Primo fornitore di gas dell’UE (più del 35% in media e, per alcuni paesi come gli stati baltici, fino al 98%) e detentrice del 45% delle riserve mondiali comprovate di petrolio (eccetto OPEC e Stati Uniti), la Russia è diventata uno degli attori principali della scena energetica mondiale. Questa ricchezza ha solo risvolti positivi. Da un lato, il fenomeno “di russofobia„ resta pregnante nello spirito di alcuni europei (soprattutto fra i nuovi Stati membri dell’UE). D’altra parte, nella stessa Russia, le opinioni sulla politica del gas divergono fortemente: tra autorità politiche, dirigenti di Gazprom e alti funzionari, i violini non sono affatto accordati, vi sono dissensi che pesano tanto sulla situazione interna che sull’elaborazione di una visione regionale coerente (e ciò a due livelli: riguardo “all’estero vicino„ e all’UE).

Quando, nel 1992, Boris Eltsin propose ai suoi compatrioti “tanta libertà quanta ne fossero capaci di ingoiare„, era lungi dal capire che stava per aprire un vaso di Pandora. Effettivamente, una privatizzazione senza fiducia né legge immerse nel caos tutto il paese, compresi i settori strategici, la cui gestione cadde nelle mani di un pugno di oligarchi poco interessati del futuro della loro patria. Senza entrare di più nei dettagli, ricordiamo che la svolta nella politica economica, in particolare nel settore energetico, si ebbe con l’arrivo di Vladimir Putin alla guida della Russia. È in questo momento che la storia delle relazioni di partenariato con i paesi della CSI imbocca una nuova strada.

À la guerre comme à la guerre

Quest’ultimi due anni, di conflitti sulla questione del gas senza precedenti, hanno opposto la Russia ai suoi due vicini slavi: l’Ucraina e la Bielorussia. Questi disaccordi hanno appannato l’immagine della Russia in Europa. Non ci si azzarda più a pronunciare la parola “fiducia„ in un contesto così teso. Cosa cerca dunque la Russia? Perché non riesce a gestire le sue relazioni con i paesi della CSI come in precedenza, mettendo dinanzi i legami storici e senza suscitare troppo i brontolii delle sue ex “piccole sorelle„? La spiegazione ufficiale, avanzata congiuntamente dal governo Medvedev-Putin ed dai dirigenti del settore gasiero (con Gazprom in testa), è semplice: la Russia non cerca più di compiacere, è ormai uno Stato autosufficiente che conclude partenariati sulla base di regole del gioco ben definite, conformi soprattutto ai suoi interessi economici. In questa prospettiva, la Russia ha optato per una verticalizzazione gasiera organizzata attorno a tre assi principali: l’Asia centrale con il Kazakistan (l’alleato più affidabile e più fedele) forma il pilastro della sua politica regionale; il Caucaso con l’Azerbaigian è il partner più promettente; infine, le due repubbliche slave, l’Ucraina e la Bielorussia, rimangono in aggirabili nonostante le tensioni esistenti. Recentemente, prima di aumentare la tassa d’esportazione petrolifera da 137,7 a 152,8 dollari per una tonnellata di petrolio [1], il presidente di Gazprom, A.Miller, ha fatto capire che questa decisione inaugura una serie di misure governative volte a lottare contro la crisi economica. À la guerre comme à la guerre … Non ci saranno né privilegiati, né amici. I sentimentalismi sollevano una nostalgia sterile, di un comune passato sovietico concluso.

“L’estero vicino„, un approccio pragmatico

La locuzione “estero vicino„ copre due realtà parallele: innanzitutto, designa una prossimità geografica, storica e culturale delle ex Repubbliche Sovietiche diventate indipendenti nel 1991. Ma, con gli scorsi anni punteggiati di conflitti (spesso sostenuti da attori terzi sulla scena internazionale) e di malintesi, questa prossimità si è trasformata in pietra d’ostacolo nelle relazioni bilaterali che la Russia intrattiene con i suoi vicini. La Russia ha finito per trarre le sue conclusioni: questo estero, tanto più vicino, nel caso della sua politica energetica, rappresenta oggi “un mezzo„ per fondare un partenariato europeo a lungo termine. Certamente, non è possibile mettere su uno stesso piano l’Ucraina, duramente colpita da una persistente crisi politica ed economica, ed il Kazakistan, paese verso il quale la Russia si mostra benevola finché quest’ultimo agisce in accordo con il suo “grande fratello„. Ad esempio, il governo kazako non ha firmato un impegno reciproco, previsto da molti mesi, tra il suo governo e gli investitori stranieri (Chevron, ExxonMobil) sul sistema kazako di trasporto del gas del Caspio (KKTS, Kazachstan Caspian Transportation System). È una questione di prezzi o d’influenza russa?

Con un altro paese importante in questa verticalizzazione gasiera, l’Azerbaigian, la Russia agisce prudentemente per consolidare la sua presenza strategica nel Caucaso. La regione del Caspio, se si tiene conto delle opinioni espresse da D. Medvedev nel corso della riunione che si è svolta a Astrakhan il 17 agosto scorso, costituisce uno dei settori chiave della politica energetica russa. Il rigetto da parte della Russia della costruzione di condutture trans-caucasiche che aggirano il suo territorio e la presenza militare straniera nelle autorità regionali (l’aiuto finanziario americano di 130 milioni di dollari nel quadro del programma Caspian Guard) attesta chiaramente le sue ambizioni nella regione. Così, all’inizio del luglio 2009, le società gasiere più importanti dei due paesi, Gazprom e Socar, hanno firmato un nuovo contratto d’acquisto: vendita del gas azéro per un termine di 5 anni, che prevede l’esportazione di almeno 500 milioni di m3 di gas all’anno con il gasdotto Kazi – Mahomet (Azerbaigian) – Mozdok (Russia) [2]. Anche se si tratta di una goccia d’acqua nel mare gasiero rispetto agli altri gasdotti esistenti, come il gasdotto Urengoï (Russia) – Pomary – Oujgorod (Ucraina) con 125 miliardi di m3 di gas, o ancora lo Yamal-Europa con 33 miliardi di m3 di gas all’anno, la stabilità e la longevità dei contratti sono prioritarie.

In compenso, esistono molte difficoltà quanto al partenariato con il Turkmenistan. Anche se la Russia ha confermato, il 25 agosto 2009, la ripresa degli acquisti del gas turkmeno (interrotti in aprile in seguito ad un’esplosione sul gasdotto Asie centrale – Centre 4), i prezzi ed i volumi delle consegne rimangono da determinare. Secondo il Direttore generale della società di consulenza “East European Gas Analysis„ Mikhaïl Kortchemkine, la Russia auspica che il Turkmenistan rinunci a partecipare al progetto Nabucco [3]. “È quasi certo che G.Berdymoukhammedov non lo farà, poiché questo progetto permetterà al Turkmenistan la realizzazione delle sue ambizioni geopolitiche„, ritiene l’esperto. Rimane da aspettare ed osservare quale via sceglieranno i due partner (a tutti i livelli, peraltro) per restare in buoni rapporti senza perdere nulla sul piano finanziario.

Infine, i due vicini più “prossimi„ che occupano i primi posti nel sistema del transito del gas russo (90%), cioè l’Ucraina e la Bielorussia, formano l’ultimo anello debole. Le relazioni con l’Ucraina sono al loro livello più basso: assenza d’ambasciatore russo in Ucraina, dichiarazioni dure del presidente Medvedev, politica apertamente russofoba del governo ucraino. In questo contesto poco propizio alla cooperazione, è urgente per la Russia differenziare le sue vie di trasporto del gas. I due progetti Nord Stream e South Stream sembrano offrire un’alternativa realizzabile.

L’alternativa è possibile

I due progetti che la Russia sviluppa attivamente rappresentano una capacità d’insieme di 100 miliardi di m3 di gas naturale all’anno, cosa che permetterebbe di coprire la domanda europea (certamente in aumento entro il 2020). Questi progetti possono già vantare garanzie finanziarie da parte dei produttori partecipanti. Per Nord Stream, si tratta di Gazprom (51%), di BASF/Wintershall e di E.On Ruhrgas (Germania) per il 20% ciascuno, e N.V.Nederlandse Gasunie (Paesi Bassi) per il 9%. I negoziati con la società francese GDF Suez sono in corso. Per quanto riguarda South Stream, con una capacità di 63 miliardi di m3 di gas all’anno, il progetto è stato promosso dal 2007 dalla Russa Gazprom e dall’italiana Eni. Molti paesi hanno già dato il loro assenso a questa costruzione, in particolare la Bulgaria, la Serbia, la Turchia, la Grecia e l’Ungheria. Benché in occidente le ricerche di approvvigionamenti alternativi siano in corso (il famoso progetto Nabucco giudicato “troppo chimerico„ e sprovvisto di materia prima dai Russi), la Russia, colpita dalla crisi, sviluppa una nuova direzione energetica: l’oriente, con un nuovo gasdotto Siberia orientale – Oceano Pacifico messo in opera (per i suoi primi 1.736 km su 2.694 km in totale), il 25 agosto 2009. “Abbiamo anche un’alternativa economicamente adeguata alle consegne tradizionali all’Europa. Questo è importante. Poiché, grazie agli sforzi riuniti dei mass media occidentali, Gazprom, che occupa un quarto del mercato gasiero europeo, farà presto paura ai bambini europei! „ [4], ritiene il redattore del Kommersant business guide, V.Dorofeiev. Si assiste ormai all’attuazione di una politica russa pragmatica che associa ambizioni di potenza e controllo della strategia energetica a lungo termine.

Secondo le previsioni dell’agenzia energetica internazionale, i fabbisogni di gas dell’Europa raddoppieranno entro il 2020 [5]. Di conseguenza, le consegne aumenteranno di circa 90 miliardi di m3 di gas all’anno, mentre oggi rappresentano 154 miliardi di m3. La Russia intende approfittare di questa opportunità economica. Come ha sottolineato V. Putin, riferendosi alla strategia energetica all’orizzonte del 2030, messa a punto dal ministero russo dell’energia, la Russia liberalizzerà il mercato interno delle risorse energetiche entro il 2030, almeno il 20% verrà negoziato in borsa. Ciò pertanto ridurrà l’importanza dei paesi di transito nell’esportazione energetica russa. Questa posizione ufficiale, proclamata alta e forte, è spesso percepita in occidente come una sfida. Ma la Russia vorrebbe soprattutto essere compresa ed accettata in questo nuovo ruolo indipendente di partner maturo e cosciente delle sue capacità.

(Traduzione a cura di Giovanni Petrosillo)

Note

1. La Russia ha aumentato questa tassa dal 1° giugno 2009.
2. Rovnague Abdullaev, presidente di Socar.
3. Nabucco è un progetto di gasdotto che collega l’Iran ed i paesi della Transcaucasia all’Europa centrale.
4. V. Dorofeiev, “Pétrole et gaz„, Kommersant Business Guide, 26 agosto 2009.
5. Pavel Arabov, “Nouvelle carte gazière du monde„, Izvestia, 28 août 2009.

L’autrice, Karina Aliokhina-Lacroix, è docente di lingua e cultura russa alla ESSEC

© Regard sur l’Est2009 / ISSN 2102-6017

Si ringrazia Hélène Rousselot, responsabile « Asie Centrale » del Comitato di redazione della rivista Regard sur l’Est per la pubblicazione di questo articolo



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