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    Originally posted by Red River
    io continuo a pensare a quella frase di Damiano, che un rapporto logoro tra datore e lavoratore non si risolve con una sentenza del giudice....
    Se la pensate così proponete di abrogare l'articolo 18 anche per le aziende sopra i 15 dipendenti.

    P.G.

    che mi dici sull'iniziativa popolare di legge proposta dalla CGIL
    Lo svuotamento dell'art. 18 con l'approvazione delle leggi delega rende la vittoria del sì la risposta giuridica più efficace
    Nessuna divergenza tra la proposta di legge della Cgil e il referendum

    di Giovanni Naccari* e Piergiovanni Alleva**


    L'approvazione della legge n. 30 del 2003 di delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro obbliga, a nostro avviso, ad una nuova riflessione sul complesso della situazione di grave pericolo che incombe sull'assetto delle principali tutele e garanzie del lavoro; pericolo che ovviamente sarebbe ancora più accentuato dalla possibile, e dal Governo promessa, approvazione di una seconda legge delega (il c. d. disegno di legge 848 bis) nel quale l'attacco all'art. 18 dello Statuto sarebbe anche apertamente rinnovato.
    E' probabile, invero, che il Governo prosegua fino in fondo il suo piano di "riforma" del mercato e dei rapporti di lavoro a suo tempo enunziato con il Libro bianco. Ma anche a prescindere dalla entrata in vigore di una norma che escluda l'applicazione dell'art. 18 per il lavoratori assunti da imprese di nuova costituzione ovvero da imprese già esistenti che attualmente contino meno di 16 dipendenti, già la sola legge delega n. 30/2003 sarebbe sufficiente a vanificare in larga parte, la vittoriosa battaglia difensiva condotta dalla Cgil nella primavera del 2002 a salvaguardia dell'art. 18 e dunque indirettamente di tutte le altre norme di tutela e garanzia.

    Infatti con la traduzione in decreti delegati dei disposti della legge 30 si avrebbe uno svuotamento e un aggiramento di quella tutela per una grossa parte dei lavoratori che oggi ne godono e di quelli che ne potrebbero diventare destinatari.

    Basta a proposito riflettere sul disposto dell'art. 1 della legge n. 30/2003 con riguardo al "superamento/abrogazione" della legge 1369/60 e alla riforma dell'art. 2112c. c. in tema apparentemente di trasferimento di azienda, ma in realtà di liberalizzazione delle c. d. esternalizzazioni.

    Se si riflette con un po' di attenzione sui nessi esistenti tra questi due nuclei normativi, si comprende facilmente che essi convergono sull'unico obiettivo di consentire all'imprenditore di utilizzare forza lavoro evitando le responsabilità connesse a tale utilizzo e di collocarsi in una posizione di concreto strapotere contrattuale nei confronti dei lavoratori.

    Invero, l'imprenditore anche di media/grande dimensione potrebbe, da un lato, utilizzare a tempo indeterminato lavoratori da lui non dipendenti perché dipendenti dalla società di intermediazione ed anche, parallelamente, lavoratori dipendenti da piccole società "operative" da lui stesso create, controllate e partecipate, alle quali abbia preventivamente decentrato funzioni e strutture aziendali contemporaneamente istaurando con le medesime rapporti di appalto e di fornitura.

    In tal modo, il vero datore di lavoro sarebbe per così dire sempre "fuori tiro" per il lavoratore e per il sindacato, giacché l'interlocutore o l'antagonista diretto, titolare del rapporto di lavoro sarebbe comunque un soggetto fittizio o interposto: è ovvio che il lavoratore si troverebbe di fronte, nella maggior parte dei casi, un datore di lavoro formale che occuperebbe meno di 16 dipendenti e che dunque potrebbe con la minaccia di licenziamento ingiustificato ricattarlo in mille modi e maniere. Chi ha un po' di pratica dei comportamenti concreti dei datori di lavoro non può non notare come già oggi, quasi per un effetto di annunzio, stia dilagando la prassi di suddividere le imprese in almeno due nuclei: quello strettamente produttivo composto da operai e tecnici di produzione e la c. d. "società di servizio" nella quale vengono concentrati gli impiegati amministrativi e commerciali al fine, e con il risultato, di far scendere ambedue le imprese al di sotto dei 16 dipendenti.

    Ovviamente, se la scissione in due non fosse sufficiente si può procedere ad ulteriori frazionamenti sempre diretti al medesimo risultato. Ancor oggi, tuttavia, si tratta per i datori di lavoro di operazioni "a rischio" sia perché contrastabili sulla base della legge 1369/1960, in quanto per lo più le imprese così filiate e successivamente appaltatrici della funzione aziendale esternalizzata non hanno sufficiente consistenza di beni e strumentazioni aziendali e non sopportano un effettivo rischio di mercato, sia perché - sotto il profilo dell'attuale art. 2112 c. c. - l'autonomia della "parte" di azienda che viene ceduta alla società di nuova costituzione non è preesistente all'operazione di scorporo.

    Ma con le due riforme della legge 1369/60 e dell'art. 2112, contenute nella legge 30/2003 e tra loro combinate questi pericoli non esisteranno più, e la via all'esternalizzazione in frode all'art. 18 e conseguentemente agli altri diritti sarà aperta e liberamente e sicuramente percorribile da tutti.

    Il vero è dunque che l'attacco all'art. 18 è più che mai in atto e, proprio perché viene perseguito con una tattica di aggiramento, è forse anche più dannoso in quanto passa per l'abbattimento di diverse e ulteriori normative di tutela.

    Non si può in proposito non notare come nei fatti si sia verificata una sorta di paradossale reciproco sostegno tra gruppi e forze politiche di estrema sinistra e governo di centro destra. Dopo le grandi manifestazioni della primavera del 2002 in difesa dell'art. 18, il Governo aveva registrato la sua sconfitta e sembrava propenso ad allentare la stretta.

    La proposizione del quesito referendario, sicuramente non consequenziale dal punto di vista logico politico alla vittoria sindacale, ha dato al centro-destra nuovi argomenti per portare avanti i suoi disegni giustificandoli nella sostanza come un necessario antidoto all'estremismo di chi vorrebbe "ingessare" tutti i rapporti di lavoro. A loro volta, peraltro, le proposte governative hanno in sé quella carica eversiva su cui ci si è sopra soffermati che, a nostro parere, rende necessario riconsiderare la valenza che adesso assume la proposta referendaria.

    Potremmo dire in una parola che l'iniziativa governativa costituisce una giustificazione a posteriori di una proposta referendaria la quale all'origine poteva essere considerata eccessiva e da alcuni addirittura provocatoria, ma che ora può diventare in concreto l'unico mezzo a disposizione per respingere in modo tempestivo ed efficace l'attacco governativo.

    Quel che si vuol dire è che un contrasto giuridico/politico alla legge 30 imperniato su referendum abrogativi della medesima legge, preannunciati dalla Cgil, difficilmente potrebbe essere efficace sia per ragioni di tempo sia per ragioni squisitamente tecniche.

    Ricordiamo infatti che un referendum contro una legge delega non è mai stato esperito e dunque sulla sua ammissibilità restano molte incertezze, ancorché, a nostro parere, l'ammissibilità sussista dal momento che la legge delega, anche se non incide direttamente sugli istituti (trasferimento d'azienda, somministrazione di mano d'opera, ecc.) una innovazione nel mondo giuridico pur sempre la porta, ed essa è costituita proprio dal conferimento al Governo di un potere normativo nella materie oggetto della delega.

    In sintesi: anche se il referendum sulla legge delega fosse giuridicamente ammissibile, resterebbe il fatto che esso non si potrebbe tecnicamente svolgere prima del maggio/giugno 2004 quando già sarebbero stati emanati i decreti legislativi e ciò aprirebbe un nuovo complicatissimo problema giuridico circa il se e il come del trasferimento del quesito sui singoli decreti. Si tratta dunque di un percorso molto impervio.

    Nel frattempo, ove la Cgil non avesse messo in campo tutto il suo peso, la probabile sconfitta del referendum sull'art. 18 si trasformerebbe in vittoria politica e di immagine proprio del progetto governativo di "flessibilizzazione" del mercato del lavoro.

    Viceversa il successo del referendum sull'art. 18 renderebbe la legge 30 poco più che carta straccia, nel senso che sarebbe frustrato alla base lo scopo pratico che con essa si propongono il Governo e le controparti datoriali.

    Infatti una volta che il referendum avesse avuto successo, a che scopo, procedere a costose e burocraticamente pesanti esternalizzazioni se poi esse non indeboliscono per nulla il potere contrattuale dei lavoratori che le subiscono?

    A che scopo valersi di personale formalmente dipendente da un intermediario, ma che ha tutte le possibilità di reagire contro ogni forma di sfruttamento sia da parte dell'intermediante che dell'intermediario?

    A che scopo ancora utilizzare nuove forme di contratti precari, quali quello a chiamata, che precario più non sarebbero ed avrebbero invece in sé una forte carica di potenziale vertenzialità?

    Riassumendo potremmo dire che, dal punto di vista politico/giuridico, gli esiti ed i risultati che si vorrebbero raggiungere con un referendum contro la legge 30/2003 sono già tutti impliciti nell'eventuale successo del referendum che è già in campo, quello sull'estensione dell'art. 18, il quale, per una serie di coincidenze diventa paradossalmente una "felix culpa" o una forma di eterogenesi dei fini.

    Va da sé che un eventuale successo del referendum sull'art. 18 renderebbe in seguito impraticabile o altamente insicuro anche il progetto di manomissione contenuto nel disegno di legge 848 bis, il quale è tutto imperniato sull'esistenza di un limite occupazionale di applicabilità della tutela reale del posto di lavoro, limite a quel punto già rimosso per volontà dell'elettorato.

    Invero, quel disegno di legge governativo, nel prevedere che non siano soggette alla tutela reale dell'art. 18 le imprese di nuova costituzione, o che oltrepassino con nuove assunzioni la soglia di 15 dipendenti, reintrodurrebbe, a fil di logica e in primo luogo, proprio tale soglia, così contraddicendo la volontà del corpo elettorale manifestatasi con il successo del referendum. Secondo una parte autorevole della dottrina (Barile), in caso di conclamata ed evidente divergenza tra il risultato del voto e una eventuale normativa parlamentare, il Presidente della Repubblica potrebbe giungere fino allo scioglimento delle Camere per evidente divergenza dalla volontà popolare.

    Non può sfuggire in proposito che l'art.37 della legge regolativa del referendum prevede la possibilità che la pubblicazione dei risultati del referendum sia postergata per 60 giorni con decreto del Presidente della Repubblica onde dar tempo al Parlamento di adeguare l'ordinamento con nuove leggi sulla materia oggetto del referendum, ma è opinione unanime che tali leggi debbano comunque rispettare la volontà espressa dal corpo elettorale.

    E' agevole allora concludere che al Parlamento resterebbe inibita la possibilità di legiferare in senso "restauratorio" delle norme abrogate tramite referendum per un tempo congruo che alcune opinioni (Caianiello, Mangia) hanno ritenuto possa coincidere, per analogia, con il quinquennio di divieto di riproposizione di un quesito referendario bocciato dal corpo elettorale.

    Pur converso, però, ben potrebbe il Parlamento utilizzare quello spazio temporale di cui all'art. 37 per recepire il risultato referendario in nuovi disposti legislativi come di quelli proposti dalla Cgil che in conformità con il principio di fondo affermato dal risultato referendario lo inseriscano in un quadro complessivo che, da una parte, lo completi e, dall'altra, elimini gli inconvenienti discendenti dalla eccessiva semplificazione del problema sempre insita in una prova referendaria.


    2)
    Quanto sopra evidenziato non significa assolutamente che la Cgil debba puramente e semplicemente appiattirsi sulle posizioni dei referendari, né nutrire il timore che questa possa essere la comune vulgata di una sua presa di posizione in favore del "si", perché, al contrario, i quattro progetti di legge di iniziativa popolare promossi dalla Cgil costituiscono l'unica risposta non solo difensiva ma propositiva, alternativa ed organica ai piani del governo di centro destra.

    Quei progetti inglobano l'estensione anche ai dipendenti delle piccole imprese dell'art. 18, ma all'interno di un quadro normativo il quale, oltre a costituire l'altro modello di regolazione del mercato del lavoro, fondata sulla titolarità dei diritti anziché sulla loro abolizione, dà anche una risposta positiva ai non pochi problemi che il solo quesito referendario lascia aperti o addirittura crea ed aggrava, quale "danno collaterale" della sua pur giusta battaglia difensiva.

    Ci riferiamo, ad es., al fatto che l'eventuale successo della proposta referendaria non eliminerebbe certamente il ricorso (al fine di eludere l'insieme delle tutele lavoristiche) ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ma anzi fatalmente la incentiverebbe proprio con riguardo alla piccole imprese.

    Lo stesso dicasi per il ricorso ai contratti a termine o addirittura ai contratti di associazioni in partecipazione.

    Una volta, in altri termini, che il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fosse davvero assistito sempre e dovunque da stabilità reale, esso potrebbe essere giudicato "impraticabile"dai piccoli operatori economici, ai quali il loro consulenti e lo stesso senso comune indicherebbero le "soluzioni alternative"alle loro necessità di forza lavoro: collaborazioni coordinate, contratti a termine, associazione in partecipazione ecc.

    La proposta della Cgil previene questo pericolo perché uno dei disegni di legge avanzati in parallelo con quello riguardante l'estensione del art. 18 contempla appunto "l'estensione in orizzontale" delle tutele, ricomprendendo le collaborazioni in una fattispecie allargata di contratto di lavoro munito delle tutele del codice civile e della restante legislazione del lavoro; rivede in senso fortemente garantistico e antielusivo la disciplina del contratto a termine e vieta l'uso improprio e deformato del contratto di associazione in partecipazione.




    Per altro verso, nei disegni della Cgil la materia dell'estensione ai dipendenti delle piccole imprese dell'art. 18 è trattata facendosi carico di tutte le difficoltà applicative e degli attriti sociali che da quella pur giusta estensione possono derivare. Ci si riferisce ad es. alla esigenza di rendere compatibile la generalizzazione della stabilità del posto di lavoro con l'innegabile maggiore esposizione della piccola impresa alle oscillazioni del mercato: esigenza che il progetto Cgil soddisfa prevedendo che prioritario sia l'obbligo del datore di lavoro di far ricorso preventivo, rispetto al licenziamento, al sistema degli ammortizzatori sociali che un altro ancora dei disegni di legge della Cgil estende alle piccole imprese e all'intero mondo produttivo.

    In terzo luogo, la proposta della Cgil specificamente dedicata all'estensione dell'art. 18 si fa carico fino in fondo dell'efficacia concreta della tutela di stabilità reale che viene generalizzata. Efficacia concreta che si misura e realizza alla luce dell'esperienza, prevedendo quali siano e possano essere le reazioni di ambedue le parti in conflitto, datori di lavoro e lavoratori, di fronte all'applicazione dell'art.18 alle piccole imprese.

    Sarebbe atteggiamento miope ed astratto voler ignorare che nella piccola dimensione produttiva il licenziamento ingiustificato ed il travaglio del processo del suo annullamento inducono nelle parti un trauma e un rancore profondo tanto che, non di rado, è lo stesso lavoratore ad essere ricalcitrante rispetto alla effettiva reintegra nel rapporto di lavoro. Per altro verso, la sola reintegra giuridica, ossia la continuità sulla carta del rapporto con decorrenza della retribuzione è essa stessa, soprattutto nelle piccole dimensioni d'impresa, tutt'altro che scevra di problemi pratici: si tratta di ottenere in via esecutiva/giudiziaria ogni singola mensilità di retribuzione, ove il datore non adempia spontaneamente al pagamento.

    Si tratta in breve di una situazione fortemente deprimente per il lavoratore che vive in una sorta di limbo, minacciato anche dal possibile esito negativo della vertenza in grado di Appello o di Cassazione. C'è il rischio dunque che nella piccola dimensione produttiva, alla quale sarebbe estesa la disciplina dell'art. 18, quella facoltà alternativa consentita al lavoratore dalla legge 108/90 di scegliere indennizzo aggiuntivo di 15 mensilità al posto della reintegra non sia, come nelle imprese di maggiori dimensioni, una vera libera facoltà alternativa, ma una sorta di scelta di ripiego quasi obbligata.

    Il che significa, visto dall'altra parte, che anche il valore prevenzionistico di licenziamenti arbitrari connesso all'estensione dell'art. 18 potrebbe in realtà risultare meno intenso di quanto si spera. Questi limiti di concreta efficacia del quesito referendario discendono come è chiaro dalla sua secchezza, o se si vuole dalla sua impossibilità di distinguere situazioni e di integrare il disposto normativo in un sistema armonico.

    Il limite, sul lato dei licenziamenti per motivo produttivo, è quello di non poter considerare la maggiore volatilità economica della piccola impresa, mentre sul versante dei licenziamenti disciplinari è quello di creare un forte allarme negli strati moderati dell'opinione pubblica (il rapporto di lavoro più cogente del rapporto matrimoniale, ecc.) senza assicurare in tutti i casi una tutela adeguata nella vita concreta, oltre che nella norma giuridica.

    La proposta della Cgil, però, pone rimedio ai difetti del referendum non solo, come già detto sul versante dei licenziamenti per ragioni economico- produttive, ma anche sul versante dei licenziamenti disciplinari perché introduce la previsione che dopo la reintegra giuridica il datore possa, rinunziando ad appellare la sentenza, chiedere al giudice di risolvere il rapporto ricostituito, pagando al lavoratore tutta l'utilità futura che per lui avrebbe il rapporto medesimo. Introduce così, a ben vedere e al di là di giudizi superficiali, un nuovo ed efficace elemento di contrappeso nell'equilibrio tra le parti ricostituendo in parallelo l'effetto prevenzionistico della estensione dell'art. 18.

    Potremmo dire, in breve, che quella previsione costituisce per il lavoratore un'ottima ragione per "tener duro" nella scomoda posizione che temporalmente segue la sentenza di reintegra giuridica: non avrà infatti interesse ad abbandonare il rapporto con la richiesta delle 15 mensilità perché ben maggiore ed adeguato è il risarcimento che il datore di lavoro dovrà corrispondergli se vorrà liberarsi definitivamente del rapporto. Il che, come si comprende, visto dall'altra parte, produce un effetto prevenzionistico estremamente intenso rispetto alla emanazione di licenziamenti azzardati ed un forte incentivo al datore di lavoro, ove comunque abbia proceduto al licenziamento, poi annullato, a riammettere effettivamente in servizio il lavoratore.

    Questo ovviamente si dice avendo di mira i casi più delicati, quelli che soprattutto devono stare a cuore al sindacato, che sono i casi dei lavoratori a rischio di esclusione sociale (lavoratori di una certa età, poco professionalizzati, donne, residenti in zone sottosviluppate).

    È proprio questo un altro profilo fortemente innovativo della proposta Cgil che contiene una perequazione tra gli stessi lavoratori, automaticamente selezionando la tutela concreta secondo il bisogno.

    In sintesi, non si tratta affatto di reintrodurre dalla finestra la monetizzazione del licenziamento cacciato dalla porta, ma di dare al lavoratore debole e ingiustamente licenziato una valida prospettiva di resistenza dopo la sentenza di reintegra giuridica e al piccolo datore di lavoro ottime ragioni per non emanare o per revocare licenziamenti ingiusti.


    3)
    Discende dalla analisi sviluppata nei punti precedenti che il referendum di estensione dell'art. 18 è l'unica arma di risposta politica efficace nell'immediato disponibile di fronte al rinnovato attacco governativo. Proprio questo attacco in effetti ha alterato il rapporto costi/benefici che in precedenza induceva molti a dare un giudizio negativo sull'iniziativa referendaria.

    D'altra parte, nessuna remora deve esistere rispetto ai progetti della Cgil perché il sì al referendum non segnerebbe affatto una rinunzia o un ripiego. Questi progetti infatti includono l'estensione dell'art. 18 a tutti i lavoratori disegnando intorno ad essa un sistema armonico di promozione di diritti civili e sociali che, all'indomani di un esito positivo della prova referendaria, dovrebbero comunque e con maggior forza essere portati avanti, eventualmente avvalendosi della possibilità prevista dall'art.37 della legge regolatrice dei referendum (legge 25 maggio 1970 n.352).

    Tra la valenza difensiva e quella costruttiva dell'estensione dell'art. 18 non esiste nessuna contraddizione. Dunque la proposta Cgil dovrà essere accompagnata da una campagna di raccolta delle firme sull'articolato chiarendo fino in fondo questo rapporto di ricomprensione e non di alternatività rispetto al referendum.

    Nel contempo la Cgil dovrebbe anche mobilitare tutte le sue forze per contribuire al superamento del quorum del referendum e ad una decisiva vittoria del sì, esponendo in tal modo il Governo ad una aperta e plateale smentita dei suoi progetti poi difficilmente recuperabile.

    Per altro vero, sempre a nostro avviso, occorrerebbe far presente alle forze politiche di sinistra che, ove facessero mancare il sostegno a progetti ampiamente condivisi dal mondo del lavoro, perderebbero l'occasione di ricompattarsi superando divisioni che ne minano la credibilità.

    *responsabile dell'ufficio giuridico della Cgil nazionale e **docente universitario e consulente del primo

    www.liberazione.it
    --------------------
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





  2. #22
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    Predefinito Re: Effetto collaterale: al mare 25 e 26 maggio, a votare sì il 15 giugno

    Originally posted by Francor
    Effetto collaterale: al mare 25 e 26 maggio, a votare sì il 15 giugno

    Nell'intervista a repubblica.it, Moretti prima invita a prodursi in slanci di generosità per battere Berlusconi, poi conclude dichiarando che anche lui si asterrà al referendum per l'estensione dell'art. 18.
    Beh, non male per essere un invito all'unità.
    Cari "so tutto io", mi sa che al mare ci andrò pure io, non il 15 giugno, ma il 25 e il 26 maggio.
    Così, tanto per raccogliere l'invito a prodursi in slanci di generosità: per il bene del centro-sinistra, infatti, è più che mai urgente liberarsi di chi continua a dare lezioni nonostante le elezioni le abbia già perse; come anche dei tanti rofessorini troppo abituati a vedere la politica dal salotto di casa.
    Così facendo si danneggiano anche Rifondazione e le forze interne all'Ulivo favorevoli alla consultazione referendaria?
    Effetti collaterali di un sistema elettorale e di alleanze in grado soltanto di estorcere voti e rispetto ai quali sarà bene che la politica ed i professorini comincino ad interrogarsi.

    Franco Ragusa

    Ho visto che Liberazione oggi ha pubblicato questa tua lettera nello spazio dei "Dialoghi" con tanto di risposta di Bertinotti

    P.G.
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

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  3. #23
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    Predefinito Re: Re: Effetto collaterale: al mare 25 e 26 maggio, a votare sì il 15 giugno

    Originally posted by Paddy Garcia
    Ho visto che Liberazione oggi ha pubblicato questa tua lettera nello spazio dei "Dialoghi" con tanto di risposta di Bertinotti
    P.G.
    Peccato, però, per il taglio centrale, che l'ha in gran parte svuotata di contenuto.
    Così, tanto per raccogliere l'invito a prodursi in slanci di generosità: per il bene del centro-sinistra, infatti, è più che mai urgente liberarsi di chi continua a dare lezioni nonostante le elezioni le abbia già perse; come anche dei tanti professorini troppo abituati a vedere la politica dal salotto di casa.

    E' quindi mancata la risposta alla domanda più importante: come mandare a casa l'attuale dirigenza dell'Ulivo se poi si è costretti a votarla?
    Per essere chiari: votando Rifondazione o i Verdi alle provinciali di Roma, si vota pure per Gasbarra.

  4. #24
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    Gasbarra nel 2001 le elezioni le ha vinte in tandem con Veltroni, eppoi sempre meglio dell' ex missino Moffa

  5. #25
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    il principio della giusta causa si applica a tutte le imprese, anche a quelle con 1 solo dipendente, ciò che muta è la sanzione in capo al datore di lavoro

  6. #26
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    Originally posted by Oasis
    il principio della giusta causa si applica a tutte le imprese, anche a quelle con 1 solo dipendente, ciò che muta è la sanzione in capo al datore di lavoro
    Appunto... hai detto nulla

  7. #27
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    Originally posted by Pitone
    Bravissimo Brunik.

    E questo e' ancora piu' vero qui in Toscana. Ultimamente sono stato durissimo in alcuni miei post con Bertinotti (forse anche troppo) ma trovo del tutto autolesionistico questo referendum, (in una regione poi come la Toscana in cui la piccola impresa e' diffusissima mi pare davvero pazzesco arrivare a proporre quesiti simili).
    Pitone and Brunik, prego leggete......

    Dalla Toscana, il bacino elettorale dei Ds, l'appello ad estendere i diritti sotto i quindici dipendenti.
    «Il lavoro è una ricchezza»
    Piccoli imprenditori, arriva un grande Sì



    Per i Democratici di sinistra è diventato ormai una sorta di leit motiv: «Non siamo per l'estensione dell'articolo 18 perché il nostro elettorato di riferimento è composto in parte da imprenditori di piccole e medie imprese». E proprio dalla Toscana, regione di "imprenditori rossi" per eccellenza, arriva la smentita.

    Un bel gruppo di piccoli e medi imprenditori voteranno per il sì al referendum sull'estensione dell'articolo 18. Non solo, sono talmente convinti della giustezza della loro posizione (e dell'ottusità di chi, soprattutto a sinistra si sta mettendo di traverso, ndr) che hanno dato vita a una sorta di coordinamento lanciando un appello a tutti gli imprenditori che ancora hanno dei dubbi.

    Il gruppo è operante in tutte le città della regione e nei settori più disparati: dalla pubblicità all'artigianato orafo, dall'editoria alla meccanica navale. «Il no al referendum - sostengono - è un giochino della Confindustria, della grande industria assistita, finalizzato a ridimensionare i diritti anche dei lavoratori delle grandi aziende». Fabio Roggiolani, capogruppo Verdi in Regione ed imprenditore commerciale, ricorre a un esempio: «Commesse che abbiano più di 45 anni ce ne sono pochissime. Appena perdono una parte della loro bellezza, vengono mandate a casa, senza alcun riguardo».

    Contro l'associazione guidata da Antonio D'Amato hanno il dente avvelenato: «A loro cosa importa dell'articolo 18. Stanno speculando su una storia che non dovrebbe riguardarli». Per i piccoli e medi imprenditori i problemi sono ben altri: l'impossibilità di accedere al credito, per esempio, e la mancanza di un qualsiasi paracadute in caso di fallimento. «Se sbagliamo siamo fregati per sempre», sottolineano. «Mentre se sbaglia qualche imprenditore di alto bordo cade sempre in piedi». Come dargli torto. Vista dal loro punto di vista, si tratta di una situazione drammatica. Ma quello che fa più imbestialire gli imprenditori toscani è l'attacco a testa bassa contro il lavoro, e i lavoratori. «Per noi non ci sono dipendenti - dicono - ma collaboratori». Naturalmente, non si tratta dei tanto bistrattati co. co. co, ma di collaboratori pronti a condividere tutto con il proprio datore di lavoro. «Il lavoro, l'esperienza e la professionalità per noi sono una ricchezza vera e propria». Insomma, non ci pensano proprio a licenziare un lavoratore assunto. «Chi lo fa - protestano - o è per motivi politici o per ritorsioni a seguito di una richiesta sindacale, oppure per mobbing». Hanno un rapporto talmente stretto con i propri collaboratori che sono pronti ad usare lo stesso linguaggio. «Siamo tutti dentro le stesse regole della globalizzazione - sottolineano nel corso della conferenza stampa - e quindi c'è bisogno di tutele».


    Originally posted by brunik
    Nel centro-sinistra non ci sono solo i dipendenti, ma anche tanti piccoli imprenditori e professionisti. Questo referendum attacca i loro, di diritti.[/b]
    Gli imprenditori non risparmiano critiche nemmeno a quanti, come i Ds, hanno tirato fuori argomenti "vicini" al loro mondo. «Non è lisciando il pelo al mondo della piccola imprenditoria che si ottiene il consenso», dice Fabio Roggiolani.

    L'appello di questo gruppo di piccoli imprenditori della Toscana arriva dopo un altro segnale "inquietante" che arriva da quella regione. Da Firenze, infatti, i giovani dei Democratici di sinistra hanno firmato un appello in cui invitano tutti a votare Sì al referendum.

    «Il nostro è un sì critico - scrivono in un documento a firma del segretario Nicola Centrone - ma anche un sì politico, un sì per non chiudere la porta della estensione dei diritti per tutti i lavoratori, per mantenere aperta la battaglia che punta a dare alle giovani generazioni più tutele e quindi più libertà».

    Fabio Sebastiani
    f. sebastiani@liberazione. it
    "Vogliamo distruggere tutti quei ridicoli monumenti del tipo "a coloro che hanno dato la vita per la patria" che incombono in ogni paese e, al loro posto, costruiremo dei monumenti ai disertori. I monumenti ai disertori rappresentano anche i caduti in guerra perchè ognuno di loro è morto malidicendo la guerra e invidiando la fortuna del disertore. La resistenza nasce dalla diserzione"

    Partigiano antifascista, Venezia, 1943





  8. #28
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    Predefinito Anche Il Manifesto risponde a Pitone

    Originally posted by Pitone
    trovo del tutto autolesionistico questo referendum, (in una regione poi come la Toscana in cui la piccola impresa e' diffusissima mi pare davvero pazzesco arrivare a proporre quesiti simili).
    «Ecco perché voteremo sì»
    I piccoli imprenditori toscani: «Il nostro problema non è l'articolo 18»

    RICCARDO CHIARI
    FIRENZE

    «Ma lo vogliamo dire o no che nella piccola impresa l'imprenditore fa anche l'operaio, mentre nella grande spesso è più un affarista che un imprenditore?». L'argentiere Paolo Calabrò mette il dito nella piaga. Difende il diritto dei suoi sei dipendenti ad ottenere l'articolo 18, e si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa: «E' falsa la contrapposizione fra piccoli imprenditori e lavoratori. Invece è vero che noi piccoli siamo strumenti delle grandi aziende, che utilizzano il nostro saper fare, la fantasia e la progettualità. Salvo poi, in caso di crisi, scaricare tutto sull'indotto». Dalla provincia di Arezzo dove vive e lavora, Calabrò è arrivato a Firenze per testimoniare il suo appoggio al neonato Comitato di imprenditori per il sì al referendum estensivo dell'articolo 18. Non pensa di essere una mosca bianca: «I piccoli imprenditori vengono spesso identificati come padroncini cattivi, che fanno il bello e il cattivo tempo in azienda. Non nego che non ne esistano, ma in genere la realtà è ben diversa. Dopo che hai lavorato fianco a fianco con i tuoi dipendenti durante l'apprendistato, dopo che li hai `verificati', non puoi non fidarti di loro. Se oggi sono qui, è perché la notte scorsa abbiamo lavorato fino a tardi, tutti insieme. E allora hanno il sacrosanto diritto di non essere considerati lavoratori di serie B».

    Per Calabrò, il continuo richiamo al rischio di aumento del lavoro nero, in caso di vittoria del sì ai referendum, non è minimamente giustificato. «Chi lavora in nero vive in una dimensione completamente diversa da quella del piccolo imprenditore. Non gioca in proprio, non rischia nulla, lavora con gli immigrati clandestini e quando le cose vanno male non li paga, tanto quelli non possono protestare». Dal canto suo, un altro piccolo imprenditore come Graeme Lorimer, titolare di un'agenzia di traduzioni, osserva: «A questo punto è diventata importante l'affermazione politica di un diritto. Ho un solo dipendente, ma anche se ne avessi quattordici il discorso non cambierebbe. Anche perchè la polemica sui referendum mi sembra pretestuosa. Si può discutere sullo strumento, e io personalmente sono sempre stato contrario alla filosofia referendaria su materie che dovrebbero essere regolate legislativamente. Ma quando il referendun c'è e si deve andare a votare, allora certe prese di posizione come il no, o addirittura l'andare al mare, mi fanno pensare male. Soprattutto mentre il governo Berlusconi procede verso un complessivo smantellamento dei diritti e delle tutele nel mondo del lavoro».

    Insieme agli imprenditori ci sono le realtà politiche e associative che già da tempo sono al lavoro per la vittoria del sì: «Non sono pochi i responsabili delle piccole e medie imprese toscane - osserva il presidente regionale dell'Arci, Vincenzo Striano - che hanno compreso di come l'insuccesso del referendum potrebbe essere il grimaldello per nuovi attacchi al mondo del lavoro». Da parte sua, il consigliere regionale dei Verdi, Fabio Roggiolani, sottolinea: «Oltre ad esprimerci per il sì, sono necessarie maggiori garanzie per i piccoli e medi imprenditori. Si va da un sistema di welfare al quale possano ricorrere nel momento del bisogno, ad un più facile accesso ai credito agevolato». «In caso di vittoria del sì - chiude Mario Ricci, segretario regionale di Rifondazione - anche per le piccole e medie imprese dovranno essere attivati gli ammortizzatori sociali».

    www.ilmanifesto.it
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  9. #29
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    Predefinito Ancora per Pitone e Brunik

    Cari Pitone e Brunik,

    riporto nuovamente sotto il mio commento riguardo all'opinione che l'estensione dell'art. 18 danneggerebbe le piccole imprese e che postai già qualche settimana fa; ci tengo a precisare che la riporto non certo per spirito polemico, ma perchè nelle ultime settimane mi pare si tenda a strumentalizzare un pò troppo le piccole imprese quando di fatto niente è stato mai fatto per andare incontro alle loro reali esigenze.

    Paddy, ti ringrazio per gli articoli che hai postato, perchè accreditano ulteriormente la posizione che io e i miei soci abbiamo deciso di tenere a riguardo del referendum.

    Cordialmente,
    Etrusco

    ************************************************

    Ho una impresa di 12 dipendenti: dico assolutamente sì al referendum, sono schierato con convinzione per il sì e non mi tirerò da parte nel dicutere anche all'interno della mia azienda sull'importanza di andare a votare e schierarsi per il sì.

    Da imprenditore dico che l'estensione dell'art.18 è un diritto sacrosanto del lavoratore e che il giorno in cui questo tipo di norme impediranno alla mia impresa di restare sul mercato, allora mi farò un profondo esame di coscienza e mi farò di parte perchè ciò sarà dovuto solo ed esclusivamente alla mia incapacità.

    Il progressismo a chiacchere sono in tanti a farlo, ma in concreto è un altro paio di maniche: troppo comodo rimediare alle proprie incapacità o alla non competitività dei propri prodotti guardando solo ed esclusivamente alla riduzione dei costi a spese del lavoratore.

    La mia azienda opera in un settore che viene da due anni di profondissima crisi e facile sarebbe stato ridurre il personale. Abbiamo deciso di non farlo riducendo a zero il nostro profitto e aumentando gli investimenti nell'azienda in cui crediamo davvero. Oggi questa scelta dettata non solo dai nostri principi, ma anche da una chiara strategia a lungo termine, ci sta premiando e siamo fra le pochissime aziende che in Italia hanno ricominciato ad assumere nel nostro settore.

    Chi si schiera contro l'estensione dell'art. 18 tirando fuori i soliti argomenti triti e ritriti, o è in malafede o non ha la minima idea di che cosa voglia dire fare impresa, e sono davvero amareggiato nel costatare come anche a sinistra ci sia chi scredita questo referendum.

    Si può discutere all'infinito se il referendum sia o meno lo strumento adeguato, e se estendere l'art. 18 sia effettivamente un punto intorno al quale dare battaglia, ma ora è il momento di fare quadrato ed almeno a sinistra sarebbe stato auspicabile un voto 'senza se e senza ma'. Peccato, ma in fondo anche questo è coerente e sintomatico della qualità e della 'profondità' anche politica di molta della classe dirigente di sinistra...

    Cordialmente,
    Etrusco

  10. #30
    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito Re: Re: Re: Effetto collaterale: al mare 25 e 26 maggio, a votare sì il 15 giugno

    Originally posted by Francor
    Peccato, però, per il taglio centrale, che l'ha in gran parte svuotata di contenuto.
    Così, tanto per raccogliere l'invito a prodursi in slanci di generosità: per il bene del centro-sinistra, infatti, è più che mai urgente liberarsi di chi continua a dare lezioni nonostante le elezioni le abbia già perse; come anche dei tanti professorini troppo abituati a vedere la politica dal salotto di casa.

    E' quindi mancata la risposta alla domanda più importante: come mandare a casa l'attuale dirigenza dell'Ulivo se poi si è costretti a votarla?
    Per essere chiari: votando Rifondazione o i Verdi alle provinciali di Roma, si vota pure per Gasbarra.
    Gasbarra non "sbaglia" per transitivita'. Se sta ai patti, se rispetta i programmi, non ci vedo nulla di male.

    Noi avremo un certo peso nell'amministrazione della provincia di Roma, anche in base all'esperienza del comune di Roma.

    E non mi pare che al comune di Roma ci siamo piegati a una politica di centrosinistra.

    Li si manda via governando bene e mostrando che e' possibile fare in modo diverso e migliore per tutti.

 

 
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