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  1. #1
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    Predefinito A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Scritto da Gabriele Donato

    Stalin aveva ragione?

    Le commemorazioni organizzate in occasione del settantesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale hanno riaperto il dibattito sulle cause di un conflitto che ha messo l’Europa e tante altre parti del pianeta a ferro e fuoco per sei anni. Com’era del tutto prevedibile, l’intellettualità liberal-democratica si è impegnata a fondo in una polemica veemente contro le gravi responsabilità dei due regimi totalitari che si accordarono, nel 1939, per la spartizione della Polonia e dell’Europa centro-settentrionale: la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin. All’opinione pubblica sono state somministrate dosi massicce della minestra che gli storici revisionisti riscaldano ormai da anni: la pace sarebbe stata messa in discussione esclusivamente dagli appetiti delle due dittature in questione; sulla base di questa lettura delle vicende di allora, sarebbero stati il “bolscevismo” e il nazismo ad accordarsi per accendere la miccia di una guerra tanto sconvolgente, e la responsabilità delle democrazie occidentali sarebbe stata soltanto quella di aver esitato di fronte alle mosse convergenti dei due dittatori, accomunati – c’è bisogno di aggiungerlo? – da aspirazioni fondamentalmente condivise. Uno degli intenti delle riflessioni che proponiamo ai nostri lettori è molto chiaro: cercare di chiarire l’assoluta strumentalità di questa lettura caricaturale del secondo conflitto mondiale. Anche altri ci hanno provato, ne siamo consapevoli: se ci riferiamo solo all’Italia, alcuni intellettuali legati alla tradizione del comunismo italiano del secondo dopoguerra hanno sollevato numerose eccezioni nei confronti della vulgata che ha riempito le pagine della stampa borghese più autorevole. Anche a voler riconoscere la generosità del tentativo, è necessario evidenziarne la clamorosa inconsistenza. Se già nei mesi successivi alla sottoscrizione del patto fra Molotov e Ribbentrop, le argomentazioni che gli stalinisti usavano per difenderlo apparivano fragilissime, il tentativo odierno di rispolverarle – per dimostrare che anche in quell’occasione Stalin dimostrò le sue capacità di «dirigente rivoluzionario» (1)– è semplicemente improponibile. Non è rimasticando la propaganda del Comintern di allora che i comunisti possono pensare di contestare gli assunti della storiografia liberal-democratica: non è riproponendo il logoro dogma dell’infallibilità di Stalin che possiamo pensare di cavarcela nella polemica con i pensatori borghesi. Si tratta di una polemica assolutamente necessaria, che va condotta a testa alta: essa necessita, tuttavia, di argomentazioni all’altezza; dal nostro punto di vista, essa non può che fondarsi sulle analisi elaborate proprio allora dall’unico grande dirigente rivoluzionario proveniente dall’esperienza dell’Ottobre che era sopravvissuto (fino all’agosto del 1940) alle purghe di Stalin: sono proprio gli scritti di Trotskij sulla guerra che stava iniziando quelli da cui è necessario ripartire per capire veramente quel che è successo nei tormentati mesi del 1939.

    Potete leggerlo più comodamente qui: FalceMartello - A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

  2. #2
    Ghibellino
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Ecco, io la mia idea ce l'ho chiara, già l'ho espressa in numerosi altri forum, aspetto di leggere come la pensano i comunitaristi. Quello che posso anticiparvi è solo:

    A) la II GM non è stata combattuta dal bene (anglo-americani) per sconfiggere le forze del male (Forze dell'Asse)

    B) la II GM non è scoppiata a causa di Danzica.

    C) la storia della II GM è ancora tutta da scrivere

  3. #3
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    L'anniversario dell'invasione nazista della Polonia riaccende la polemica su Stalin. Anche a sinistra domina ormai la Dottrina Truman
    L'anniversario dell'invasione nazista della Polonia è stato occasione, nei giorni scorsi, di numerosi interventi pubblici in ambito storiografico. Sia nelle celebrazioni ufficiali che nelle ricostruzioni giornalistiche, l'interesse dominante non è stato però quello di richiamare alla memoria la barbarie del Terzo Reich quanto quello di puntare l'indice contro Stalin e l'Urss.
    La Dottrina Truman è diventata lingua comune nell'opinione pubblica: nazismo e comunismo sono stati due mostri totalitari gemelli e il patto di non aggressione firmato da Molotov e von Ribbentrop lo dimostra in maniera lampante. Fino a qualche anno fa, questo genere di argomentazioni era il cavallo di battaglia di intellettuali come Indro Montanelli. Oggi è una tesi condivisa da "il manifesto" (e questo non stupisce affatto) e ripresa persino da aree culturali che si richiamano alla storia del movimento operaio: "essere stati comunisti", si potrebbe dire.
    E' il sintomo di quanto siano arretrati i rapporti di forza politico-sociali e di quanto lunga e incerta, ingrata e minoritaria, sarà la resistenza culturale di coloro che, in questo paese, ritengono ancora importante un approccio materialistico alla realtà storica.
    Per contribuire al dibattito in corso, ripubblichiamo uno stralcio dal libro di Domenico Losurdo su Stalin.






    Stalin, il nazismo e la guerra

    di Domenico Losurdo

    (da Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008)


    Nella gara per giungere ad un compromesso o ad un’intesa col nuovo regime insediatosi a Berlino, Stalin arriva decisamente ultimo. E’ del 20 luglio 1933 il Concordato tra la Germania e la Santa Sede, che garantisce la fedeltà dei cattolici tedeschi al nuovo «governo formatosi in conformità alla Costituzione» (verfassungsmässig gebildete Regierung): un riconoscimento che avviene a poca distanza di tempo dal varo delle leggi eccezionali, col ricorso al terrore, e dall’emergere dello Stato razziale, con le prime misure a carico dei funzionari di «origine non ariana». Due settimane prima si era sciolto il partito cattolico del Zentrum, i cui militanti si erano impegnati a fornire «positiva collaborazione» al «fronte nazionale diretto dal signor Cancelliere del Reich»[1]. Per quanto riguarda il mondo protestante, non bisogna dimenticare che i Deutsche Christen si schierano a favore di Hitler già subito dopo il suo avvento al potere, e assumono tale posizione adattando il cristianesimo alle esigenze del Terzo Reich, rileggendo la Riforma protestante in chiave nazionalistica e persino razzistica, per teorizzare una Chiesa fusa con la «comunità popolare» tedesca e fondata sul «riconoscimento della diversità dei popoli e delle razze come un ordinamento voluto da Dio»[2].

    A dar prova di analoga prontezza nel cercare i favori dei nuovi governanti è anche il movimento sionista. L’organo di quest’ultimo, la «Juedische Rundschau», rimasto sostanzialmente immune dall’ondata di divieti e di persecuzioni che colpisce la stampa tedesca subito dopo l’incendio del Reichstag, poche settimane dopo, il 7 aprile 1933, chiama sionisti e nazisti ad essere «onesti partner». Il tutto sfocia nel 1935 nell’accordo di «trasferimento» in Palestina di 20.000 ebrei, autorizzati a portare con sé quasi 30 milioni di dollari, con un forte impulso alla colonizzazione e al processo che avrebbe poi condotto alla formazione dello Stato di Israele[3]. Più tardi, reagendo all’accordo di «trasferimento», anche il gran muftì di Gerusalemme cerca di ingraziarsi Hitler. Passiamo ora ai partiti politici schierati all’opposizione. «Assai debole» è il discorso pronunciato dal deputato socialdemocratico Otto Wels, in occasione della seduta del Reichstag che concede poteri straordinari a Hitler[4]. A mettere in guardia e ad organizzare la resistenza contro la barbarie ormai al potere è in primo luogo il partito comunista e «staliniano».

    Il 1935 è anche l’anno in cui viene stipulato l’accordo navale tra Gran Bretagna e Terzo Reich. Intervenendo dopo l’avvio di un febbrile riarmo e la reintroduzione in Germania del servizio militare obbligatorio, esso alimenta le speranze di Hitler di poter giungere ad un’intesa strategica col riconoscimento della preminenza navale della Gran Bretagna e il rispetto reciproco dei due grandi imperi «germanici»: quello britannico d’oltremare e quello continentale tedesco, da edificare con la colonizzazione dell’Est europeo e l’assoggettamento degli slavi. Giustamente si è parlato a tal proposito di «cinico atteggiamento» del governo di Londra, che dà l’impressione di avallare un programma infame, già enunciato a chiare lettere nel Mein Kampf[5]. Non stupiscono le crescenti preoccupazioni di Mosca, la forte irritazione di Parigi[6] e la gioia incontenibile di Hitler, che può così celebrare quello che egli definisce il suo «giorno più felice»[7].

    Ancora più inquietante è il ruolo della Polonia. Com’è stato osservato, essa diventa «nel suo complesso subalterna alla politica tedesca» a partire dalla firma del patto decennale di non aggressione con la Germania il 26 gennaio 1934. L’anno dopo il ministro degli Esteri Beck dichiara al suo vice: «ci sono due formazioni politiche indubbiamente condannate a scomparire, l’Austria e la Cecoslovacchia»[8]. Chiara è la consonanza col programma di Hitler, e non si tratta solo di parole: «L’ultimatum col quale la Polonia chiedeva alla Cecoslovacchia la restituzione di Teschen indusse definitivamente Beneš, secondo quel che egli stesso raccontò, ad abbandonare ogni idea di opporsi alla sistemazione di Monaco. La Polonia era stata fino a quel momento uno sciacallo più utile per la Germania all’Est di quanto non lo fosse stata l’Italia nel Mediterraneo». La Conferenza di Monaco non segna la fine della collaborazione del governo di Varsavia col Terzo Reich: «Se veramente Hitler aspirava a metter piede in Ucraina, doveva passare per la Polonia; e nell’autunno del 1938 questa non sembrava affatto una fantasia politica»[9]. Sembra persino esserci l’incoraggiamento di Varsavia. Nel gennaio dell’anno successivo, nel corso di un colloquio con Hitler, Beck dichiara: la Polonia «non attribuisce alcun significato al cosiddetto sistema di sicurezza»[10].

    Stalin ha tutte le ragioni per essere preoccupato o angosciato. Prima della Conferenza di Monaco l’ambasciatore statunitense in Francia, William C. Bullit, aveva osservato che l’importante era di isolare il «dispotismo asiatico», salvando la «civiltà europea» da una guerra fratricida. Dopo il trionfo conseguito da Hitler un diplomatico inglese aveva annotato sul suo diario: «Dall’essere un pugnale puntato contro il cuore della Germania, la Cecoslovacchia è ora rapidamente trasformata in un pugnale contro gli organi vitali della Russia»[11]. In occasione della crisi sfociata nella Conferenza di Monaco, l’Urss era stato l’unico paese a sfidare il Terzo Reich e a confermare il suo appoggio al governo di Praga, mettendo in stato d’allerta più di settanta divisioni. Successivamente, dopo lo smembramento della Cecoslovacchia completato dal Terzo Reich nel marzo 1939, Mosca aveva inoltrato una dura nota di protesta a Berlino[12]. Ben più “composta” era stata la reazione delle altre capitali. E dunque: gli aggressori nazifascisti avevano divorato successivamente l’Etiopia, la Spagna, la Cecoslovacchia, l’Albania e in Asia la Cina, grazie alla complicità diretta o alla passività delle potenze occidentali, inclini ad indirizzare verso il paese scaturito dalla rivoluzione d’ottobre le ulteriori ambizioni e mire espansionistiche del Terzo Reich; ad Est l’Unione sovietica avverte la pressione esercitata dal Giappone sulle frontiere orientali. Si profila così il pericolo di invasione e di guerra su due fronti: solo a questo punto che Mosca comincia a muoversi in direzione del patto di non aggressione con la Germania, prendendo atto del fallimento della politica dei fronti popolari.

    Portata avanti da Stalin con convinzione e decisione, la politica dei fronti popolari era costata non poco. Essa aveva rafforzato l’opposizione e l’agitazione trotskista in particolare nelle colonie: che credibilità poteva avere un anticolonialismo che risparmiava – così suonava l’accusa – le principali potenze coloniali del tempo, per concentrare il fuoco su un paese, la Germania, che a Versailles aveva perso anche le poche colonie prima possedute? Soprattutto, per gli stessi popoli coloniali era difficile accettare la svolta. L’Inghilterra era largamente screditata. Nella primavera del 1919 essa non solo si era resa responsabile del massacro di Amritsar, che era costato la vita a centinaia di indiani inermi, ma aveva fatto ricorso a «pubbliche fustigazioni» e a una de-umanizzante punizione collettiva e una terribile umiliazione nazionale e razziale, con l’obbligo per gli abitanti della città «di doversi trascinare a quattro zampe per tornare a casa od uscirne»[13]. Più tardi, mentre divampa la seconda guerra mondiale, il governo imperiale reprime le manifestazioni indipendentiste, mitragliandole dall’alto con l’aviazione (infra, cap. VI, § 4). Sono gli anni in cui Gandhi afferma: «In India abbiamo un governo hitleriano, sia pure camuffato in termini più blandi». E ancora: «Hitler è stato “il peccato della Gran Bretagna”. Hitler è solo la risposta all’imperialismo britannico»[14]. Anzi, a guerra ormai conclusa, Gandhi si spingerà sino a rendere omaggio a Subhas Chandra Bose che, pur di conseguire l’indipendenza, aveva combattuto a fianco dell’Asse: «Subhas era un grande patriota e ha dato la vita per il bene del paese»[15].

    In conclusione: non era stato facile per l’Urss far passare l’idea che, nonostante le apparenze, anche per i popoli delle colonie il pericolo principale era pur sempre costituito dalla coalizione nazi-fascista, dall’asse Germania-Giappone-Italia, e in particolare dal Terzo Reich, deciso a riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, facendo ricorso anche a mezzi estremi. Per paesi come l’Inghilterra e la Francia la politica dei fronti popolari comportava dei costi assai più ridotti, e tuttavia essi l’avevano sabotata. A questo punto l’Urss non aveva altra scelta che l’intesa con la Germania, una mossa che è stata definita come «un’improvvisazione dell’ultimo minuto, drammatica», a cui Mosca fa ricorso in mancanza di altre alternative, «all’immediata vigilia di una nuova guerra europea»[16].

    Si verifica così una svolta, che viene in genere valutata con lo sguardo rivolto esclusivamente all’Europa. Ma non c’è motivo per ignorare le ripercussioni in Asia. Mao Zedong esprime la sua soddisfazione: «Il patto rappresenta un colpo per il Giappone e un aiuto per la Cina», in quanto «dà maggiori possibilità all’Unione sovietica» di appoggiare «la resistenza della Cina contro il Giappone»[17]. Proprio per questa ragione il governo giapponese considera «proditorio e imperdonabile» il comportamento di Berlino[18]. In effetti, assai consistente è il flusso di armi e munizioni russe in direzione della Cina. Ben diverso è l’atteggiamento dell’Occidente:

    «E’ una macchia nel gran libro della storia l’indifferenza con la quale l’Europa e l’America, mostrando di non avere chiara nozione della realtà, si astennero dal compiere spontaneamente il minimo sforzo per sbarrare la strada ai fascisti di Tokyo; non solo, ma quel che è peggio, gli Stati Uniti continuarono a inviare in Giappone petrolio e benzina fin quasi al grande attacco a Pearl Harbor»[19].

    Lasciamo ora da parte l’Asia per concentrarci sull’Europa. La diffidenza reciproca tra Unione sovietica e Terzo Reich e la preparazione di entrambi allo scontro frontale non sono mai dileguate neppure durante i mesi del patto di non aggressione. Ancora prima della firma, parlando con l’alto commissario della Società delle nazioni a Danziga, Hitler charisce:

    «Tutto ciò che io intraprendo è rivolto contro la Russia. Se l’Occidente è troppo stupido e cieco per capirlo, sarò costretto a raggiungere un’intesa con i Russi e a battere poi l’Occidente, in modo che dopo la sua sconfitta io possa rivolgermi contro l’Unione sovietica con tutte le forze da me riunite»[20].

    A giudicare da questo brano, obiettivo costante del Führer è la costruzione di un’alleanza occidentale a guida tedesca per l’abbattimento dell’Unione sovietica; se questa alleanza non si riesce a stipulare con un’intesa preventiva, allora non resta che imporla ai partner recalcitranti dopo averli sconfitti; l’intesa transitoria con Mosca è solo un espediente per conseguire la vittoria e realizzare in tal modo l’alleanza occidentale necessaria per la definitiva resa dei conti col bolscevismo. Il patto di non aggressione è strumentale al conseguimento dell’obiettivo principale e permanente del Terzo Reich, che scatena l’operazione Barbarossa presentandola come una crociata per l’Europa alla quale sono chiamati a contribuire e in effetti contribuiscono, in varia misura e con risorse umane o materiali, paesi e popoli europei.

    [1] Ruge, Schumann 1977, p. 50.

    [2] In Kupisch 1965, pp. 256-58.

    [3] Losurdo 2007, cap. V, § 1.

    [4] Hitler 1965, p. 238 (così si esprime il curatore).

    [5] Shirer 1974, p. 453.

    [6] Baumont 1969, p. 161.

    [7] Riportato in Goebbels 1992, p. 867 (nota 22 del curatore).

    [8] Baumont 1969, pp. 92-93 e 281.

    [9] Taylor 1996, p. 259.

    [10] Wolkogonow 1989, p. 468.

    [11] In Gardner 1993, pp. 36 e 44.

    [12] Wolkogonow 1989, pp. 465 e 460.

    [13] Brecher 1965, pp. 89-90.

    [14] Gandhi 1969-2001, vol. 80, p. 200 (Answers to Questions, 25 aprile 1941) e vol. 86, p. 223 (intervista a Ralph Coniston dell’aprile 1945).

    [15] Gandhi 1969-2001, vol. 98, p. 293.

    [16] Roberts 2006, p. 5.

    [17] Mao Zedong 1969-75, vol. 2, pp. 271 e 275.

    [18] Coox 1990, pp. 898 e 900.

    [19] Romein 1969, p. 261.

    [20] In Nolte 1987, pp. 313-14.

    Viva la Comune

  4. #4
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Citazione Originariamente Scritto da _Riccardo_ Visualizza Messaggio
    A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Scritto da Gabriele Donato

    Stalin aveva ragione?

    Le commemorazioni organizzate in occasione del settantesimo anniversario dell’inizio della Seconda guerra mondiale hanno riaperto il dibattito sulle cause di un conflitto che ha messo l’Europa e tante altre parti del pianeta a ferro e fuoco per sei anni. Com’era del tutto prevedibile, l’intellettualità liberal-democratica si è impegnata a fondo in una polemica veemente contro le gravi responsabilità dei due regimi totalitari che si accordarono, nel 1939, per la spartizione della Polonia e dell’Europa centro-settentrionale: la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin. All’opinione pubblica sono state somministrate dosi massicce della minestra che gli storici revisionisti riscaldano ormai da anni: la pace sarebbe stata messa in discussione esclusivamente dagli appetiti delle due dittature in questione; sulla base di questa lettura delle vicende di allora, sarebbero stati il “bolscevismo” e il nazismo ad accordarsi per accendere la miccia di una guerra tanto sconvolgente, e la responsabilità delle democrazie occidentali sarebbe stata soltanto quella di aver esitato di fronte alle mosse convergenti dei due dittatori, accomunati – c’è bisogno di aggiungerlo? – da aspirazioni fondamentalmente condivise. Uno degli intenti delle riflessioni che proponiamo ai nostri lettori è molto chiaro: cercare di chiarire l’assoluta strumentalità di questa lettura caricaturale del secondo conflitto mondiale. Anche altri ci hanno provato, ne siamo consapevoli: se ci riferiamo solo all’Italia, alcuni intellettuali legati alla tradizione del comunismo italiano del secondo dopoguerra hanno sollevato numerose eccezioni nei confronti della vulgata che ha riempito le pagine della stampa borghese più autorevole. Anche a voler riconoscere la generosità del tentativo, è necessario evidenziarne la clamorosa inconsistenza. Se già nei mesi successivi alla sottoscrizione del patto fra Molotov e Ribbentrop, le argomentazioni che gli stalinisti usavano per difenderlo apparivano fragilissime, il tentativo odierno di rispolverarle – per dimostrare che anche in quell’occasione Stalin dimostrò le sue capacità di «dirigente rivoluzionario» (1)– è semplicemente improponibile. Non è rimasticando la propaganda del Comintern di allora che i comunisti possono pensare di contestare gli assunti della storiografia liberal-democratica: non è riproponendo il logoro dogma dell’infallibilità di Stalin che possiamo pensare di cavarcela nella polemica con i pensatori borghesi. Si tratta di una polemica assolutamente necessaria, che va condotta a testa alta: essa necessita, tuttavia, di argomentazioni all’altezza; dal nostro punto di vista, essa non può che fondarsi sulle analisi elaborate proprio allora dall’unico grande dirigente rivoluzionario proveniente dall’esperienza dell’Ottobre che era sopravvissuto (fino all’agosto del 1940) alle purghe di Stalin: sono proprio gli scritti di Trotskij sulla guerra che stava iniziando quelli da cui è necessario ripartire per capire veramente quel che è successo nei tormentati mesi del 1939.
    Potete leggerlo più comodamente qui: FalceMartello - A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop
    Ma perchè dovremmo leggere Trozky? Ma che credibilità ha un militante sconfessato dallo stesso Lenin? BAsta con l'antistalinismo... smettetela. Siete invasati di revisionismo anticomunista.

  5. #5
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Citazione Originariamente Scritto da Stalinator Visualizza Messaggio
    Ma perchè dovremmo leggere Trozky? Ma che credibilità ha un militante sconfessato dallo stesso Lenin? BAsta con l'antistalinismo... smettetela. Siete invasati di revisionismo anticomunista.
    Che un nazbol abbia come nick "stalinator" è secondo me molto significativo....
    "Uno dei compiti principali dell'arte è sempre stato quello di creare esigenze che al momento non è in grado di soddisfare" (Walter Benjamin)

    Sito: http://comunitarismo.it
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  6. #6
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Citazione Originariamente Scritto da Rodolfo Visualizza Messaggio
    Che un nazbol abbia come nick "stalinator" è secondo me molto significativo....
    Chiaro che io qui non metterò più una riga. Non voglio ripresentarmi e giustificarmi di continuo agli occhi di gente che non mi dice nulla. Sono un nazista, a posto: i giudici hanno stabilito. Fate come volete. Almeno evitate di infangare un grande teorico e un grande socialista come Stalin.

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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    "Solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale"Marx-Engels

    Caro Stalinator, a casa d'altri ci si comporta in modo educato, altrimenti potrebbero buttarti fuori a calci nel culo, in questo caso è impossibile, dunque tranquillo.
    Nessuno ti punta una pistola per farti leggere il post di FalceMartello, puoi leggere quello di Losurdo, o meglio, puoi dire la tua, argomentata, non emettere rutti.

    Che Stalin fosse un teorico ho dei dubbi, forse si può parlare di ciò che ha fatto, pragmaticamente, credo, ha attuato ciò che Trotskij ha teorizzato.

    Mi spieghi il tuo Naz-Bol, oggi e se conosci le origini, grazie.
    Muntzer il Sopravvissuto

  8. #8
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Citazione Originariamente Scritto da Muntzer Visualizza Messaggio
    "Solo nella comunità diventa dunque possibile la libertà personale"Marx-Engels

    Caro Stalinator, a casa d'altri ci si comporta in modo educato, altrimenti potrebbero buttarti fuori a calci nel culo, in questo caso è impossibile, dunque tranquillo.
    Nessuno ti punta una pistola per farti leggere il post di FalceMartello, puoi leggere quello di Losurdo, o meglio, puoi dire la tua, argomentata, non emettere rutti.

    Che Stalin fosse un teorico ho dei dubbi, forse si può parlare di ciò che ha fatto, pragmaticamente, credo, ha attuato ciò che Trotskij ha teorizzato.

    Mi spieghi il tuo Naz-Bol, oggi e se conosci le origini, grazie.
    Io ho letto molte cose di Stalin, dal Marxismo e la questione nazionale alle considerazioni sul marxismo e lo studio della linguistica, dai Principi del Leninismo, fino alle considerazioni congressuali sempre molto importanti e dense di una capacità di analisi e di adattamento del Marxismo-Engelsismo alla situazione del Paese. Io credo che Trozky abbia rappresentato una deviazione, tanto "ultra-sinistra" nella teoria della Rivoluzione permanente, quanto opportunista (che lo portò a schierarsi con un Bucharin ormai allontanatosi dal suo grande amico Stalin) in quella del compromesso con le sinistre borghesi e le democrazie liberali.
    Stalin ha sempre protetto il Partito e l'URSS da queste derive, mantenedo una posizione coerente con la linea del pensiero bolscevico: la lotta al cosmopolitismo, il centralismo democratico, i piani di sviluppo industriale e le redistribuzioni agricole, la difesa patriottica nella guerra contro il nazismo, la teoria del Socialismo in un Paese, furono tutte mosse indirizzate nel senso autentico (nè dogmatico nè revisionista) del pensiero di Karl Marx e Friedrich Engels, i quali teorizzarono un internazionalismo che nulla aveva a che spartire con l'idea odierna di mondializzazione e cancellazione delle culture, nè tanto meno con l'egualitarismo assoluto. Basterebbe leggere il Manifesto Comunista, nel quale si accena al proletariato in quanto classe nazionale, al proletariato che è nazionale tutt'oggi, seppure non nello stesso modo dei borghesi, o all'Anti-Duhring di Friedrich Engels, nel quale il leit motiv centrale dell'opera è l'opposizione all'utopismo del pensatore tedesco, attraverso la negazione di un egualitarismo radicale ma limitato alla sola distruzione delle classi, come unica esigenza proletaria, che porterà Engels a riconoscere la validità dei caratteri della razza (riprendendo il geo-determinismo di Tremaux), definita un dato economico, fra i fattori determinanti.
    Depurando il marxismo da ogni messianismo o da ogni interpretazione talmudica (Bordiga ad esempio), Lenin (vedi in tal guisa Sull'Orgoglio Nazionale dei Grandi Russi e Sul Diritto di Autodecisione delle Nazioni) e Stalin rappresentano la continuità, per lo meno politica, con il pensiero di Marx-Engels.
    Mao, Ho Chi Minh, Kim Il Sung e tutta la grande epopea asiatica del Socialismo, non sono poi che conferme a quanto sto dicendo: addirittura recuperando la tradizione confuciana e la filosofia orientale (perfettibilità umana, controllo sulla natura, rinnovamento), quella proletaria e comunista diventa una "visione del mondo". Passando dalla sfera economico-antropologica di Marx Engels, a quella politica-rivoluzionaria dei Bolscevichi fino a quella filosofica e spirituale di Mao, capace di rileggere il materialismo dialettico in opposizione al materialismo meccanicista.
    Io condivido questa creatività della teoria, la dinamicità del Comunismo, senza che essa ne comprometta la natura di fondo. Per la nostra situazione eurasiatica credo che l'unica soluzione stia proprio nel recupero di questa enorme tradizione politica e teorica, associandola e confrontandola con altri pensatori nei quali possiamo ritrovare tratti comuni e vicinanze.
    Ad ogni modo il NazionalBolscevismo nasce ufficalmente negli anni Venti, con Niekisch: sul piano teorico il suo era il Socialismo della Germania, recuperava il carattere rivoluzionario dal Bolscevismo ma poneva la questione nazionale in termini diversi, più interiorizzati e meno pragmatici. L'interpretazione gretta e cieca degli ambienti accademici dell'Europa centrale, lo portava a rifiutare il marxismo come "visione del mondo", pur riconoscendone la precisione nella critica economica e sociologica. Per me fu un gran personaggio e indubbiamente le sue intuizioni sono attuali anche ora, se vogliamo.
    Ultima modifica di Stalinator; 21-10-09 alle 14:53

  9. #9
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Citazione Originariamente Scritto da Stalinator Visualizza Messaggio
    Ma perchè dovremmo leggere Trozky? Ma che credibilità ha un militante sconfessato dallo stesso Lenin? BAsta con l'antistalinismo... smettetela. Siete invasati di revisionismo anticomunista.
    Il fatto che si posti un documento antistalinista non rende tali (anche perché antistalinista non vuol dire nella sostanza un cazzo) chi lo posta e chi lo legge. Poco sotto c'è un altro interessantissimo documento di Losurdo, leggilo. E non vedo perché non leggere Trockij, se non lo leggi non lo conosci, se non lo conosci non vedo come possa criticarlo se non in base alle vulgate ideologiche.
    Ti ricordo che tra i tuoi interlocutori qui dentro (io non mi posso prendere il merito perché all'epoca manco c'ero ancora) c'è chi ha ripubblicato a proprie spese (e con uno sforzo non da poco) degli scritti di Stalin, quindi abbi più cura di quello che dici.

  10. #10
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    Predefinito Rif: A settant’anni dal patto Molotov-Ribbentrop

    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista Visualizza Messaggio
    Il fatto che si posti un documento antistalinista non rende tali (anche perché antistalinista non vuol dire nella sostanza un cazzo) chi lo posta e chi lo legge. Poco sotto c'è un altro interessantissimo documento di Losurdo, leggilo. E non vedo perché non leggere Trockij, se non lo leggi non lo conosci, se non lo conosci non vedo come possa criticarlo se non in base alle vulgate ideologiche.
    Ti ricordo che tra i tuoi interlocutori qui dentro (io non mi posso prendere il merito perché all'epoca manco c'ero ancora) c'è chi ha ripubblicato a proprie spese (e con uno sforzo non da poco) degli scritti di Stalin, quindi abbi più cura di quello che dici.
    Ma infatti contestavo quel pezzo, mica te o il vostro gruppo.

 

 
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