tratto da LE MONDE diplomatique 3 dicembre 2003
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Ondata di aggressioni contro i difensori dei diritti umani
Elezioni della paura in Guatemala
Democrazia? Nel 1982 e 1983 il generale Efraín Rios Montt, arrivato al potere con un colpo di stato, ha lasciato il suo lugubre segno sulla terribile guerra civile che ha fatto 200.000 vittime in Guatemala: gli sono attribuite più di 20.000 morti. A dispetto delle norme previste della costituzione e di una denuncia per «genocidio» nei suoi confronti, la Corte costituzionale ha autorizzato l'ex dittatore a partecipare alle elezioni presidenziali del 9 novembre. Dai primi dati risulta però che Montt, arrivato terzo, rimarrà escluso dal ballottaggio del 28 dicembre.
Stéphanie Marseille
Ex maestro di scuola originario della regione di Cobán, capoluogo del dipartimento di Alta Vera Paz, a quattro ore di strada dalla capitale Ciudad Guatemala, Hector Rolando Cobqim ha ripreso i suoi studi di diritto e si è specializzato in diritti umani lavorando per alcuni anni come mediatore per la fondazione Myrna Mack (1).
Dopo questa esperienza ha aperto il Servizio dei diritti umani per i popoli indigeni, impegnandosi nella «difesa etnica» (2). e nella formazione dei «promotori di giustizia».
Non si tratta di un'iniziativa isolata. L'Ixcán, regione montuosa del nord del paese, è stata particolarmente colpita dalla repressione durante il conflitto, che in 36 anni ha fatto 200.000 morti (secondo la Commissione per la verità istituita sotto l'egida delle Nazioni unite). I «promotori di giustizia» sono scelti dalle comunità tra i loro membri per promuovere i diritti di tutti. Questi «difensori popolari» devono combattere le discriminazioni di cui sono regolarmente oggetto le popolazione indie, senza dipendere da avvocati della capitale che parlano solo spagnolo. Bilingue q'eqchi'/spagnolo, Cobqim lavora sia sull'identificazione dei conflitti all'interno della comunità e sulla loro risoluzione sia sulla rivendicazione di un migliore accesso alla sanità, alla giustizia e all'istruzione.
Secondo Alberto Cabellero, responsabile regionale della Missione delle Nazioni unite per il Guatemala (Minugua), l'Ixcán è lo specchio fedele della guerra civile e delle sue conseguenze: «Durante la guerra il 20% della popolazione è stato costretto ad abbandonare le sue case, il 15% degli abitanti sono ex guerriglieri. Nella regione si sono verificate una cinquantina di stragi, e le vedove e gli orfani sono moltissimi». Grazie all'opposizione armata e alle esperienze di organizzazione comunitaria, vi è una forte coscienza politica.
Molti dirigenti comunali hanno svolto compiti importanti nella guerriglia - l'Unione rivoluzionaria nazionale guatemalteca (Urng) - e sono abituati a cercare soluzioni locali ai vari problemi. Ma la mancanza di uno stato si fa sentire a tutti i livelli: «La soluzione di tutti i conflitti passa necessariamente per la violenza».
Gli ex miliziani delle Pattuglie di autodifesa civile (Pac), istituite dall'esercito nel 1981 per controllare la popolazione e responsabili, secondo la Commissione della verità, del 12% delle violazioni dei diritti umani durante il conflitto, sono ancora presenti nelle comunità.
Non sono mai state sanzionate. «L'impressione di impunità che ne deriva è onnipresente. Il furto di una gallina può dare luogo a un linciaggio. Non esiste un organismo di mediazione o di soluzione dei conflitti, la sanzione dei criminali non è una priorità per lo stato». Di conseguenza la missione della Minugua ha sensibilmente modificato i propri obiettivi: ormai riferisce anche sulle violazioni dei diritti dell'uomo compiuti all'interno delle comunità.
La cultura dell'impunità che regna nelle montagne non è altro che il riflesso locale di una situazione nazionale. Quest'anno al posto dei programmi per superare i traumi psicologici e per l'indennizzo delle vittime del conflitto, previsti dagli accordi di pace (1996) e dal piano nazionale di risarcimento per le vittime (2001), sono stati i miliziani delle ex Pac a essere stati ricompensati finanziariamente per i «servizi resi durante il conflitto».
Il generale impunito Sulla carta tuttavia il Guatemala è in via di ricostruzione: la costituzione del 1985 garantisce i diritti di tutti e raccomanda l'uguaglianza tra uomini e donne; gli accordi di pace e il piano nazionale di risarcimento per le vittime della guerra civile indicano le condizioni per un ritorno alla normalità; il sistema giudiziario prevede una procuradoría dei diritti umani, un organismo incaricato di verificare che lo stato rispetti i diritti dei suoi cittadini.
Al suo arrivo alla presidenza, il 14 gennaio 2000, Alfonso Portillo si è impegnato a rispettare l'applicazione degli accordi di pace e a sciogliere lo Stato maggiore presidenziale (Emp), un'unità militare di informazione particolarmente coinvolta nell'attività di repressione (3). Ha anche chiesto il rinnovo del mandato della Minugua, incaricata di verificare l'applicazione degli accordi di pace fino al 2004.
Nei primi tempi la Minugua riteneva che un terzo circa di questi accordi fosse stato effettivamente rispettato. Ma tre anni dopo, tutta la parte riguardante il reinserimento economico, l'accesso ai servizi sociali, ai finanziamenti e ai crediti non è stata ancora applicata.
Dietro la presidenza di Portillo, appartenente al Fronte repubblicano guatemalteco (Frg), il potere reale è rimasto nelle mani del dirigente di questo partito, il generale Efraín Rios Montt, autore di un colpo di stato nel 1982. L'ex dittatore è considerato il responsabile delle atrocità compiute durante la sua presidenza, dal marzo 1982 all'agosto 1983, circa 20.000 morti. Presidente del Congresso dal 14 gennaio 2000, Rios Montt cerca di farsi eleggere alla presidenza per la terza volta. Di fronte al divieto della costituzione, che gli vieta formalmente di ricandidarsi alle elezioni presidenziali del 9 novembre (4), il generale ha risposto con una prova di forza.
Dopo il rifiuto della Corte suprema di giustizia di convalidare la sua candidatura, ha avvertito in una conferenza stampa che non avrebbe potuto rispondere delle eventuali violenze dei suoi sostenitori.
Così il 24 e 25 luglio, ribattezzati il «giovedì nero» e il «venerdì di lutto» un gruppo di 4-5.000 uomini con il viso coperto, arrivati in autobus nel centro città nelle prime ore del mattino, hanno bloccato la capitale. Armati di bastoni, di machete e di armi da fuoco, hanno occupato diversi luoghi simbolici dello stato - la Corte costituzionale, la Corte suprema di giustizia, il Tribunale supremo elettorale - accerchiando le sedi dei giornali e le case degli oppositori di Rios Montt. Tra la folla sono stati riconosciuti alcuni deputati dell'Frg mentre impartivano ordini. Né il governo né le forze di polizia sono intervenuti.
Cinque giorni dopo la Corte costituzionale ha compiuto un'incredibile inversione di rotta, convalidando la candidatura di Rios Montt alle elezioni presidenziali. Il rischio di vederlo diventare presidente del paese è ormai reale: oltre alla sua ossessione per il potere, la presidenza gli offrirebbe una scappatoia legale alle accuse di crimini contro l'umanità che sono state mosse nei suoi confronti.
In questa situazione particolarmente delicata si è costituito da un anno e mezzo un movimento nazionale «dei diritti dell'uomo». Nessuno in Guatemala si pone la questione di sapere come definire questi «diritti»: questo movimento lotta di volta in volta contro l'impunità, per il recupero della memoria, per il rispetto delle vittime della guerra civile, per lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni indigene, contro l'assenza dello stato, per lo sviluppo delle infrastrutture fuori della capitale, per il rispetto delle donne e contro le violenze di cui sono oggetto. Ha acquisito una funzione aggregante, in un paese in cui la violenza è diventata un modo di comunicazione e uno stile di vita.
La denuncia per genocidio presentata contro il generale Rios Montt dall'associazione Giustizia e riconciliazione del Centro di azione legale per i diritti umani (Caldh) in nome di 22 comunità vittime di massacri rappresenta l'unione di questi sforzi. «È uno spazio di dialogo e di articolazione necessario fra le organizzazioni di base, che fanno un lavoro di controllo quotidiano, e le associazioni della capitale che hanno la possibilità di compiere un lavoro di lobbying e di rompere il silenzio. Una delle conseguenze più significative è stato l'allargamento delle gare d'appalto del Pnud [Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo] alle organizzazioni di base: i bisogni concreti delle popolazioni indigene sono diventati evidenti», si rallegra Cobqim.
Testimoni aggrediti Questa denuncia è al vaglio del pubblico ministero, che conduce l'inchiesta congiuntamente con Giustizia e riconciliazione. «Abbiamo identificato più di un centinaio di testimoni diretti, proceduto a riesumazioni, raccolto le testimonianze dirette di donne vittime di violenze», dice Cristina Laur, responsabile del programma per il Caldh. Il problema di garantire la protezione dei testimoni è stato risolto mediante la presenza di alcuni osservatori, che - analogamente a quanto avevano fatto al ritorno dei profughi - vivono nelle comunità per riferire su qualunque tentativo di intimidazione o di aggressione contro i testimoni, spesso delle donne.
Di fatto da tre anni a questa parte militanti dei diritti dell'uomo, giornalisti, sindacalisti e magistrati sono diventati l'obiettivo di aggressioni e intimidazioni. I più combattivi sono convinti che la situazione diventerà presto ingovernabile e promettono di riprendere le armi. Ma nell'Ixcán la maggioranza della popolazione ha paura: «Tutti i giorni, cinque-sei persone passano alla Pastorale sociale per dirci che sono pronti a riprendere la strada dell'esilio. Sono convinti che con Rios Montt ricominceranno i massacri», spiega Sergio, giovane militante di questa organizzazione legata alla chiesa.
Nonostante i dispositivi di osservazione istituiti, in particolare dall'Unione europea, sono in molti a ritenere che voteranno anche «i morti e i militari». Il Tribunale supremo elettorale ha già accertato l'iscrizione sulle liste elettorali del 45% dei militari e il fatto che 238 comuni non hanno segnalato gli elettori deceduti dopo l'ultima elezione.
Il 5 settembre Sergio Morales, procuratore per i diritti umani in Guatemala, ha denunciato una campagna di intimidazione contro la popolazione contadina per obbligarla a votare in favore dell'Frg.
«Il problema è che non esiste alcuna capacità organizzativa», afferma Reina, che si è presentata alle elezioni comunali di Playa Grande, nell'Ixcán, sulle liste dell'Urng, l'ex movimento di guerriglia riconvertito in partito politico: «La candidatura di Rios Montt è una flagrante violazione della costituzione, ma nessuno ha reagito. L'unica soluzione rimane quella di educare la gente». Ma per farlo ci vogliono tempo e mezzi.
Inoltre l'opposizione politica all'Frg ha grande difficoltà a compattarsi.
Dopo il «giovedì nero» e il «venerdì di lutto», gli oppositori si sono uniti in un Fronte civico per la democrazia e hanno voluto organizzare una dimostrazione di massa. Tuttavia la manifestazione si è limitata a mobilitare poche migliaia di persone per le strade di Ciudad Guatemala.
Una decina di partiti politici sono in lizza, tutti di destra o di centrodestra a eccezione dell'Urng, con programmi e metodi poco convincenti.
Il conflitto ha completamente decapitato il movimento sociale.
L'ampio «movimento per i diritti umani» ha un carattere molto composito e costituisce di fatto una sorta di programma politico, poiché nessun partito sostiene le rivendicazioni concrete delle popolazioni vittime della guerra. Tuttavia, nonostante alcuni spazi di dialogo come il Forum Guatemala, nessuna figura carismatica è emersa per dare alle aspirazioni di queste organizzazioni un carattere politico vero e proprio. Come potranno continuare a lavorare se Rios Montt dovesse vincere le elezioni? «Per le organizzazioni locali guatemalteche è fondamentale passare dal discorso all'azione concreta, dall'informazione sui diritti dell'uomo alla loro difesa attiva attraverso le comunità», osserva Amandine Fulchiron, responsabile del programma Consigli in progetto, un coordinamento di organizzazioni non governative che aiuta tecnicamente le organizzazioni locali. Un obiettivo importante, ma un processo lento e delicato. La fine del mandato della Minugua aggiunge altre difficoltà a questa situazione, la missione dell'Onu si sta sforzando di passare la mano alle organizzazioni locali, nella speranza che queste ultime continuino il lavoro di controllo dello stato. Un obiettivo che dipenderà anche dal risultato delle elezioni.
note:
* Giornalista.
(1) Una delle più rispettate organizzazioni di difesa dei diritti dell'uomo, fondata dalla sorella dell'antropologa Myrna Mack, uccisa nel 1990 perché studiava gli effetti del conflitto armato sulle popolazioni rurali sfollate.
(2) Si tratta di far riconoscere l'esistenza di regole specifiche nel funzionamento delle comunità indigene. Questo concetto ha dato luogo a diverse interpretazioni: secondo un orientamento più radicale la difesa di una spazio giuridico indigeno deve essere distinta dal diritto nazionale guatemalteco e porterebbe alla creazione di una nazione indigena; da un punto di vista più moderato si cerca invece di costruire dei punti di contatto fra i due universi giuridici.
Non si può veramente parlare di dottrina giuridica, ma piuttosto di una prassi.
(3) Portillo ha promesso di sciogliere l'Emp il 1° novembre 2003 e di sostituirlo con un servizio civile, il Segretariato degli affari amministrativi e di controllo della presidenza (Saas). Il timore è di vedere il governo limitarsi a trasferire il personale da un'agenzia all'altra.
(4) L'articolo 186 della costituzione vieta questa funzione a tutti gli autori di colpi di stato. Tuttavia Rios Montt ha affermato che la costituzione del 1985 non può riguardare un fatto avvenuto nel 1982! (Traduzione di A. D. R.) aa qq Bolivia
Ignacio Ramonet