Riflessioni sul PDL
Il partito – Il leader e la classe dirigente – Il re legittimo e il tiranno
11 giugno 2009
1. IL PARTITO
Se c'è una parola dalla quale intendo iniziare per queste riflessioni sul PDL e che in sè mi sembra racchiudere già il corretto atteggiamento da seguire, questa è "partito".
Io sono un liberale e un democratico. In una democrazia il confronto avviene tra fazioni che si affrontano liberamente e nel rispetto le une delle altre. I partiti sono i soggetti politici in cui queste fazioni hanno modo di essere rappresentate.
Un popolo, viceversa, esclude di per sè l'esistenza di fazioni. Al contrario, traccia un discrimine verso l'alto, ovvero nei confronti delle èlites. Il popolo non ama la democrazia rappresentativa preferendole la democrazia diretta, ovvero un sistema politico che esalti il rapporto diretto tra un vertice (il capo carismatico) e la base (il popolo), azzerando ogni altro tipo di mediazione (partiti, istituzioni).
Il populismo, anche quando si dice "democratico", si considera un corpo estraneo in quella che considera una "partitocrazia". E' una forza demagogica che rifiuta una sana dialettica tra destra e sinistra, ponendosi al di là di suddette divisioni, considerandosi piuttosto come l'unico, autentico, legittimo detentore della sovranità popolare.
Io non sono populista, ma conservatore. Ovvero, accetto il confronto liberaldemocratico presidiando l'ala destra dello schieramento parlamentare. Per questo motivo so di far parte di una fazione (i conservatori) e di aver bisogno di un partito e di politici qualificati - non di un capo! - che rappresentino le mie istanze.
Per questo motivo ritengo che il centrodestra italiano sia nato nella maniera peggiore, preferendo alla più corretta definizione di "Partito delle Libertà" la demagogica e alquanto pericolosa forma di "Popolo della Libertà".
Il primo errore è stato quello di non riconoscersi partito, ma popolo.
Il secondo, quello di ricevere questa investitura dai propri elettori attraverso un sondaggio, il massimo del qualunquismo populista.
Il terzo errore, non meno grave e anche questo indicativo dell'indirizzo preso, è stato quello di anteporre "la Libertà" al singolare al più liberale plurale de "le Libertà". Si è così paradossalmente avallata, per una forza politica di centrodestra, l'idea di una Libertà deificata, illuminista, madre di diritti, invece che una Libertà plurale non assoluta, ma soggetta a Dio, e quindi mezzo per la realizzazione e la responsabilità dell'individuo.
Ad una scelta liberale si è preferito l'approccio repubblicano. A Locke, Rousseau. Paradossale per una forza di destra, se non fosse che il PDL non ha mai inteso qualificarsi come tale. Intendendo rappresentare invece che una "parte" un "popolo", proprio come piaceva al filosofo ginevrino.
2. IL LEADER E LA CLASSE DIRIGENTE
Come si è detto, una delle differenze più evidenti fra un partito liberale ed un partito populista è che il primo si riconosce in una classe dirigente, di cui il leader è un "primus inter pares", mentre il secondo non ha classe dirigente demandando ogni cosa ad un "capo carismatico".
Forza Italia e Alleanza Nazionale, ovvero le forze che hanno in massima parte dato vita al PDL, intendevano essere entrambe liberaldemocratiche, ma erano dalla loro nascita soggette ad un vulnus liberale, ovvero erano entrambe caratterizzate da una leadership assoluta, cosa che mancava nel terzo soggetto, l'UDC, che non a caso prenderà una strada autonoma.
Sia Berlusconi che Fini hanno sempre svolto il ruolo di "capi carismatici". Berlusconi è il padre-padrone di Forza Italia, partito che ha una notevole classe dirigente, la quale però è impedita dallo svolgere la sua funzione in quanto soggetta al predominio assoluto e totalizzante della leadership populista.
Fini, dopo il breve interregno di Rauti nel MSI, ha sempre goduto del massimo controllo della destra, e se non è mai stato "padrone" di Alleanza Nazionale è sempre stato "intoccabile" in un partito e in una comunità che si è sempre identificata nei suoi capi, rivestendoli di un'aura addirittura mitica.
Il centro-destra italiano è stato sin dall'inizio caratterizzato dunque dalla diarchia Berlusconi-Fini, sulla quale (e non su altro) è stato costituito il PDL.
Non sappiamo se vi sia stato un preciso accordo di successione tra i due leaders, fatto sta che gran parte della polemica interna al partito si riconduce ad una malcelata accettazione di Fini del ruolo subordinato che gli è stato imposto. Berlusconi, abituato ad avere accanto semplici yesmen, è destinato a confliggere con Fini, ogni qual volta costui fa sentire chiaramente la propria voce discorde per rimarcare la propria autorità.
In questa controversia la classe dirigente del PDL si ritrova messa tra parentesi, costretta a seguire pedissequamente i voleri delluno o dell'altro capo, perdendo la propria autorevolezza e persino, in taluni casi, la propria dignità.
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Forse per salvaguardare i suoi interessi e rafforzare l'attuale posizione minoritaria, fatto sta che Gianfranco Fini, da quando è solo un "membro fondatore" del PDL sta dando voce a quanti rifiutano l'idea populista del capo carismatico attualmente simboleggiata da Silvio Berlusconi.
In questo caso, a mio avviso, un conservatore non può che plaudire al tentativo finiano di "declassare" Berlusconi a "primus inter pares", pur riconoscendone il legittimo ruolo di leader. Purtroppo, però, Silvio, fattosi incoronare dal suo popolo "Re", è lungi dall'acconsentire a questo ridimensionamento "democratico" e le tenta tutte per impedire alla "sua" classe dirigente di avere la forza e l'autorevolezza necessaria per guidare autonomamente un partito che possa considerarsi tale.
Ecco, dunque, l'atteggiamento tirannico di chi si considera non fungibile, deus ex machina delle fortune del proprio partito, salvo riversare poi, nei momenti peggiori, il fardello della scconfitta sui "colonnelli" che "non lo seguono".
In questo modo Berlusconi rinsalda continuamente il suo rapporto d'amore con l'elettorato, favorendo però implicitamente la deresponsabilizzazione della sua classe dirigente (abituata ormai a riporre ogni speranza in Silvio), nonchè impedendo ogni concreta dialettica democratica in un partito che ancora non sa se il suo primo congresso non sarà magari anche l'ultimo.
3. IL RE LEGITTIMO E IL TIRANNO
Il problema della destra italiana è che, innamorata dell'ordine e non dimentica della natura giacobina della sinistra, non è abituata a distinguere il Re legittimo dal tiranno. Il primo è soggetto alla legge laddove il secondo è d'uso strapazzarla per i suoi personali scopi.
Mussolini, ad esempio, gode ancora di una diffusa benevolenza popolare, essendo ricordato, a destra ma non solo, come colui che risanò strade e porti, favorì l'interesse nazionale, si accordò con la Chiesa, osteggiò il comunismo. Generalmente a destra si ha oggi maggior pudore di qualche anno fa nello sbandierare l'ostilità del Duce alle "plutocrazie occidentali", così come si condannano come "tragici errori" le leggi razziali e l'alleanza "infausta" con la Germania Hitleriana. Tuttavia la questione dirimente, ovvero che il fascismo, per favorire i propri scopi, anche legittimi, abbia illegittimamente negato le più basilari libertà al popolo italiano... beh, questo passa ancor oggi in second'ordine.
Questo perchè, tuttora, a destra, si è soliti guardare ai fini piuttosto che ai mezzi coi quali essi vengono perseguiti. Ragion per cui, se si difende la cattolicità o si combatte il comunismo ogni mezzo è lecito - atteggiamento questo speculare di quanti a sinistra userebbero se potessero le stesse armi per combattere la "reazione".
L'indifferenza alla legge è la ragione principale per cui il popolo italiano è stato sempre ostile al liberalismo anche quando paradossalmente si è considerato tale. Abbiamo così conosciuto un liberalismo nazionale e un liberalismo socialista, ma al tempo stesso ci siamo sempre negati la possibilità di un liberalismo classico che è stata la fortuna delle maggiori potenze occidentali.
Ancor oggi Silvio Berlusconi viene portato in palmo di mano dai suoi affezionati elettori in quanto "uomo buono", persona "vicina al popolo", come colui che grazie alle sue imprese "dà da mangiare a milioni di italiani", come il Presidente di una squadra di calcio - il Milan - che ha vinto più trofei in assoluto. Berlusconi gode del fascino del vincente e il suo viscerale contatto con le "gente" lo mette al riparo da ogni possibile e legittima critica.
I continui tentativi di impeachement giudiziario da parte della sinistra hanno compiuto il miracolo di farlo passare per "vittima innocente" presso una consistente fetta di italiani. Oggi come oggi giudicare Berlusconi sfuggendo ad ogni partigianeria è impresa ardua. Tuttavia cercherò, nel mio piccolo, di avanzare delle critiche "da destra" senza per questo sentirmi complice di qualsiasi "complotto" della sinistra.
A mio avviso Berlusconi è stato ed è un grande imprenditore dotato di eccezionali capacità immaginative e organizzative. Detto questo mi guardo bene di ritenere che sia una figura immacolata, come pretenderebbero piuttosto ipocritamente i suoi detrattori moralisti.
Nonostante ciò, Berlusconi ha preteso di governare l'Italia facendo passare come una questione risibile e di "secondo piano" il suo conflitto d'interesse. Questione che in nessun altro Paese occidentale gli avrebbe permesso di andare al potere.
I berluscones diranno che non esiste alcun conflitto d'interessi in quanto Silvio avrebbe demandato a parenti e amici le aziende di sua proprietà, ma ciò che è stato forse risolto formalmente non lo è stato però sostanzialmente. Cosicchè Berlusconi controlla tuttora i suoi numerosi mezzi di comunicazione, cosa inaccettabile, se non fosse che anche la sinistra ha un bel controllare, ragion per cui ci ritroviamo in un Paese in cui le leggi e le libertà sono fatte appositamente per non essere rispettate. E nessuno si scandalizza più di tanto di ciò perchè siamo tutti figli di Machiavelli.
Berlusconi ovviamente non è un ingenuo. E dunque lascia in avanscoperta l'indifendibile Fede nel ruolo di cheerleader, lasciando trasparire che le altre sue reti gli sarebbero addirittura ostili. Vabbè.
La realtà è un'altra. E cioè che l'impero berlusconiano non è in alcun modo sensibile alle istanze conservatrici e/o di destra, ma si guarda bene - ovviamente - di colpire, sia pure minimamente, il proprio padrone.
Questa è la ragione per cui il TG5 o il Giornale possono avere servizi tranquillamente filoprogressisti sul piano genericamente culturale o riguardo la politica internazionale e al tempo stesso sposare il più rigido berlusconismo sul fronte interno.
Non solo. Quando Silvio è in pericolo i suoi media lo soccorrono amorevolmente piegandosi in taluni casi anche a fare il lavoretto sporco. Ad esempio, se i finiani gli pestano i piedi non si mettono in campo le più acute firme liberali e moderate, ma si ricorre a fascisti vecchi e/o immaginari per stroncare con articoli al vetriolo le pretese autonomie dei ribelli. Mi ricordo ancora bene di quando venne riesumato nientemeno che Caradonna per gettare fango sul proposito (velleitario) dell'elefantino, ovvero l'asse Fini-Segni. Oppure, per guardare solo a ieri, le fucilate ad alzozero di Stenio Solinas nei confronti dell'irriconoscente Fini e di quei "fascisti da ricacciare nelle fogne" perchè avevano osato opporsi alla scelta del Predellino. O ancora, il rancoroso pamphlet del fogliante Giuli edito dalla berlusconiana Einaudi, che ridicolizza l'intera classe dirigente postfascista nel preciso momento in cui questa punta orgogliosamente i piedi contro le imposizioni del "lider maximo".
Al confronto le bordate odierne di FareFuturo hanno consistenza non maggiore delle palline di gomma.
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Adesso, Silvio Berlusconi che tanto ha dato e tanto ha tolto alla politica italiana, come dobbiamo considerarlo, come un Re legittimo oppure come un tiranno? La risposta che mi sento di dare è che Berlusconi si trova ad essere un tiranno in una società che impedisce anche al più puro e disinteressato degli uomini di sottrarsi al potere arbitrario. Dunque, se da un lato lo colpevolizzo, dall'altro gli concedo delle attenuanti, perchè se lui controlla i media gli altri hanno dalla loro parte la magistratura...
Dio ci salvi dai moralisti, come ha detto bene Giuliano Ferrara, ma la moralità - almeno quella - vorremmo se possibile conservarla.
Florian