(dal Corriere della Sera)
Padani di sinistra per Van De Sfroos «Simbolo lombardo, basta con Roma»
Un gruppo di spettatori al concerto del cantante amato dalla Lega: «Lui ci piace e siamo di Rifondazione Comunista»
MILANO - Vuoi vedere che esiste una via rifondarola all’orgoglio padano? Una via che ha come bandiera pop un musicista trentasettenne di Azzano di Mezzegra, sul lago di Como? Un «menestrello» di talento che si chiama Davide Bernasconi, noto ai più come Van De Sfroos (pseudonimo di pura invenzione derivato dall’equivalente dialettale dell’espressione «vanno di frodo»)? Strano eppure vero. Un cantautore che solo qualche anno fa, quando ancora aveva pochi adepti regionali, in occasione di una festa di Imbolc, il capodanno celtico, fu accolto a braccia aperte dai leghisti più irriducibili, che cantarono a squarciagola E semm partii (E siamo partiti), la sua canzone allora più famosa, racconto dell’epopea dei lombardi emigrati in America. Provate a chiedere, oggi, al popolo di Van De Sfroos un’opinione sulla Lega. Vi sentirete rispondere con grugniti di disappunto. Il cantore lacustre dei diseredati e dei marginali, che coniuga il vernacolo locale con sonorità in bilico tra folk, reggae, rock e ska, è passato in pochissimo tempo da destra verso sinistra senza colpo ferire. Anzi, verso la sinistra più dura. E ieri sera tra il variegato pubblico in attesa del concerto al Teatro Smeraldo di Milano (poche settimane dopo l’uscita del suo ultimo cd dal vivo, intitolato «Laiv») i fans in camicia verde si contavano sulle dita di una mano. Perché i «vandesfroosiani» più ferventi sono per lo più padani convinti e bertinottiani altrettanto agguerriti. Come un gruppo di trentenni di Cinisello che non sopportano «Roma ladrona», aborrono la Rai e Mediaset (perché hanno palinsesti troppo «statalisti»), guardano con passione solo TeleLombardia, hanno nostalgia dei Gufi, ascoltano Svampa e il giovane Davide, parlano con ardore delle tradizioni, odiano Gigi D’Alessio, tengono a precisare: «Non siamo italiani ma lombardi, e votiamo Rifondazione». E soprattutto sono orgogliosi di rappresentare questo accrocco. E’, ovviamente, l’ala più radicale del popolo di Van De Sfroos. Ma tutti, o quasi, tengono a far valere, nel nome di Davide, la duplice appartenenza: Padania e sinistra.
«Mi piace perché è diretto e semplice», dice Marco, un quarantenne milanese, «a me i comaschi in genere non mi vanno giù, sono chiusi, ma Van De Sfroos incarna la padanità, non quella becera di Borghezio, intendiamoci, ma quella nobile». Neppure i ragazzini che portano scritto sulla T-shirt «Semm cumasch. Orgoglio e tradizione» vogliono sentir parlare di Lega: «Quel che mi interessa è che canta in dialetto e che la sua musica richiama il folk celtico e scozzese che ricorda le nostre radici». Un altro comasco, questa volta cinquantenne, premette che vota per D’Alema ma non sopporta l’idea che «i napoletani difendano nelle canzoni il loro dialetto e i loro costumi, mentre il nostro lombardo sta scomparendo: è per questo che mi piace sentire canzoni come Pulenta e galena fregia o La curiera». «Polenta e gallina fredda» e «La corriera» sono, tradotti in italiano, titoli di Van De Sfroos. «La mia malattia è la Lombardia». Rima forse involontaria? «E non lo dico certo da leghista ma da uomo di sinistra».
Ci sono anche le eccezioni, intendiamoci. Come il quarantenne di Milano che dichiara la sua fede per l’estrema destra, ma ascolta questo «laghée», questo «Bob Dylan della cassoela», questo «Brassens comasco» perché «non rientra nello stereotipo un po’ animalesco del leghista puro». Un amico al suo fianco condivide, pur votando per Rifondazione. E poi c’è chi scherza dicendo che i testi di Davide sono «profondi come i nostri laghi», chi ama canzoni come Sciur capitan o come La ballata del Genesio, ma rifiuta di dare coloriture politiche ai suoi gusti musicali. «Mi piacciono solo perché sento che sono cose nostre: sa, il mio parente più meridionale è di Locate...». Simone, di 26 anni, ha trascinato allo Smeraldo mamma e papà, eppure dice: «Avrei preferito che i testi non fossero dialettali». La commistione musicale vince, in questo caso, sulla venatura linguistica. Il Davide «global» sul Davide «local». I più equilibrati sono «glocal». Come un trentaquattrenne di Ossuccio (Como) che parla di una «dialettalità valligiana innestata nel country americano»: «Io sono tutt’altro che di destra, mi creda, ma penso che questa musica dia dignità finalmente alla gente del lago, che non è mai stata niente, gli svizzeri ci consideravano schiavi e per gli italiani non siamo mai esistiti. Che qualcuno ora canti la nostra vita mi rende orgoglioso».