Continua l'offensiva di M.A. contro i musulmani in Italia.
La comunità islamica in Italia viene grottescamente descritta come un'associazione a delinquere tutta tesa:

" all’estorsione nei confronti di correligionari, al traffico di documenti e denaro falsi, allo spaccio di droga, alla ricettazione e allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina". Il tutto vergognosamente associato alla zakat, il segno della solidarietà tra le creature, il terzo pilastro dell'Islam quello che ci fa musulmani nella collettività.

Sono le prove generali della peggiore offensiva liberticida che questo paese abbia mai subito.

Chiediamo la solidarietà attiva di tutti coloro che hanno a cuore la libertà e la giustizia


«Guerra a chi finanzia i fanatici Chiuderò le moschee fuorilegge» (Il Corriere della Sera del 25.9.03)
ROMA - «Guerra. Contro i finanziamenti al terrorismo è guerra aperta». Il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu interviene con un’intervista al Corriere della Sera nell’inchiesta sui soldi sporchi delle moschee: «Non permetteremo che le moschee italiane si trasformino in centri di finanziamento occulto e di arruolamento dei combattenti islamici». Più in generale Pisanu chiarisce la sua strategia. Da un lato «isolare gli estremisti dalla stragrande maggioranza dei moderati islamici. «Purtroppo è quasi sempre nelle moschee che avviene la conversione all’estremismo islamico. Quindi lo dico chiaramente: o le moschee rispettano la legge o chiudono». Dall’altro lato Pisanu tende la mano alla «stragrande maggioranza dei moderati che sono venuti da noi solo per cercare pane e lavoro». E annuncia: «Strumento iniziale del dialogo sarà la Consulta Islamica Italiana che costituirò agli inizi dell’anno prossimo». Le indagini investigative e giudiziarie confermano che da alcune moschee d’Italia partono flussi di denaro verso i gruppi terroristici islamici, in aggiunta a gruppi di militanti che vanno a combattere in Iraq ed altrove. Come sta reagendo il governo? La sensazione è che si tratti di un fenomeno in crescita. L’Italia è più a rischio ora rispetto a due anni fa, cioè prima dell’11 settembre?

«Noi stiamo combattendo con grande determinazione e con buoni risultati tutti i traffici illeciti che finanziano e alimentano il terrorismo. Non permetteremo che le moschee italiane si trasformino in centri di finanziamento occulto e di arruolamento dei combattenti islamici. Siamo partecipi della mobilitazione internazionale volta a debellare questa piaga e faremo fino in fondo la nostra parte come ha ribadito a New York il presidente Berlusconi. Insomma contro i finanziamenti al terrorismo è guerra aperta. Detto questo, non credo che l’Italia oggi sia più a rischio rispetto a due anni fa. Lo dico per due ragioni essenziali. Innanzitutto perché gli interventi militari in Afghanistan e in Iraq hanno fortemente indebolito le strutture portanti delle grandi organizzazioni internazionali, e poi perché dopo l’11 settembre la generale intensificazione delle attività antiterroristiche ha colpito duramente anche nel resto del mondo. Bisogna tuttavia riconoscere che i grandi gruppi di matrice islamica - e fra questi Al Qaeda - dimostrano una notevole capacità di adattamento e mantengono elevato il livello della minaccia anche in Europa e in Italia».

L’Italia oggi si presenta, dal punto di vista islamico, come un Paese «moscheizzato». I gestori delle moschee mirano a imporre il loro potere sull’insieme della comunità musulmana che è sostanzialmente laica. Quale è la vostra strategia per assicurare che l’islam rimanga nella sua dimensione di fede e non venga strumentalizzato a fini eversivi?

«Intanto sviluppiamo le iniziative di contrasto sia al finanziamento lecito e illecito del terrorismo, sia al reclutamento di combattenti islamici destinati alle aree di conflitto religioso. Contemporaneamente conduciamo azioni di più lungo respiro, volte a isolare gli estremisti dalla stragrande maggioranza dei moderati islamici, salvaguardando la dimensione di fede ed il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di religione».

Cherchez l’argent Ci può descrivere l’azione del governo volta a contrastare le fonti di finanziamento degli estremisti islamici?

«Senza scendere in particolari, le ricordo il lavoro proficuo che sta facendo il Comitato di Sicurezza Finanziaria, presieduto dal Direttore Generale del Tesoro. E poi i controlli sempre più accurati sulle forme maggiormente diffuse di finanziamento: dalla zakat nelle moschee, all’estorsione nei confronti di correligionari, al traffico di documenti e denaro falsi, allo spaccio di droga, alla ricettazione e allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. I risultati che abbiamo raggiunto in questo campo, ci hanno procurato qualificati riconoscimenti anche all’estero».

Lei ha recentemente sostenuto che Al Qaeda e Bin Laden sarebbero coinvolti nella tratta dei clandestini e nella spartizione dei suoi enormi profitti. Ha citato la cifra di 2 miliardi di euro. Questo interesse finanziario significa forse anche che la presenza di Al Qaeda in Italia sta diventando più consistente?

«Al Qaeda è presente in Italia come nel resto d’Europa, che è meta di grandi flussi migratori. Non abbiamo elementi per dire che si sta rafforzando. Abbiamo sufficienti motivi per ritenere che stia cercando di differenziare le sue fonti di finanziamento e che abbia messo le mani sull’enorme business illegale dell’immigrazione clandestina».

L’esercito dei clandestini sembra essere un pericoloso bacino che alimenta sia i finanziamenti, sia i militanti della causa islamica. Come pensa di prosciugare questo terreno di coltura dell’estremismo che arricchisce i fautori della Guerra santa islamica?

«Come ho detto altre volte, siamo di fronte ad un fenomeno di dimensioni epocali, alimentato dai grandi squilibri economici, sociali, demografici e politici del pianeta che muovono milioni di disperati. E su scala planetaria o, quanto meno, continentale andrebbe affrontato. Io ho proposto un’articolata politica europea delle migrazioni che comprende misure dirette ed indirette contro l’immigrazione clandestina e specialmente contro le organizzazioni criminali che sfruttano spietatamente i clandestini. Finora ho trovato larghe adesioni, dal Parlamento europeo alla recente riunione dei ministri dell’Interno dell’Europa allargata, ma occorre del tempo per attuarla. Nel breve e nel medio periodo dovremo fare prevalente affidamento sulle politiche nazionali, mettendo a frutto le esperienze più significative acquisite in Italia ed altrove».

Un po’ ovunque in Italia spuntano società di comodo che vendono false certificazioni di lavoro e lucrano sulla regolarizzazione dei clandestini. Questo fenomeno persiste nonostante la recente sanatoria che chiaramente non risolve il problema di fondo, cioè la sicurezza del lavoro regolarizzato. Lei ha in mente una possibile soluzione?

«Non sono d’accordo sulla sua valutazione: la regolarizzazione in atto risolve il problema, perché il meccanismo messo in opera consente di scoprire gli imbrogli e individuare gli imbroglioni. Entro la fine dell’anno noi regolarizzeremo circa 700 mila clandestini dotandoli di un regolare contratto di lavoro e di un regolare permesso di soggiorno: è una operazione gigantesca che non ha precedenti in Europa. Naturalmente già oggi chi non è in regola o in corso di regolarizzazione è un clandestino e viene allontanato dal nostro Paese».

Le indagini in corso indicano che alcune moschee a Milano e Bologna risultano coinvolte in un giro di raccolta di fondi destinati a gruppi terroristici islamici in Iraq, Palestina e altrove. Come intende regolarsi nei confronti di queste moschee e delle persone che gestiscono questi traffici?

«Come lei sa quelle indagini investono diverse altre città italiane e, le assicuro, procedono senza sosta. Naturalmente non possiamo fare d’ogni erba un fascio, ma le responsabilità personali vengono accuratamente accertate e perseguite. Non a caso dagli inizi dell’anno ad oggi sono stati eseguiti numerosi arresti, fermi di polizia e oltre 50 perquisizioni domiciliari nei confronti di presunti appartenenti ad organizzazioni estremiste islamiche».

Un’altra fonte importante di finanziamento occulto dell’estremismo islamico sono le macellerie islamiche. Guarda caso quasi ovunque i gestori delle moschee sono al tempo stesso i gestori delle macellerie islamiche. Non le sembra curioso? Come mai non si riesce a scardinare questa mafia economico-religiosa?

«Anche quel circuito è oggetto di investigazioni. Sono state localizzate macellerie sospette e individuate le organizzazioni terroristiche destinatarie dei fondi. Osservo che i tempi sono davvero cambiati. Una volta le ambasciate islamiche di Roma si servivano nelle migliori macellerie ebraiche che, come è noto, osservano gli stessi rituali. Oggi invece...».

Alcune moschee sono risultate coinvolte nel traffico di droga. Si tratta di casi isolati o è un fenomeno più diffuso di quanto non si pensi?

«Non sono casi isolati, ma neppure generalizzabili. Il traffico di droga, comunque, è una delle forme già note di finanziamento al terrorismo di matrice islamica».

La moschea di Cremona è risultata al centro di un singolare episodio di arruolamento e invio di combattenti islamici di Ansar al Islam nel Kurdistan Iracheno. Come è possibile che ciò sia potuto accadere? Avete preso dei provvedimenti per reprimere questo fenomeno?

«L’arruolamento di mujahiddin è una delle attività consuete del terrorismo islamico in Italia e in Europa. L’episodio a cui lei si riferisce riguarda anche la città di Brescia. Esso ha dato luogo a vaste indagini dei carabinieri e della polizia che hanno portato, tra l’altro, all’arresto di tre tunisini nello scorso mese di aprile».

Lei ha avuto il coraggio e la fermezza di chiedere e ottenere l’allontanamento dell’imam della Grande moschea di Roma che in un sermone aveva inneggiato ai kamikaze islamici. Eppure non si tratta affatto di un caso isolato. Come pensate di assicurare che lo stesso non accada nelle altre centinaia di moschee d’Italia?

«È vero, non era un caso isolato, ma c’era una denuncia circostanziata che mi ha consentito di richiamare l’attenzione dei responsabili della moschea. Non mi piacciono i giudizi sommari e perciò non posso estendere a tutti i frequentatori delle moschee le responsabilità degli estremisti che vi si annidano. Di fronte a indicazioni precise, però, sono pronto a ripetere settanta volte sette l’intervento che lei ha richiamato e, se necessario, anche con maggior determinazione. Non è tollerabile che luoghi di preghiera (questo e non altro sono le moschee per le leggi italiane) diventino luoghi di eccitazione alla violenza o, peggio ancora, di sostegno attivo al terrorismo. Spero che i responsabili delle moschee se ne rendano conto e che si regolino di conseguenza».

A Napoli si sta sviluppando una singolare collaborazione tra i gruppi islamici algerini e la camorra, a cominciare dalla produzione di documenti falsi che circolano nella rete mondiale dell’estremismo islamico. La preoccupa questo coordinamento tra la criminalità organizzata nostrana e quella islamica?

«Certo che mi preoccupa. È un’attività che conosciamo da tempo e che viene seguita con la necessaria attenzione. Peraltro, la produzione di documenti falsi, compresi i contratti di lavoro, si è ormai estesa anche al Nord Italia e non sorprende che vi siano implicate organizzazioni criminali come la camorra. In fondo è ovvio che tra criminali si intendano».

A Tel Aviv il 30 aprile si è fatto esplodere un kamikaze britannico. La mente dei sanguinosi attentati suicidi del 16 maggio a Casablanca sembra essere il convertito francese Richard Robert. L’Europa si dimostra terra di esportazione di kamikaze e di terroristi islamici. A livello di ministri dell’Interno dell’Unione Europea si discute di questa realtà? Si è coscienti di questa pericolosa involuzione?

«Sì, ne abbiamo discusso e siamo pervenuti alla conclusione che il fatto costituisce un’inquietante novità sulla scena del terrorismo islamico in Europa, perché a parte ogni altra considerazione, contribuisce oggettivamente ad innalzare il livello della minaccia. Nei casi da lei citati l’unico fattore scatenante del terrorismo è quello religioso. Non il fattore economico o sociale. Ed è purtroppo quasi sempre nelle moschee che avviene la conversione all’estremismo islamico. Quindi lo dico chiaramente: o le moschee rispettano la legge o chiudono. Aggiungo comunque che stiamo rafforzando la cooperazione tra servizi di intelligence e di polizia e stiamo definendo il rilancio di Europol come strumento comune di lotta al terrorismo. In questa lotta consideriamo decisiva la cooperazione Euro-Atlantica».

Lei ha più volte sostenuto che non risulta esserci un legame operativo tra i terroristi italiani e quelli islamici. È però un dato di fatto che entrambi condividono l’odio nei confronti dell’America e del modello di stato, di società, di civiltà diffuso in Occidente. Dal suo osservatorio si sente tranquillo? Non c’è rischio che quest’odio che li accomuna si trasformi in un’azione più concreta?

«Non è un rischio incombente. Per le Brigate Rosse e i gruppi affini l’anti-imperialismo è ancora una fondamentale opzione ideologica, ma è sempre meno una direzione di lotta. Essi infatti hanno concentrato l’attenzione sul mondo del lavoro e sulla salvaguardia della classe operaia come principale forza rivoluzionaria: in questo campo cercheranno di colpire. Non escludo però che possano avvalersi della collaborazione occasionale di terroristi islamici. Non credo invece ad alleanza strategiche».

In Francia il suo omologo Sarkozy ha fatto eleggere un Consiglio francese del culto musulmano. Lei sembra più propenso a dar vita a un organismo consultivo scelto tra le personalità islamiche moderate. Ci sono delle difficoltà a concretizzare la sua idea? Può dirci quando questa consulta vedrà la luce?

«Nicolas Sarkozy mi ha spiegato che vi è una chiara correlazione tra l’apertura del dialogo con l’islam moderato e la riduzione del 22% della violenza nelle banlieu parigine. Io penso che abbia ragione. E seppure con modalità diverse, voglio fare la stessa cosa in Italia: dialogare con la stragrande maggioranza dei moderati che sono venuti da noi solo per cercare pane e lavoro; e invece isolare e combattere la minoranza esigua degli estremisti che è venuta qui con ben altre intenzioni. Strumento iniziale del dialogo sarà la Consulta Islamica Italiana che costituirò agli inizi dell’anno prossimo, chiamando a farne parte soltanto esponenti moderati che si riconoscono nelle nostre istituzioni e rifiutano la visione totalizzante dell’Islam».

Mi sembra che in quest’ambito si situi anche il convegno interreligioso da lei promosso a fine ottobre a Roma.

«Diciamo che è un’iniziativa di carattere pre-politico il cui scopo è appunto quello di puntare sul dialogo interreligioso come fattore di coesione sociale nei Paesi europei che sono meta dei flussi migratori più consistenti. L’interesse straordinario di tutti i colleghi mi convince che si tratta di una valida iniziativa che può essere sviluppata fino ad arrivare ad una sorta di Carta europea del dialogo interreligioso. Peraltro, mi affascina l’idea che questo confronto tra i ministri dell’Interno venga aperto da esponenti delle tre grandi religioni monoteistiche nate nel Mediterraneo - i tre rami della famiglia di Abramo - e che sia concluso da un grande costruttore di pace come Sua Santità Giovani Paolo II».
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Nel diario di un pastore protestante internato in un campo di concentramento tedesco è stato trovato un appunto che diceva pressapoco così: «prima sono venuti a prendere gli zingari, e noi non abbiamo protestato perché non eravamo zingari; poi sono venuti a prendere gli ebrei, e noi non abbiamo protestato perché non eravamo ebrei; poi sono venuti a prendere i comunisti, e noi non abbiamo protestato perché non eravamo comunisti; poi sono venuti a prendere gli omosessuali, e noi non abbiamo protestato perché non eravamo omosessuali; infine sono venuti a prendere noi, e non c’era più nessuno capace di protestare».