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    Predefinito Il Codice di diritto canonico del 1983

    Cari forumisti,
    sono passati vent'anni da quando, il 25 gennaio 1983, il Papa Giovanni Paolo II promulgava, con la Costituzione Apostolica "Sacrae disciplinae leges" il nuovo Codice di diritto canonico (per la Chiesa latina), frutto del lavoro di revisione di quello pio-benedettino del 1917.
    Esso entrava in vigore il primo giorno di Avvento di quell'anno.
    In seguito spero, tempo permettendo, di poter di esprimere una mia personale valutazione, offrendo una comparazione (penso obiettiva e rigorosa) tra il codice del '17 e quello dell'83, evidenziando i meriti ed i "demeriti" di quest'ultimo.
    Un caro saluto a tutti

    Augustinus

  2. #2
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    Predefinito

    Mi permetto di segnalare questa interessante ed utile news dell'Agenzia Fides


    S.E.R. Mons. Julìan Herranz, Arcivesco Titolare di Vertara, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi.


    Città del Vaticano (Agenzia Fides) - Venti anni fa, il 25 gennaio 1983, veniva promulgato il Nuovo Codice di Diritto Canonico. Nell'udienza ai partecipanti alla Giornata Accademica commemorativa, il 24 gennaio scorso, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha sottolineato: "In questi vent'anni si è potuto constatare fino a che punto la Chiesa avesse bisogno del nuovo Codice. Felicemente le voci di contestazione del diritto sono ormai piuttosto superate. Tuttavia, sarebbe ingenuo ignorare quanto resta da fare per consolidare nelle presenti circostanze storiche una vera cultura giuridico-canonica e una prassi ecclesiale attenta alla intrinseca dimensione pastorale delle leggi della Chiesa." Nell'intervista rilasciata all'Agenzia Fides, il Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, l'Arcivescovo Julián Herranz, sottolinea con chiarezza l'importanza del Codice per la vita della Chiesa, evidenziando le forme di collaborazione dei fedeli laici e specialmente le norme sulle Missioni.

    Che importanza ha avuto la promulgazione dell'attuale Codice di Diritto Canonico per la vita ecclesiale?

    Nell'atto di promulgazione del nuovo Codice, Papa Giovanni Paolo II disse che esso era il frutto di un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico la dottrina del Concilio Vaticano II. Il Beato Giovanni XXIII, in effetti, nell'annunziare la convocazione del Concilio Vaticano II, volle anche la riforma del Codice di Diritto Canonico come il "coronamento del Concilio". E oggi, dopo ormai vent'anni, il Codice si è dimostrato uno strumento validissimo sia per il governo della Chiesa, sia per promuovere una più ampia partecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa, in modo confacente alla loro personale condizione.
    Anche grazie alla promulgazione del Codice del 1983 e al vigoroso rinnovamento della scienza canonica si è ormai superato l'antigiuridismo del dopo-Concilio, si spera perciò che si abbia maggior cura di preparare i sacri ministri nella dovuta conoscenza delle leggi della Chiesa.
    Vorrei sottolineare inoltre, che non soltanto il nuovo Codice della Chiesa latina, ma l'intero Corpus Iuris Canonici riflette pienamente, tanto nei principi basilari come nella stessa formulazione delle norme, la natura propria del Popolo di Dio, del Corpo Mistico di Cristo, "communio spiritualis" di fede, speranza e amore e, simultaneamente, compagine visibile, società dotata di organismi gerarchici (cfr. Lumen gentium, 8). È proprio l'assoluta inseparabilità di queste due realtà - carismatica e istituzionale - quella che assicura al Diritto canonico e alla Legge ecclesiastica la propria specifica giuridicità, la propria identità e finalità.
    Uno dei punti più discussi durante il Concilio Vaticano II è stato quello riguardante la partecipazione dei laici alla missione della Chiesa.

    Che novità il Codice ha portato in questo campo?

    Il Codice ha risposto adeguatamente alle attese Conciliari e alle necessità della Chiesa di fronte alle sfide del terzo millennio?
    La chiamata universale alla santità e all'apostolato, proclamata nel capitolo V della Costituzione dogmatica Lumen gentium, è stata un punto fondamentale del Concilio Vaticano II, e acquista un particolare rilievo riguardo ai fedeli laici poiché essa mette in risalto che anche loro sono chiamati ad essere santi e a diffondere il Vangelo. Non è quindi sorprendente che il Codice di Diritto Canonico abbia introdotto due nuovi titoli con ben 24 canoni che stabiliscono con forza e chiarezza i diritti e i doveri di tutti i fedeli nonché i diritti e doveri specifici dei fedeli laici.
    Si tratta di un'ampia normativa che rispetta e tutela la loro legittima libertà di azione, corrispondente alla loro responsabilità personale, che esercitano per propria vocazione nel "cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (cfr. Lumen gentium, 31), nella vita e nelle attività di ogni giorno, nella famiglia, nel lavoro, negli impegni sociali e politici, ecc. Si può capire bene quanto il nuovo Codice di Diritto Canonico possa contribuire - se le sue norme vengono ben conosciute ed applicate - alle necessità missionarie della Chiesa di fronte alle sfide del nuovo Millennio.

    Ma oltre a questo ruolo proprio dei laici nell'evangelizzazione delle realtà temporali, la nuova legislazione canonica apre altre possibilità di partecipazione alla vita della Chiesa?

    Quali potrebbero essere i campi di azione dei fedeli laici all'interno delle strutture ecclesiastiche?
    Il Codice e altre successive norme universali hanno aperto nuove prospettive di partecipazione dei fedeli laici, anche a livello di collaborazione nel governo della Chiesa (can. 129, § 2). Possono pertanto assistere i Pastori come esperti e consiglieri, anche nei consigli pastorali (can. 228 § 2), ma anche ricoprendo uffici ecclesiastici (§ 1), come ad esempio: economo diocesano (can. 494), amministratore di beni (can. 1282), giudice del tribunale ecclesiastico (cann. 1421, § 2 e 1428), difensore del vincolo e promotore di giustizia (can. 1434), ed altri. Per quanto concerne la funzione di insegnare, fatta salva la riserva dell'omelia ai ministri ordinati, molto svariate sono le possibilità di servizio della Parola dei fedeli nella Chiesa, senza escludere la docenza delle Sacre Scienze (can. 229, § 3), anche nelle Facoltà ecclesiastiche. Possono, poi svolgere innumerevoli funzioni nella vita parrocchiale e nelle stazioni missionarie, come ad esempio quella degli accoliti e dei lettori, dei cantori e direttori di coro, di catechisti, di guida delle riunioni di preghiera, dell'assistenza ai poveri e ai malati, e tante altre attività. A questo proposito basta pensare all'importanza dello stupendo servizio svolto dai catechisti delle zone missionarie nella trasmissione della fede: in Africa sono più di 50.000.
    Vi sono poi situazioni di particolare necessità, soprattutto per penuria di ministri ordinati, in cui, oltre a ciò che è proprio della loro specifica vocazione, i fedeli laici esercitano alcune funzioni di carattere suppletivo. In tali circostanze essi possono essere nominati, ad esempio, ministri straordinari del Battesimo (can. 861, § 1), della Comunione e dell'Esposizione - non della benedizione - del Santissimo Sacramento (cann. 910, § 2 e 943), delegati per assistere ai matrimoni (can. 1112), come possono anche amministrare alcuni sacramentali (can. 1168).
    Ovviamente la normativa canonica tiene conto della differenza essenziale e non solo di grado tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. È ben noto, infatti, che solo il sacramento dell'ordine attribuisce al ministro ordinato una peculiare partecipazione all'ufficio di Cristo, capo e pastore, e al suo sacerdozio eterno. Perciò "i vari ministeri, uffici e funzioni che i fedeli laici possono legittimamente svolgere nella liturgia, nella trasmissione della fede e nelle strutture pastorali della Chiesa, dovranno essere esercitati in conformità alla loro specifica vocazione laicale, diversa da quella dei ministri sacri" (Christifideles laici, 23). La corretta applicazione della normativa canonica pertanto aiuta tutti i fedeli, laici e pastori, a vivere con fedeltà la propria vocazione al servizio dell'unica missione della Chiesa.

    Oltre alla partecipazione dei fedeli laici alla missione della Chiesa, quali altre dimensioni missionarie significative sono presenti nel Codice di Diritto Canonico?

    Come si sa il Codice contiene anche le norme sulle Missioni. Si può indicare per primo il can. 781 - ispirato al n. 35 del Decreto Ad gentes del Concilio Vaticano II -, che si riferisce all'obbligo di tutti i fedeli, consci della loro responsabilità, di assumere la propria parte nell'opera missionaria; il can. 782 fa obbligo ad ogni Vescovo di avere una peculiare sollecitudine per le missioni, specialmente suscitando, favorendo e sostenendo iniziative missionarie. Infine nel can. 783 si tratta anche dello speciale obbligo missionario dei religiosi. Infatti è caratteristica delle missioni avere necessità dell'aiuto di altre Chiese - specialmente con l'invio di evangelizzatori - per annunziare Gesù Cristo alle genti dove non è stato ancora fatto oppure esiste solo una comunità cristiana appena nata. Perciò il "cuore missionario" che ogni cattolico deve avere, trova anche la sua espressione canonica. Si specificano poi altri particolari, come ad esempio nel can. 791 l'obbligo per le diocesi di promuovere le vocazioni missionarie; la designazione di un sacerdote per promuovere le iniziative per le missioni; o i doveri di celebrare ogni anno la giornata per le missioni e di versare anche annualmente un contributo per le medesime, e così via.
    È ovvio che il missionario e il catechista, figure basilari delle missioni, così come il catecumenato, siano anch'esse regolate nei canoni. Inoltre, come il governo pastorale nei territori di missione si svolge in circostanze particolari, le norme canoniche prevedono un congruo adattamento a tali situazioni, come ad esempio l'esistenza nel Vicariato e nella Prefettura apostolica di un Consiglio della missione (di cui ai canoni 495 § 2 e 502 § 4), che può essere formato da soli tre missionari, il quale compie le funzioni che in una diocesi hanno il Consiglio presbiterale e il Collegio dei consultori. (M.R.) (Agenzia Fides 7/2/2003 - Righe 118/Parole 1427)

  3. #3
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    Predefinito

    Approfitto di questa discussione per ricordare agli amici forumisti che proprio ieri Mons. Herranz, è stato elevato dal Santo Padre alla porpora cardinalizia.
    A Sua Eminenza il Cardinale Herranz il nostro più sincero augurio, certi che nella nuova ed altissima dignità di principe della Chiesa continuerà il suo preziosissimo lavoro.


  4. #4
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    Predefinito Sacrae disciplinae leges

    Carissimi,
    mi unisco anch'io al Moderatore Lepanto nel formulare i miei più fervidi auguri a S. Eminenza Reverendissima Julian Herranz, insigne canonista e giurista.
    Posto, poi, per tutti la Costituzione apostolica "Sacrae disciplinae leges" (tratta dal sito del Vaticano) con la quale il Papa ha promulgato l'attuale Codice, per la Chiesa latina, del 1983.
    In Cristo

    Augustinus

    COSTITUZIONE APOSTOLICA
    SACRAE DISCIPLINAE LEGES
    DEL SOMMO PONTEFICE
    GIOVANNI PAOLO II
    PER LA PROMULGAZIONE DEL
    NUOVO CODICE DI DIRITTO CANONICO


    Lungo il corso dei secoli la Chiesa cattolica ha di solito riformato e rinnovato le leggi della sacra disciplina, affinché, in costante fedeltà al suo divino Fondatore, esse ben si adattassero alla missione salvifica, che a lei è affidata. Mosso da questo stesso proposito e dando finalmente compimento all'attesa di tutto quanto il mondo cattolico, dispongo quest'oggi, 25 gennaio dell'anno 1983, la pubblicazione del Codice di diritto canonico dopo la sua revisione. Ciò facendo, il mio pensiero si porta al medesimo giorno dell'anno 1959, allorché il mio predecessore Giovanni XXIII di felice memoria diede per la prima volta il pubblico annuncio di aver deciso la riforma del vigente «corpus» delle leggi canoniche, che era stato promulgato nella solennità di Pentecoste dell'anno 1917.

    Una tale decisione della riforma del Codice fu presa insieme con altre due decisioni, di cui quel pontefice parlò nello stesso giorno, concernenti l'intenzione di celebrare il sinodo della diocesi di Roma e di convocare il Concilio ecumenico. Di questi due eventi, anche se il primo non ha uno stretto riferimento alla riforma del Codice, l'altro tuttavia, cioè il Concilio, è di somma importanza in ordine al nostro argomento e si collega intimamente con esso.

    E se ci si domanda perché Giovanni XXIII abbia avvertito la necessità di riformare il Codice vigente, la risposta si può forse trovare nello stesso Codice, promulgato nell'anno 1917. Peraltro, esiste anche una diversa risposta, ed è quella decisiva: cioè che la riforma del Codice di diritto canonico appariva nettamente voluta e richiesta dallo stesso Concilio, il quale aveva rivolto la massima attenzione alla Chiesa.

    Com'è evidente, quando fu dato il primo annuncio della revisione del Codice, il Concilio era un'impresa del tutto futura. Si aggiunga che gli atti del suo magistero e, segnatamente, la sua dottrina intorno alla Chiesa sarebbero stati messi a punto negli anni 1962-1965; tuttavia non è chi non veda come l'intuizione di Giovanni XXIII sia stata esattissima, e bisogna dire a ragione che la sua decisione provvide in prospettiva al bene della Chiesa.

    Pertanto, il nuovo Codice, che oggi viene pubblicato, ha necessariamente richiesto la precedente opera del Concilio; e benché sia stato preannunciato insieme con l'assise ecumenica, tuttavia esso cronologicamente la segue, perché i lavori intrapresi per prepararlo, dovendosi basare sul Concilio, non poterono aver inizio se non dopo la sua conclusione.

    Volgendo oggi il pensiero all'inizio del lungo cammino, ossia a quel 25 gennaio dell'anno 1959, e alla stessa persona di Giovanni XXIII, promotore della revisione del Codice, debbo riconoscere che questo Codice è scaturito da un'unica e medesima intenzione, che è quella di restaurare la vita cristiana. Da una tale intenzione, in effetti, tutta l'opera del Concilio ha tratto le sue norme e il suo orientamento.

    Se ora passiamo a considerare la natura dei lavori, che hanno preceduto la promulgazione del Codice, come pure la maniera con cui essi sono stati condotti, specialmente durante i pontificati di Paolo VI e di Giovanni Paolo I e di poi fino al giorno d'oggi, è assolutamente necessario rilevare in tutta chiarezza che tali lavori furono portati a termine in uno spirito squisitamente collegiale. E ciò non soltanto si riferisce alla redazione materiale dell'opera, ma tocca altresì in profondo la sostanza stessa delle leggi elaborate.

    Ora, questa nota della collegialità, che caratterizza e distingue il processo di origine del presente Codice, corrisponde perfettamente al magistero e all'indole del Concilio Vaticano II. Perciò, il Codice, non soltanto per il suo contenuto, ma già anche nel suo primo inizio, dimostra lo spirito di questo Concilio, nei cui documenti la Chiesa, universale «sacramento di salvezza» (cf. «Lumen Gentium», 1.9.48), viene presentata come popolo di Dio e la sua costituzione gerarchica appare fondata sul collegio dei vescovi unitamente al suo capo.

    Per questo motivo, dunque, i vescovi e gli episcopati furono invitati a prestare la loro collaborazione nella preparazione del nuovo Codice, affinché attraverso un così lungo cammino, con un metodo per quanto possibile collegiale, maturassero, a poco a poco, le formule giuridiche, che in seguito dovevano servire per l'uso di tutta quanta la Chiesa. In tutte le fasi, poi, di tale impresa parteciparono ai lavori anche degli esperti, cioè uomini specializzati nella dottrina teologica, nella storia e soprattutto nel diritto canonico, i quali furono chiamati da tutte le parti del mondo.

    A tutti e a ciascuno di loro desidero oggi manifestare i sentimenti della mia viva gratitudine. Innanzitutto si presentano ai miei occhi le figure dei cardinali defunti, che presiedettero la commissione preparatoria: il cardinale Pietro Ciriaci, il quale iniziò l'opera, e il cardinale Pericle Felici, il quale per molti anni guidò l'iter dei lavori fin quasi al loro termine. Penso, poi, ai segretari della medesima commissione: il reverendissimo monsignor Giacomo Violardo, poi cardinale, e il padre Raimondo Bidagor, della Compagnia di Gesù, entrambi i quali nell'assolvere questo compito vi profusero i doni della loro dottrina e sapienza. Insieme con essi ricordo i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi e tutti coloro che sono stati membri di quella commissione, nonché i consultori dei singoli gruppi di studio impiegati, durante questi anni, in un'opera tanto difficile, e che Dio nel frattempo ha chiamato al premio eterno. Per tutti loro sale a Dio la mia preghiera di suffragio.

    Mi è caro però anche ricordare le persone viventi, a cominciare dall'attuale propresidente della commissione, il venerabile fratello monsignor Rosalio Castillo Lara, che per lunghissimo tempo ha egregiamente lavorato in un'impresa di tanta responsabilità, per passare poi al diletto figlio monsignor Guglielmo Onclin, la cui assiduità e diligenza ha grandemente contribuito alla felice conclusione dell'opera, fino a tutti gli altri che nella commissione stessa, sia come membri cardinali, sia come officiali, consultori e collaboratori nei vari gruppi di studio o in altri uffici, hanno dato il loro apprezzato apporto alla elaborazione e al completamento di un'opera tanto ponderosa e complessa.

    Pertanto, promulgando oggi il Codice, sono pienamente consapevole che questo atto è espressione dell'autorità pontificia, perciò riveste un carattere primaziale. Ma sono parimenti consapevole che questo Codice, nel suo oggettivo contenuto, rispecchia la sollecitudine collegiale per la Chiesa di tutti i miei fratelli nell'episcopato. Anzi, per una certa analogia con il Concilio, esso deve essere considerato come il frutto di una collaborazione collegiale scaturita dal confluire di energie da parte di persone e istituzioni specializzate sparse in tutta la Chiesa.

    Si pone ora una seconda questione circa la natura stessa del Codice di diritto canonico. Per rispondere bene a questa domanda, bisogna riandare con la mente al lontano patrimonio di diritto contenuto nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale, come dalla sua prima sorgente, proviene tutta la tradizione giuridico-legislativa della Chiesa.

    Cristo Signore, infatti, non ha voluto affatto distruggere il ricchissimo retaggio della legge e dei profeti, che si era venuto man mano formando dalla storia e dall'esperienza del popolo di Dio nell'Antico Testamento, ma gli ha dato compimento (cf. Mt 5,17), così che esso in modo nuovo e più elevato entrò a far parte dell'eredità del Nuovo Testamento. Perciò, quantunque san Paolo nell'esporre il mistero pasquale insegni che la giustificazione non si ottiene con le opere della legge, ma per mezzo della fede (cf. Rm 3,28; Gal 2,16), con ciò tuttavia né annulla l'obbligatorietà del decalogo (cf. Rm 13,8-10; Gal 5,13-25; 6,2), né nega l'importanza della disciplina nella Chiesa di Dio (cf. 1Cor cap. 5 e 6). In tal modo gli scritti del Nuovo Testamento ci consentono di percepire ancor più l'importanza stessa della disciplina e ci fanno meglio comprendere come essa sia più strettamente congiunta con il carattere salvifico dello stesso messaggio evangelico.

    Stando così le cose, appare abbastanza chiaramente che il Codice non ha come scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono.

    Il Codice, dal momento che è il principale documento legislativo della Chiesa, fondato nell'eredità giuridico-legislativa della rivelazione e della tradizione, va riguardato come lo strumento indispensabile per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale, sia nell'attività stessa della Chiesa. Perciò, oltre a contenere gli elementi fondamentali della struttura gerarchica e organica della Chiesa quali furono stabiliti dal suo divin Fondatore oppure radicati nella tradizione apostolica, o in ogni caso antichissima, e oltre alle principali norme concernenti l'esercizio del triplice ufficio affidato alla stessa Chiesa, il Codice deve definire anche alcune regole e norme di comportamento.

    Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare. Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio «canonistico» l'immagine della Chiesa, tuttavia a questa immagine il Codice deve sempre riferirsi, come a esempio primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto è possibile, per sua natura.

    Da qui derivano alcuni criteri fondamentali, che reggono tutto il nuovo Codice, nell'ambito della sua specifica materia, come pure nel linguaggio collegato con essa. Si potrebbe anzi affermare che da qui proviene anche quel carattere di complementarietà che il Codice presenta in relazione all'insegnamento del Concilio Vaticano II, con particolare riguardo alle due costituzioni, dogmatica «Lumen Gentium» e pastorale «Gaudium et Spes».

    Ne risulta che ciò che costituisce la «novità» fondamentale del Concilio Vaticano II, in linea di continuità con la tradizione legislativa della Chiesa, per quanto riguarda specialmente l'ecclesiologia, costituisce altresì la «novità» del nuovo Codice.

    Fra gli elementi che caratterizzano l'immagine vera e genuina della Chiesa, dobbiamo mettere in rilievo soprattutto questi: la dottrina, secondo la quale la Chiesa viene presentata come il popolo di Dio e l'autorità gerarchica viene proposta come servizio (cf. «Lumen Gentium», 2.3); la dottrina per cui la Chiesa è vista come «comunione», e che, quindi, determina le relazioni che devono intercorrere fra le chiese particolari e quella universale, e fra la collegialità e il primato; la dottrina, inoltre, per la quale tutti i membri del popolo di Dio, nel modo proprio a ciascuno, sono partecipi del triplice ufficio di Cristo: sacerdotale, profetico e regale. A questa dottrina si riconnette anche quella che riguarda i doveri e i diritti dei fedeli, e particolarmente dei laici; e, finalmente, l'impegno che la Chiesa deve porre nell'ecumenismo.

    Se, quindi, il Concilio Vaticano II ha tratto dal tesoro della tradizione elementi vecchi e nuovi, e il nuovo consiste proprio in questi e in altri elementi, allora è chiaro che anche il Codice debba rispecchiare la stessa nota di fedeltà nella novità, e di novità nella fedeltà, e conformarsi ad essa nel proprio campo e nel suo particolare modo di esprimersi.

    Il nuovo Codice di diritto canonico vede la luce in un tempo in cui i Vescovi di tutta la Chiesa non solo chiedono la sua promulgazione, ma la sollecitano con insistenza e quasi con impazienza.

    E in realtà il Codice di diritto canonico è estremamente necessario alla Chiesa. Poiché, infatti, è costituita come una compagine sociale e visibile, essa ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica e organica sia visibile; sia perché l'esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della sacra potestà e dell'amministrazione dei sacramenti, possa essere adeguatamente organizzato; sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, garantiti e ben definiti i diritti dei singoli; sia, finalmente, perché le iniziative comuni, intraprese per una vita cristiana sempre più perfetta, attraverso le leggi canoniche vengano sostenute, rafforzate e promosse.

    Finalmente, le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l'osservanza. E' stata usata, quindi, la massima diligenza, perché nella lunga preparazione del Codice l'espressione delle norme fosse accurata, e perché esse risultassero basate su un solido fondamento giuridico, canonico e teologico.

    Dopo tutte queste considerazioni, è da augurarsi che la nuova legislazione canonica risulti un mezzo efficace perché la Chiesa possa progredire, conforme allo spirito del Vaticano II, e si renda ogni giorno sempre più adatta ad assolvere la sua missione di salvezza in questo mondo.

    Mi è caro affidare a tutti con animo fiducioso queste mie considerazioni, nel momento in cui promulgo questo corpo principale di leggi ecclesiastiche per la Chiesa latina.

    Voglia Dio che la gioia, la pace, la giustizia e l'obbedienza raccomandino questo Codice; e che quanto viene comandato dal Capo venga osservato nelle membra.

    Fiducioso, quindi, nell'aiuto della grazia divina, sostenuto dall'autorità dei santi apostoli Pietro e Paolo, ben consapevole di ciò che compio, accogliendo i voti dei vescovi di tutto il mondo, che con animo collegiale hanno collaborato con me; con quella suprema autorità di cui sono rivestito, per mezzo di questa costituzione, da valere per sempre in futuro, promulgo il presente Codice, così com'è stato ordinato e rivisto. Comando che in avvenire abbia forza di legge per tutta la Chiesa latina, e l'affido alla vigile custodia di tutti quelli cui spetta, perché venga osservato.

    Affinché poi tutti possano più agevolmente informarsi e conoscere a fondo queste disposizioni, prima che esse abbiano effetto giuridico, dichiaro e dispongo che esse abbiano forza obbligante a partire dal primo giorno di avvento di quest'anno 1983. Ciò, naturalmente, anche se vi fossero disposizioni, costituzioni, privilegi, anche degni di speciale e singolare menzione, e consuetudini in contrario.

    Esorto, quindi, tutti i fedeli a voler osservare le norme proposte con animo sincero e buona volontà, nella speranza che rifiorisca nella Chiesa una rinnovata disciplina; e che, di conseguenza, sia sempre più favorita con l'aiuto della beatissima Vergine Maria, madre della Chiesa, la salvezza delle anime.

    Roma, dal Palazzo Apostolico, 25 gennaio 1983, anno quinto del mio Pontificato.


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    Predefinito

    Posto per tutti la Costituzione Apostolica promulgata lo stesso giorno 25 gennaio 1983, riguardante la disciplina delle cause dei Santi.
    Ricordo, a titolo informativo, che nel vecchio Codice, quello del 1917, essa era ricompresa tra le norme codiciali. Ciò appesantiva non poco l'intero corpus normativo.
    Il Legislatore canonico del 1983, nella sua riforma, ha quindi preferito rendere più snello il Codice di diritto canonico, emanando un'apposita legislazione per le cause dei santi.
    Cordiali saluti

    Augustinus

    COSTITUZIONE APOSTOLICA
    DIVINUS PERFECTIONIS MAGISTER
    CIRCA LA NUOVA LEGISLAZIONE
    PER LE CAUSE DEI SANTI


    Il Maestro divino della perfezione e il modello, Cristo Gesù, che insieme al Padre e allo Spirito Santo «unico santo», amò la Chiesa come una sposa e diede se stesso per lei, per santificarla e renderla gloriosa ai suoi occhi. Pertanto, dato il precetto a tutti i suoi discepoli, affinché imitassero la perfezione del Padre, inviò lo Spirito Santo su tutti, che li muova internamente, affinché amino Dio di tutto cuore, e affinché si amino reciprocamente, allo stesso modo in cui lui li amò. I seguaci di Cristo - come si esorta attraverso il Concilio Vaticano II - chiamati e giustificati in Gesù Cristo, non secondo le loro opere ma secondo il disegno e la grazia di lui, nel Battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò veramente santi.

    Dio sceglie in ogni tempo un gran numero di questi che, seguendo più da vicino l'esempio di Cristo, offrano una gloriosa testimonianza del Regno dei cieli con lo spargimento del sangue o con l'esercizio eroico delle virtù.

    Invero la Chiesa, che fin dagli inizi della religione cristiana ha sempre creduto che gli Apostoli e i Martiri siano con noi strettamente uniti in Cristo, li ha celebrati con particolare venerazione insieme con la beata Vergine Maria e i santi Angeli, e ha implorato piamente l'aiuto della loro intercessione. A questi in breve tempo si aggiunsero altri che avevano imitato più da vicino la verginità e povertà di Cristo, e infine tutti gli altri, che il singolare esercizio delle virtù cristiane e i carismi divini raccomandavano alla pia devozione e imitazione dei fedeli.

    Considerando la vita di quelli che hanno fedelmente seguito Cristo, per una tale insolita ragione siamo incitati a ricercare la Città futura e ci è insegnata una via sicurissima attraverso la quale, tra le vicende del mondo, possiamo arrivare alla perfetta unione con Cristo o, per dir meglio, alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno.

    Senza dubbio, avendo una tal moltitudine di testimoni, attraverso i quali Dio si fa presente a noi e ci parla, siamo attirati con grande forza a guardare il Regno suo nei cieli. La Sede Apostolica, accogliendo i segni e la voce del suo Signore col massimo timore e docilità, da tempi immemorabili, per il gravoso compito affidatole di insegnare, santificare e reggere il Popolo di Dio, offre all'imitazione dei fedeli, alla venerazione e all'invocazione gli uomini e le donne insigni per lo splendore della carità e di tutte le altre virtù evangeliche e dopo aver condotto i debiti accertamenti, dichiara con un solenne atto di canonizzazione che essi sono Santi o Sante.

    L'Ordinamento delle cause di canonizzazione, che il Nostro predecessore Sisto V affidò alla Congregazione dei Sacri Riti da lui stesso fondata, è stato sviluppato nel corso dei tempi da sempre nuove norme, soprattutto ad opera di Urbano VIII, che Prospero Lambertini (poi divenuto Benedetto XIV), raccogliendo anche esperienze del tempo passato, lasciò ai posteri nell'opera intitolata Beatificazione dei Servi di Dio e canonizzazione dei Beati, e che rimase come regola per quasi due secoli presso la Sacra Congregazione dei Riti. Norme di tal genere infine furono raccolte essenzialmente nel Codice di Diritto Canonico, pubblicato nell'anno 1917.

    Ma poiché il progresso delle discipline storiche, che ha fatto grandi passi nel nostro tempo, ha mostrato la necessità di arricchire la competente Commissione di uno strumento di lavoro più adeguato, per rispondere meglio ai postulati dell'arte critica, il nostro predecessore Pio XI con la Lettera apostolica «Già da qualche tempo» (Motu proprio) pubblicata il 6 febbraio 1930, istituì presso la Sacra Congregazione dei Riti la «Sezione storica» e le affidò lo studio delle cause «storiche». Il 4 gennaio 1939 lo stesso Pontefice fece pubblicare le Norme da osservare nell'istruire processi ordinari sulle cause storiche, con le quali rese di fatto superfluo il processo «apostolico», così che nelle cause «storiche» unico divenne il processo con autorità ordinaria.

    Paolo VI poi, con la Lettera apostolica «Sanctitas clarior» del 19 marzo 1967, stabilì che, anche nelle cause più recenti, si facesse un unico processo per quanto riguarda l'istruzione, cioè per raccogliere le prove, che il Vescovo istruisce, previo permesso tuttavia della Santa Sede. Il medesimo Pontefice con la costituzione apostolica «Sacra Congregazione dei Riti» dell'8 maggio 1969, in luogo della Sacra Congregazione dei Riti istituì due nuovi Dicasteri, ad uno dei quali affidò l'incarico di dare un assetto al Culto divino, all'altro quello di trattare le cause dei santi; in questa stessa occasione mutò alquanto l'ordine di procedere nelle medesime.

    Dopo le più recenti esperienze, infine, ci è parso opportuno di rivedere la via di istruzione delle cause e dare un ordinamento alla stessa Congregazione per le cause dei Santi, per venire incontro alle esigenze degli studiosi e ai desideri dei nostri fratelli nell'Episcopato, che hanno più volte sollecitato l'agilità del modo di procedere, mantenendo tuttavia ferma la sicurezza delle investigazioni in una questione di tanta gravità. Crediamo inoltre, privilegiando la dottrina della collegialità proposta dal Concilio Vaticano II, che sia assolutamente opportuno che gli stessi Vescovi si sentano maggiormente uniti alla Sede Apostolica nella trattazione delle cause dei santi.

    Per il futuro dunque, abrogate tutte le leggi di qualsiasi genere in materia, abbiamo stabilito che si debbano osservare le norme che seguono.

    Ai Vescovi diocesani o alle autorità ecclesiastiche e agli altri equiparati nel diritto, entro i confini della loro giurisdizione, sia d'ufficio, sia su istanza dei singoli fedeli o di legittime aggregazioni e dei loro procuratori, compete il diritto di investigare circa la vita, le virtù o il martirio e fama di santità o martirio, i miracoli asseriti, e, se è il caso, l'antico culto del Servo di Dio, del quale viene chiesta la canonizzazione.
    In ricerche di tal genere il Vescovo proceda secondo le Norme particolari da stabilirsi dalla Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, in questo ordine:
    1) Richieda al postulatore della causa, nominato legittimamente dal promotore, una accurata informazione sulla vita del Servo ci Dio, e si faccia contemporaneamente da quello accuratamente illustrare i motivi che sembrano richiedere una causa di canonizzazione.

    2) Se il Servo di Dio ha pubblicato suoi scritti, il Vescovo li faccia esaminare dai censori teologici.

    3) Se non si è trovato nulla in tali scritti contro la fede e la morale, allora il Vescovo faccia esaminare gli altri scritti inediti (lettere, diari, ecc.) e tutti i documenti, che in qualunque modo riguardino la causa, da persone adatte allo scopo, che, dopo aver compiuto il loro compito con scrupolosità, devono stendere una relazione sugli accertamenti fatti.

    4) Se da quanto fatto finora il Vescovo riterrà nella sua prudenza che si possa procedere oltre, faccia interrogare i testimoni addotti dal postulatore e gli altri che d'ufficio devono essere chiamati secondo il rito. Se poi fosse urgente l'esame dei testimoni per non perdere la possibilità di avere le prove, devono essere interrogati anche se non è ancora stata terminata l'indagine sui documenti.

    5) La ricerca sui miracoli asseriti si faccia separatamente dall'indagine sulle virtù o sul martirio.

    6) Terminate le indagini, si trasmettano tutti gli atti in duplice copia alla Sacra Congregazione, insieme a un esemplare dei libri del Servo di Dio esaminati dai censori teologici con il relativo giudizio. Il Vescovo inoltre deve aggiungere una dichiarazione sull'osservanza dei decreti di Urbano VIII sul non culto.

    3. E' compito della Sacra Congregazione per le Cause dei Santi, presieduta dal Cardinale Prefetto, con l'aiuto del Segretario, di fare ciò che concerne la canonizzazione dei Servi di Dio, sia assistendo i Vescovi nell'istruire le cause con il consiglio e le istruzioni, sia studiando a fondo le cause, sia infine pronunziandosi con il voto. Alla Congregazione spetta ancora di decidere su tutte quelle cose che si riferiscono all'autenticità e alla conservazione delle reliquie.

    4. E' compito del Segretario: 1) curare le relazioni con gli esterni, in particolare con i Vescovi che istruiscono le cause; 2) partecipare alle discussioni in merito alla causa, portando il voto nella Congregazione dei Padri Cardinali e dei Vescovi; 3) stendere la relazione sui voti dei Cardinali e dei Vescovi, da consegnare al Sommo Pontefice.

    5. Nell'adempiere al suo compito il Segretario è aiutato dal Sottosegretario, a cui spetta in particolare di vedere se sono state osservate le prescrizioni di legge nell'istruzione delle cause, ed è aiutato anche da un congruo numero di Ufficiali minori.

    6. Per lo studio delle cause presso la Sacra Congregazione c'è il Collegio dei Relatori, presieduto dal Relatore generale.

    7. E' compito dei singoli Relatori: 1) studiare le cause loro affidate con i cooperatori esterni e preparare le «Positiones super virtutibus et martyrio»; 2) illustrare per scritto tutti i chiarimenti storici, se sono stati richiesti dai Consultori; 3) partecipare come esperti, senza diritto di voto, alla riunione dei teologi.

    8. Ci sarà in particolare uno dei Relatori che avrà l'incarico di occuparsi a fondo della «Positio super miraculis», che parteciperà alla riunione dei medici e al Congresso dei teologi.

    9. Il Relatore generale, che presiede la riunione dei Consultori storici, è aiutato da alcuni Collaboratori nei suoi studi.

    10. Presso la Sacra Congregazione c'è un «Promotor fidei» o Prelato teologo, che ha il seguente compito: 1) presiedere il Congresso dei teologi, in cui ha diritto di voto; 2) preparare la relazione sullo stesso Congresso; 3) partecipare alla Congregazione dei Padri Cardinali e dei Vescovi come esperto, senza tuttavia diritto di voto. Per una o un'altra causa, se sarà necessario, dal Cardinale Prefetto potra essere nominato un «Promotor »fidei che faccia al caso.

    11. Per trattare le cause dei Santi sono a disposizione Consultori, chiamati da diverse parti, con specifica esperienza, chi in campo storico, chi in campo teologico.

    12. Per l'esame delle guarigioni, che vengono presentate come miracoli, si tiene presso la Sacra Congregazione una commissione di medici.

    13. Dopo che il Vescovo ha inviato a Roma tutti gli atti e i documenti riguardanti la causa nella Sacra Congregazione per le Cause Santi si proceda in tal modo:

    1) Innanzitutto il Sottosegretario esamina attentamente se nelle inchieste fatte dal Vescovo sono state osservate tutte le norme di legge e riferisce nel Congresso ordinario sull'esito dell'esame.

    2) Se il Congresso giudicherà che la causa è stata istruita secondo le norme di legge, stabilirà di affidarla a uno dei Relatori; il Relatore, a sua volta, aiutato da un Cooperatore esterno, farà la «Positio super virtutibus vel super martyrio», secondo le regole della critica agiografica.

    3) Nelle cause antiche e in quelle recenti, la cui indole particolare richiederà il giudizio del Relatore generale, la «Positio», una volta stesa, dovrà essere sottoposta all'esame dei Consultori esperti specifici della materia, perché esprimano il voto sul suo valore scientifico sulla sufficienza all'effetto. In singoli casi la Sacra Congregazione può affidare la «Positio» anche ad altri studiosi, non compresi nel numero dei Consultori.

    4) La «Positio» (con i voti scritti dei Consultori storici e con gli ulteriori chiarimenti del Relatore, se saranno necessari) sarà consegnata ai Consultori teologi, che esprimeranno il voto sul merito della causa; è loro compito, insieme al «Promotor fidei», studiare tanto a fondo la causa fino a che sia stato completato l'esame delle questioni teologiche controverse, qualora ve ne siano, prima che si arrivi alla discussione nel Congresso specifico.

    5) I voti definitivi dei Consultori teologi, insieme alle conclusioni stese dal «Promotor fidei», saranno affidate al giudizio dei Cardinali e dei Vescovi.

    14. Sui miracoli la Congregazione giudica con il seguente criterio:

    1) I miracoli asseriti, sui quali il Relatore incaricato di ciò prepara la «Positio», sono esaminati nella riunione degli esperti (se si tratta di guarigioni, nella riunione dei medici); i voti e le conclusioni degli esperti sono esposti in una accurata relazione.

    2) In secondo luogo si devono discutere i miracoli nello specifico Congresso dei teologi; e infine nella Congregazione dei Padri Cardinali e dei Vescovi.

    15. Il parere dei Padri Cardinali e dei Vescovi viene riferito al Sommo Pontefice, al quale solo compete il diritto di decretare il culto pubblico ecclesiastico del Servo Di Dio.

    16. Nelle singole cause di canonizzazione, il cui giudizio per il momento dipenda dalla Sacra Congregazione, la stessa Sacra Congregazione stabilirà, con un decreto particolare, il modo di procedere oltre, nell'osservanza tuttavia di questa nuova legge.

    17. Le norme stabilite con questa Nostra costituzione cominciano ad entrare in vigore da oggi. Vogliamo che queste norme e prescrizioni siano valide ed efficaci ora e per il futuro, non essendo in opposizione, fin dove è necessario, con le Costituzioni e gli ordinamenti apostolici fatti dai nostri predecessori, e le altre prescrizioni degne anche di particolare menzione e deroga.

    Roma, San Pietro, 25 gennaio 1983, V anno del nostro Pontificato.

  6. #6
    Affus
    Ospite

    Predefinito Re: Il Codice di diritto canonico del 1983

    Originally posted by Augustinus
    Cari forumisti,
    sono passati vent'anni da quando, il 25 gennaio 1983, il Papa Giovanni Paolo II promulgava, con la Costituzione Apostolica "Sacrae disciplinae leges" il nuovo Codice di diritto canonico (per la Chiesa latina), frutto del lavoro di revisione di quello pio-benedettino del 1917.
    Esso entrava in vigore il primo giorno di Avvento di quell'anno.
    In seguito spero, tempo permettendo, di poter di esprimere una mia personale valutazione, offrendo una comparazione (penso obiettiva e rigorosa) tra il codice del '17 e quello dell'83, evidenziando i meriti ed i "demeriti" di quest'ultimo.
    Un caro saluto a tutti

    Augustinus

    Gentile Augustinus
    nel liber VI De sanctionibus in ecclesia -Titulus V
    si dice :
    Can.1392 Clerici vel religiosi mercaturam vel negotiationem
    contra canonum praescripta exercentes pro delicti gravitate puninatur .


    Ebbene i paolini di Familgia Crstiana che hanno incassato miliardi e miliardi di pubblicita profana , sono o non sono dei semplici commercianti ? Sono o non sono dei simoniaci ?
    Io sto parlado di milardi di pubblicita profana mischiata all'immagine del vangelo e della chiesa .

    veniamo alle cose concrete per favore .
    perchè nessuno è intervenuto mai in tal senso nei loro confronti ?

  7. #7
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    Predefinito

    Caro Affus,
    cercherò di esser breve nella mia risposta, dal momento che essa richiederebbe una lunga trattazione.
    Le dispoisizioni canoniche riguardanti l'attività affaristica e commerciale sono contenute, oltre che nel can. 1392, anche e soprattutto nel can. 286.
    Quest'ultimo stabilisce (lo traduco dal latino a beneficio degli altri forumisti) che: "E' proibito ai chierici di esercitare, personalmente o tramite altri, l'attività affaristica e commerciale, sia nel proprio interesse sia per quello degli altri, se non con la licenza della legittima autorità ecclesiastica".
    E' da chiarire che col termine "chierici" qui s'intendono i vescovi ed i chierici degli istituti secolari e delle società di vita apostolica. Per i religiosi (ed i Paolini, a quanto ne so, rientrano in questo novero) il divieto è sancito nel can. 672. Restano esclusi dal divieto i membri laici degli istituti secolari ma non delle società di vita apostolica (can. 739).
    La pena prevista dal can. 1392 è ferendae sententiae ed indeterminata, ma obbligatoria. Il giudice o l'Ordinario devono, dunque, tener conto di ogni circostanza per valutare la gravità del reato.
    Tutto questo te lo dovevo precisare in generale.
    Per quanto riguarda i Paolini, beh potrai notare dalle disposizioni che ti ho citato che l'esrecizio del commercio e degli affari non è illecito in se: lo è soltanto quando la si compia senza licenza della competente autorità, come precisato dal can. 286. Ciò significa che per sua natura non è illecito nemmeno ai chierici ed ai religiosi, anzi non è neppure indecoroso o alieno nemmeno per lo stato clericale o religioso svolgere del commercio.
    Chi sia l'autorità che debba autorizzare quest'attività la disposizione non lo dice. Tuttavia, si può desumere che per i chierici secolari sia certamente il vescovo diocesano e coloro che sono ad esso equiparati (can. 381 § 2), in virtù dei cann. 85 ed 87. Per i religiosi e per i membri delle società di vita apostolica, è il proprio Ordinario o superiore maggiore e, secondo alcuni, anche i superiori locali. Tuttavia, la dottrina prevalente esclude i superiori locali, dal momento che l'attività commerciale o affaristica, comporta movimenti di persone, maneggio di capitali, ecc., che, di solito, superano la sfera di competenza di un superiore locale.
    Alla luce di quanto detto sopra, non puoi rammaricarti con i Paolini nè perché alcuno abbia assunto provvedimenti nei loro confronti. Semplicemente, la loro attività può reputarsi lecita, poichè senz'altro avranno avuto licenza da parte della competente autorità ecclesiastica (rientrando tutto ciò, a quanto ne sappia, nel loro specifico carisma, che è quello di svolgere l'apostolato mediante i mezzi di comunicazione: radio, TV, giornali, libri, ecc.).
    Spero di aver chiarito i tuoi dubbi.
    Cordialmente

    Augustinus

  8. #8
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    Predefinito

    Caro Augustinus, probabilmente affus si riferiva non al commercio di pubblicità in sè, bensì al contenuto della pubblicità, spesso blasfemo o, per usare il solito eufemismo, molto sopra le righe.
    L'autorità ecclesiastica che dovrebbe valiare certi contenuti ha concesso licenza di derogare anche in codesta materia?
    Grazie, ciao.
    Bellarmino

  9. #9
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    Predefinito

    Carissimo Bellarmino,
    non so se Affus si riferisse al contenuto della pubblicità in sè o meno. Io mi sono limitato a fornire una risposta, da un punto di vista canonistico, alla sua domanda così come l'ho intesa, attraverso il riferimento al can. 1392 ed al fatto che mi chiedeva se i Paolini fossero o meno dei commercianti.
    La mia, quindi, è stata una risposta solo giuridica, facendo rilevare come l'attività affaristica e di mercatura - se autorizzata dalla competente autorità - può essere esercitata dalle persone indicate nel can. 286. Nè più e nè meno.
    Altre valutazioni esulano dalla mia competenza (mi riferisco a valutazioni morali o teologiche). Per cui non sono in grado di poter dire - da un punto di vista giuridico - se una pubblicità dei Paolini sia o meno blasfema.
    Al più ti potrei dare un mio giudizio personale, cioè potrei dirti cosa ne penso io. E non mi pare che siano poi così blasfemi (almeno che io ricordi). D'altro canto, francamente, mi trovi alquanto indifferente ai messaggi pubblicitari, da qualsiasi parte provengano.
    Guardo, infatti, la televisione con una certa indifferenza, facendo in modo che certi messaggi mi scivolino via come l'acqua sull'impermeabile. E la pubblicità sui giornali non la degno neppure di un'occhiata ... .
    Per cui non ricordo messaggi che mi abbiano colpito negativamente da parte dei Paolini (mi riferisco alle loro iniziative editoriali spesso pubblicizzate).
    A parte questo, tornando al punto di vista giuridico, se qualsiasi persona ritenesse che un certo messaggio pubblicitario promosso dai Paolini o da altri sia, come dici tu carissimo amico, "sopra le righe", potrebbe benissimo segnalarlo alla competente autorità, affinchè vengano assunte le opportune misure o vengano fornite le opportune chiarificazioni.
    Altro non so dirti.
    Cordiali saluti in Cristo

    Augustinus

  10. #10
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    Predefinito DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II

    Posto (dal sito del Vaticano) a beneficio di tutti il discorso del Papa in occasione del ventesimo anniversario della promulgazione del Codice di diritto canonico.

    Augustinus

    DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
    AI PARTECIPANTI
    ALLA GIORNATA ACCADEMICA ORGANIZZATA
    DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI

    Venerdì, 24 gennaio 2003



    1. Sono molto lieto di accogliervi, cari partecipanti alla Giornata Accademica organizzata dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi sui "Vent'anni di esperienza canonica", che sono trascorsi da quando, il 25 gennaio 1983, ebbi la gioia di promulgare il nuovo Codex Iuris Canonici. Ringrazio di cuore il Presidente del Pontificio Consiglio, l'Arcivescovo Julián Herranz, per i sentimenti espressi a nome di tutti e per la efficace illustrazione del Convegno.

    La coincidenza tra la data di promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico e quella del primo annuncio del Concilio - ambedue gli eventi portano la data del 25 gennaio -, mi induce a ribadire ancora una volta lo stretto rapporto esistente tra il Concilio e il nuovo Codice. Non si deve infatti dimenticare che il Beato Giovanni XXIII, nel manifestare il proposito di indire il Concilio Vaticano II, rivelava di voler procedere anche alla riforma della disciplina canonica. Proprio pensando a questo, nella Costituzione apostolica Sacræ disciplinæ leges sottolineavo che tanto il Concilio quanto il nuovo Codice erano scaturiti "da un'unica e medesima intenzione, che è quella di restaurare la vita cristiana. Da una tale intenzione, in effetti, tutta l'opera del Concilio ha tratto le sue norme e il suo orientamento" (AAS, 75, 1983, pars II, pag. VIII).

    In questi vent'anni si è potuto constatare fino a che punto la Chiesa avesse bisogno del nuovo Codice. Felicemente le voci di contestazione del diritto sono ormai piuttosto superate. Tuttavia, sarebbe ingenuo ignorare quanto resta da fare per consolidare nelle presenti circostanze storiche una vera cultura giuridico-canonica e una prassi ecclesiale attenta alla intrinseca dimensione pastorale delle leggi della Chiesa.

    2. L'intenzione che ha presieduto la redazione del nuovo Corpus Iuris Canonici è stata ovviamente quella di mettere a disposizione dei Pastori e di tutti i fedeli uno strumento normativo chiaro, che contenesse gli aspetti essenziali dell'ordine giuridico. Sarebbe però del tutto semplicistico e fuorviante concepire il diritto della Chiesa come un mero insieme di testi legislativi, secondo l'ottica del positivismo giuridico. Le norme canoniche, infatti, si rifanno ad una realtà che le trascende; tale realtà non è solo composta di dati storici e contingenti, ma comprende anche aspetti essenziali e permanenti nei quali si concretizza il diritto divino.

    Il nuovo Codice di Diritto Canonico - e questo criterio vale anche per il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali - deve essere interpretato ed applicato in quest'ottica teologica. In tal modo, si possono evitare certi riduzionismi ermeneutici che impoveriscono la scienza e la prassi canonica, allontanandole dal loro vero orizzonte ecclesiale. Ciò avviene, com'è ovvio, soprattutto quando si pone la normativa canonica al servizio di interessi estranei alla fede e alla morale cattolica.

    3. In primo luogo, perciò, il Codice va contestualizzato nella tradizione giuridica della Chiesa. Non si tratta di coltivare un'astratta erudizione storica, ma di penetrare in quel flusso di vita ecclesiale che è la storia del Diritto Canonico, per trarne lume nell'interpretazione della norma. I testi codiciali, infatti, si inseriscono in un insieme di fonti giuridiche, che non è possibile ignorare senza esporsi all'illusione razionalistica di una norma esaustiva di ogni problema giuridico concreto. Una simile mentalità astratta si rivela infeconda, soprattutto perché non tiene conto dei problemi reali e degli obiettivi pastorali che sono alla base delle norme canoniche.

    Riduzionismo anche più pericoloso è quello che pretende di interpretare ed applicare le leggi ecclesiastiche distaccandole dalla dottrina del Magistero. Secondo tale visione, i pronunciamenti dottrinali non avrebbero alcun valore disciplinare, valore che sarebbe da riconoscere soltanto agli atti formalmente legislativi. E' noto che, in quest'ottica riduzionista, si è arrivati talvolta ad ipotizzare perfino due diverse soluzioni dello stesso problema ecclesiale: l'una ispirata ai testi magisteriali, l'altra a quelli canonici. Alla base di una simile impostazione vi è un'idea di Diritto Canonico molto impoverita, quasi che esso si identificasse con il solo dettato positivo della norma. Così non è: la dimensione giuridica infatti, essendo teologicamente intrinseca alle realtà ecclesiali, può essere oggetto di insegnamenti magisteriali, anche definitivi.

    Questo realismo nella concezione del diritto fonda un'autentica interdisciplinarietà tra la scienza canonistica e le altre scienze sacre. Un dialogo davvero proficuo deve partire da quella realtà comune che è la vita stessa della Chiesa. Pur studiata da angolature diverse nelle varie discipline scientifiche, la realtà ecclesiale rimane identica a se stessa e, come tale, può consentire un interscambio reciproco fra le scienze sicuramente utile a ciascuna.

    4. Una delle novità più significative del Codice di Diritto Canonico, come pure del successivo Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, è la normativa che i due Testi contengono sui doveri e diritti di tutti i fedeli (cfr CIC, cann. 208-223; CCEO, cann. 7-20). In realtà, il riferimento della norma canonica al mistero della Chiesa, auspicato dal Vaticano II (cfr Decr. Optatam totius, 16), passa anche attraverso la via maestra della persona, dei suoi diritti e doveri, tenendo ovviamente ben presente il bene comune della società ecclesiale.

    Proprio questa dimensione personalistica dell'ecclesiologia conciliare consente di comprendere meglio lo specifico ed insostituibile servizio che la Gerarchia ecclesiastica deve prestare per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei singoli e delle comunità nella Chiesa. Né in teoria né in pratica si può prescindere dall'esercizio della potestas regiminis e, più in generale, dell'intero munus regendi gerarchico, quale via per dichiarare, determinare, garantire e promuovere la giustizia intraecclesiale.

    Tutti gli strumenti tipici attraverso cui si esercita la potestas regiminis - leggi, atti amministrativi, processi, sanzioni canoniche - acquistano così il loro vero senso, quello di un autentico servizio pastorale in favore delle persone e delle comunità che compongono la Chiesa. Talvolta tale servizio può essere frainteso e contestato: proprio allora esso si rivela più necessario per evitare che, in nome di pretese esigenze pastorali, si prendano decisioni che possono causare e addirittura favorire inconsciamente delle vere ingiustizie.

    5. Consapevole dell'importanza del contributo specifico che, come canonisti, voi recate al bene della Chiesa e delle anime, vi esorto a perseverare con rinnovato slancio nella vostra dedizione allo studio e alla formazione canonistica delle nuove generazioni. Ciò non mancherà di favorire un significativo apporto ecclesiale a quella pace, opera della giustizia (cfr Is 32, 17), per la quale ho chiesto di pregare specialmente in quest'Anno del Rosario (cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariæ, nn. 6 e 40).

    Con questi auspici a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.

 

 
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