Ottocentomila credenti di venti nazioni

L'ISLAM D'ITALIA SI CONIUGA AL PLURALE

Variegati per nazione e per religiosita`, gli islamici d'Italia ci
spingono a interrogare noi stessi: chi siamo?


Giorgio Paolucci


Per capire una realta` composita e articolata che ci vive accanto,
il cannocchiale non e` lo strumento piu` adeguato. Meglio la lente
d'ingrandimento, grazie alla quale possiamo apprezzare differenze e
sfumature, ma anche inattese somiglianze. E` necessaria una buona
lente per scoprire un mondo come l'islam italiano che, a dispetto
della maniera semplificatoria e superficiale con cui viene
solitamente raccontato dai media, si coniuga al plurale piuttosto
che al singolare, assomiglia a un caleidoscopio piuttosto che a un
esercito compatto.

Ottocentomila persone provenienti da piu` di venti Paesi, che
portano con se` una quantita` di riferimenti nazionali, etnici,
culturali e che testimoniano modalita` assai diverse di vivere la
fede che li accomuna. Eppure spesso ci siamo fatti un'immagine
dell'islam "in generale", ci ficchiamo dentro a viva forza i
musulmani, e se non c'entrano e` peggio per loro: continuiamo a
pigiarli nel nostro contenitore mentale lasciando fuori pezzi
significativi della loro umanita` pur di far coincidere le nostre
teorizzazioni con la realta`, pur di ingabbiarla nei nostri schemi
concettuali, in pregiudizi alimentati dalla paura, dall'ignoranza
e, al tondo, da un identita` evanescente, sempre piu` incline al
relativismo, e percio` sempre meno capace che incontrare il nuovo.

Il merito di Stefano Allievi e` di riproporci strumenti di
conoscenza ravvicinata per capire i musulmani, di la` dai luoghi
comuni, dell'allarmismo strumentale come del buonismo xenofilo.
"Islam italiano" (Einaudi, pagine XXII+272, euro 13,50) propone un
viaggio nello spazio e nel tempo dalla Sicilia alla Val d'Aosta,
dall'invasione araba del nono secolo a quella odierna, silenziosa e
disarmata, di cui sono protagonisti gli immigrati. C'invita a
scoprire l'islam popolare diffuso in decine di piccoli paesi, fatto
di devozione religiosa, di preghiere recitate nelle case e negli
scantinati, di tentativi piu` o meno riusciti di marcare una
diversita` senza chiudersi in un ghetto. Ci presenta l'"islam in
doppiopetto" della grande moschea di Roma, fortemente voluta
dall'Arabia Saudita che certo non vanta piu` di qualche decina di
connazionali dalle nostre parti, ma che pure ha messo a
disposizione gran parte degli 80 miliardi di lire necessari
all'impresa. Ci parla della rete di moschee coordinata dall'Ucoii,
l'Unione delle comunita` islamiche in Italia, la realta`
movimentista che punta da anni all'Intesa con lo Stato italiano ma
deve misurarsi con rivalita` personali, religiose e politiche che
hanno finora impedito di stabilire "chi rappresenta chi" nel
caleidoscopio musulmano che si e` andato formando nel nostro Paese.
Non esita a mettere in luce i pericoli derivanti dalle ormai
numerose infiltrazioni del terrorismo di matrice islamica
all'interno di certe comunita`, sottolineando che la maturita` dei
loro dirigenti potra` venire misurata quando la dissociazione
dall'estremismo, che pure in parte ha cominciato a manifestarsi,
sara` esplicita, inequivocabile e soprattutto manifestata prima che
venga richiesta dalla gravita` dei fatti scoperti o dalla paura
dell'opinione pubblica: <<per fare chiarezza all'interno, piu` che
per far vedere all'esterno che si e` a posto con la legge e con la
coscienza>>. Peccato che l'autore - sociologo, docente
all'universita` di Padova, uno dei primi ad avere scoperto e
raccontato "dal basso" la realta` musulmana del nostro Paese, nella
quale sa destreggiarsi da esperto navigatore - smarrisca la bussola
dalle parti di Bologna, quando scambia per <<ira funesta contra
Saracenorum>> i legittimi auspici dell'arcivescovo per un incontro
consapevole della citta` e del mondo cattolico con la realta`
islamica, un incontro lontano sia dagli irenismi sia dalla
xenofobia gratuita, ma giustamente preoccupato di sollecitare
un'autentica integrazione delle comunita` musulmane in una realta`
che non e` assimilabile a un deserto valoriale, ma che reca
evidenti i segni della civilta` cristiana. Segni quale il
crocifisso che, come riconosce lo stesso autore, vengono
sbrigativamente eliminati dalle classi da insegnanti di ampie e
democratiche idee ma di astratte vedute, preoccupati di non
offendere la sensibilita` dei bambini musulmani; o come il presepio
o certi canti religiosi, espressione della tradizione popolare
italiana, mandati in soffitta in nome di un multiculturalismo
d'accatto. Figlio di una malattia che precede la presenza islamica,
ma che con l'arrivo dell'islam ha ripreso vigore: la malattia del
non sapere quello che siamo.

Da "Avvenire" del 9 aprile 2003

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