da www.ilcrotonese.it

L’inaugurazione della mostra al Museo civico di Crotone sui manifesti vigevanesi del periodo fascista (1927/1945), e intitolata “Una pagina di storia”, si è tenuta il pomeriggio di sabato scorso anziché la mattina, come annunciato dall’assessore comunale ai Beni culturali Stelvio Marini nella conferenza stampa del 10 luglio, a causa di impegni istituzionali del sindaco durante la mattinata. Ma ne è valsa la pena l’attesa; e chi si aspettava un piatto forte non se n’è andato deluso. Siamo arrivati per i primi, quando la sala era ancora vuota dei visitatori e dei rappresentanti istituzionali. Così abbiamo cominciato un percorso labirintico attraverso i manifesti che documentano 18 anni di storia dell’Italia fascista, con accanto la compagnia discreta - ma prodiga d’informazioni sulla mostra - della d.ssa Vittoria Cardamone, dell’ufficio comunale Beni culturali, e del personale del Museo che hanno lavorato senza risparmio all’allestimento di questo ennesimo evento culturale nonostante la calura opprimente.

Le chiamate
alla leva volontaria
Già coi primi manifesti (tutti a colori e in un formato 70x100) ci risuona negli orecchi il clangore degli stivali e delle giberne che cozzano contro il calcio dei moschetti di uomini in marcia o lanciati all’assalto: sono i legionari della Legione italiana; sono i Leoni di San Marco e gli ufficiali delle accademie di Modena e Torino; sono i corpi del Regio esercito che il 31 ottobre 1936 (anno XV dell’era fascista) lancia una campagna di arruolamento per 3.400 unità. Un altro precedente era stato quello di 2.150 giovani, classe 1908-1909: “Arruolamenti volontari a premio per la ferma di 4 anni”. E si sente più in là lo sciabordio dell’onda contro le chiglie delle navi della X Flottiglia Mas, Gruppo artiglieria “B. Colleoni”, e la voce stentorea dei suoi uomini che gridano dal manifesto: “Le rovine non bastano a seppellire gli impavidi”. E subito un altro manifesto rimanda l’eco dell’azione: “L’Italia non si salva con discussioni!”. Vengono in mente pagine di storia studiate tra i banchi della scuola, e le parole dure di un Mussolini che il 31 agosto 1924, sbeffeggiando un’opposizione in subbuglio per il delitto Matteotti, dichiara: “Il giorno che uscissero dalla vociferazione molesta per andare alle cose concrete, quel giorno noi di costoro faremo strame per gli accampamenti delle camicie nere.”.

L’appello alle donne
nel nome di Anita
L’emozione prima di ogni passaggio ad un nuovo manifesto, volutamente nascosto all’interno dei pannelli aperti a libro, ti fa sobbalzare il cuore: è come quando da bambini, alle giostre, ci s’imbarcava trepidanti sulle carrozzine del tunnel degli orrori (questa si potrebbe definire invece una galleria delle sorprese) e l’adrenalina saliva a mano a mano che ti avvicinavi alla prossima svolta. Tutti sono chiamati a combattere per l’Onore della Patria, contadini ed operai compresi. “Pane per la Vittoria” recita un manifesto del ministero dell’Agricoltura e delle Foreste; e in un altro, in cui campeggia l’immagine di un operaio col suo bagaglio e della sposa che l’accompagna alla partenza sotto un cielo dominato dall’aquila e dalla svastica naziste, si legge: ”“Operai italiani arruolatevi! La grande Germania vi proteggerà”. (“Questo è stato il momento più buio e più triste di quel periodo”, ci dirà dopo l’assessore Marini, “perché la nostra vera anima è quella risorgimentale, come si vede dai manifesti inneggianti ad Anita Garibaldi e ai Fratelli d’Italia dell’inno di Mameli”). E ci sono ancora i manifesti sulle crudeltà e sulle barbarie degli alleati; quelli ironici (dei veri e propri fumetti) sugli stessi; quelli razzisti e così via.

Il saccheggio
delle opere d’arte
Due curiosità - ma ce ne sono più che tanto: primo, il manifesto per la lotta antitubercolare (ragno e ragnatela sopra una montagna di morti) che annuncia per il 24 giugno 1928 la distribuzione nelle piazze di Vigevano di un fiore in cambio di un obolo contro il male (oggi si distribuiscono le azalee e le arance contro il cancro); secondo, almeno due manifesti che denunciano i propositi di saccheggio di opere d’arte e preziosi da parte angloamericana (Curzio Malaparte ne parlò nel suo romanzo shock La pelle, e solo ieri un soldato americano veniva fermato al suo rientro dall’Iraq con un kalasnikov tutto d’oro di papà Saddam). Per carità: nessuna demonizzazione degli alleati del Patto atlantico che hanno dato la vità anche per la nostra libertà; ma sono cose che succedono in tutte le guerre, così come durante le crociate in Terrasanta.