Faccia a faccia a Repubblica: Fini a confronto con Amos Luzzatto
presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche
"Chiusi i conti con il fascismo
non siamo eredi del Ventennio"
Il vicepremier: "Quello di Mussolini fu un regime autoritario"
Il leader ebraico: "L'evoluzione di An non è ancora compiuta"


Gianfranco Fini e Amos Luzzatto a Repubblica

ROMA - Gianfranco Fini dialoga con Amos Luzzatto nella redazione di Repubblica. "Un incontro storico", lo definisce Mario Pirani, qui nella veste di moderatore. "Per la prima volta il rappresentante della comunità ebraica incontra l'erede, sia pure aggiornato e revisionato, del movimento fascista". L'occasione del confronto, proposto a Repubblica dalla comunità ebraica, è il volumetto einaudiano - Il posto degli ebrei - in cui Luzzatto analizza alcune questioni connesse all'identità ebraica in Europa (argomento di straordinaria attualità all'indomani del discusso sondaggio europeo sul pericolo incarnato da Israele).

Numerosi i temi in discussione, ma su tutti prevale il processo di revisione avviato da Alleanza nazionale rispetto alle proprie radici storiche: il rapporto con l'eredità fascista, il giudizio sul fascismo come movimento antiliberale e antidemocratico, gli elementi di continuità e discontinuità rispetto al Movimento Sociale Italiano che dell'esperienza di Salò è diretta filiazione.

"Il nostro", premette Ezio Mauro, "è un giornale che si riconosce nella cultura costituzionale della Repubblica. E che condivide la lettura che il presidente Ciampi dà della Carta costituzionale come frutto della lotta di Liberazione dal nazifascismo. Per questo siamo interessati - culturalmente e politicamente - a questo confronto che sollecita la revisione in corso in Alleanza nazionale". Ecco la discussione che ha coinvolto i due protagonisti, Luzzatto e Fini, sollecitati dal direttore di Repubblica e da Mario Pirani.
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Onorevole Fini, per la prima volta in qualità di erede seppure revisionato del fascismo lei incontra il rappresentante degli ebrei italiani. Con che spirito si avvia a questo incontro?
FINI - "Un momento, non si può esordire sostenendo che Alleanza nazionale è l'erede del movimento fascista, per il semplice motivo che è un'eredità negata, quasi inesistente. Altra cosa è sostenere che An è erede diretta del Movimento sociale: non potrei negare l'evidenza".

Ma il Movimento sociale nasce direttamente dalla Repubblica sociale italiana. Se non riconosce il nonno, riconosce il padre?
FINI - "Guardate che la paternità è un principio che non si può disconoscere né misconoscere. Lo dissi già a Fiuggi, forse nel momento più complesso: dobbiamo uscire dalla casa del padre con la certezza di non farvi più ritorno. Allora ci fu chi pianse".

Professor Luzzatto, lei ritiene che il processo di revisione in An sia già compiuto?
LUZZATTO - "Ogni evoluzione non è mai semplice. Tanto meno questa avviata da Alleanza Nazionale, che comunque va avanti: dal principio di questa svolta a oggi, sento già delle differenze nel modo di esporre di Fini. Ma escludo che si tratti di un percorso compiuto. Spero e penso che neanche lo stesso Fini voglia considerarlo tale".

FINI - "Accetto la sua sfida culturale, professore. Una domanda: ma il percorso è compiuto o non è compiuto rispetto a cosa? Se - come credo - il percorso lo si definisce compiuto nel momento in cui si fanno propri i valori della democrazia di tipo costituzionale e parlamentare, allora io credo che il percorso sia compiuto".

Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche


Se questo fosse il parametro per valutare la compiutezza del percorso di revisione, non si spiegherebbe il martellamento cui oggi molti osservatori liberali sottopongono la sinistra italiana. C'è anche un altro parametro: il peso della tradizione, se non dell'eredità. Lei lo sente?
FINI - "Sento il peso della storia che non si può cancellare. E mi preme riprendere la considerazione del professor Luzzatto per cui ogni evoluzione ha delle contraddizioni: è la storia stessa che è basata su contraddizioni".

Nel suo partito - è lo stesso Luzzatto a ricordarlo - prevalgono e durano umori nostalgici. Anche di recente il ministro Tremaglia ha rivendicato l'eredità di Salò. E nei convegni gli autori più citati sono Evola, Pound, Brasillach.
FINI - "Questa analisi mi sembra eccessiva, come se davvero buona parte del mio partito non avesse condiviso la riformulazione di valori definita a Fiuggi, insomma non avesse compiuto lo strappo fino in fondo. Se l'immagine della svolta fosse posticcia, ci sarebbe una crisi di rigetto, visto che siamo un partito democratico e la gente vota".

LUZZATTO - "Vorrei qui insistere che il percorso di revisione di Alleanza nazionale - mi si permetta il bisticcio di parole - è ancora in corso d'opera, non definitivamente compiuto".

Ma l'onorevole Fini che cosa rivendica e che cosa butta via della tradizione fascista?
FINI - "Voglio essere chiaro: non c'è nulla da rivendicare, nel senso che il fascismo non fu altro che un regime autoritario".

Gianfranco Fini


Non fu anche totalitario?
FINI - "Se è giusta l'interpretazione di Hannah Arendt, secondo cui totalitario è il regime che per ottenere consenso ricorre al terrore di massa, il fascismo non fu totalitario. Autoritario è viceversa il regime che può aver consenso senza terrore: questo fu a mio avviso il caso del fascismo, che in Europa in quel periodo non fu l'unico regime autoritario. Si tratta di una pagina certamente dolorosa, chiusa in modo irreversibile nell'aprile del 1945".

Una pagina macchiata dalla violenza, dal principio alla fine.
FINI - "È scritto nei libri di storia, non c'è dubbio".

A questo proposito: l'anno prossimo ricorre l'ottantesimo anniversario dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Lei come intende ricordarlo?
FINI - "Beh, il governo prenderà certamente qualche iniziativa".

Questo sì, ma la domanda è rivolta a lei non come rappresentante del governo ma in qualità di leader di Alleanza nazionale.
FINI - "Ma perché proprio io? Non credo che vi sia questa necessità: provvederanno le istituzioni, oltre che gli eredi che si riconoscono in Matteotti. E anch'io farò la mia parte, come cittadino".

Non crede che sia un dovere morale di riparazione? Matteotti fu ucciso da quel regime da cui voi discendete.
FINI - "Ma è proprio questo che io contesto! Noi con il fascismo abbiamo fatto definitivamente i conti. Non ci sentiamo eredi. Poi posso spendere due parole sull'uso pubblico della storia? Ho troppo rispetto per la storia per approvarne l'impiego strumentale. Quando nei convegni di Alleanza nazionale è circolato Il libro nero del comunismo non ero per niente contento".


Ma, a proposito di uso pubblico della storia, è invalsa una sorta di banalizzazione del fascismo. Non è anche compito vostro porre un freno a questo processo?
FINI - "Il problema - ripeto - è ancora più ampio: siamo in presenza di una volgare banalizzazione della storia. Un popolo che non rispetta la propria storia è destinato a rivivere tragedie, non sempre farse. Noi - e parlo di noi politici, noi giornalisti, noi storici - abbiamo una maledetta e deprecabile abitudine: quella di usare la storia come se fosse una clava, un'arma contundente nel dibattito politico. Per cui banalizziamo tutto, anche quello che non va banalizzato".

Onorevole Fini, lei è stato l'ultimo segretario del Movimento sociale, più tardi il leader del partito che ha avviato la svolta. Un processo pubblico non facile - da erede di Salò a democratico - che sarà stato accompagnato da un travaglio personale.
FINI - "Vorrei dire con molta umiltà e con sincerità che non ho meriti particolari. Farei una gran bella figura rivendicando non so quale travaglio. Ma la mia è una generazione che è nata ampiamente dopo la guerra e che quindi, pur avvertendo tutta la tragicità della storia, se ne è come distaccata".

LUZZATTO - Quel che si chiama "il vantaggio della nascita tardiva"?

FINI - "Sì, in un certo senso? Ma non è né un vantaggio né una colpa: è un dato biologico. Siamo la "generazione dei post", più sereni rispetto a passioni e tragedie, e quindi più facilitati nel rompere con quelle tradizioni".

LUZZATTO - "Io sono nato presto, e quindi appartengo alla generazione delle passioni. Una generazione che non si poteva permettere distaccate analisi storiche, letterarie o filosofiche, ma si misurava con questioni di sopravvivenza. Quando ero ragazzo, nel 1942, facevo il conto dei giorni che probabilmente mi restavano da vivere".

Lei evoca la stagione delle leggi razziali rispetto alle quali è possibile rilevare una differenza positiva di Fini nei confronti di Berlusconi. Fini ha riflettuto su queste leggi come leggi italiane, non come un portato dell'alleanza con Hitler.
LUZZATTO - "Questo è importante, certamente. Su questa strada Fini deve continuare. Ora il problema è trovare - se esiste - il terreno nel quale tutti possiamo riconoscerci ancora. E non c'è dubbio che per me il terreno è quello della difesa della democrazia. Che vuol dire molte cose: vuol dire elezioni libere, vuol dire libertà di circolazione delle idee, vuol dire anche vincoli, vincoli anche all'esercizio del potere. Questa è la democrazia contro l'autoritarismo".

Onorevole Fini, lei prima ha sostenuto di avere fatto definitivamente i conti con il fascismo. Ma quali sono le nuove componenti culturali del suo partito?
FINI - "Indicherei tre radici essenziali: nazionale, nell'accezione non di nazionalismo ma di amor patrio; liberale; cattolica".

LUZZATTO - "Mi permetto di dire che, quando si parla di eredità liberale e cattolica, perlomeno per l'Italia intervengono delle contraddizioni. Non c'è ombra di dubbio che, alla fine del periodo risorgimentale, tra liberali e cattolici ci fu un grosso contrasto".

FINI - "Io la distinzione netta tra cultura liberale e cultura cattolica non la farei con l'accetta, proprio perché sono culture che in qualche modo si sono scontrare e integrate".

Diventa rilevante il giudizio sulla Costituzione. Noi condividiamo l'opinione del presidente Ciampi per cui la carta costituzionale non è un documento octroyée, senz'anima, ma la sua anima deriva da quel tanto di resistenza e di opposizione al fascismo che c'è stata e che è la fonte di legittimazione. Onorevole Fini, lei è d'accordo?
FINI - "Sì, non c'è dubbio che la Costituzione ha un valore che va al di là del certificato di nascita, perché i valori non decadono. La Costituzione ha un suo valore nella prima parte che non va cambiata perché è quella in cui - lasciata alle spalle l'esperienza fascista - si tenta di dar vita a simboli e radici comuni. È la prima parte della Costituzione che ormai appartiene al comune sentire degli italiani".

E il 25 aprile? Ritiene che questa data abbia ancora un valore simbolico preciso o è d'accordo con chi a destra vuole trasformarla in festa di liberazione da tutti i totalitarismi, fascista e comunista?
FINI - "Il 25 aprile è una data fondante della storia repubblicana: si festeggia la nascita della democrazia. Noi che abbiamo il peso della storia abbiamo anche rispetto per la storia".

Venendo alla questione europea, la domanda centrale posta da Luzzatto è "quale Europa". Le soluzioni sono tre: un'Europa delle Nazioni, un'Europa delle genti e un'Europa cristiana. Cosa ne pensa l'onorevole Fini?
FINI - Secondo me la risposta è nel preambolo del Trattato, là dove, fra l'altro, si dice che l'Europa intende proseguire il suo "percorso di civiltà, di progresso e prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti". Dice "abitanti", non "cittadini": l'immagine che se ne ricava è quella di un'Europa aperta. La sola chiusura ammessa è all'ignoranza e al fanatismo. Abbiamo cercato di dare un'idea di Europa dialogante: proprio perché cosciente di avere un'identità ben marcata, non teme il confronto. Xenofobia, antisemitismo, razzismo sono figli dell'ignoranza e di una percezione di sé debole. Quando questa percezione viene meno, eccoci al sonno della ragione, alla paura e all'integralismo, ai muri. È ancora in discussione la questione delle "radici cristiane dell'Europa". Io ho proposto di inserire nel Preambolo l'espressione "radici religiose", secondo la tradizione "ebraica e cristiana": si badi, non "ebraico-cristiana" con il trattino, perché la tradizione cristiana non è il superamento dell'altra, si tratta invece di tradizioni distinte. È vero, poi, che in Europa vivono musulmani, atei, miscredenti, buddisti... Ma il Dna più profondo della nostra identità è questo: ebraico e cristiano. Mi viene in mente un'espressione di Schuman: "Europa delle cattedrali". Possiamo parlare di "Europa delle cattedrali" o di "Europa delle sinagoghe", ma certo non di "Europa delle moschee"".

C'è chi sostiene che anche l'Illuminismo e la Rivoluzione francese sono elementi costituenti di questa identità.
FINI - "Quando nel Preambolo si parla di "uguaglianza degli esseri umani", di "diritti inviolabili, si rispetta il ruolo di alcune grandi correnti di pensiero. Ripeto, però: qual è il comune denominatore che tiene insieme il contadino lettone e il pescatore portoghese? È il luogo in cui pregano il loro Dio".

LUZZATTO - "Su questo ho due riserve. La prima riguarda "il luogo in cui si prega": un denominatore che lascia fuori una quantità di popolazione che non prega affatto. E lascia fuori, fra l'altro, anche molti ebrei, perché non tutti sono rispettosi della loro religiose e vanno in sinagoga. Serve, perciò, anche un'altra categorizzazione, per cui si possa dire: questo è l'europeo. In secondo luogo, l'Islam. Se non vogliamo chiudere l'Europa in una fortezza, si deve riconoscere che esiste la questione del mondo mediterraneo, che con l'Europa si intreccia fortemente. Allora, la "radice" non può essere solo ebraica e cristiana. Il prevalere di due religioni non ci aiuterà: le religioni sono tre e, anche se è difficilissimo, è questo il punto con cui dobbiamo fare i conti".

C'è il pericolo d'una recrudescenza dell'antisemitismo oggi in Europa?
LUZZATTO - "C'è la tendenza a sollecitare una certa demonizzazione intorno a tutto quello che sa di ebraico. Prendiamo il recente sondaggio europeo che individua nello Stato di Israele il maggior pericolo per la pace. È un sondaggio a dir poco folle, che però si fonda su una formula pericolosa: governo israeliano=tutti gli israeliani; tutti gli ebrei=malvagità assoluta. Ecco questo è antisemitismo".

FINI - "Non c'è dubbio. Direi che la metodologia è perlomeno azzardata. Chi ha commissionato il sondaggio o è in malafede o non ha controllato fino in fondo i suoi meccanismi. Vorrei però rimarcare che questo sondaggio tendenzioso è il riflesso di una posizione sbilanciata dell'Europa verso il Medio Oriente: indulgente verso i palestinesi, intollerante nei confronti di Israele".

Anche la sinistra può avere responsabilità in questo sbilanciamento. Ma non ritiene, onorevole Fini, che sia pericoloso sposare acriticamente la linea più estremistica, che è quella di Sharon, per ragioni di politica interna, soprattutto per rifarvi una verginità nei confronti degli ebrei?
FINI - "Respingo questa ipotesi assolutamente peregrina. Molto più semplicemente: usciamo da anni di squilibrio della politica italiana nella vicenda mediorientale: noi stiamo, molto più modestamente, riequilibrando".

Tra poco, onorevole Fini, sarà ricevuto in Israele, dove incarnerà una doppia veste: rappresentante d'una destra democratica e portatore d'una tradizione precedente. Come vive questo passaggio?
FINI - "Con umiltà".
(Testo raccolto da Simonetta Fiori)