....in mafia

Vladimiro Crisafulli detto Mirello, un leader della sinistra siciliana e un osso duro, ha conferito ieri con il magistrato che gli ha applicato o dovuto applicare il famigerato “concorso esterno in mafia”. Gli ha spiegato che ha visto il boss Raffaele Bevilacqua nel segreto segretissimo della réception di un albergo assai frequentato, che riceveva le sue telefonate per cortesia data una vecchia e innocente frequentazione di famiglia, appalti sporchi non ne sono usciti, e il politico serio ascolta la gente e solo a Enna e dintorni questo può ammazzarlo giudiziariamente con l’accusa kafkiana ingegnosamente costruita da una procedura surreale e grottesca come le commedie di Ionesco.
La solita indagine (ce n’è per tutti nell’isola, da Marcello Dell’Utri al presidente della giunta Totò Cuffaro) con le solite intercettazioni, un amico qui, un conoscente lì, un cugino costà, e il racial profiling, la carta d’identità etnica del siculo-mafioso è bella e pronta.
L’avvocato diessino di grido difende Mirello, un caso individuale ovviamente, così come altri avvocati meno fortunati perché meno diessini difendono i Cuffaro e i Dell’Utri, altri casi individuali.
I politici siciliani sono pigri o spaventati, non ce la fanno a uscire dal bozzolo e a porre come una grande questione nazionale la riscrittura di quella procedura insensata che vige solo nell’isola e fa del far politica a Palermo o a Enna una specie di reato virtuale permanente.
Ecco un caso in cui lo Straparlante ha detto una cosa stra-ragionevole. Uno è mafioso, e bisogna dimostrarlo, oppure compie specifici reati connessi alla mafia, e bisogna dimostrarli, ma non può esistere la figura del mezzo mafioso, un colluso senza fattispecie di reato. Questa è la vera critica dell’applicazione indiscriminata (indiscriminata, ma non sempre) del concorso esterno in mafia.
Se il nostro amato (“insomma”, come dice Marcenaro) Cav. si decidesse, loquela a parte, a convocare Roberto Castelli, a prendere i resoconti del convegno che si fece nell’era dell’Ulivo cosiddetta sulla riscrittura del “concorso esterno”, e gli proponesse di scrivere insieme una variante del codice penale che esclude tassativamente il reato di cuginanza, amicizia o sicilianità, specificando bene che la mafia esiste, che è feroce, che il codice la combatte, che il senso comune la respinge, ma che deve essere mafia o reato e non reato di cattive frequentazioni ammesse a Milano e punite con la galera in Sicilia, non vivremmo già in parte nel famoso paese normale?
on cominceremmo a rivoltare come un calzino l’anomalia italiana?

il Foglio

saluti