A conclusione della maggiore ricorrenza del calendario musulmano, quella del Ramadan, intervista al sociologo Stefano Allievi
L'Islam plurale d'Europa


Guido Caldiron

Tra i settecento e gli ottocentomila, presenti al nord come al sud del paese e raccolti in centinaia tra moschee vere e proprie e piccoli luoghi di culto dall'apparenza talvolta improvvisata, i fedeli musulmani rappresentano la seconda comunità religiosa del nostro paese. Il loro numero e la loro visibilità sono cresciuti negli ultimi dieci anni, alimentati soprattutto dalle migrazioni provenienti dal Maghreb e da alcune aree dell'Africa subsahariana, ma anche dalle regioni a maggioranza musulmana della ex Jugoslavia, come dall'Albania.
Una comunità religiosa e culturale che riunisce dunque al proprio interno molte differenze, a cominciare da quelle linguistiche e dalle diverse tradizioni che ciascuno ha vissuto nel paese d'origine e che ha portato con sé nel proprio viaggio verso la Penisola. Un quadro a cui vanno aggiunti i circa trentamila italiani "convertiti" all'Islam, con motivazioni e intenti a loro volta molto diversi gli uni dagli altri.

Per tutti i musulmani del mondo, stimati in oltre un miliardo, il mese del Ramadan - che si è concluso con la preghiera dello scorso venerdì - dedicato al digiuno e alla purificazione attraverso l'astinenza da tutti i piaceri terreni per avvicinarsi alle sofferenze dei più deboli, rappresenta uno dei cinque pilastri della fede e il momento centrale dell'anno. Si digiuna dall'alba al tramonto, e la sera ci si ritrova in famiglia, con gli amici, vivendo intensamente i legami affettivi e comunitari. Non a caso si tratta del periodo in cui le reti televisive del mondo musulmano concentrano il loro sforzo produttivo per offrire soprattutto programmi e sceneggiati che possano riunire la sera, davanti al televisore, tutte le famiglie. Infine, la rottura del digiuno è celebrata con la lunga festa dell' aid al-fitr che segna il ritorno ai ritmi nornali della vita quotidiana.

Ma se l'esperienza del Ramadan segna notevolmente le società islamiche, assume un significato forse ancor più rilevante per i musulmani che vivono da immigrati in Europa o presso quelle che vengono abitualmente definite come le seconde o terze generazioni dell'immigrazione, composte da giovani nati e cresciuti nei diversi paesi europei. Proprio la conclusione del Ramadan offre perciò l'occasione per riflettere sulle caratteristiche che l'Islam europeo sta assumendo e sul significato che questa esperienza rappresenta ogni giorno di più per l'intero "spazio di senso" della comunità islamica internazionale.

Stefano Allievi, sociologo e ricercatore all'Università di Padova si occupa da oltre dieci anni della cultura musulmana e in particolare dello sviluppo dell'Islam in Europa e in Italia, e del confronto tra culture e società, temi a cui ha dedicato interventi e saggi, a partire da Il ritorno dell'Islam. I musulmani in Italia (1993) fino a La tentazione della guerra (2001). In particolare nel suo Musulmani d'Occidente, pubblicato recentemente presso Carocci, presenta una mappa ricca di spunti delle diverse tendenze dell'Islam europeo. Gli abbiamo chiesto di aiutarci a compredere quale sia l'identità di questo Islam d'Europa.

Il Ramadan rappresenta il momento centrale dell'anno per ogni musulmano, quale valore assume questa ricorrenza presso le comunità islamiche europee?

Si tratta di un elemento identitario fortissimo, che fa parte del vissuto profondamente, più ancora delle stesse credenze religiose. Mi spiego: anche chi non frequenta la moschea d'abitudine, prende però parte al Ramadan. Da questo punto di vista si tratta di un fenomeno sociale straordinario; inoltre, nell'ambito degli studi sociologici si sottolinea come più ancora del digiuno, sia importante il momento della sua rottura, quando ci si incontra, si sta con gli altri. In Europa tutto ciò esprime una sorta di auto presentazione, non è un dato acquisito o scontato come nei paesi d'origine, quanto piuttosto un elemento di integrazione perché porta a presentarsi agli altri, ai colleghi di lavoro agli amici non islamici, spiegando la propria cultura.

In questo senso, a proposito di integrazione, quanto potrà pesare nel nostro paese l'eventuale "intesa" tra lo Stato e la comunità islamica di cui si parla da lungo tempo?

Il sistema italiano in materia di religione è articolato con il concordato più le intese con le altre fedi, come ebrei, valdesi, ecc. Ma per l'Islam, a dire il vero, il processo deve ancora partire sia perché ci sono vari progetti in questa direzione, sia perché non si è davvero discusso molto. Credo comunque che sia più forte il valore simbolico della cosa, il riconoscimento della presenza islamica nel nostro paese, che non la sua realizzazione concreta.

In Musulmani d'Occidente lei spiega come in qualche misura l'esperienza dell'Islam europeo riproduca alcune delle caratteristiche che hanno accompagnato il primo sviluppo della fede musulmana, con l'inizio della predicazione del Profeta alla Mecca, e come a questa condizione corrisponda una nuova percezione del significato della "umma", la comunità dei credenti...

Alla base di queste considerazioni c'è la constatazione che quello che sta crescendo in Europa è un Islam minoritario. L'immigrato musulmano passa dalla condizione di appartenenza a una maggioranza, nel paese d'origine, ad essere minoranza nei paesi europei, come era minoranza l'Islam delle origini. Apparentemente tutto ciò sembrerebbe non cambiare nulla e invece cambia tutto: teologicamente l'Islam si vive come maggioranza nei paesi d'origine, si pensi all'applicazione della legge islamica, ecc, ma con l'immigrazione questa situazione quasi si capovolge. I musulmani si devono confrontare con un'altra realtà, misurarsi con altre tradizioni e culture, e questo produce anche una rielaborazione teologica che finisce per avere degli effetti molto importanti anche nei paesi d'origine. Inoltre, sul punto della "umma", bisogna considerare come, nell'immigrazione, anche all'interno della comunità musulmana non ci sia più quell'elemento etnico comune che c'era nei paesi d'origine. Gli immigrati islamici in Europa si incontrano con altri immigrati di altri paesi e questo li pluralizza, li fa prendere visione di questa molteplicità di esperienze, tutte diverse, per lingua, tradizioni e abitudini, e però tutte ugualmente interne allo stesso Islam.

Questa nuova cultura islamica che si sviluppa oggi a partire dalle comunità dei migranti in Europa, rappresenta quindi una sfida positiva per la stessa identità complessiva dell'Islam e per la sua immagine negativa che da noi viene diffusa da gran parte dei media attraverso la formula del "conflitto tra civiltà"?

Innanzitutto bisogna dire come da noi ci sia un problema di percezione su questi temi, tutta costruita erroneamente solo sui paesi d'origine... basti pensare alle polemiche del dopo 11 settembre, ai vari Fallaci, Sartori e a buona parte dei commentatori dei media. Questo mentre invece in Europa gli islamici sono minoranza in una molteplicità e in una società secolarizzata. Inoltre ci sono delle trasformazioni in corso anche nei paesi d'origine, soprattutto sul piano sociale. Da un rapporto dedicato all'Islam, redatto per la Commissione Europea e alla cui stesura ho preso parte, emerge proprio l'influenza che l'Islam d'Europa comincia ad acquisire sui paesi d'origine degli immigrati. Noi ci immaginiamo che siano i paesi d'origine a far sentire la loro influenza presso le comunità immigrate, mentre nell'ultimo decennio comincia sempre più spesso a verificarsi il fenomeno inverso. Penso al caso turco, di persone cresciute nell'emigrazione in Germania e poi tornate in patria a fare politica e che sono diventate deputati, sindaci... Questo Islam europeo sta cambiando pian piano anche i paesi d'origine. C'è una profonda consapevolezza delle cose belle e valide che caratterizzano l'Europa, come la tutela dei diritti della persona, la libertà personale, la democrazia e i diritti delle donne. Elementi che sono apprezzati sempre più in molti ambienti e paesi del mondo islamico, sottoposti spesso a regimi autoritari e antidemocratici. E accanto ai motivi economici è spesso questa valutazione a spingere all'emigrazione verso le città europee.

Liberazione 2 dicembre 2002
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