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  1. #1
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    Predefinito Sicilia, mafia e fascismo

    Ma gli vennero alla memoria le repressioni di Mori, il fascismo (..). Ma durava la collera, la sua collera di uomo del nord che investiva la Sicilia intera: questa regione che, sola in Italia, dalla dittatura fascista aveva avuto in effetti libertà, la libertà che è nella sicurezza della vita e dei loro beni. Quante altre libertà questa loro libertà era costata, i siciliani non sapevano e non volevano sapere: avevano visto sul banco degli imputati nei grandi processi delle assise, tutti i don e gli zii, i potenti capi elettori e i Commendatori della Corono, medici ed avvocati che si intrigavano alla malavita e la proteggevano; magistrati deboli o corrotti erano stati destituiti; funzionari compiacenti erano stati allontanati. (…) -E questa è forse la ragione per cui in Sicilia- pensava il capitano- ci sono tanti fascisti” (L. Sciascia, “Il giorno della civetta”, ed. Adelphi La Nuova Italia).

    Un paio di settimane fa ho visto alla Tv un documentario sulla storia della mafia. Si diceva che i siciliani videro di cattivo occhio la repressione di Mori. E, in effetti, il funzionario aveva ricevuto da Mussolini l’incarico di reprimere la mafia con tutti i mezzi: tortura compresa. Gente in odor di mafia prosciolta dai tribunali ordinari veniva mandata al confino dai tribunali speciali fascisti. Quando gli americani liberarono la Sicilia la popolazione gli accoglieva dicendo: “Viva gli americani! Viva la mafia!”.

    Dove sta la verità? Per conto mio sta nel mezzo: c’erano siciliani contenti che la mafia venisse annientata, altri che avevano connivenza con la mafia ed altri che, pur non essendo mafiosi, erano contro la repressione sfrenata, a tratti disumana. Probabilmente a quei tempi la mafia aveva meno potere di oggi, anche perché c’erano meno risorse, e la gente era abituata a conviverci.
    Ma io abito a quasi mille km di distanza, perciò vorrei leggere le opinioni di voi siciliani. Magari facendo riferimento anche all’attualità. Quanti siciliani rifiutano in toto la mafia e la mentalità mafiosa? Quanti, forse anche di malavoglia, sono rassegnati a conviverci?

    Vi ringrazio anticipatamente per le risposte.
    Saluti
    Franzele

  2. #2
    decerebrato consapevole
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    Sono domande interessanti e direi cruciali, per poter capire meglio il fenomeno mafioso e la stato attuale della Sicilia.

    Purtroppo sono sempre sui forum di sfuggita, per pochi minuti, ma ci sarebbe da discutere molto, sul tema.

    Qualche anno fa c'era pure un forum dedicato a questo tema, sempre su POL (la vecchia, pero').

    In breve si puo' dire che laddove lo stato non e' presente allora la gente si identifica nell'apparato mafioso.
    E questo e' proporzionale all'assenza delle istituzioni.

    Spero di tornare a discuterne, perche' io non mi rassegno a vedere la mia terra nello stato in cui si trova.
    "Preoccuparsi e' inutile. Infatti se esiste una soluzione al problema non ha senso preoccuparsi. E se la soluzione non esiste allora perche' preoccuparsi?" - Ignoto.

  3. #3
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    Originally posted by XT
    In breve si puo' dire che laddove lo stato non e' presente allora la gente si identifica nell'apparato mafioso.
    E questo e' proporzionale all'assenza delle istituzioni.
    Forse la mafia è a volte meglio dello Stato nel proteggere chi lo chiede (magari in cambio del pizzo). Questo però in cambio di altra insicurezza, perchè chi nn corrisponde alle pretese dei mafiosi è nel loro mirino.
    Mussolini nn tollerava la mafia proprio perchè era uno "stato nello stato" e il fascismo aveva ambizioni totalitarie. Però quando il procuratore Mori toccò alcuni mafiosi vicini al fascismo fece marcia indietro e spostò di incarico Mori stesso...

    Saluti

  4. #4
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    Originally posted by Franzele
    Forse la mafia è a volte meglio dello Stato nel proteggere chi lo chiede (magari in cambio del pizzo). Questo però in cambio di altra insicurezza, perchè chi nn corrisponde alle pretese dei mafiosi è nel loro mirino.
    Mussolini nn tollerava la mafia proprio perchè era uno "stato nello stato" e il fascismo aveva ambizioni totalitarie. Però quando il procuratore Mori toccò alcuni mafiosi vicini al fascismo fece marcia indietro e spostò di incarico Mori stesso...

    Saluti
    La storia della mafia è antica... bisognerebbe partire dai "Beati Paoli"... comunque la "vecchia" mafia era veramente uno Stato nello Stato... ora è solo un gran casino...

    B.

  5. #5
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    Originally posted by Barbanera
    La storia della mafia è antica... bisognerebbe partire dai "Beati Paoli"... comunque la "vecchia" mafia era veramente uno Stato nello Stato... ora è solo un gran casino...
    B.
    Cercando sul web ho trovato questo sui "Beati Paoli" (che nn avevo mai sentito nominare):

    http://www.akkuaria.com/grandi_personaggi/beati.htm

  6. #6
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    Predefinito

    Originally posted by Franzele
    Cercando sul web ho trovato questo sui "Beati Paoli" (che nn avevo mai sentito nominare):

    http://www.akkuaria.com/grandi_personaggi/beati.htm
    Come narrativa il migliore è senza dubbio:

    Luigi Natoli (William Galt)
    I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano
    Flaccovio, Palermo 1972

    Come vedi le origini sono lontani nel tempo... ma era un'altra musica... quella setta di solito aiutava il debole che subiva sorprusi da parte dei nobili del tempo... poi le cose ... cambiarono...

    Ti saluto...

    B.

  7. #7
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    Predefinito

    Dimenticavo...

    mistero che aleggiava nella città di Palermo, il mistero della famosissima setta dei Beati Paoli, misteriosi uomini incappucciati che sfruttando la conoscenza di questi luoghi e le loro enormi estensioni si muovevano all’interno di essi scomparendo e riapparendo nei punti più impensati della città di allora.

    In queste grotte, dopo averlo rapito, portavano il nobile prepotente di turno... e lo processavano... lo spavento era tale che i signorotti ci pensavano due volte a maltrattare la gente...




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  8. #8
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    Predefinito Re: Sicilia, mafia e fascismo

    Originally posted by Franzele
    Ma gli vennero alla memoria le repressioni di Mori, il fascismo (..). Ma durava la collera, la sua collera di uomo del nord che investiva la Sicilia intera: questa regione che, sola in Italia, dalla dittatura fascista aveva avuto in effetti libertà, la libertà che è nella sicurezza della vita e dei loro beni. Quante altre libertà questa loro libertà era costata, i siciliani non sapevano e non volevano sapere: avevano visto sul banco degli imputati nei grandi processi delle assise, tutti i don e gli zii, i potenti capi elettori e i Commendatori della Corono, medici ed avvocati che si intrigavano alla malavita e la proteggevano; magistrati deboli o corrotti erano stati destituiti; funzionari compiacenti erano stati allontanati. (…) -E questa è forse la ragione per cui in Sicilia- pensava il capitano- ci sono tanti fascisti” (L. Sciascia, “Il giorno della civetta”, ed. Adelphi La Nuova Italia).

    Un paio di settimane fa ho visto alla Tv un documentario sulla storia della mafia. Si diceva che i siciliani videro di cattivo occhio la repressione di Mori. E, in effetti, il funzionario aveva ricevuto da Mussolini l’incarico di reprimere la mafia con tutti i mezzi: tortura compresa. Gente in odor di mafia prosciolta dai tribunali ordinari veniva mandata al confino dai tribunali speciali fascisti. Quando gli americani liberarono la Sicilia la popolazione gli accoglieva dicendo: “Viva gli americani! Viva la mafia!”.

    Dove sta la verità?
    La verità sta nel fatto che una parte della mafia era legata al regime prefascista,

    e mussolini la represse.

  9. #9
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    Predefinito quindi ora che fà ?

    Caduto il regime fascista e tornata la "democrazia", con i suoi vari governi più o meno monocolore, grazie alle truppe americane libera dalla repressione, ha ritrovato la "liberta" ?
    Bella roba!!

  10. #10
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    Da “L’Italia littoria”, di I.Montanelli – M.Cervi; 1979 Ed.Rizzoli, 1999 RCS.


    Mussolini aveva deciso di muovere guerra alla mafia dopo un viaggio in Sicilia, nella tarda primavera del 1924. I grandi esponenti della “onorata società”, spalleggiatori del fascismo negli anni della sua presa di potere, non gli avevano lesinato le manifestazioni di ossequio e di devozione. Anzi gliene avevano date troppe, e con un tono, a volte, di protezione e di complicità che al Duce era parso, e non a torto, insultante. Egli capì il pericolo che il Regime potesse essere identificato, in Sicilia, con le coppole storte, e che la sua tolleranza verso i soprusi dei pezzi da novanta fosse considerata omertà. Tornato a Roma, aveva convocato il 27 maggio a Palazzo Chigi De Bono, Federzoni, alcuni alti funzionari della polizia, e chiesto a chi potesse essere affidato il compito di liquidare la mafia. De Bono aveva spiccicato, con una certa esitazione, il nome del prefetto Cesare Mori, accolto dal Duce con una delle sue smorfie di corruccio. In effetti Mori, del quale nessuno contestava le capacità, era sulla lista nera fascista.
    Aveva allora 52 anni. Figlio di ignoti, abbandonato a Pavia sulla ruota di un brefotrofio, aveva poi assunto il cognome dei genitori adottivi. Allievo della Accademia militare di Torino, vi aveva conseguito il grado di sottotenente, ma poi per il matrimonio con una ragazza che i regolamenti del tempo ritenevano inadeguata – era senza dote – al suo status di ufficiale di carriera, aveva lasciato l’esercito. Vinceva subito dopo un concorso per la ammissione alla Pubblica sicurezza e, inviato in Romagna, vi si distinguerà – secondo i repubblicani locali “tristemente” – per il suo pugno di ferro. Destinato in Sicilia, prendeva di petto, con la irruenza del suo carattere, la delinquenza comune – un bandito fu da lui ucciso a fucilate in una sorta di duello rusticano – e la mafia. Sempre in Sicilia partecipava, dopo Caporetto, alla lotta contro le torme di disertori che si erano rifugiati nell’isola, e vi praticavano il brigantaggio. Giolitti aveva da tempo notato la stoffa di quel poliziotto così alieno dalla ordinaria amministrazione. E si interessò con Orlando, Capo del governo, perché lo nominasse questore. Proprio come questore, a Bologna, Mori s’era trovato a fronteggiare le violenze delle squadre fasciste di Balbo e Arpinati. L’aveva fatto con la consueta risolutezza, attirandosi i fulmini di Balbo (“Stiamo lottando contro i partiti antinazionali protetti ignominiosamente dal prefetto Mori”) e dello stesso Mussolini che sul Popolo d’Italia lo definiva “servitore ottuso del governo di Roma” la cui vita non meritava una “una goccia di sangue dell’ultimo fascista di provincia”. Durante una manifestazione fascista a Bologna Mori, l’odiato “prefettissimo”, era stato costretto a barricarsi nel Palazzo d’Accursio. Il debole Facta compensò Mori dei servizi resi relegandolo a Bari: e Mussolini, venti giorni dopo la Marcia su Roma, lo sospese da ogni incarico.
    Si spiega, dunque la perplessità del Duce quando De Bono e Federzoni avevano caldeggiato la designazione di un funzionario così marchiato come proconsole in Sicilia. Tuttavia Mussolini – che all’occorrenza sapeva dimenticare – superò i dubbi. Sentiva che Mori faceva per lui in Sicilia, così come Bocchini a Roma. Sul finire del 1925 il superprefetto diede inizio, con poteri praticamente illimitati, alla “pulizia” dell’isola. Con 800 uomini attaccò i banditi e mafiosi arroccati sulle Madonne, passò al setaccio borgate e città, prese nelle sue reti molti pesci piccoli ma anche qualche pesce grosso, come Calogero Vizzini e Genco Russo, seguì le tracce indicate dalle lettere anonime, utilizzò spregiudicatamente i confidenti, fece ricorso ai mezzi più brutali per indurre alla resa i capicosca.- Confiscava i patrimoni, sequestrava, quando gli pareva occorresse, le donne dei latitanti, faceva macellare il bestiame sulle piazze e distribuiva la carne ai poveri, proclamava che “se i siciliani hanno paura dei mafiosi li convincerò che io sono il mafioso più forte di tutti”. Era, ha osservato Arrigo Petacco in una biografia di Mori, più uno sceriffo che un prefetto. La magistratura agiva sostanzialmente ai suoi ordini, su prove discutibili, emanando sentenze spicciative e severe. Si diedero casi di mafiosi condannati per crimini avvenuti lo stesso giorno, alla stessa ora, a centinaia di chilometri di distanza. Il garantismo legale era stato travolto dal dinamismo di questo dittatore dell’ordine pubblico siciliano. Ma, riconosciuto tutto questo, va pure detto che la mafia ricevette da lui un colpo tremendo, e che proprio allora molti dei suoi capi e gregari cercarono scampo negli Stati Uniti, per sfuggire alla caccia degli uomini di Mori. Si usa ripetere che il prefettissimo risparmiò i maggiori mandanti, si insiste sulla sterilità di una azione solo poliziesca, non sociale.
    Obbiezioni che possono essere valide, in qualche misura, a patto che non si voglia sottovalutare i risultati importanti che Mori ottenne. Non si fermò neppure di fronte a un esponente fascista che stava emergendo, Alfredo Cucco, federale di Palermo. Contro costui il superprefetto accumulò una documentazione implacabile, che indusse Mussolini a sciogliere, agli inizi del 1927, il fascio di Palermo, e a consentire la incriminazione del Cucco. In questo suo ruolo di proconsole con poteri pressoché assoluti Mori aveva tuttavia perduto il senso del limite. Il prefetto giolittiano di Bologna era diventato un fanatico della camicia nera, assumeva pose gladiatorie, si compiaceva della popolarità e la sollecitava. Mussolini, che nel marzo del 1928 l’aveva convocato a Roma ed esortato a “provvedere alla liquidazione giudiziaria della mafia nel più breve tempo possibile”, tre mesi dopo gli concedeva il laticlavio, togliendolo dalla Sicilia. Secondo una spiegazione che forse concede troppo agli schemi marxisti, il prefettissimo fu liquidato perché, menando colpi d’accetta nella giungla mafiosa, aveva colpito non solo gli esponenti minori, ma anche notabili di primo piano, legati saldamente al fascismo. Non possiamo escluderlo. Ma va pur detto che Mori – morto dimenticato nel 1942 – sembrava a un certo momento ubriacato dalla sua “missione”, e che la emergenza poliziesca e giudiziaria da lui instaurata in Sicilia non poteva diventare regola in uno Stato cui il Duce voleva dare connotati di normalità autoritaria. La mafia sopravvisse senza dubbio a Mori, ma dopo che si era volontariamente ibernata: e risorse anche grazie al ritorno di quei “boss” che proprio per sfuggire al grande giustiziere avevano traversato l’Oceano.


 

 
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