Le due europe di Copenaghen

Gennaro Migliore

Si è concluso ieri a Copenaghen un vertice presentato come l'appuntamento decisivo per scrivere una nuova Storia del nostro continente. I Quindici paesi membri dell'Unione hanno varcato la soglia dell'Est, proponendo l'allargamento come un regalo generoso della parte occidentale, e ricca, del continente ai cugini poveri. La storia concreta di questo allargamento è molto diversa. I paesi più forti economicamente hanno dimesso l'aspetto dei benefattori, che per anni ha contraddistinto la retorica includente del processo di unificazione, per assumere orientamenti determinatissimi su come e quanto dividere le risorse europee: la proposta è stata quella di non rendere modificabili le posizioni di vantaggio acquisite, senza poter di fatto neppure avviare una trattativa per rinegoziare le quote delle sovvenzioni. Prendere o lasciare, come ha fatto intendere sbrigativamente il premier danese Rasmussen.

Eppure questi temi sono, colpevolmente, rimasti sullo sfondo. L'attenzione dei media e la stessa discussione durante il vertice si è spostata sulla nuova "sfida": quella dell'ingresso del primo paese a maggioranza islamica nella cristianissima Europa. Addirittura a sostegno della causa si sono espressi noti sostenitori del valore della cultura islamica come fattore di integrazione politica per l'Europa, fino al punto di essere ritratti come testimonial in una campagna pubblicitaria commissionata dal governo turco. Cosa importa se lo stesso ecumenico premier italiano, all'indomani dell'11 settembre, sancì una gerarchia tra le religioni, inneggiò alla guerra di civiltà? È la disponibilità a farla la guerra che conferisce patenti di democrazia. Non è così forse anche per Israele, il Pakistan e tutte le tirannie al servizio degli Usa?

Eppure, su come e quando ammettere la Turchia all'Unione si è aperta una frattura tra i Quindici. Alcuni hanno dato credito alla versione delle differenti "sensibilità" su temi fondamentali, quale un generico rispetto per i diritti umani. È apparso più "etico" chi chiedeva il differimento delle trattative, il particolare Francia e Germania, rispetto a quelli che volevano avviarle immediatamente.

Purtroppo le cose non stanno così, visto che le reali motivazioni per ritardare il negoziato sono legate alla presenza di milioni di immigrati turchi (in particolare in Germania) ed a ragioni di carattere prevalentemente economico. Se le condizioni dell'ingresso fossero chiaramente quelle di rispettare il diritto all'autodeterminazione del popolo kurdo, di impedire le torture nelle carceri, di rimuovere l'occupazione illegale di una parte di Cipro, di rispettare davvero i diritti umani il negoziato potrebbe cominciare anche domani. Che la partita sia soprattutto economica è chiaramente testimoniato dalle affermazioni del recente trionfatore nelle elezioni, il capo del partito islamico Erdogan, che minaccia di percorrere la strada dell'associazione al mercato di libero scambio nordamericano(!), il Nafta. Che vi sia un chiaro interesse politico-militare si vede dall'attivismo diplomatico di Bush, preoccupato di compiacere il Paese che storicamente è la piattaforma di guerra in medioriente degli Usa.

A ben guardarlo questo processo di allargamento fotografa la situazione dell'Unione Europea e ne evidenzia le caratteristiche di fondo. Lungi dall'essere una unione tra pari, l'attuale Ue è dominata dalle politiche neoliberiste e delle disuguaglianze che queste producono. La sua stessa autonomia politica è ridicolizzata dall'intervento statunitense sulla questione Turchia. La condivisione di contenuti politici alti, dai diritti umani per i migranti al ripudio della guerra, sono in fondo alla lista delle lettere per Babbo Natale. Il rispetto della democrazia e della libera espressione vengono rinchiusi, anche simbolicamente, in una brutta prigione danese, come è accaduto ad alcuni nostri compagni disobbedienti e come continua ad accadere nell'Italia dei "sovversivi".

Oggi possiamo davvero dire che l'Europa politica non passa dai vertici dei suoi governi ma da quelle moltitudini che ieri a Firenze, oggi di nuovo a Genova stanno attraversando il corpo scricchiolante di un'unione senz'anima.

Liberazione 14 dicembre 2002
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