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"L'arbitro è il venduto", uno studio sui sistemi di calcolo degli indici d'ascolto televisivo, presentato a Roma con l'autore Giulio Gargia e Giulietto Chiesa

L'inganno dell'Auditel

Può capitare che un concerto all'aperto - trasmesso in diretta - venga sospeso per pioggia e che la Rai mandi in onda per trenta minuti il quadrante di un orologio. e può capitare che in quei trenta minuti le valutazioni dell'Auditel diano al segnale orario uno share del 15,5 per cento, pari a tre milioni e mezzo di telespettatori. O, ancora, può capitare che nelle zone colpite di recente dal black out dell'energia elettrica - dove per causa forza maggiore tutti gli apparecchi televisivi erano spenti - sempre l'Auditel registrasse alti tassi d'ascolto. Non sono aneddoti, ma gli esempi più eclatanti di come funziona, nel sistema televisivo italiano, la rilevazione statistica delle preferenze del pubblico. I dati Auditel sui telespettatori vengono non solo utilizzati dai pubblicitari per ripartire gli investimenti, ma considerati una bussola infallibile di ciò che i programmi devono o non devono offrire. Un meccanismo indagato e studiato dal giornalista Giulio Gargia nel volume L'Arbitro è il venduto. Auditel, AudiRadio, Hit Parade, AudiWeb, AudiSat (Editori Riuniti, pp. 240, euro 14,00) - presentato ieri a Roma nella sede della Fondazione Basso. Il testo nasce sull'onda del movimento di critica alla comunicazione in Italia che è Megachip (http: //www. megachip. info/), il network di operatori e utenti della comunicazione fondato da Giulietto Chiesa, ieri presente alla discussione insieme a Michele Sorice, direttore della collana degli Editori Riuniti "Black/White Box" e docente di storia della radio e della televisione, alla giornalista ed ex direttore del tg3 Daniela Brancati, al docente universitario Flavio Manieri - che ha curato l'introduzione del libro - il docente di istituzioni di diritto pubblico Giampiero Orsello e, infine, la giornalista Daniela Bolsi, vittima di un caso di censura proprio per aver scritto un articolo-inchiesta sull'Auditel - di cui rendiamo conto in questa stessa pagina.

Dieci milioni di euro all'anno, ossia ventimila miliardi di vecchie lire: a tanto ammonta il giro d'affari della pubblicità che ruota attorno agli indici d'ascolto misurati da Auditel, Audiradio, Audiweb, Audisat e Hit Parades. Nato in origine per fornire i dati sull'ascolto ai pubblicitari, l'Auditel è diventato nel corso del tempo una specie di voce divina che svela i gusti del pubblico e condiziona la qualità dei palinsesti, spesso attirandola verso il basso.

Il saggio di Gargia, diviso in undici capitoli, è dedicato alle storture più vistose del sistema. Basta accennare alla procedura farraginosa - spiegata dall'autore - che le famiglie campioni dell'Auditel devono seguire ogni volta che accendono il televisore: per mezzo di un telecomando devono segnalare chi e quanti, in quel momento, sono presenti. Inutile dire che alla lunga le procedure vengono disattese, talvolta sconfinando in veri e propri giochi. Ma quanto la valutazione Auditel sia lontana dal rigore scientifico lo dimostra il fatto che è sufficiente restare trenta secondi davanti al televisore per essere annoverati tra i telespettatori di un programma. Sono tanti i casi in cui la tv è accesa senza che vi sia nessuno a guardarla.

L'Auditel - sottolinea Michele Sorice - va indagato in quanto costruisce una certa «rappresentazione del pubblico», un consenso artificiale attorno al quale si stabilisce una preoccupante «spirale del silenzio».

Anche per Giulietto Chiesa l'Auditel è la punta di diamante di un'informazione nel complesso manipolatoria. «Sarò radicale. Io sostengo con passione che siamo ormai di fronte a una mutazione antropologica, l'avvento dell'homo videns. Purtroppo la sinistra non ha capito nulla di questa modificazione e lo stesso movimento operaio e democratico non è partecipe della nuova, fondamentale battaglia politica che si è aperta sul fronte della libertà d'informazione». Una battaglia che ha bisogno, innanzitutto, di aumentare la conoscenza dei processi informativi, a vantaggio non solo dell'opinione pubblica, ma «degli stessi produttori di notizie, i giornalisti, che al momento attuale si trovano in completa solitudine di fronte ai giganti proprietari di giornali e televisioni». Con i suoi numeri l'Auditel costruisce a uso e consumo dei padroni dell'informazione un'immagine di pubblico, per «dimostrare che la gente desidera esattamente quel che le si offre in televisione. Che bella sorpresa!».

Qual è il rimedio? A nulla servirebbe spegnere la televisione «come una certa sinistra sdegnata ancora oggi propone, perché siamo entrati ormai nella società dell'immagine, anzi siamo soltanto agli inizi. E' solo in avanti che possiamo superare questo sistema manipolatorio. Per esempio, ricorrendo alla stessa tecnologia, ad apparecchi che, inseriti nel nostro televisore, sono in grado di bloccare la pubblicità a noi sgradita. Oppure, attuando un boicottaggio dei prodotti pubblicizzati nelle trasmissioni televisive che non ci piacciono».

Della necessità di una trasformazione radicale parla invece Daniela Brancati: «da Berlusconi in poi tutto il sistema televisivo è finalizzato alla pubblicità azzerando qualunque politica editoriale. La sinistra non può essere succube del berlusconismo». L'errore - sottolinea Flavio Maniero - è pensare di «battere il neoliberismo ripetendo, a sinistra, le sue stesse parole, con la sola aggiunta di un tono di credibilità e maggiore serietà».

Tonino Bucci
Liberazione
29/10/03___