Iraq. La Chiesa parte in missione di pace

Cambiano i vertici della diplomazia vaticana e cambiano anche i suoi giudizi sulla guerra. Il cardinal Ruini detta la linea. “L’Osservatore Romano” si adegua

di Sandro Magister

[Da “L’espresso” n. 49 del 28 novembre-4 dicembre 2003]


ROMA – Un mese fa il ministro degli esteri della Santa Sede era ancora lui, Jean-Louis Tauran, francese, per il quale la guerra in Iraq era un “crimine contro l’umanità” e un peccato capitale. Ma a soli 60 anni eccolo congedato. Da lunedì 24 novembre Tauran è archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, lui che non è mai stato neanche l’ombra del bibliofilo. Al suo posto è arrivato l’arcivescovo Giovanni Lajolo, cresciuto alla scuola diplomatica del cardinale Agostino Casaroli, piemontese come il segretario di stato in carica, Angelo Sodano, rodato da anni di nunziatura in Germania.

Col cambio del ministro degli esteri ha cambiato registro anche la linea vaticana in Iraq e sul fronte islamico. Ha vinto il realismo. La guerra lampo non voluta c’è stata ed è finita. Ma adesso è in corso una guerra diversa, planetaria e di lunga durata. E il cardinale Sodano ha ordinato l’alt alle “recriminazioni” sul passato. Un altro degli esautorati, il neocardinale Renato Martino, si è lasciato scappare un “se si fosse dato ascolto al papa ora non piangeremmo tante vittime”, ma nessuno in Vaticano gli ha tenuto bordone. Anzi.

Via Tauran e via già dalla scorsa primavera Martino, assegnato quest’ultimo al ruolo più di rappresentanza che di sostanza di presidente del pontificio consiglio della giustizia e della pace, la geopolitica vaticana è adesso nelle mani di uomini molto meno spericolatamente loquaci e molto più professionali. Al posto di Martino, che era osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, è andato l’arcivescovo Celestino Migliore. E anche là, al Palazzo di Vetro, il cambiamento s’è visto. Niente più retoriche terzomondiali e omelie pacifiste.

In Vaticano, a non aver afferrato la nuova musica era rimasto fino a pochi giorni fa “L’Osservatore Romano”. Nei mesi preguerra il suo direttore, Mario Agnes, aveva fatto del giornale un vessillo da alzare nei cortei arcobaleno, con una prima pagina a titoli cubitali. E anche in seguito aveva continuato a tuonare contro l’intervento armato, giù giù fino a quel 12 novembre della strage di Nassiriya, annunciata a tutta pagina con parole d’un gelo sovrano. “Crudele attentato”, strillava il titolo. E sotto: “Si è consumato un altro atto in cui trova terribile e inquietante espressione la disumana logica della guerra”. Stop. Per trovare la formula "missione di pace" applicata a ciò che avevano fatto i soldati italiani caduti bisognava andare a leggere dentro il telegramma di cordoglio del papa al presidente Carlo Azeglio Ciampi. Dentro. Non nel titolo di lancio, banalmente d’ufficio.

In segreteria di stato giudicarono che questo era troppo e ad Agnes fu imposto di riparare il danno. Detto e fatto. L’indomani “L’Osservatore” apriva così a tutta pagina: “Il sangue degli operatori di pace”. E subito sotto: “Il loro sangue è stato versato nell'adempimento di un servizio nobile e generoso, diretto a salvaguardare e a promuovere la pace in un territorio drammaticamente segnato dalle violenze della guerra e del dopoguerra. Le vittime del crudele attentato di Nassiriya si configurano come le sentinelle della pace. Credevano, dal profondo del proprio cuore, con sincera fermezza, di poter contribuire a realizzare la pace”. E così di seguito. Dal 13 novembre, con la rimessa in riga dell’”Osservatore Romano”, la nuova linea di deciso sostegno alla pacificazione anche armata dell’Iraq non ha più avuto voci dissonanti, in Vaticano.

E Giovanni Paolo II è il primo a sostenere questa linea, convinto di non dover nulla togliere, con ciò, alla sua vigorosa campagna di primavera contro l’intervento angloamericano in Iraq. A differenza di Tauran e Martino, infatti, il papa non ha mai condannato quella guerra come immorale e contraria alla fede cristiana. Non ha mai revocato la piena cittadinanza nella Chiesa ai molti cattolici che sostenevano la giustezza dell’intervento armato. E tra questi c’erano sì i “theoconservative” americani come Michael Novak e George Weigel. Ma c’erano anche gli intellettuali e preti di Cracovia a lui legati da antica e profonda amicizia. O, ancor più vicini, quelli del think tank del suo cardinale vicario Camillo Ruini, col suo giornale “Avvenire”.

Nel pieno della disputa pro e contro la guerra, Ruini è sempre stato il più consonante col papa, tra i maggiorenti del Vaticano e dintorni. Ma quando a dominare era il rumore pacifista, egli appariva marginale. Oggi avviene l’inverso. Gli eccentrici appaiono Tauran e Martino e a giganteggiare è Ruini, in ancor più evidente sintonia con il papa e con il team diplomatico di Sodano, Lajolo e Migliore.

L’omelia del cardinale vicario alla messa per i caduti di Nassiriya è stato il sigillo di questa ricomposta unità di linea ai vertici della Chiesa. Se ne son visti gli effetti anche in Iraq. Il nunzio vaticano a Baghdad, Fernando Filoni, ha appoggiato il “non fuggiremo” detto da Ruini nella cattedrale di San Giovanni in Laterano e il “dovere di servire quelle popolazioni” assegnato dal papa ai soldati. E come nuovo vescovo di Kirkuk il Vaticano ha approvato la nomina di Louis Sako, astro emergente della Chiesa caldea, aperto sostenitore dell’avvenuta liberazione dell’Iraq dalla dittatura di Saddam Hussein e del suo passaggio alla democrazia come modello per i paesi musulmani vicini, con i soldati occidentali ad aiutarne la sicurezza e la ricostruzione.

Anche tra i vescovi italiani è avvenuto un analogo riallineamento. Il cardinale di Torino, Severino Poletto, vicino da sempre al segretario di stato Sodano, ha prontamente applicato ai soldati italiani in Iraq il detto evangelico: “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. L’unico a mostrarsi discorde è stato il vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro, che in un’omelia ha criticato gli uomini di Chiesa, in testa Ruini, “che santificano i soldati e benedicono le armi”, e ha reclamato il ritiro del contingente italiano dall’Iraq. Ma s’è buscato per questo una grandinata di reprimende dal Vaticano, dalla conferenza episcopale, dal governo italiano, da quasi tutti: una reazione impensabile solo pochi mesi addietro. Ne ha preso le difese solo qualche intellettuale di sinistra. Il più in vista di questi, l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che è filosofo e anche studioso di teologia, era una volta stimato conferenziere alla Cei. Cancellato.