Nel popolo di centrodestra, bacino elettorale del PDL, sono in pochi a condividere le uscite di Gianfranco Fini su immigrazione clandestina e testamento biologico. Le "sparate" del Presidente della Camera vengono accolte con indifferenza, se non con viva ostilità, dalla maggior parte degli stessi esponenenti del PDL, compresi gli ex colonnelli di AN, schierati con il "capo" fino ad un certo punto.
Le polemiche di queste ultime settimane, però, rischiano di offuscare alcune proposte ragionevoli di Fini sulla natura e gli obiettivi futuri di un partito che ancora "non c'è". Mentre Berlusconi insiste su un PDL liquido, senza reale radicamento sul territorio, governato da un triumvirato (composto da Verdini, Bondi e La Russa) scialbo e poco incisivo, Fini propone un PDL solido, radicato, con una salda struttura di comando, distinta dall'esecutivo.
L'inquietante mancanza di un tesseramento, la fragilità dei gruppi e dei circoli territoriali, ancora evanescenti o del tutto assenti (in molti comuni e in varie province sussistono denominazioni come "Forza Italia verso il PDL" e "An verso il PDL"...ma il PDL non era nato a marzo?), l'insufficiente coordinazione a livello nazionale, lo sbando del gruppo alla Camera (falcidiato da assenze ingiustificabili e dal malgoverno di Cicchitto), nonchè l'assenza di prospettive future in caso di improvvisa scomparsa del Cavaliere, rischiano di condurre a prematura scomparsa il "partito unico" del centrodestra.
Fini non ha tutti i torti nel denunciare queste anomalie e carenze, finora rimaste irrisolte anche per colpa della "sordità" di Berlusconi, fin troppo fiducioso sul destino politico del PDL. Certo, il popolo di centrodestra avrebbe preferito da Fini maggior tatto nei continui attacchi al governo e alle leggi approvate dalla maggioranza, che pure rispettano il programma approvato, da tutti, nel 2008. Eppure, il Presidente della Camera non sbaglia quando insiste per ottenere dal Premier maggiori garanzie, e soprattutto una autonomia del PDL nei confronti dell'alleato leghista e dell'esecutivo. Il partito tende ad essere cannibalizzato a settentrione dai Lumbard. Il rafforzamento leghista - è sotto gli occhi di tutti - avviene a scapito di un PDL in crisi.
Resta irrinunciabile la necessità di un accordo fra i due cofondatori del PDL, nel quadro di una inevitabile leadership berlusconiana (senza accantonare ancora una volta, però, la costruzione di un percorso per la successione futura), e di un rafforzamento dell'organizzazione del partito. In sostanza, servono un tesseramento vero, dei circoli locali veri, dei gruppi solidi e delle strutture coordinate per una gestione condivisa. Identità ed interessi del PDL devono venire prima delle esose richieste leghiste.
Sulla natura del PDL Fini non ha tutti i torti. Proposte ragionevoli per un partito ancora evanescente