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    Predefinito In quelle tenebre: 1978-2005

    Europa ed Italia: non cristiane ma democristiane!


    Il 1994 portò l’occasione a Giovanni Paolo II di riferirsi sovente alla vita politico-religiosa dell’Italia e dell’Europa, sia
    profittando di ricorrenze della Seconda Guerra Mondiale (come il discorso sulla battaglia di Montecassino), sia a causa dell’attuale svolta politica italiana (più apparente, invero, che reale).
    Premettiamo, innanzitutto, che, al contrario dei laicisti di ogni risma, non neghiamo, ed anzi rivendichiamo, alla Gerarchia Ecclesiastica il diritto ed il dovere di pronunciarsi, alla luce
    della fede e della morale cristiana, sui fatti storici come sull’attualità politica delle nazioni. Non ci anima quindi il sofisma secondo il quale “i preti non dovrebbero fare politica” oppure “il Papa dovrebbe occuparsi d’altro”. Quello che è preoccupante è piuttosto la visione liberale e democristiana di Giovanni Paolo II, in
    contrasto con la dottrina sociale della Chiesa. Iniziamo la nostra analisi dalla “Lettera di Giovanni Paolo II ai Vescovi italiani” del 6
    gennaio 1994, intitolata: “Le responsabilità dei cattolici di fronte alle sfide dell’attuale momento storico. Appello ad una grande preghiera per l’Italia” (cf. L’Osservatore Romano.
    Documenti. 13 gennaio 1994). Una grande preghiera per l’Italia è senza dubbio opportuna, ma sconcertano le considerazioni che l’accompagnano. Nel n. 1 del documento, si rende testimonianza alle tre eredità dell’Italia: quella della fede, quella della cultura, quella dell’unità “maturata nel corso del XIX secolo”
    come unità politica. Giudizio positivo per la storia dell’Italia laica anche nell’udienza ai membri della Banca d’Italia (O. R., 28 gennaio 1994, pag.5, n. 2): “Da quando ha raggiunto, nel secolo scorso, la sua unità politica, l’Italia ha compiuto enormi progressi, degni della sua storia”. Un cattolico non può accettare il giudizio implicitamente positivo dato all’unità d’Italia come si è realizzata nel secolo scorso, in violenta opposizione alla Chiesa ed alla più autentica tradizione italiana, e come tuttora è realizzata... Dopo aver accennato al “crollo” del comunismo (tutto da verificare) nel n. 2, si auspica la “edificazione di una nuova Europa” (n. 3). Su quali basi? “In convinta adesione a quegli ideali che, nel recente passato, hanno ispirato e guidato statisti di grande levatura, quali Alcide De Gasperi in Italia, Konrad Adenauer in Germania, Maurice Schuman in Francia, facendone i padri dell’Europa contemporanea. Non è significativo che, tra i principali promotori dell’unificazione del continente, vi siano uomini animati da profonda fede cristiana? Non fu forse dai valori evangelici della libertà e della solidarietà che essi trassero ispirazione per il loro coraggioso disegno?”. Lo stesso concetto è espresso nel Messaggio ai Polacchi per il 50° della battaglia di Montecassino (O. R., 19 maggio 1994, pagg. 4-5, n. 4) e ne La grande preghiera per l’Italia e con l’Italia del 15 marzo (Meditazione di Giovanni Paolo II alla concelebrazione eucaristica con i Vescovi italiani..., O. R. Do-cumenti, 15/3/94) ove, al nome di De Gasperi, viene aggiunta “quella figura carismatica che fu il sindaco di Firenze Giorgio La Pira” (n. 8). Questi, secondo il “magistero ordinario” di Giovanni Paolo II, i migliori interpreti della dottrina sociale della Chiesa! Dottrina che avrebbero messo in atto in Italia: “ispirandosi ai valori cristiani, hanno contribuito a governare l’Italia nel corso di quasi mezzo secolo, acquistando innegabili meriti verso il Paese ed il suo sviluppo...” (Lettera ai Vescovi, n. 6). Quali sono questi meriti? “Un bilancio onesto e veritiero degli anni del dopoguerra ad oggi non può dimenticare però tutto ciò che i cattolici, insieme ad altre forze democratiche [ovvero i partiti laico-massonici, liberale e repubblicano, ed i socialisti!] hanno fatto per il bene dell’Italia. Non si possono dimenticare cioè tutte quelle significative realizzazioni che hanno portato l’Italia ad entrare nel numero dei sette Paesi più sviluppati del mondo, né si può sottovalutare o scordare il grande merito di aver salvato la libertà e la democrazia” (n. 6). È notevole che, in 50 anni, i “meriti” politici citati da Giovanni Paolo II, di un partito (non confessionale, si badi bene) di ispirazione cristiana, siano puramente di ordine materiale (e anche su di essi ci sarebbe da discutere). In realtà, come ha sottolineato il filosofo cattolico
    Del Noce, l’Italia si è scristianizzata proprio sotto 50 anni di governo di un partito di sedicente ispirazione cristiana. Un partito ed una corrente ideologica, in realtà, laicista, liberale,
    progressista, erede di Lamennais, di Sangnier, Di Murri, tutti condannati dalla Chiesa. Un partito responsabile, in Italia, di una Costituzione atea, delle firme alle leggi sul divorzio e
    sull’aborto ecc. Un partito ed un pensiero che non sono altro che il “modernismo sociale” condannato da Pio XI. Ma l’abbandono della
    dottrina sociale della Chiesa da parte di Giovanni Paolo II traspare anche dai dettagli, come la condanna, nel n. 7, delle “tendenze cor-porative” (dove “corporativo” è per lui sinonimo di egoismo; qual distanza da Leone XIII!) o la citazione del “compianto Presidente Pertini”, il primo capo di Stato italiano pubblicamente ateo. E grave è la falsificazione storica nella “Grande preghiera...” (n. 5) nell’attribuire a “Gregorio VII” (scanonizzato... inavverti-tamente?) la teoria dell’indipendenza e autonomia tra Stato e Chiesa affermata dal Vaticano II, quando San Gregorio VII era per la di-pendenza (per lo meno indiretta) dello Stato dalla Chiesa! Il fatto è che Giovanni Paolo II è un grande estimatore delle democrazie occi-dentali, ritenute l’unica forma di governo possibile. Nel discorso ai Polacchi sulla vittoria di Montecassino (che per la popolazione italiana, stuprata ed uccisa dalle truppe alleate marocchine, e per l’antico monastero sacrilegamente, empiamente ed inutilmente distrutto dagli “alleati”, fu una sconfitta atroce) dichiara: “Essa è stata lo scontro di due progetti: uno tendente, sia in Oriente che in Occidente, allo sradicamento dell’Europa dal suo passato cristiano (...), l’altro teso a difendere la tradizione cristiana dell’Europa e lo spirito europeo” (n.4), naturalmente... radendo al suolo un monastero occupato solo da monaci e civili! Il rifiuto del totalitarismo pagano e del totalitarismo marxista non deve farci attribuire alle democrazie liberal-massoniche che combatterono a Montecassino una qualsiasi difesa della “tradizione cristiana”... a meno che non si identifichino, con Maritain e Montini, la tradizione
    cristiana con princìpi delle rivoluzioni inglese, americana e francese, ovvero coi princìpi delle logge massoniche oggi purtroppo trionfanti, anche mediante quelle “esigenze di una crescente
    mondializzazione delle dinamiche finanziarie” che, secondo Wojtyla (e non solo lui!) sono da assecondare! (ai membri della Banca d’Italia, n. 4).


    Un orizzonte puramente terreno.
    Udienza a nove Ambasciatori in occasio-ne della presentazione delle lettere credenziali,il 13 gennaio 1994 (O. R., 14/1/1994, pag. 5).


    Giovanni Paolo II, riferendosi “ai Paesi più giovani”, afferma: “Essi desiderano costruire un futuro di libertà e di autodeterminazione inaccordo con le proprie tradizioni culturali e religiose” . E se le “tradizioni religiose” di questi Paesi non sono cristiane, che ci sta a fare la Chiesa? Dovrà andare contro i legittimi desideri dei “Paesi più giovani” predicando una nuova “tradizione religiosa”? Non pare. “La Santa Sede - spiega Giovanni Paolo II -cerca, in modo consono alla natura e alla missione specifiche della Chiesa, di servire l’umanità proprio promuovendo questa indispensabile cultura di cooperazione e solidarietà, basata sul rispetto per le verità di ordine morale, sulla sollecitudine verso l’autentico sviluppo umano e la difesa della dignità umana”. Un orizzonte puramente umano e filantropico, riduttivo se non falsificante della “missione specifica della Chiesa”, che per giunta dev’essere sempre condito con salsa ecumenica: “Li invito - aggiunse Giovanni Paolo II lo stesso giorno parlando all’Ambasciatore del Mali dei cristiani di questo Paese - ad essere dei dinamici testimoni del Vangelo, nel rispetto delle credenze altrui, ed a stringere dei legami di amicizia gli uni con gli altri (...). Mi auguro che un tale dialogo, sempre più costruttivo, si sviluppi tra di essi ed i loro compatrioti musulmani, come pure con gli appartenenti ad altre confessioni o coloro che praticano le religioni africane tradizionali” (pag. 5, traduzione dal francese). Del tutto simili le parole rivolte agli altri Ambasciatori dal “Servitore dell’Uomo”, Giovanni Paolo II.


    Democrazia, ora e sempre
    Dall’udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (15 gennaio
    1994; O. R., 16/1/94, pagg. 4 - 7)


    “Numerosi popoli hanno manifestato nuovamente le loro legittime rivendicazioni pluraliste e democratiche. È una realtà positiva, di cui dobbiamo tener conto. Non possiamo tornare indietro! (...) Il Sud Africa ha coraggiosamente superato gli ultimi ostacoli creati dai
    riflessi razziali, per fondare una società plurietnica dove ognuno dovrebbe sentirsi responsabile della felicità dell’altro. Nel vicino
    Oceano Indiano, il Madagascar ha saputo effettuare pacificamente la transizione verso una società democratica. Ci auguriamo che questi esempi siano contagiosi (...) Speriamo anche che il processo di democratizzazione avviato nel Gabon non venga frenato (...)” (n. 5). Giovanni Paolo II è l’apostolo... della democrazia, anche quelle col pugno chiuso (cf. il saluto abituale del nuovo "capo di Stato" sudafricano, Mandela) ed i “collari di fuoco”. Dure e ripetute le condanne al razzismo ed al nazionalismo (cf. n. 6 e 7), il che è giusto, ma per favorire delle società plurietniche ed egualitarie, il che è sbagliato: “quando gli Stati non sono più uguali, le persone finiscono anch’esse per non esserlo più” (n. 7); “il mondo non potrà conoscere adesso il tempo delle esclusioni! È al contrario il tempo dell’incontro e della solidarietà fra l’Est e l’Ovest, fra il Nord e il Sud” (n. 9). Il Governo Unico Mondiale è alle porte, spacciato per cristianesimo. Poco o nulla sui paesi in cui i cattolici sono perseguitati o uccisi, anzi, solo elogi per la Cina. Dove, come tutti sanno, c’è una grande democrazia...


    Neocatecumenali


    Molti autori, anche tra gli aderenti al Vaticano II, hanno pubblicamente denunciato le numerose eresie neo-luterane e giudaizzanti del cosiddetto “Cammino Catecumenale”, fondato da Kiko e Carmen (cf. le opere di p. Enrico Zoffoli, passionista ed ex-docente alla Pontificia Università Lateranense, nonchè le 20 puntate dedicate a questi nuovi eretici da don Villa su Chiesa viva tra il 1992 e il 1994, Via Galilei 121, 25123 Brescia). Eppure Giovanni Paolo II ha approvato il “Cammino” e lo ha pubblicamente elogiato numerose volte. il 17 gennaio 1994 (O. R. 17-18/1/94, pag. 6). “Il vostro Cammino intende attingere allo spirito del Concilio Vaticano II, per offrire un esempio di nuova evangelizzazione che dà speranza alla Chiesa alla vigilia del terzo millennio cristiano. Vostro merito è l’avere riscoperto una predica-zione cherigmatica che invita alla fede anche i lontani, realizzando un itinerario post-battesimale secondo le indicazioni dell’Ordo initiationis Christianæ Adultorum, richiamate dal Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. n. 1231)” Sarebbe stato bello poter porre un quesito a Padre Zoffoli, ma il buon passionista è morto alcuni anni fa ed ora sa quale sia la verità: come può la Chiesa, per mezzo di un legittimo successore di Pietro, approvare e raccomandare un movimento che, come Lei ha dimostrato, è eretico? Cosa si può rispondere a quei catecumenali eretici, che ribattono ai nostri argomenti mettendo in avanti le parole di Giovanni Paolo II? Non potrebbero dire a ragione che sono stati ingannati dal Papa e dalla Chiesa, il che è impossibile? In una parola: l’approvazione del “Cammino Catecumenale” non pone perlomeno dei dubbi sull’Autorità di Giovanni Paolo II?


    Rispetto e dialogo con le religioni dei sacrifici umani


    La "dichiarazione conciliare" Nostra Ætate (28 X 1965) ha stabilito quali siano i rapporti tra la “Chiesa cattolica” e le religioni non cristiane: rispetto e dialogo (n. 2). (“Rispetto” significa, per il dizionario Zingarelli, “sentimento nato da stima o da considerazione verso persone ritenute superiori, verso princìpi o istituzioni”). I documenti che commentiamo non sono altro che una applicazione del Con-cilio Vaticano II. Innanzitutto, la lettera del Pontificio Consiglio per il Dialogo InterReligioso ai Presidenti delle Conferenze Episco-pali di Asia, America e Oceania, intitolato “Attenzione Pastorale alle religioni tradizionali” (23 XI 1993, O. R., 21 gennaio 1994,
    pag. 7). Cosa sono mai queste “Religioni tradizionali” di cui non troverete traccia nella Scrittura o nella Tradizione della Chiesa?
    Sono quelle religioni un tempo chiamate pagane o idolatre. Ma “alcuni nomi (per esempio paganesimo, feticismo) hanno un significato negativo e oltre a ciò non descrivono realmente il contenuto delle stesse” (n. 2). Ci vuole un nome “positivo” (Religione Tradizionale, Popolare, Indigena) per delle "religioni" che non sono più considerate come idolatre. Sì, la Bibbia... non aveva ragione! Sono arrivati i sociologi e gli etnologi vaticani a spiegarci che questi
    ex-pagani “hanno in genere una chiara credenza in un unico Dio” (n. 3). Sono, quindi, monoteisti! Benché credano anche negli “spiriti”, che alcuni chiamano “dèi” o “divinità”, e negli antenati. E benché “il culto si rivolga in generale agli spiriti e agli antenati e alle volte a Dio. (...) Il timore degli spiriti maligni o degli antenati motiva molti atti di culto” (n. 3). Quindi, di Dio si occupano pochino, e preferiscono render culto agli dèi ed ai demoni (o spiriti maligni). La “Parola di Dio”, di cui, dopo il Concilio, ci si riempe tanto la bocca, non dice forse che dèi e demoni sono la stessa cosa? “Tutti gli dèi delle genti son demoni” (Ps. 95, 5). E san Paolo, l’Apostolo per eccellenza, non diceva ai pagani convertiti di Corinto che “quel che sacrificano i Gentili lo immolano ai demoni, non a Dio” (1 Cor. 10, 20)? Tanto più che tra le “ombre” o gli “elementi negativi” delle “Religioni tradizionali” ci sono anche, per ammissione del documento stesso della “Santa Sede”, i “sacrifici umani” (n. 5). Eppure, “la Chiesa rispetta le religioni e le culture dei popoli” (n. 8) e “con coloro che aderiscono alla religione tradizionale e non desiderano ancora diventare cristiani, il dialogo deve essere inteso nel senso ordinario di incontro, comprensione reciproca, scoperta dei semi del Verbo in queste religioni e ricerca comune delle volontà di Dio” (n. 9). E noi che pensavamo che bisognasse semplicemente annunciare il Vangelo e, se non si è accolti, si dovesse scuotere la polvere dai calzari “in testimonianza contro di loro” (cfr. Mt 10, 14; Mc 6, 11; Lc 9, 5). Il "cardinale" Arinze, firmatario del documento, ed il Concilio stesso, obbietteranno che anche nel paganesimo c’è qualcosa di “nobile, vero e buono” (n. 8). Certamente, giacché il Male assoluto non esiste ed ogni male consiste in una privazione di bene: anche il diavolo ha qualche cosa di “nobile, vero e buono” (la natura angelica creata da Dio). Il che non ci autorizza ad avere stima e rispetto verso di lui o a instaurare con lui un dialogo. Si potrà obbiettare altresì che la religione cristiana non ha rifiutato gli apporti positivi della cultura classica greco-romana. Perché non compiere il medesimo processo di “inculturazione” con le civiltà con le quali viene a contatto il Vangelo? Si tratta di una vecchia questione che la Chiesa risolse, sostanzialmente, condannando i “riti cinesi” ideati dai missionari gesuiti del XVII secolo. Il termine “inculturazione” non si ritrova nel Vaticano II, ma se ne ritrova l’idea (particolarmente nella sciagurata "Gaudium et Spes" e Ad Gentes).Ora, la Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti ha emanato la “IV Istruzione per una corretta applicazione della Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia (nn. 37-40)” intitolata “La liturgia romana e l’inculturazione” (25 gennaio 1994, O. R. 30 marzo 1994, pagg. 6-9). Un esempio pratico riassumerà il lungo documento che non possiamo, come vorremmo, commentare dettagliatamente: le danze tribali che tutti hanno potuto osservare durante le “Messe” del Sinodo Africano, sono solo l’applicazione del numero 42 dell’Istruzione che autorizza nella liturgia il “battito delle mani”, il “movimento ritmico del corpo”, i “movimenti di danza dei partecipanti”. Quali gli errori dell’ “inculturazione”? Innanzitutto, pensare che il processo di cristianizzazione di una cultura pagana possa essere decretato a tavolino; esso è un fatto spontaneo che nasce dalla vita e non dalle decisioni dei burocrati vaticani. In seguito, e soprattutto, il presupposto che tutte le culture abbiano la medesima dignità e la medesima possibilità di conciliarsi col cristianesimo. È, in fondo, l’errore neomodernista condannato da Pio XII in Humani Generis a proposito della filo-sofia: l’opera di cristianizzazione di quella aristotelica operata da San Tommaso non è ripetibile con le altre filosofie. Similmente per le culture diverse, di cui la filosofia è un aspetto. Certo, il cristianesimo non è sottomesso ad una cultura, in quanto è cattolico, cioè univer-sale. Tuttavia, è Dio che ha scelto un popolo, quello ebraico, per affidargli la Rivelazione. E Dio stesso ha scelto Roma per essere la sede del Suo Vicario in terra. La Chiesa è romana. Pretendere che essa è bantù quanto è romana non è conforme alla volontà di Dio. Malgrado le affermazioni contrarie del documento vaticano (nn. 46-51) il risultato dell’ “inculturazione” è la “ri-paganizzazione” di popoli già convertiti al cattolicesimo, coi bei risultati che si sono visti in Rwanda e altrove. Il 10 aprile Giovanni Paolo II “ha presieduto nella Basilica Vaticana alla solenne "concelebrazione eucaristica" [con balli e danze!] per l’apertura dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi” (O. R., 11-12 aprile 1994, pag. 5) ribadendo la centralità del Vaticano II (n. 5) e dell’ecumenismo (n. 8). Quali sono i frutti del Sinodo? Il noto missionario padre Gheddo li commenta per noi: “La Chiesa di Roma apre le porte allo stregone”. «Il tema che più colpisce per la sua novità -scrive p. Gheddo - è il “dialogo con la religione tradizionale” (...). “Un dialogo strutturato attorno all’eredità religiosa - dice il messaggio finale del Sinodo - è fortemente raccomandato dalle nostre Chiese locali con i garanti dei nostri valori culturali e della nostra religione tradizionale”. I “garanti” sono i cosiddetti “stregoni” e gli “antenati” vivi e defunti». Il risultato? Ce lo dice - tutto contento - lo stesso p. Gheddo: “In Africa la grande maggioranza dei cristiani va a Messa la domenica ma poi frequenta anche il culto tradizionale” (La Voce). Aspetteremmo invano che il Sinodo, di cui “il Concilio Vaticano II è la principale fonte di ispirazione” (Giovanni Paolo II), ricordi ai cattolici africani quanto disse San Paolo a quelli di Corinto: “non potete bere il calice del Signore ed il calice dei demonii, non potete partecipare alla mensa del Signore e a quella dei demonii” (I Cor. X, 21). Non c’è più lo zampino del diavolo, per il Vaticano II, nell’ ex-idolatria, ora “religione tradizionale”. E gli africani non hanno più il diritto di diventare veramente cristiani, liberandosi, come i nostri antenati, dalle tenebre del paganesimo.

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    Predefinito Riferimento: In quelle tenebre: 1978-2005

    DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II ALL'ANTIDEFAMATION LEAGUE OF B'NAI B'RITH

    ERA IL 29 SETTEMBRE 1994...FESTA DI SAN MICHELE ARCANGELO!!!

    Riportiamo qui integralmente da “L'Osservatore Romano del 30/09/94 pag. 6) il breve discorso che Giovanni Paolo II ha rivolto ad una
    delegazione dell'A.D.L. nel Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo. (Ricordiamo al lettore che nel n. 38 di Sodalitium pagg. 58-64, potrà trovare abbondanti informazioni su questa famosa organizzazioneebraica di origine massonica). Riferendosi al libro della Genesi (XII, 2) egli include ebrei e cristiani nella benedizione che il patriaca Abramo doveva portare a tutti i popoli della terra. S. Paolo invece spiega chiaramente che la benedizione apportata da Abramo consiste nel suo discendente, Nostro Signore Gesù Cristo, il quale è stato accolto dai cristiani (di qualunque stirpe essi siano, “giudei e greci”) ed è stato respinto da quelli che, tra gli ebrei, sono rimasti fedeli alla Sinagoga.Quest'affermazione di Giovanni Paolo II, quindi, è contraria alla divina rivelazione.



    « Cari amici,
    Sono veramente lieto di dare il benvenuto alla delegazione dell’Anti-Defamation League of B’nai B’rith. È con grande gioia che vi do il benvenuto. Nelle sue gentili parole, signor Presidente, lei ha parlato dell’amicizia e della sua forza di coesione nelle nostre vite. L’amicizia è un gran dono di Dio ed è una benedizione per chiunque l’esperimenti. L’amicizia sincera possiede una forza capace di costruire dei ponti indistruttibili, di resistere a molti mali e
    superare ogni genere di difficoltà. Al tempo stesso essa pone una sfida continua a coloro che cercano di essere amici. Queste convinzioni sono alla base delle seguenti parole che scrissi in occasione della Commemorazione del Cinquantesimo Anniversario
    della rivolta del Ghetto di Varsavia: “Come Cristiani ed Ebrei, seguendo l’esempio della fede di Abramo, siamo chiamati ad essere
    una benedizione per il mondo (cfr. Gen XII, 2). Questo è il compito comune che ci attende. È quindi necessario per noi, Cristiani ed Ebrei, essere prima di tutto una benedizione gli uni per gli altri. Ciò accadrà effettivamente se ci manterremo uniti di fronte ai mali che sono ancora minacciosi: indifferenza e pregiudizi, così come dimostrazioni di antisemitismo” (21 aprile 1993). Non fu forse il legame di amicizia che in tante occasioni durante i terribili giorni del passato, ispirò il coraggio dei Cristiani che aiutarono i loro fratelli e sorelle Ebrei, persino a prezzo della loro vita? Giustamente nessuno ha un amore più grande di colui che dà la propria vita per i suoi amici (cfr. Gv XV, 13). L’amicizia si pone contro l’esclusione e fa sì che le persone resistano insieme di fronte alla minaccia. Che la nostra amicizia, rafforzata dal rispetto che abbiamo per la Divina Provvidenza, ci renda sempre più uniti, per il bene del mondo intero ».


    Questo discorso è particolarmente impressionante se lo si raffronta con le notizie, che giungono da ogni dove, di azioni legali pro-mosse
    dall'A.D.L. o dalla Licra contro numerosi fedeli cattolici. È ancora nella memoria di tutti la condanna di un Mons. Lefebvre morente da parte di un tribunale francese in seguito ad una denuncia della Licra.
    Nell'estate del 1994, un povero cristiano di settantacinque anni, Marcel Junin, insegnante in pensione, fu denunciato dalla Licra (Lega contro il razzismo e l'antisemitismo). Quale la sua colpa? Aver scritto una lettera ad un quotidiano locale (Sud-Ouest 6/07/1994). In
    Giovanni Paolo II con la delegazione dell' A.D.L. del B'nai B'rith
    essa, dopo essersi dichiarato “spiritualmente semita” (secondo le note parole di Pio XI) ed aver precisato di non aver nessun preconcetto razziale, l'ex-professore interveniva in merito
    ad una conferenza dell'"arcivescovo" di Bordeaux Mons. Eyt, pronunciata il 13 giugno e intitolata: “Chi ha ucciso Gesù?”. Per il prelato la risposta era evidente: i romani. Il pensionato rispondeva citando il Vangelo di S. Matteo laddove si evidenziano ben altre responsabilità. Gli rispose l'11 luglio sul medesimo giornale il Gran Rabbino di Bordeaux, Claude Maman, scrivendo tra le altre cose: la lettera del sig. Junin “costituisce un incitamento all'odio razziale e il ritorno ad un antisemitismo di origine religiosa, del quale il popolo ebraico ha fin troppo sofferto (…) per quel che concerne il processo di Gesù ci tengo a precisare che molti teologi, e non di poco
    conto, appartenenti al cattolicesimo si sono interessati a un così gran numero di inverosimiglianze, oscurità e errori che hanno accom-pagnato questo processo (…). Ci teniamo a testimoniare tutta la nostra simpatia e amicizia a Mons. Eyt arcivescovo di Bordeaux che
    in conformità alle decisioni del Vaticano II del 1965, ha avuto il coraggio ed il gran merito di ristabilire la verità (…)”.


    È quindi per avere citato il Vangelo che un cristiano fu denunciato e processato il 21 ottobre 1994 dal tribunale di Cahors dagli emuli dei “cari amici” di Giovanni Paolo II, proprio colui che avrebbe dovuto essere in prima fila nel difendere il signor Junin
    e la storicità dei Vangeli.

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    Predefinito Riferimento: In quelle tenebre: 1978-2005

    Karol Wojtyla insulta Sant'Ambrogio in nome del feticcio della "Libertà religiosa"

    ERA IL 1 DICEMBRE 1996...


    Nel cammino verso il famigerato e nullo "giubileo" del 2000, secondo il progetto che Giovanni Paolo II espose nella sua "Tertio millennio
    adveniente", si moltiplicarono i “mea culpa della Chiesa”, ovvero l’umiliazione della Chiesa cattolica sotto le accuse di Karol Wojtyla e degli altri settatori della riforma conciliare. Queste parole sono dure, è vero, ma sorgono spontanee dall’amore per la Chiesa ed i suoi Santi. Prima dell’annunciato mea culpa per “l’antisemitismo cristiano” e per l’Inquisizione, Giovanni Paolo II rivolse gravissime accuse al grande dottore e padre della Chiesa, Sant’Ambrogio, vescovo di Milano. Per colmo di ironia, l’offesa a questo grande Santo fu scritta in una “Epistola Apostolica” (Operosam diem, pubblicata da L’Osservatore Romano del 6 dicembre 1996) che Giovanni Paolo II indirizzò, il 1° dicembre 1996 all'impresentabile Carlo Maria Martini, allora “arcivescovo”di Milano, proprio in preparazione al XVI centenario della morte del Santo (4 aprile 397). Certo, Giovanni Paolo II riconobbe in Sant’Ambrogio “uno dei grandi Padri della Chiesa ancora indivisa” (n. 29) [come e la Chiesa, una, potesse essere divisa, e come se “ortodossi” e protestanti fossero delle parti, divise dalla cattolica, della Chiesa un tempo indivisa], e lo indicò persino a esempio di ecumenismo (n. 29). Nonostante ciò, Giovanni Paolo II approvò dei gesti poco ecumenici di Sant’Ambrogio: come quando contrastò, nel 385, l’ordine imperiale di cedere agli ariani una basilica (n. 3) o come quando, nel 384, si oppose alla domanda del prefetto dell’Urbe di ripristinare in Senato la statua della dea Vittoria (n. 7). Sant’Ambrogio poté quindi opporsi ai paga-ni e agli ariani senza incorrere nelle censure di Giovanni Paolo II; purtroppo, la sua opposizione alle pretese degli ebrei sembra, dopo il "Vaticano II", assolutamente imperdonabile: sarebbe rimettere in discussione la teoria del massone Jules Marx Isaac, secondo il quale i Padri della Chiesa sono colpevoli, irrimediabilmente colpevoli, di aver praticato un “insegnamento del disprezzo” nei confronti del giudaismo, disprezzo che, in definitiva, sarebbe sfociato nell’“Olocausto”. “Se gli riuscì di coniugare fermezza ed equilibrio negli interventi già menzionati - nella questione cioè dell’altare della Vittoria e quando fu richiesta una basilica per gli ariani - inadeguato si rivelò invece il suo giudizio (ipsius tamen iudicium imperfectum emersit) nell’affare di Callinico, quando nel 388 fu distrutta la sinagoga di quel lontano borgo sull’Eufrate. Ritenendo infatti che l’imperatore cristiano non dovesse punire i colpevoli e neppure obbligarli a porre rimedio al danno arrecato, andava ben oltre la rivendicazione della libertà ecclesiale, pregiudicando l’altrui diritto alla libertà e alla giustizia (inficiens aliorum ius ad libertatem adque iustitiam)” (n. 12). Così scrisse [con evidente farneticazione] Giovanni Paolo II di Sant’Ambrogio: egli avrebbe violato l’altrui (degli ebrei) libertà
    (nell’approvare la distruzione della sinagoga di Callinico) e la giustizia (nel pretendere che i cristiani non fossero costretti a ricostruire a loro spese la sinagoga distrutta). Ora, conculcare
    la giustizia e la libertà è (oggettivamente) un peccato mortale (del quale Sant’Ambrogio mai si pentì) per cui dovremmo concluderne che: o il Santo sapeva quel che faceva, e allora egli si troverebbe all’inferno (!), oppure non lo sapeva, e allora il Dottore della Chiesa era un ignorante (!) in materia di giustizia. A tanto
    conduce l’aberrante e gravemente ingiuriosa affermazione di Operosam diem n. 12... Ma cosa accadde veramente a Callinico? Consigliamo, come abbiamo fatto, la lettura delle due epistole di Sant’Ambrogio su questa questione. Basti dire che persino The Jewish Encyclopedia (alla voce “Ambrose”, vol. 1, coll. 488-489; New York-London, 1907) e la più recente Encyclopædia Judaica (voce “Ambrose”, vol. 2, col. 801; Jerusalem), fonti al di sopra di ogni sospetto (di antisemitismo, beninteso) riferiscono entrambe quanto Giovanni
    Paolo II occultò, e cioè che il Vescovo e i cristiani di Callinico distrussero la locale sinagoga [un tempio gnostico fu demolito da dei
    monaci, ma ciò non offusca Giovanni Paolo II] come ritorsione per le numerose chiese e basiliche cristiane (quelle di Damasco, Beirut,
    Gaza, Ascalona...) che gli ebrei avevano demolito sotto il regno del loro amico e protettore Giuliano l’apostata (sì, proprio lui, l’idolo degli “antisemiti” neo-pagani!). Nessun imperatore aveva mai dato l’ordine agli ebrei di ricostruire quelle chiese a proprie spese, come invece il cristianissimo Teodosio faceva invece con i suoi correligionari, obbligandoli a ricostruire la sinagoga di Callinico! Si comprendono allora le proteste di sant’Ambrogio nella sua epistola a Teodosio, il suo rifiuto di celebrare la Messa se l’imperatore non avesse ritrattato il suo ordine, la sua vittoria finale con la revoca della ingiusta decisione di Teodosio. Giovanni Paolo II aveva già offeso la memoria di Santa Caterina da Siena; in quel momento offese
    Sant’Ambrogio... Nelle litanie dei Santi si pregava Dio di umiliare i nemici della Chiesa (Ut inimicos Sanctæ Ecclesiæ humiliare digneris, Te rogamus audi nos); fino a quando sopporteremo che Karol Wojtyla, personalista giudaizzante, umilii la Chiesa e i suoi Santi per amore dei suoi nemici? Post scriptum: Sant’Ambrogio chiama la sinagoga “luogo d’incredulità, dimora d’empietà, ricettacolo di follia, condannato da Dio stesso” (Ep. 74, n. 14).

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    GIOVANNI PAOLO II FONDA LO PSEUDO-DIRITTO ALLA LIBERTà RELIGIOSA SULLA RIVELAZIONE!
    ERA IL 18 FEBBRAIO 1996...


    Nel 1996 Giovanni Paolo II Dedicò molti dei suoi discorsi in occasio-ne dell’Angelus domenicale ai testi del Vaticano II, a trent’anni dalla sua conclusione. Ricordiamo solo quanto detto da lui il 18
    febbraio 1996 a proposito della dichiarazione Dignitatis humanæ sulla libertà religiosa. “La Dignitatis humanæ, in nome della retta ragione e della rivelazione proclama un vero diritto alla libertà religiosa”, diritto definito in DH n. 2. Sottolineiamo l’importanza di questa interpretazione “autentica” del famoso testo conciliare; per Wojtyla, questa dottrina, che contraddice il magistero e la prassi della Chiesa, sarebbe rivelata da Dio. Il problema posto da Dignitatis humanæ è, quindi, ineludibile per la coscienza di tutti i cattolici.



    GIOVANNI PAOLO II APPLICA FRAUDOLENTEMENTE AD EDITH STEIN LA CATEGORIA DI “MARTIRE del popolo ebreo”

    ERA IL 10 AGOSTO 1996...

    In un curioso discorso, nel quale Giovanni Paolo II applicò il termine “illuminismo” all’illuminazione che l’uomo può ricevere da
    Dio con i doni dello Spirito Santo (cfr OR 12- 13 agosto 1996, pag. 4: Giovanni Paolo II offrì una profonda lettura teologica e storica
    dell’Illuminismo. A conclusione del Colloquio internazionale dedicato al tema ‘Illuminismo oggi’ svoltosi dall’8 al 10 agosto a Castel
    Gandolfo), Karol Wojtyla ritornò sulla sua prediletta Edith Stein. Dopo aver ricordato che ella era stata “collaboratrice di Husserl” (filosofo ebreo, padre della fenomenologia, la "filosofia" wojtyliana incompatibile con la scolastica in genere e san Tommaso in particolare), Giovanni Paolo II affermò: “Allo stesso tempo, è stata ammessa, con la palma del martirio, nel martirologio della Chiesa. Sappiamo che è stata arsa, come figlia del popolo ebreo, nei forni di Auschwitz”. Ci preme rassicurare i forumisti: Edith Stein non fu arsa viva, come lo lasciò credere Giovanni Paolo II (solo il cadavere fu cremato!). È indubitabile però che morì in campo di concentamento. Fu martire, come è stata "proclamata" da Giovanni Paolo II?
    Forse, giacché ella si convertì al cristianesimo e divenne monaca di
    clausura, e tale era quando fu deportata. Certamente, non fu martire “come figlia del popolo ebreo”. Questo non vuol dire che sia
    lecito uccidere qualcuno solo perché “figlio del popolo ebreo” (ogni uccisione diretta di un innocente è un crimine), ma vuol dire che per essere “martire della fede cristiana” occorre, va da sé, essere uccisi in odio alla fede cristiana, e non per un altro motivo, quale
    che sia. È veramente desolante dover ricordare delle cose che dovrebbero essere evidenti, e che invece non lo sono più. [In nota: già nel suo discorso ai membri della Associazione delle Vittime del Campo di Concentramento di Auschwitz-Birkenau (O.R. 10-11 giugno 1996, pag. 1), Giovanni Paolo II aveva attribuito a tutte le vittime di Auschwitz, cristiane e non cristiane, il titolo di “martiri”].

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    GIOVANNI PAOLO II AFFERMA CHE VI SONO DEI SANTI NELLA SETTE ACATTOLICHE!

    ERA IL 25 AGOSTO 1996...

    Se Giovanni Paolo II non ebbe timore di criticare i Santi, purché cattolici, non ha avuto il minimo rimprovero da muovere a chi, staccandosi dalla comunione con Pietro e cadendo nello scisma
    e nell’eresia, si è separato dalla Chiesa. Anzi, fuori dalla Chiesa è possibile giungere alla santità, a persino a quel vertice della santità che è il martirio. Sempre sulla linea della scandalosa "Tertio millennio adveniente" Giovanni Paolo II ribadì
    che la nota di santità si trova anche fuori dalla Chiesa cattolica: “E che dire - ha detto all’Angelus del 25 agosto 1996 - della grande esperienza di martirio, in cui ortodossi e cattolici,
    nei Paesi dell’Est europeo, sono stati accomunati in questo nostro secolo? (...) Veri martiri del XX secolo, essi sono una luce per la
    Chiesa e per l’umanità (...). Se al termine del Secondo Millennio essa è ‘diventata nuovamente Chiesa di martiri’ (Tertio Millennio ad-veniente, n. 37), possiamo sperare che la loro testimonianza, raccolta con cura nei nuovi martirologi, e soprattutto la loro intercessione, affrettino il tempo della piena comunione tra i
    cristiani di tutte le confessioni, e in special modo tra le venerate Chiese Ortodosse e la Sede Apostolica” (L’Osservatore Romano, 26-
    27 agosto 1996, pag. 1). È possibile che molti di questi “ortodossi” vittime del comunismo siano salvi a causa dell’ignoranza invincibile
    della vera Chiesa; è però impossibile che ci sia vera santità e vero martirio fuori dell’unica vera Chiesa, la Chiesa cattolica, ed è impossibile che delle persone che professarono una fede contraria alla vera fede cristiana siano additati, come santi, all’esempio dei fedeli cattolici. Se la santità fiorisce fuori dalla Chiesa, allora
    la Chiesa non è la sola Chiesa di Cristo, e la “piena comunione con la Sede Apostolica” diventa facoltativa per la salvezza e la santificazione di un cristiano.

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    ERA IL 1 SETTEMBRE 1999...

    Nel discorso di Giovanni Paolo II durante l’udienza generale
    del 1 settembre 1999 (D.C. 2211, pp. 834-835, OSSERVATORE ROMANO. 2 sett. p. 4) riprese i temi di Tertio Millennio Adveniente, preparando la grande abiura avvenuta poi il mercoledì delle Ceneri del 2000.
    Ne consiglio vivamente la lettura ai forumisti anti-meaculpisti.

    ERA L'11 GIUGNO 1999...

    “Nel pomeriggio di venerdì 11 giugno, "Papa" Giovanni Paolo II si è raccolto davanti al monumento delle vittime dell’Olocausto, edificato nel 1988 (...). Il "Papa", circondato dai membri della comunità ebraica, è stato a lungo in silenzio prima di pronunciare una preghiera al ‘Dio di Abramo, Dio dei Profeti...’. Su iniziativa di Steven Goldstein, il "Papa" ha scritto una preghiera che è stata stampata su di una immagine diffusa in Polonia in un milione di esemplari. Essa riproduce la foto dell’incontro del "Papa"
    e del rabbino capo Elio Toaff, a Roma, il 13 aprile 1986. Il "Papa" ha letto questa preghiera a alta voce in questo luogo del ghetto di Varsavia. Eccone il testo integrale:

    ‘Dio di Abramo, Dio dei Profeti, Dio di Gesù Cristo, in te tutto è contenuto; verso di te tutto si dirige; tu sei il termine di tutto. Esaudisci la nostra preghiera per il popolo ebraico, che a motivo dei suoi Padri Tu prediligi ancor oggi. Suscita in esso il desiderio sempre più vivo di penetrare profondamente la tua verità e il tuo amore. Assistilo, affinché, nei suoi sforzi per la pace e la giustizia, sia sostenuto nella sua grande missione di rivelazione
    al mondo della tua benedizione. Che esso trovi rispetto e amore presso coloro che non capiscono ancora le sue sofferenze, come pure
    presso coloro che compatiscono alle profonde ferite che gli sono state inflitte, con un sentimento di mutuo rispetto, gli uni verso gli altri. Ricordati delle nuove generazioni, dei giovani
    e dei bambini: che perseverino nella fedeltà verso di te, in ciò che costituisce l’eccezionale mistero della loro vocazione. Ispirali,
    affinché l’umanità comprenda che tutti i popoli hanno una sola origine e un solo fine: Dio, il cui piano di Salvezza si estende a tutti gli uomini. Amen’”. (Testo francese in DOCUMENTATION CATHOLIQUE, n. 2208, p. 678. L’OSSERVATORE ROMANO del 13 giugno, p. 4 narra il fatto ma non trascrive la preghiera).

  7. #7
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    SPAVENTEVOLE INTERVENTO "MAGISTERIALE" DI K. WOJTYLA CONTRO L'ANTIGIUDAISMO TEOLOGICO
    ERA IL 31 OTTOBRE 1997...


    Giovanni Paolo II ricevette in udienza i partecipanti all’Incontro di studio su “Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano”. In quest’occasione, rivolse un discorso in francese, poi pubblicato su L’Osservatore Romano del 1 novembre (p. 6) e tradotto in italiano dallo stesso quotidiano, in data 3-4 novembre (p. 7). Dopo aver inscritto il simposio nel clima della preparazione al Giubileo, Giovanni Paolo II disse: “L’oggetto del vostro simposio è la corretta interpretazione teologica dei rapporti della Chiesa di Cristo con il popolo ebreo, di cui la dichiarazione conciliare Nostra Aetate ha posto le basi, e sui quali, nell’eserci-zio del mio Magistero, io stesso ho avuto l’opportunità di intervenire in diverse occasioni” (n. 1). L’oggetto in questione è della massima importanza, poiché concerne il dato rivelato (i rapporti tra la Chiesa e il popolo ebreo); eppure, per Giovanni Paolo II, il Magistero della Chiesa non si sarebbe mai espresso a proposito, prima del Vaticano II. In realtà, ciò di cui ci si vuole occupare, è l’antigiudaismo cristiano, così descritto da Giovanni Paolo II: “In effetti, nel mondo cristiano - non dico da parte della Chiesa in quanto tale - interpretazioni erronee e ingiuste del Nuovo Testamento riguardanti il popolo ebreo e la sua presunta colpevolezza sono circolate per troppo tempo, generando sentimenti di ostilità nei confronti di questo popolo” (n. 1). Giovanni Paolo II cerca di distinguere le responsabilità della “Chiesa in quanto tale” da quella del “mondo cristiano” (o, come recita il titolo del convegno, dell’“ambito cristiano”). Invano. Poiché la tesi della responsabilità morale collettiva del popolo ebreo nella morte di Cristo il “deicidio”), nella misura in cui esso rifiuta ancor oggi Cristo, si trova nell’interpretazione che i Padri della Chiesa, i santi, i Papi e i Dottori hanno sempre dato, unanimi, del Nuovo Testamento. “Il nostro fine -dichiarò il domenicano Georges Cottier, teologo della Casa Pontificia - è capire come fu possibile che vescovi, papi e santi abbiano giustificato le persecuzioni”. Non si vede, pertanto, come la Chiesa “in quanto tale” possa non essere coinvolta nella condanna wojtyliana. “I vostri lavori” aggiunse Wojtyla “completano la riflessione condotta soprattutto dalla "Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo", tradotta, fra le altre cose, negli Orientamenti del 1 dicembre 1974 e nei ‘Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica’ del 24 giugno 1985” (n. 1). Egli conferma pertanto, col suo “magistero” ordinario, i documenti succitati. A uno di questi ho già fatto allusione, ma vale la pena di citare in intero la pro-posizione che Giovanni Paolo II fa propria: “I vangeli sono il frutto di un lavoro redazionale lungo e complesso. (!!!!!!!!!!!...) Non è quindi escluso che alcuni riferimenti ostili o poco favorevoli agli ebrei abbiano come contesto storico i conflitti tra la Chiesa nascente e la comunità ebraica. Alcune polemiche riflettono le condizioni dei rapporti tra ebrei e cristiani, che, cronologicamente, sono molto posteriori a Gesù” (IV, 1, a). Questa affermazione, fatta propria da Giovanni Paolo II, è di una estrema gravità. Prima si insinua (non è quindi escluso...) e poi si afferma chiaramente (alcune polemiche riflettono...) che una parte dei vangeli, quella ostile agli ‘ebrei’, non è autentica, in quanto attribuisce a Gesù delle parole e delle idee che Egli, in realtà, non avrebbe mai pronunciato né concepito. Ma se le cose stanno così, è la storicità dei Vangeli a essere compromessa, assieme alla loro ispirazione divina; tutta la fede cristiana crollerebbe, pertanto, miserabilmente, ed i Giudei avrebbero affibbiato a ragione a Cristo il titolo poco onorevole di “impostore” (Mt 27, 63), ed ai cri-stiani la colpa di essere ancora più imbroglioni del loro Maestro (cf Mt 27, 64). Che questo documento sia stato proposto da un organismo della “Santa Sede” è stupefacente; che “il Papa” lo abbia approvato e fatto suo è un vero e proprio “mistero di iniquità”; che la maggioranza dei cattolici non se ne sia neppure accorta o che non faccia una piega nel leggere simili blasfemie, è una autentica vergogna... Ma il discorso di Giovanni Paolo II non si limita a questo. “Questo popolo - aggiunge - è invitato e guidato da Dio, creatore del cielo e della terra. (...) Questo popolo persevera a di-spetto di tutti perché è il popolo dell’Alleanza e perché, nonostante le infedeltà degli uomini, il Signore è fedele alla Sua Alleanza.
    Ignorare questo dato importante significa impegnarsi sulla via di un marcionismo contro il quale la chiesa aveva reagito subito con vigore...” (n. 3). Questa frase di Giovanni Paolo II, che esprime un concetto da lui espresso già più volte è, sicut sonat, contraria alla divina Rivelazione. Giovanni Paolo II vuol probabilmente far allusione a quanto scrive San Paolo (Rm 11, 28-29): Riguardo al vangelo, sono nemici per via di voi, ma rispetto all’elezione sono
    amati per via dei padri; i doni e la vocazione di Dio non sono cose che soggiacciono a pentimento. Giovanni Paolo II, innanzitutto, mutila
    in questo punto la dottrina di San Paolo: gli ebrei non cristiani sono nemici per quanto riguarda il Vangelo. In seguito, egli distorce il pensiero dell’Apostolo. San Paolo, come si vede dal contesto, annuncia la futura conversione del popolo ebraico, ora incredulo (Rm
    11, 25 ss): in questo si manifesta l’amore di Dio, e la sua misericordia (vv. 31-32), a causa dei padri. Ma egli non intende affatto dichiarare eterna la antica alleanza col popolo ebraico.
    Esso non è più il popolo eletto (cf Mt 21, 41; Rm 9, 25-26; 1 Tess 2, 15-16; Pio XI: decreto del S. Uffizio del 25 marzo 1928, e ‘Atto di
    consacrazione al Sacro Cuore di Gesù’). Anche Giuda fu eletto come Apostolo, e i doni e la vocazione di Dio non sono cose che soggiacciono a pentimento; eppure egli perse l’apostolato (Atti 1, 20 e 25) per la sua infedeltà. È questa l’interpretazione tradizionale e
    vera di questo versetto (cf S. Tommaso, ad Romanos, lectio IV, n. 925; Mons. Landucci, La vera carità verso il popolo ebraico, in Renovatio, n. 3, 1982, pp. 360-363; Mons. Spadafora, Cristianesimo e giudaismo; ed. Krinon Caltanisetta 1987: vedere il commento dell’epistola ai Romani pagg. 83-106, specialmente pagg. 103-106 che riguarda Rom. XI, 28-29; il testo di Landucci è ripreso da Spadafora
    pagg. 107-126; Sodalitium, n. 26, pp. 30-31). Ultima osservazione. Giovanni Paolo II concluse l’insegnamento della sua allocuzione con questa esortazione: L’insegnamento di Paolo nella Lettera ai Romani ci indica quali sentimenti fraterni, radicati nella fede, dobbiamo nutrire verso i figli di Israele (cfr Rm 9, 4-5). L’Apostolo lo sottolinea: ‘a causa dei loro padri’ essi sono amati da Dio, i cui
    doni e la cui chiamata sono irrevocabili (cfr Rm 11, 28-29) (n. 4). Quanto all’ultima citazione, abbiamo già notato l’omissione (gli
    ebrei sono nemici, dice san Paolo) e la distorsione (i doni di Dio sono irrevocabili da parte di Dio, ma possono essere perduti dall’uomo) del testo paolino fatti da Giovanni Paolo II. Quanto a Rm 9, 4-5, S. Paolo precisa subito dopo (vv 6-12) che non tutti i discendenti da Israele sono Israeliti, nè per essere seme d’Abramo son tutti figli: quanti rigettano Cristo non sono dei Giacobbe ma degli Esaù, rigettati da Dio (cf v. 13): applicare fraudolentemente ai giudei infedeli quanto la scrittura attribuisce solo a quelli fedeli è un inganno che avalla la menzogna stigmatizzata da S. Giovanni: dicono di essere Giudei e non lo sono; ma [sono invece] sinagoga di Satana (Ap 2, 9).

  8. #8
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    GIOVANNI PAOLO II ELOGIA IN UN PUBBLICO DISCORSO L'ERETICO HUS E CHIEDE VERGOGNOSAMENTE SCUSA PER LA SUA GIUSTA ARSIONE.

    ERA IL 17 DICEMBRE 1999...


    DAL DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO INTERNAZIONALE SU JAN HUS svoltosi a Roma (testo integrale in O.R., 18/12/99, p. 5): “È per me un motivo di grande gioia porgervi il
    mio saluto cordiale in occasione del vostro Simposio su Jan Hus, che costituisce un’ulteriore, importante tappa per una più profonda
    comprensione della vita e dell’opera del noto predicatore boemo, uno dei più famosi ed illustri maestri usciti dall’Università di Praga.
    Hus è una figura memorabile per molte ragioni. Ma è soprattutto il suo coraggio morale di fronte alle avversità e alla morte ad averlo
    reso figura di speciale rilevanza per il popolo ceco, anch’esso duramente provato nel corso dei secoli. Sono particolarmente grato a tutti voi per avere recato il vostro contributo al lavoro della Commissione ecumenica ‘Husovska’ costituita alcuni anni fa dal signor "Cardinale" Miloslav Vlk, allo scopo di identificare in modo più preciso il posto che Jan Hus occupa tra coloro che aspiravano alla riforma della Chiesa”. Giovanni Paolo II ha proseguito auspicando la pubblicazione degli Atti del Simposio “così che il maggior numero possibile di persone possa conoscere meglio (...) la straordinaria figura di uomo che egli fu (...). Oggi, alla vigilia del Grande Giubileo, sento il dovere di esprimere profondo rammarico
    per la crudele morte inflitta a Jan Hus per la conseguente ferita, fonte di conflitti e divisioni, che fu in tal modo aperta nelle menti
    e nei cuori del popolo boemo”.

    Le eresie di Hus furono condannate dal Concilio di Costanza il 6 luglio 1415, giorno in cui fu messo al rogo, condanna confermata
    da Martino V il 22 febbraio 1418 (DS 1201-1230); vedi anche le condanne contro gli hussiti e wyclifiti (DS 1247-1279).
    Riprovando la messa a morte di Hus e lodando la sua attitudine (impenitente) in quel frangente, Giovanni Paolo II sembra
    sostenere almeno due proposizioni CONDANNATE: 1) “i dottori che affermano che chi deve subire una censura ecclesiastica e non vuole
    emendarsi deve essere consegnato al braccio secolare, seguono in ciò incontestabilmente i pontefici, gli scribi e i farisei che consegnaro-no al braccio secolare il Cristo che non volle obbedire loro in ogni cosa, dicendo: ‘A noi non è consentito mettere a morte nessuno’;
    essi sono omicidi più colpevoli di Pilato” (Hus, DS 1214; cf DS 1272) 2) “è contro la volontà dello Spirito che gli eretici siano bruciati”
    (Lutero, DS 1483). Visti poi gli elogi a Jan Hus, bisognerebbe sottoporre Giovanni Paolo II ad almeno due delle domande da porsi - secondo la Bolla Inter cunctas di Martino V, del 22 FEBBRAIO 1418 - agli hussiti e wyclifiti: “se crede che le condanne di John Wi-clif, Jan Hus e Girolamo da Praga compiute dal sacro concilio generale di Costanza, delle loro persone, dei libri e dei documenti, sono state compiute nel modo dovuto e giustamente, e che come tali debbono essere tenute per ferme e saldamente affermate da ogni cattolico” (DS 1249) “ugualmente se crede, tenga per fermo e affermi che John Wyclif d’Inghilterra, Jan Hus di Boemia e Girolamo da Praga sono stati eretici, e come eretici debbono essere nominati e considerati, e che i loro libri e le loro dottrine sono state e sono perverse, e che per questi e queste, e per la loro pertinacia, per mezzo del sacro concilio di Costanza, sono stati condannati come eretici” (DS 1250). Infine bisognerebbe chiedergli se sostiene che “alcuni articoli di Jan Hus condannati nel concilio di Costanza sono cristianissimi, verissimi ed evangelici, e neppure la Chiesa universale potrebbe condannarli” (Lutero, DS 1480).

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    KAROL IN UN ATTO DEL SUO "magistero ordinario" CONTRO PAPA PIO XII
    ERA IL 19 FEBBRAIO 1998...

    Il “magistero” di Giovanni Paolo II contraddisse esplicitamente il Magistero di Pio XII.
    Udienza di Giovanni Paolo II ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità tra i Cristiani (Osservatore Romano, 20 febbraio 1998, p. 7). Mi limito ad un solo passaggio del discorso: “La meta, a cui il Signore Gesù ci chiama, ci guida e ci attende, - disse Giovanni Paolo II - è l’unità piena con quanti, avendo ricevuto lo stesso Battesimo, sono entrati a far parte dell’unico Corpo mistico” (n. 1). Giovanni Paolo II, pertanto, insegna esplicitamente che i battezzati non cattolici fanno parte del Corpo mistico di Cristo. Questa dottrina è già presente nel Vaticano II (Lumen gentium e Unitatis redintegratio): si usò però una formulazione diversa, per non contraddire apertamente Pio XII. Egli, infatti, dopo aver detto che “la Chiesa è il Corpo mistico di Cristo” prosegue affermando: “in realtà, tra i membri della Chiesa bisogna annoverare esclusivamente quelli che ricevettero il lavacro della rigenerazione e, professando la vera fede, né da se stessi disgraziatamente si separarono dalla compagine di questo Corpo, né per gravissime colpe commesse ne furono separate dalla legittima autorità. (...) Perciò, quelli che sono tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unità di tale Corpo, e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito” (Enchiridion delle encicliche, 6, 171; enc. Mystici Corporis). Questa enciclica era del 1943. Nel 1950, Pio XII condannava con queste parole quanti non ne accettavano la dottrina: “Certuni non si ritengono legati alla dottrina che Noi abbiamo esposta in una Nostra enciclica e che è fondata sulle fonti della Rivelazione, secondo cui il Corpo mistico di Cristo e la Chiesa cattolica romana sono una sola identica cosa. Alcuni riducono a una Vana formula la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere l’eterna salute. Altri infine non ammettono il carattere razionale dei segni di credibilità della fede cristiana” (enc. Humani generis; Enchiridion delle Encicliche, 6, 727). Si noti che per Pio XII l’identificazione tra la Chiesa cattolica romana ed il Corpo mistico di Cristo, con esclusione dei non cattolici, è dottrina che si fonda “sulle fonti della Rivelazione”. Giovanni Paolo II, in una materia che impegna la Rivelazione, e quindi la Fede, insegnò il contrario di Pio XII. Non si può credere nello stesso tempo - in virtù del principio di non contraddizione - che i battezzati non cattolici appartengono e non appartengono al Corpo mistico di Cristo; ogni cattolico deve scegliere: o accettare Pio XII, e rifiutare Giovanni Paolo II, o accettare Giovanni Paolo II e rifiutare Pio XII. Questo dilemma ci sembra inevitabile.

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    WOJTYLA DIFENDE PUBBLICAMENTE L'ERRORE DELLA LIBERTà RELIGIOSA (UN CASO TRA MILLE)
    ERA IL MARZO 1998...

    Durante i suoi viaggi “apostolici”, Giovanni Paolo II non mancò mai di incontrare le comunità NON cattoliche presenti nei paesi da lui visitati. Non fece eccezione il suo “pellegrinaggio in Nigeria” del 21-23 marzo 1998, durante il quale incontrò, nella Nunziatura Apostolica di Abuja, i Capi musulmani della Nigeria, rivolgendo loro un discorso riportato dall’Osservatore Romano (22-23/3/98, p. 8). Mi soffermerò su di un solo punto, che non fu una novità nel pensiero di
    Giovanni Paolo II: “I cristiani e i musulmani concordano sul fatto che, in materia religiosa, non possano esserci coercizioni. Siamo impegnati a promuovere atteggiamenti di apertura e di rispetto nei confronti dei seguaci di altre religioni. Tuttavia è possibile fare un errato uso della religione ed è compito dei capi religiosi vegliare affinché questo non accada. Soprattutto, ogni qual volta venga fatta violenza in nome della religione, dobbiamo chiarire a tutti che, in tali circostanze, non ci troviamo di fronte alla vera religione. L’Onnipotente infatti non può tollerare la distruzione della propria immagine nei suoi figli” (n. 3). “I cristiani e i musulmani concordano sul fatto che in materia religiosa non possano esserci coercizioni”. Questa prima proposizione è già erronea, e non solo quanto alla religione musulmana (che non concede pieni diritti ad ebrei e cristiani, li nega totalmente ai pagani, e punisce con la morte l’apostasia dall’islam), ma anche riguardo ai cristiani. Certo, la fede non può essere imposta dall’esterno, con coercizione o violenza. Ma, contrariamente alla miserabile "Dignitatis humanæ", la Chiesa ha sempre insegnato e praticato la liceità, in certi casi, della coercizione in materia religiosa, sia nei confronti dei battezzati, che si sottomettono liberamente al potere coercitivo della Chiesa, che, indirettamente, dei non battezzati. La Chiesa ha infatti un potere coercitivo, che consiste nell’imporre delle pene spirituali e/o temporali ai violatori della legge, anche contro la loro volontà (C.J.C., canoni 2195-2414; Denz. 499, 1504-1505, 1697, 1724), e può ricorrere, per farle applicare, all’aiuto dello Stato o “braccio secolare” (Denz. 401, 468 s, 640, 682, 773, 1689 s, can. 2198), il quale può applicare anche pene cruente, fino alla pena di morte, per delitti in materia religiosa (D 773). Lo stesso deve dirsi della violenza. “In particolare, ogni qual volta viene fatta violenza in nome della religione...”. Se diamo al termine “violenza” un valore necessariamente ed esclusivamente negativo, riservandolo solo all’uso illegittimo e illecito della forza, allora la violenza è, per l’appunto, sempre illecita e contraria alla religione. Non è questo però il significato esatto del termine, né nel linguaggio corrente, né in quello filosofico o teologico. La violenza è definita oggi come “coazione fisica o morale esercitata da un soggetto su di un altro, così da indurlo a compiere atti che altrimenti non avrebbe compiuto” e la “coazione” viene definita “violenza esercitata sulla volontà altrui”, dando come sinonimi “coercizione” e “costrizione”. Ora, questi concetti non includono necessariamente una valenza positiva: ogni pena per un delitto, ogni guerra o legittima difesa (vim vi repellere licet), ad esempio, come pure molte leggi e precetti, includono una certa “violenza” sulla volontà altrui, e ciò non sempre illegittimamente. San Tommaso asserisce essere lecita la violenza secondo giustizia per i pubblici poteri (II-II, q. 66, a. 8), al seguito di san Paolo (“il magistrato non porta la spada inutilmente” Rm XIII, 4). Lo sarà anche per la Chiesa? Senza dubbio, proprio perché è, come lo Stato, società perfetta, ed ha, come esso, il potere coercitivo (cf le citazioni precedenti tratte dal codice e dal Denzinger; cf anche S. Tommaso, II-II, q. 10, a. 8; q. 11, a. 3). La Chiesa ha, per esempio, approvato e promosso le Crociate, sia contro gli infedeli che contro gli eretici (Cf IV Concilio Lateranense), ove, indiscutibilmente, si faceva uso della “violenza” o meglio della forza. Come si può dire allora che “in tali circostanze non ci troviamo di fronte alla vera religione?”. Se Giovanni Paolo II intende dire che la Religione che dichiara lecita la coercizione anche corporale dei suoi sudditi e la difesa,
    anche con la forza, dai suoi nemici è una falsa religione, dichiara allora la falsità della Religione cattolica, almeno fino al Vaticano II, e trasforma i capi delle religioni (incluso il Papa, capo visibile della vera religione) in uno squallido propagandista del pacifismo e della non-violenza (almeno in materia religiosa). Se
    invece Giovanni Paolo II intendeva solo dire che la Fede sovrannaturale ed i suoi obblighi non possono essere imposti con la
    forza ai non battezzati (e, a fortiori, non possono essere imposte le false credenze), perché non si spiega meglio?

    Tutto il "magistero" wojtyliano mostra che la risposta a quest'ultima domanda è un completo no.

 

 
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