L e dimissioni di Massimo Moratti non sono nuove, ma restano sempre altamente misteriose. L'ultima volta che le dette, nel 1999, fu per costringere a sua volta alle dimissioni l'intera vecchia guardia dell'Inter (quella dei Mazzola e dei Corso) che lui, Moratti, non aveva la forza di mandare via.
Moratti dà le dimissioni da presidente, ma non da proprietario. È difficile capire cosa voglia dire. Il punto è: chi prenderà le decisioni? Potrà mai esserci qualcuno che decide con i soldi degli altri? La qualifica per Moratti conta sinceramente poco. Quale autonomia può avere, il pur leggendario Facchetti, dal presidente che lo ha espresso e rappresenta l'intero patrimonio dell'Inter?
La domanda è semmai un'altra. Perché Moratti sente adesso il bisogno di questo colpo di teatro? Temo che la risposta stia nel cumulo di errori. Moratti ha mostrato altre volte l'incapacità di resistere alla contestazione pubblica. Dovrebbe essere un presidente amato perché ha speso più di mille miliardi per l'Inter; si ritrova ad essere un presidente compatito, quasi disprezzato per quei mille miliardi investiti in modo sbagliato.
Spendere tanto e venire derisi è già molto. Spendere tanto e sentirsi dannoso è insopportabile.
Il dato drammatico della vicenda è che così facendo Moratti ha confermato semplicemente di essere in sostanza alla base del problema.
Un grande dirigente esce allo scoperto nel mare confuso di squadra e società e prende in mani la situazione. Moratti ne viene travolto e lancia come notizia migliore la sensazione che lui si stia mettendo ai margini. Non è una buona reazione.
In un solo modo le dimissioni di Massimo Moratti potranno avere un senso. Mettendo in vendita l'Inter. Finchè avrà voglia di rimanerne il proprietario ne sarà sempre il numero uno. Personalmente non mi auguro che Moratti venda, né penso voglia farlo. E allora siamo davanti solo all'ennesimo colpo di teatro. Fatto per non sapere cos'altro offrire al proprio popolo deluso.