Il liberalismo è una dottrina politica che sostiene la necessità di una limitazione del potere politico a vantaggio della libertà individuale. L’uso del termine liberalismo con il significato attuale risale ai primi dell’Ottocento. Ciò non toglie che l’assolutismo sia stato messo in discussione con argomenti e idealità tipicamente liberali già a partire dal XVII secolo. Si possono così già definire liberali i whigs, promotori della seconda rivoluzione inglese, e pensatori come Locke.
Il filosofo anglosassone, infatti, sostenne che un tempo, nello “stato di natura”, gli esseri umani avrebbero vissuto senza una regolamentazione della vita comunitaria. Tendenzialmente la convivenza sarebbe stata pacifica, perché gli interessi individuali si sarebbero incontrati armonicamente. Comunque per ovviare alle pur rare controversie e per salvaguardare i propri diritti gli individui si riunirono in gruppi convenendo sulla costituzione dello Stato, al quale avrebbero ceduto alcuni dei loro diritti, tenendo però quelli la cui salvaguardia sarebbe stata il fine del “contratto sociale” (era una visione contrattualistica, cioè che affermava il fondamento dello Stato attraverso un “contratto”).
Locke riteneva che i diritti naturali (la dottrina che accetta l’esistenza di diritti naturali è detta giusnaturalismo), perciò inviolabili, fossero la vita, la libertà e la proprietà. Nel caso in cui i governanti non li rispettassero perderebbero ogni legittimità al potere e il popolo avrebbe il diritto di destituirli, anche con una rivoluzione, se necessario. Affinché questi casi non avvengano, secondo Locke, è opportuno dividere il potere politico nel potere legislativo, che legifera senza avere i mezzi per fare rispettare le leggi, e in quello esecutivo, che deve fare osservare le leggi e anche osservarle. L’illuminista Montesquieu condivise questa divisione, ma aggiunse che anche il potere giudiziario deve essere autonomo. La divisione dei poteri di Montesquieu è ancora oggi uno dei pilastri degli Stati liberaldemocratici.
Un importante principio per la convivenza civile fu individuato da Locke nella tolleranza.
Il liberalismo, soprattutto rispetto alla cultura dominante fino al fallimento della Restaurazione, si configura come laico e umanista, infatti:
- pone le basi dell’organizzazione politica non in Dio, ma nell’umanità;
- inserisce tra le libertà individuali più importanti quella d’espressione di pensiero, quindi di religione (tranne che di quelle che si ritengono molto pericolose per le istituzioni);
- ascrive le convinzioni religiose alla sfera del privato.
Cominciando in Inghilterra il liberalismo ottenne gradualmente importanti conquiste: i diritti dei sovrani vennero limitati (generalmente da carte costituzionali), vennero istituite assemblee di cittadini eletti che discutevano con il sovrano e con i suoi ministri le decisioni da prendersi, furono messe in atto limitazioni del potere giudiziario a garanzia della persona sospettata (garantismo), la Chiesa perse potere a vantaggio dello Stato (dottrine giurisdizionaliste), furono riconosciuti l’uguaglianza giuridica dei cittadini e lo Stato di diritto, nel quale il cittadino può portare lo Stato di fronte al giudice. Le forze economiche che premevano per queste innovazioni erano di matrice borghese.
In Inghilterra, reso puramente simbolico il potere del sovrano e degli aristocratici, ci furono coloro che proposero una diminuzione delle garanzie di libertà che lo Stato concedeva ai cittadini, visto che il potere era tenuto dai cittadini stessi. J. S. Mill rispose che lo Stato liberale non può oltrepassare il limite del rispetto della libertà individuale, perché se lo facesse si tramuterebbe in dittatura della maggioranza, in democrazia illiberale. Per Mill lo Stato deve assolutamente limitare la sua sfera d’influenza alla vita pubblica del cittadino, libero di fare tutto ciò che non danneggia qualcun altro.
Nell’Ottocento i liberali dominarono la scena politica, in un primo tempo combattendo la Restaurazione, poi come forza di governo. A quel punto si distinsero, come forza di opposizione, i democratici. Questi in generale accettavano i principi del liberalismo (ma c’era anche chi, propugnando, come Rousseau, una sottomissione alla “volontà generale”, la democrazia diretta e l’unificazione dei tre poteri, sosteneva forme diverse di democrazia), ma si opponevano alla maggioranza dei liberali, i moderati, perché difendeva i privilegi (il suffragio ristretto e il liberismo puro, che ostacola l’uguaglianza sostanziale, non ammettendo un solido ed articolato Stato sociale) dei capitalisti.
Altri liberali dissidenti rispetto al liberalismo ottocentesco della “dottrina del giusto mezzo” furono i radicali. Il radicalismo si batté con intransigenza per il liberismo, la dignità umana, le minoranze minacciate dal conformismo e dal moralismo, la laicità dello Stato e della società e la “liberazione” dell’individuo, che ha diritto a una scelta autonoma e consapevole, dalla morale dominante (in particolare contestarono, e contestano tuttora, le limitazioni imposte dalla morale cattolico-borghese).
Un punto considerato in maniera opposta dalle varie correnti liberali è quello dell’associazionismo. Ci sono i liberali che vedono le organizzazioni (partiti, sindacati, associazioni di mestiere, circoli culturali, gruppi religiosi..) come occasione per il formarsi di interessi corporativi limitanti la libertà individuale e quelli che considerano l’associazionismo come un diritto fondamentale della persona, che si realizza nell’incontro con i suoi simili, che lo Stato deve tutelare o addirittura incentivare.
Marx liquidò il liberalismo come un prodotto borghese superabile, dopo la fase socialista della dittatura del proletariato, con l’annullamento di ogni forma di Stato e di oppressione, nella fase comunista.
Invece altri pensatori di sinistra riconobbero che i diritti liberali, tranne quello alla proprietà, sono un patrimonio della politica moderna legato in maniera indissolubile alla vera democrazia. Si può così parlare di socialismo liberale. Nel secondo dopoguerra, alcuni teorici, tra i quali Popper, teorizzarono il “liberalismo positivo” (in opposizione al liberalismo come semplice elencazione di ciò che lo Stato non può fare), favorevole all’intervento dello Stato in alcuni settori considerati importanti per il buon funzionamento della democrazia.
Il liberalismo economico (o liberismo)
Lo stesso ottimismo che portava Locke a pensare che nello stato di natura ci fosse un’armonizzazione tra l’agire degli individui animò la dottrina economica di Adam Smith (1723-1790). Secondo questo economista i soggetti economici hanno come fondamento del loro agire il loro personale rendiconto, ma questo, grazie anche alla concorrenza, è causa del progresso di tutto il sistema economico. Lo Stato dovrebbe così lasciare completa libertà di iniziativa ai privati non condizionando la vita economica, che si regola autonomamente.
Una concezione liberista era già presente in Locke, perché il filosofo ascriveva ai diritti naturali, e perciò inviolabili, anche quello alla proprietà, considerato come conseguenza del lavoro compiuto dal proprietario su un oggetto che primitivamente non era di nessuno. Il proprietario avrebbe avuto il diritto di trasmettere ad altri le sue proprietà. Per Locke questo principio vale “almeno quando siano lasciate in comune per gli altri cose sufficienti e altrettanto buone”. Spesso si è considerata la libertà economica come essenziale per la realizzazione personale.