprattutto Chambernny-Lassay, è di orgine medioevale, in cui Giano e Cristo vengono assimilati...l'ennesima dimostrazione di come certa gente concepisca il Divino solo in senso archeologico, con poca apertura mentale (l'affermare che raffigurazioni medioevali sono frutto di deviazioni su tale simbolismo è al quanto divertente, come se un numen o la sua espressione simbolica sia costretto a rimanere relegato nella sua forma tradizionale di riferimento...il Graal sarebbe dovuto rimanere solamente un simbolo celtico, tutto il resto non dovrebbe aver valore).

    Vi segnalo in merito, oltre, gli scritti di Giandomenico Casalino (Il Sacro e il Diritto, Il nome segreto di Roma e prossimamente un'altra pubblicazione presso le edizioni Victrix), anche uno studio su
    "Alcuni aspetti del simbolismo di Ercole" di Mariano Bizzarri (Università La Sapienza, Roma), ove si dimostra che la voglia di modernizzare la Tradizione sia al quanto fuori moda, anche nei riguardi di un certo accademismo, verso il quale sempre più si cerca di fare la corte!

    Ave atque Vale

  4. #4
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da Paul Atreides
    Egregio janus 77

    a parte che il riferimento di Charbonneau-Lassay è ad un simbolo del XV secolo [epoca alquanto sincretistica], il punto è un altro: che il cristianesimo si sia appropriato di molto della tradizione classica è vero. Ma appropriazione non vuol dire certo reale/efficace/consapevole trasmissione tradizionale, avente i crismi esoterico-iniziatici. Ed è questo il punto essenziale.

  5. #5
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da janus77
    Distinto Paul Atreides,

    permettimi alcune precisazioni.

    Su Giano e sul tema della trasmissione il punto essenziale è che chi non va oltre le forme (Del Ponte, solo per farti un esempio, non considera il Rinascimento un periodo sincretico, avendo come riferimento la figura di Pletone), non riesce a cogliere l'Unità e la sintesi della Dottrina, altro che saltare le diatribe sull'accademismo...questo è semplicemente non rispondere a argomentazioni che ci mettono in difficoltà.

    Ave atque Vale

  6. #6
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da janus77
    Romanità e Cristianesimo
    di Andrea Monastra


    Non ci stancheremo di tornare sull?argomento, fintantoché non pochi, nell?ambiente, continueranno ad attribuire al Cristianesimo un carattere antiro¬mano ed a includerlo fra le principali cause della fine della civiltà classica. Questa, infatti, per motivi che esulavano dal contenuto del messaggio cristia¬no, già agli inizi dell?era volgare era avviata verso il disfacimento, malgrado la potenza militare e l?espansione territoriale di un Impero Romano che pare¬vano inarrestabili. Innanzitutto, l?ethnos che fungeva da maggior supporto al mondo classi¬co, cioè quello ario-romano, era stato falcidiato dalle numerose ed intermi¬nabili guerre contro i nemici interni ed esterni di Roma. Per quanto concer¬ne la Grecia, le guerre fra le Polis, la dominazione macedone che il successi¬vo imperialismo ellenistico avevano condotto al tramonto dell?elemento dorico e, conseguentemente, all?avvento di una Zivilization basata su lussi e sofismi di carattere levantino. Questione è che ogni civiltà, pur essendo più o meno propensa ad accogliere apporti esterni, si fonda principalmente sulle caratteristiche di quel determinato tipo umano che l?ha assunta a proprio destino, identificandovisi reciprocamente. Pertanto, le caratteristiche della razza dello spirito, dell?anima e del corpo di un popolo si riflettono inevita¬bilmente in quelle spirituali, psichiche e fisiche della relativa civiltà (Si vedano, a tale proposito, i magistrali insegnamenti di Julius Evola in "Sintesi di dottrina della razza?, ed. di Ar, 1978). Il supporto fisico, pur essendo gerarchicamente subordinato a quanto riconducibile allo spirito ed all?anima, è pur sempre indispensabile a che il composto popolo/civiltà possa sussiste¬re. Tuttavia, è l?idea imperiale stessa che, nella maggior parte dei casi, con¬duce prima o poi al mescolamento del sangue ed al conferimento del mede¬simo status giuridico alle genti più disparate (Da tali fenomeni, risulta esser stato sostanzialmente immune l?impero britannico, andando ciò, a nostro avviso, attribuito al fatto che l?imperialismo inglese, sorto sull?onda del Protestantesimo, poggiava sui postulati veterotestamentari, incentrati sulla teoria etnicista del ?popolo eletto?). Per quanto riguarda Roma, i cosiddetti? barbari? avevano in buona misu¬ra contribuito all?espansione ed alla difesa delle frontiere imperiali. tramite quegli auxiliares che, perlopiù con onore e lealtà, rivestivano un ruolo sem¬pre meno marginale nel dispositivo militare romano. Specialmente dopo l?infelice decisione imperiale di concedere la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell?Ecumene, l?armata divenne in poco tempo appannaggio di genti d?origine barbara, perfino nei gradi più elevati. Dal bastone di comandante allo scettro imperiale il passo fu breve, dovendosi però ricordare come non poche fra le più fulgide figure di condottieri e di imperatori fossero di stirpe non romana. Inoltre, l?enorme numero di schiavi razziati nei paesi conqui¬stati modificava ulteriormente la compagine etnica delle popolazioni, sia nelle città che nelle zone rurali, comportando, altresì, l?occupazione di molti posti di lavoro, un tempo appannaggio degli autoctoni. Fra l?altro, l?eserci¬zio di pratiche di bassa magia, tipico di molti paesi d?origine degli schiavi, si diffuse rapidamente nella società, specialmente presso l?elemento femmi¬nile, contribuendo all?espandersi dell?inquinamento psichico. Il mondo romano finì semplicemente perché. di fatto, non v?erano più romani ma solo barbari romanizzati. All?inizio la crisi fu più evidente nelle grandi città che, trasformate in Lupanari cosmopoliti, fungevano da scenario all?imperversare di mode, usanze, superstizioni e culti esotici, specialmente d?origine orien¬tale, in un?atmosfera di violenza e di insicurezza, aggravata dall?instabilità politica e dai ricorrenti colpi di stato militari. Le plebi urbane, dispensate dal servizio militare, trascinavano l?esistenza fra sotterfugi, taverne e giochi cir¬censi, inebriati da una violenza non più sublimata nei campi di battaglia. L?antico Furor s?era così trasformato nel tifo sportivo a favore (di quel con¬ducente di bighe o di quel gladiatore. con un gusto per il sangue che non poteva non assumere aspetti sinistri (Un?eco della trascorsa fierezza della stirpe romana sopravvivrà, comunque, nel volto e nel portamento di quei popolani della Roma papalina, raffigurati egregiamente da Giandomenico Pinelli). Le masse rurali, poi, cominciarono ad abbandonare una vita agrico¬la resa precaria dal crollo del prezzo del grano ?causato dalla ricchezza dei raccolti nell?Africa del nord e della Sicilia, considerati perciò dei ?granai dell?impero?- nonché dalle sempre più frequenti carestie, dalle scorrerie dei barbari e dal brigantaggio, stabilendosi nelle suburre metropolitane ed aggra¬vandone le già precarie condizioni igieniche. Immersi nella nuova realtà cit¬tadina, i contadini persero rapidamente la loro mentalità parca e frugale, ini¬ziando a vivere di espedienti e di piccoli commerci, mentre le campagne, non più coltivate, ripiombavano in uno stato silvano o lacustre, nel caotico trion¬fo di acque e di vegetazione. Rese insicure anche le grandi vie di comunica¬zione, le famose ?vie consolari?. le zone dell?interno diventarono ricettaco¬lo di briganti, disertori schiavi fuggiaschi. sbandati e conventicole stregone¬sche. Infatti, di pari passo all?ingresso dell?impero di nuove religioni, nel buio delle boscaglie riemergevano culti crepuscolari, risalenti a periodi ante¬riori alla discesa dalle terre artiche delle genti iperboree, quelle dei simboli solari, dell?incenerazione, dell?ascia e dei carri da battaglia, portatrici della Luce del Nord. La prassi romana di ospitare, addirittura intra moenia, i simulacri delle divinità dei popoli conquistati, così come l?introduzione dei Libri Sibillini nel pabulum sapienziale romano, si era rivelata foriera di eventi funesti. La Grande Madre tellurica, domata in passato dalle armi romane, aveva ripreso il sopravvento, giungendo nel cuore stesso dell?impero, tramite le braccia degli schiavi, le anfore dei mercanti, la spada dei mercenari e le prediche dei ciarlatani. La Romanitas stava morendo da sé, uccisa anche dai lusso e dalla vita comoda, non certo a causa dei Nazareno. La prisca spiritualità romana, austera e virile, cedeva il passo ad un arido cinismo od a ellenistici sofismi. Taluni, attanagliati dalla malinconica consa¬pevolezza della precarietà della condizione umana, si gettavano nella ricerca samsarica ed insaziabile del piacere, in un?atmosfera di cupo dissolvimento. Il sereno e ?tecnico? rapportarsi al Sacro del Vir romano veniva soppiantato dall?afflato orgiastico e corrosivo dei culti alieni, mentre sedicenti filosofi ridi¬colizzavano l?antica fede negli Dei, per il divertimento d?imbellettate matro¬ne e di pasciuti riccastri. il degenerare dei tempi veniva esteriorizzato anche da caratteristici fenomeni quali il cambiamento climatico, le epidemie (In quei secoli comparve in Europa il flagello della Peste), le carestie e calami¬tà naturali come quelle che distrussero Pompei ed Ercolano, andando qui il nostro pensiero al Legionario che rimase al suo posto di guardia sino alla morte. Dato il sopraggiungere del Caos, si rendeva necessario custodire il Fuoco di Vesta, essenza stessa della Romanitas, in luoghi sempre più inac¬cessibili, ove arde tuttora: ?Fuoco inestinguibile come il segreto della sapienza tradizionale conservato da coloro che ne sono i depositari e che lo trasmettono regolarmente per bilanciare la dissipazione del mondo mante¬nendo il legame con l?invisibile senza di cui l?umanità non esisterebbe. Se questo fuoco sì spegnesse, se la scienza sacra esulasse dal mondo, esso cadrebbe in cenere come il riflesso automaticamente scompare, quando non vi è l?essere reale da cui emana?, rivela Guido de Giorgio (?La Tradizione Romana ?. ed. Mediterranee, 1989, pagg. 239 e 240). I confini dell?Impero, presidiati quasi unicamente da truppe mercenarie, vacillavano sotto la pressione di genti bellicose, provenienti dalle selve dell?Europa cen¬tro-settentrionale e dalle steppe asiatiche. Antesignani delle orde di Gog c Magog, i barbari scorrazzavano sempre meno contrastati, distruggendo e saccheggiando, infatuati dal miraggio delle favolose ricchezze delle città. Probabilmente, nelle lunghe notti di guardia sugli spalti imperiali, il Nome Sacro di Roma riscaldava ancora il cuore di qualche giovane soldato germa¬nico od illirico, affascinato dai racconti dei veterani. Fu del resto nell?Esercito ? ancora abbastanza immune dai guasti che corrompevano il resto della società- che trovava ampia diffusione il culto virile di Mithra, sorta di adattamento temporaneo e ?preparatorio? della Tradizione, risoltosi poi nel trionfo finale del Cristianesimo (Mitra e Cristo, si noti bene, nacque¬ro rispettivamente in una pietra e in una grotta, cioè nell?elemento Terra mas¬simamente solidificato, ricettacolo della Luce Divina, come il Luz della Tradizione Ebraica). Da tempo era, inoltre, nell?aria la fede in una nuova manifestazione del Principio Divino, preconizzata dal massimo iniziato e poeta della Romanità, Virgilio, con il mito del Fanciullo d?oro. E? da speci¬ficare come la sempre più accentuata solidificazione del Manifestato, tipica del Kali-Yuga, comporti inevitabilmente il ritiro o la ?morte? degli Dei, presente nella mitologia di quasi tutti i popoli. Era perciò necessario un riadat¬tamento della Tradizione in forza del quale l?uomo facesse riferimento non più a forze spirituali ormai eclissatesi dal mondo, bensì direttamente all?Uno che, essendo al di là della Manifestazione, non è soggetto alle leggi del dive¬nire. a differenza delle divinità intermedie. La Tradizione, però. essendo l?uomo sempre meno qualificato a comprenderla negli assunti più interni ed elevati, doveva necessariamente assumere una veste dogmatica e dottrinaria, più congeniale al regredire dei tempi. Comunque, con il Cristianesimo tor¬narono in auge valori quali il rigore, l?austerità e la frugalità che, a fronte degli sfaldamenti ellenistico?orientali, costituivano una sorta di ritorno allo spirito della Romanità prisca, sopravvivendo ormai di questa solo un vuoto formalismo. Mentre la riformulazione in senso cristiano dell?aspetto esoteri¬co degli insegnamenti tradizionali si rendeva indispensabile per far compar¬tecipare al Sacro la maggioranza della popolazione dell?impero, la Sophia Perennis, nella sua integrità metafisica ed espositiva, veniva custodita dalle scuole neoplatoniche, ultime roccaforti del mondo classico. In quel periodo apparvero numerosi testi incentrati sul giusto rapporto fra l?Uno e le varie manifestazioni del divino, ad opera di personalità quali Plutarco di Cheronea, Celsio, Amelio, Proco, Porfirio, Plotino, Sallustio, Giambico, Damasco e Simplicio, che costituivano un vero e proprio testamento spiri¬male della civiltà greco-romana. Nel marasma dei tempi, dopo la vittoria di Costantino a Ponte Milvio, ini¬ziarono le persecuzioni imperiali contro i luoghi di culto ed i fedeli dell?antica religione, che succedettero a quelle contro i cristiani. Imperatori cristianizzati - semmai a questi andando l?epiteto di ?apostata? e non certo ad un Giuliano - emettevano editti di chiusura dei templi, di distruzione degli ?idoli? e di sospensione dei finanziamenti statali ai vecchi collegi sacerdota¬li , nonché di successiva soppressione degli stessi. Fra la repressione delle autorità e la furia di turbe fanatizzate, i neoplatonici pagarono con il sangue di Spazia, Soprato, Massimo e di altri discepoli la loro Fidelitas a quelle veri¬tà superiori ormai inaccessibili ai più e che, semmai, potevano ingenerare confusione e turbamento fra le masse, alla luce del precetto cristiano di ?non dare le perle ai porci?. Coloro che continuarono a credere negli Dei atavici dovettero rifugiarsi in qualche piccolo villaggio dell?interno, il pagus, da cui derivò l?appellativo di ?pagani?, tuttavia costoro, essendo più sensibili a ciò che di una Tradizione è contingente piuttosto che essenziale, divennero tal¬volta strumento di forze oscure. Va specificato che la dottrina dell?Uno o del ?Dio senza nome? è sempre stata nota ai sapienti dell?antichità, il politeismo altro non essendo che il conferimento di una particolare personalità e fun¬zione ad ogni aspetto che la divinità assume nei vari gradi della Manifestazione. Politeismo e monoteismo sono solo in apparente contraddizione poiché il primo si riferisce al livello del Manifestato, cioè del molteplice, il secondo a quello dell?Essere Uno, dal quale promana la Manifestazione stessa (In effetti, il luogo dove più diffusa che altrove è la fede nell?Uno è, in manie¬ra apparentemente paradossale, proprio l?India dei 300.000 Dei). Ora, fermo restando l?ammirazione per la figura eroica e ?codreanica? di un Giuliano Imperatore, va ribadito come la Tradizione vada vissuta e difesa nella sua interiorità immutabile e non già nelle forme esteriori che, dovendosi adatta¬re al regredire delle ere, non possono che essere di livello inferiore a quello delle precedenti, proprio in virtù delle leggi cicliche. Consapevoli di ciò, al Cristianesimo aderirono numerosi esponenti del ceto senatoriale che più di altri aveva mantenuto la purezza dell?antico sangue romano, l?unico idoneo a trasmettere determinate influenze spirituali alle generazioni future. Detti senatori furono i capostipiti d?importanti famiglie aristocratiche romane che - nel mentre si ponevano a baluardo del Soglio di Pietro, donando alla Chiesa non pochi Pontefici ed alti prelati - custodivano in luoghi nascosti i Pignora Imperii, ossia i doni sacrali offerti dalle potenze celesti a Roma, a suggello della sua missione imperiale. A quanti sostengono che il Cristianesimo sarebbe estraneo alla Weltanschaaung indoeuropea, poiché si fonderebbe sul concetto lineare e non ciclico del tempo, va ribadito che tale assunto è frutto di un equivoco. La Bibbia stessa, nel far riferimento ai ?sette re di Edom?, cioè i sovrani-legislatori dei cicli antecedenti al nostro (Come spiega René Guénon nel suo libro ?Il Re del Mondo?, ed. Adelphi, 1992, pagg. 66 e 67), così come i numerosi miti ebraici sui ?preadamiti?, con tutta evidenza le umanità dei precedenti Manvantara, ribadisce di fatto la validità della teoria della circolarità del tempo. Questione è che, essendo incentrato su una porzione temporale che dalla nascita di Gesù conduce all?Apocalisse, ovverosia la fine del presente ciclo, il Cristianesimo può dare, ad uno sguar¬do superficiale, l?impressione di fondarsi sulla visione lineare del tempo, trattandosi però solo di un cambio di prospettiva. La stessa spiegazione creazionistica del mondo, presente anche fra gli stra¬ti più bassi della società indù, non è che un modo per esporre alle masse veri¬tà altrimenti difficilmente comprensibili. San Tommaso stesso, affermando che la teoria della durata temporale della creazione poggia solo sulla fede -?sola fide tenetur?- riconosce la validità del concetto neoplatonico di eter¬nità del mondo (Cfr. L?introduzione di Michele Losacco a?Elementi di Teologia? di Proclo, ed. All?insegna del Veltro, 1983. pag. XVI). Chiaramente, la teoria dell?eternità del mondo, quindi del Manifestato, va integrata con la dottrina dei ritmi, cioè dell?emanazione e del riassorbimen¬to degli esseri e dei mondi, corrispondenti ai giorni ed alle notti di Brahma. con attinenza al Monosillabo Sacro AUM ed al ?SoIve et Coagula? alchemi¬co. Anche l?accusa di essere un ammasso di formulette fraternalistiche, rnora¬listiche e consolatorie, rivolte da taluni al Cristianesimo, sull?onda delle opere di Friedrich Nietzsche, non tiene conto del fatto che quest?ultimo conobbe quella religione solo nelle forme antiromane ed antitradizionali del protestantesimo e non già in quelle aspre e militanti di un San Bernardo di Chiaravalle, un San Francesco od un Meister Eckhart. Certo, nel Cristianesimo riveste un ruolo importante quanto attiene alla Carità, una delle tre virtù teologali dopo la Fede e la Speranza, non potendo però esser altrimenti, stante i tempi sempre più tetri e disperati nei quali s?addentra l?u¬manità. Molti provano perciò fastidio per precetti cristiani del tipo ?porgi l?altra guancia?, considerandoli moralismi stucchevoli privi di un significa¬to superiore. Non è così, infatti, come segnala Raphael, ?Quando Gesù dice di amare coloro che ci odiano, non vuole enunciare un principio di morale sociale e sentimentale, tutt?altro; vuole far comprendere una legge universale. Se l?odio attira l?odio, allora, per neutralizzare una forza di una certa natura e potenza, occorre impiegarne una uguale e contraria. La legge dell?iniziato è: ama il tuo nemico. L?ignoranza si vince con la conoscenza, l?inerzia con la determinazione, il pessimismo con L?ottimismo, l?odio con l?amore? (?Il sentiero della Non-dualità?, ed. Asram Vidya, 1988, pag. 111). Non ha, pertanto, alcun senso ? pensiamo sia a quei camerati che indugiano su posizioni ?pagane? che a quegli altri che, per contro, si pongono a difesa di un bigottismo polveroso- scindere la Romanità in una veste precristiana ed in una cristiana. Come ribadisce de Giorgio, ?separare le due tradizioni opponendole e parzializzandole significa condannarsi a non comprendere la potenza reale e profonda di Roma che non è la sovrapposizione storica, ester¬na e contingente di due espressioni tradizionali, ma l?affermazione del loro principio comune in cui si risolve la polarità delle due vie per il trionfo dell?unità tradizionale? (Op. cit., pag. 241). Per comprendere ciò, bisogna rife¬rirsi al simbolismo di Giano ove le due facce, rivolte in direzioni apparen¬temente contraddittorie, si risolvono in quella che non si vede, ossia la terza. situata in una dimensione al di fuori del molteplice (in analogia al terzo occhio di Shiva), dalla potenza folgorante e, ad un tempo, distruttrice e risa¬natrice. In Giano - il Re che accolse nel Lazio il Dio Saturno, dando così ini¬zio all?Età dell?Oro? e, dunque, in Roma, viene risolta quella Coincidentia Oppositorum che ancora tanto scandalo e confusione suscita fra i profani.

    (pubblicato sulle riviste Orientamenti e Camelot)

  7. #7
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da Paul Atreides
    Egregio janus 77

    il punto non è il ''non andare oltre le forme'', ma capire i passaggi storico-culturali. Nel caso specifico, appropriazione o trasmissione?

    Saluti

  8. #8
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da janus77


    Appropiazione la si deve intendere come inversione, cioè come uno snaturamento delle essenze simboliche...e allora si conferma la regolare trasmissione...se poi arriviamo a sostenere che vi è stato un'inversione simbolica, per esempio nell'affiancare la figura del Cristo a quelle di Giano o di Mithra, allora è evidente come qualcuno è ben al di sotto dell'A, B, C, di una pur minima comprensione della Dottrina...solo una minima conoscenza delle dinamiche della dottrina dei cicli cosmici dovrebbe evitare tante confusioni!

  9. #9
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da Satyricon
    Sul Giano romano:

    Giano solo nelle tarde iconografie medioevali e rinascimentali venne rappresentato con le due chiavi (il che non vuol dire manipolazione del simbolismo ma che il Giano romano fu qualcosa di diverso)?.e mai venne festeggiato i solstizi e mai fu il patrono dei collegia fabrorum (che avevano propri patroni come Minerva).
    Cerchiamo almeno di rendere onore a quello che può dirsi il Dio italico per eccellenza e primo Re divino del Lazio e dell?Italia tutta.

  10. #10
    Mjollnir
    Ospite

    Predefinito

    In Origine Postato da janus77
    Caro Satyricon,

    Su Giano

    Janus Pater è un numen, è una potenza, è un principio trascendente da evocare (non da invocare, perchè nulla si invoca...regnum coeli intra vos est!), quindi non significa nulla specificare la sua simbologia romana o medioevale...come se Mithra fosse altro nella sua raffigurazione iranica, anzichè in quella indù o romana! Janus che è Pater Deorum, quindi inglobante tutto e tutti, divinità, iniziazioni e manzioni: anche qui, qualcuno confonde l'aspetto religioso e quello magico-esoterico, che era ovviamente occulto. Nella dottrina ermetico-alchemica, quando si risveglia l'elemento Marte e lo si rigenera con Venere e lo si fissa, si aspira alla non-dualità che è Janus, che è Roma Eterna, al di là di spazio e di tempo, è l'Aquila che si fissa nella Croce per la sua germinazione.

    Ave atque Vale

 

 
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