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Risultati da 1 a 7 di 7

Discussione: Islam e democrazia

  1. #1
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito La fede musulmana è compatibile con la democrazia?

    Un dibattito falsato da troppi errori
    Tutto quel che dovreste sapere sull’Islam


    di Khaled Fouad Allam

    In questi ultimi tempi uno dei temi centrali del dibattito politico e culturale è stato quello della compatibilità fra islam e democrazia. Eterna questione che agita la società contemporanea, ma che spesso viene posta considerando la religione musulmana un fenomeno definitivamente definito, dunque irriducibile e irriformabile. Vorrei richiamare qui quattro errori di partenza che nel dibattito attuale spesso falsano il discorso sul rapporto fra islam e democrazia.

    Il primo errore di numerosi esponenti della cultura e della politica sta nel ritenere che l’islam e i musulmani non si integrino in Occidente ma rimangano sempre uguali a se stessi. La tesi non è nuova: già nel 1935 un grande storico medievista, il belga Henri Pirenne, nel saggio Maometto e Carlomagno sviluppò e argomentò questa tesi. Opponendo la conquista islamica a quella germanica, egli affermò che mentre il mondo germanico aveva finito col romanizzarsi, il mondo islamico era rimasto tale e quale, incrinando l’unità mediterranea, mettendo fine alla tradizione antica, spingendo l’Europa in quello che è stato chiamato il Medioevo.

    Secondo Pirenne la conquista musulmana ha sempre implicato un’islamizzazione totale: a sostegno della sua affermazione, egli sottolineò come nella Spagna del IX secolo anche i cristiani non conoscevano più il latino e si dovevano tradurre in arabo i testi conciliari. La storiografia più recente ha messo in luce come questo fenomeno abbia un’altra, semplice, spiegazione: dal IX al XII secolo, l’islam - e la lingua araba che ne è uno dei veicoli - funziona da cultura dominante; e la cultura medievale del mondo islamico è all’epoca il vettore portante della modernità. Allora la civiltà islamica aveva qualcosa da offrire, ed era perciò egemone.

    Ma oggi non lo è più; e dunque un’islamizzazione massiccia dell’Europa e dell’Occidente mi sembra davvero improbabile. Certamente vi saranno delle conversioni, ma si tratta di conversioni individuali, legate a percorsi e traiettorie personali, esattamente come le conversioni al buddismo, agli Hare Krishna, ai testimoni di Geova ecc. E coloro che oggi agitano la minaccia di un’islamizzazione delle nostre società alimentano paure e stereotipi che risalgono all’età medievale, ma che nell’immaginario collettivo continuano a funzionare, con il loro corteo di paura, veicolando l’ideologia della sicurezza e il discorso xenofobo. Il secondo errore consiste nel considerare l’immigrazione come un semplice trasferimento di identità.

    Anche secondo questa ipotesi, gli immigrati rimangono tali e quali; si occulta così tutta la traiettoria molto complessa che il vivere in prima persona l’immigrazione comporta. Il fatto di vivere in un’altra società implica in ogni caso una diluizione dell’identità di partenza: l’immigrato non è mai lo stesso di prima, perché è costretto a confrontarsi in un corpo a corpo con una realtà che gli è completamente nuova, e nel silenzio della società d’accoglienza la sua identità subisce una trasformazione. Questo fenomeno in genere non è oggetto d’interesse; ma ne è oggi testimone la letteratura. Esiste una letteratura dell’immigrazione che non è soltanto narrazione delle difficoltà obiettive, ma che narra proprio il mutamento.

    Alcuni studiosi farebbero bene a leggere autori come il pakistano Kureishi e tanti altri che narrano le periferie delle nostre città, dove questo corpo a corpo con l’esistenza si fa storia. Il terzo errore è più legato alla sfera religiosa: non si tiene conto del fatto che nell’immigrazione il rapporto con la religione si trasforma. Quando si correlano islam e immigrazione, si ragiona sull’islam quasi unicamente sulla base di un corpus di testi, il Corano e la Sunna (tradizione profetica), e di una letteratura giuridica spesso decontestualizzata, senza prendere in considerazione un elemento essenziale nell’islam, quello della territorialità in quanto strumento di strutturazione delle comunità musulmane. Si tratta di un aspetto fondamentale per capire l’islam nella storia, e per valutare lo spazio che avrà l’islam in Europa. Non prendendo in considerazione questo dato, si commette un errore di partenza che rovescia totalmente la problematica relativa alla gestione dell’islam in Europa. I musulmani che arrivano in Europa sono orfani del territorio di appartenenza, e ciò implica nei confronti dell’Europa un posizionamento completamente diverso, in una logica che si situa agli antipodi della logica tradizionale dell’islam.

    La logica del territorio che esprime la comunità è assente in Europa e in Occidente, e ciò comporta una maggiore individualizzazione della fede. La fede e la pratica religiosa in Europa non risultano più da una coercizione dello Stato, ma da una scelta individuale, proprio perché i musulmani in Europa vivono in una società che non incoraggia affatto un islam di tipo passivo, e in cui l’adesione alla fede e alla prassi religiosa deve essere sempre rinnovata. Poiché lo Stato in Europa è erede di una società che ha operato una separazione fra pubblico e privato, una società che ha fatto della religione una questione privata. E i musulmani devono posizionarsi in funzione di questo tipo di Stato, non di uno Stato musulmano.

    Le ricerche in sociologia delle religioni dimostrano proprio questa tendenza: nell’islam dell’immigrazione l’identità religiosa assume una matrice individuale risultato di una scelta personale e non di un controllo comunitario, come dimostra ad esempio una sociologa algerina, Leila Babès, in un’inchiesta fra gli immigrati di seconda generazione in Francia. Certo, con ciò non nego la grande questione giuridica nell’islam. Ma proprio la natura dello Stato in Europa implica che il diritto musulmano non può in alcun modo esprimersi come un diritto positivo: rimane una norma etica.

    E quindi viene meno il ruolo del diritto in quanto espressione della religiosità: perché la religiosità si esprime e si esprimerà su altri terreni, quali la mistica o il rigore della prassi religiosa che si traduce in preghiera, pellegrinaggio, imposte. Il quarto errore risiede nel definire i musulmani come appartenenti a un’altra umanità. E’ così che si costruiscono i miti di distruzione collettiva, ieri come oggi, in riferimento all’islam o ad altre religioni. Ma il cristianesimo è tutt’altro. I Vangeli rivelano agli esseri umani la loro responsabilità dinanzi a tutte le violenze della storia. Interpreto così la preghiera per la pace inaugurata dal Santo Padre nel famoso incontro dell’ottobre 1986 e tutto ciò che ne è seguito.

    Leggo nella prima lettera di Giovanni: «Chi pretende di essere nella luce / e odia suo fratello / è ancora nelle tenebre. / Chi ama suo fratello / rimane nella luce, / e non corre pericolo di inciampare. / Chi odia suo fratello / vive nelle tenebre / e cammina nel buio. / Non sa in che direzione va, perché il buio gli impedisce di vedere». Ed è questa luce che manca a noi tutti, enormemente.


    *Islamologo, docente presso le università di Trieste e Urbino


    "La Stampa" 4 novembre 2000

  2. #2
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    Predefinito

    Non credo che ci sia un problema fra islamismo e democrazia, anche se non conosco una riforma dell'islamismo quale quella che ha vissuto la chiesa cattolica e che di per sè ha posto l'esigenza di una maggiore articolazione e di una evoluzione della dottrina. Al contrario conosco una corsa al fondamentalismo islamico con effetti deleterei, quali quelli dei talebani. Ma una separazione tra potere religioso e potere politico è plausibile nell'Islam e si è affermata, anche se sotto una protezione occidentale, in molti paesi islamici. Durerà, verrà travolta? Vedremo. Quello che mi pare certo è che l'Islam confligge invece con il capitalismo, come non possono che confliggere inevitabilmente principi ispirati alla sharia e credo che per questa ragione, rifondazione ha una particolare simpatia per il mondo islamico. Ma soprattutto con l'islamismo confliggono i diritti civili e le libertà che nel capitalismo invece si diffondono. La democrazia può essere anche versare in uno stato di ristrettezza rispetto alle libertà ed ai diritti civili, come alle esigenze di rinnovamento di una società. Ci possono essere e ci sono state democrazie imballate, come in fondo è stata giudicata per un cinquantennio persino quella italiana, costruita sul potere di un solo partito o di un gruppo di partiti ad esso collegati. Tralascio poi le democrazie popolari dell'Europa dell'Est che si rovesciavano nella dittatura. Ma la dittatura di un partito, o di una classe ha un principio democratico rispetto alla dittatura personale di un tiranno, magari mitizzata, o legittimata da un presunto diritto divino.
    Sull'islamismo mi limiterei a dire che non è un corroborante per un processo democratico compiuto, ma non è questo l'aspetto che mi preoccupa. L'aspetto che mi preoccupa è lo stesso che mi pare preoccupasse Fortuyn: si comincia con limitare la libertà degli omosessuali e chissà dove si finisce. Se poi si vuole criticare il capitalismo, sinceramente, preferisco le vostre critiche, di rc, che con il capitalismo si confrontono che la negazione assoluta che proviene da quella dottrina.

  3. #3
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    Predefinito breve aggiunta

    aggiungo che visto che rifondazione ha anche simpatia per le libertà, non ha una tradizione dogmatica totalitaria, vuole reinventare il comunismo non ripercorrerne il fallimento, credo che qualche sospetto verso l'islamismo alla fine venga a galla anche da voi.

  4. #4
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito

    Originally posted by calvin
    Quello che mi pare certo è che l'Islam confligge invece con il capitalismo, come non possono che confliggere inevitabilmente principi ispirati alla sharia e credo che per questa ragione, rifondazione ha una particolare simpatia per il mondo islamico.
    I cosiddetti paesi arabi moderati, tra cui l'Arabia Saudita, non sono paesi capitalisti?
    Secondo me, il metro di misura per decidere se provare oppure no, simpatia per un dato sistema, non è tanto la sua autorappresentazione ideologica, quanto i concreti poteri e le concrete condizioni materiali di vita delle classi lavoratrici. Dubito che queste siano ben messe nel mondo arabo.

    R.

  5. #5
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    Predefinito no, non sono capitalisti

    No, non sono paesi capitalisti, sono latifondisti, dove il latifondo è rappresentato dal possedimento del petrolio, ma restano paesi fondati sull'oligarchia della rendita, con sviluppo concentrato in pochissime mani e senza rivoluzione industriale. Poi ci sono dei tratti di assimilazione del sistema capitalistico, la presenza del capitale e la rendita, ma sono i tratti parassitari e elitari. E' vero che la famiglia Bin Laden ha avuto un decorso da capitalismo puro: operaio edile, impresa di costruzioni, espansione finanziaria e speculazione, ma nel mondo arabo è una minoranza infima. E direi anche con qualche problema di integrazione culturale.

  6. #6
    Roderigo
    Ospite

    Predefinito

    Allora, possiamo dire che esiste un capitalismo arabo fondato su una struttura feudale, senza controlli, limiti e opposizione, con sopra un gruppo di famiglie oligarchiche, dotate di immensi patrimoni, che mandano i loro figli a studiare a Oxford o negli Stati Uniti e sotto una immensa fascia di popolazione affamata, inquadrata anche e soprattutto attraverso il fondamentalismo islamico. Quindi, una realtà più ben arretrata e reazionaria del nostro capitalismo sviluppato. E' assai improbabile, allora, che possa esserci simpatica.

    R.

  7. #7
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    Predefinito esatto

    esatto e questo capitalismo arabo mi preoccupa quanto l'integralismo che lo accompagna. Il capitalismo non genera democrazia, esattamente come non conduce al socialismo, come pure credeva la socialdemocrazia del programma di Erfurt. IL capitalismo pensa solo al profitto e può avere una evoluzione democratica, quanto può averla autoritaria a secondo delle vicende storiche sociali ed economiche sulle quali si costruisce. Non escludo che si coniughi meglio con la dittatura e il totalitarismo che con il sistema democratico, che può accompagnare, ma certo non è prodotto dal libero mercato. Il socilismo sovietico ha sbagliato nel ritenere il capitalismo ed il libero mercato un nemico alla stregua del nemico di classe. Il comunismo cinese si è rilanciato proprio per aver acquisito elementi di capitalismo senza allargare le maglie della democrazia politica. Noi occidentali abbiamo un sistema invece in cui il capitalismo convive con le istituzioni democratiche e quando le ha abbandonate per vincolarsi ha regimi fascisti, ha posto le premesse per una sua distruzione. Per questo io credo che il nostro capitalismo sia sano perchè ha già fatto e superato la malattia del rgime totalitario. Mi chiedo però se si anche forte da superare le minacce dittatoriali che provengono dall'Asia e dal mondo arabo. Creo che voi amici di rifondazione capirete anche che tutit i sistemi capitalisti possono essere abbattuti, ma questo capitalismo occidentale è riformabile, criticabile e vi consente di coltivare le vostre idee e le vostre speranze di un mondo migliore, il capitalismo asiatico forse è riformabile, quello del mondo arabo no. Li sì che ci vorrebbe una rivoluzione. Una qualunque: della stampa, dell'industria, del proletariato, della cavalleria giordana. Invece gli sceicchi ed i regimi tirrannici di quel mondo hanno scoperto grazie alla religione di poter indirizzare l'odio delle masse non contro di loro, ma contro Israele, un microstato nel deserto, che ha il difetto di far votare liberamente i suoi cittadini e di far scegliere loro il governo.

 

 

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