Corriere della sera, 13.4.02
Ad Arzano, nel paese delle imprese fantasma «Uscire dal nero? Allora meglio chiudere»


DAL NOSTRO INVIATO
ARZANO (Napoli) - Eccellentissime autorità di governo, la signora Anna di Arzano vi fa cucù. Mentre Giulio Tremonti tenta cocciuto, coi ritocchi appena decisi alla legge inutilmente già vista e rivista, di gettar nuove esche per favorire l’emersione, lei (non si sa mai) ha fatto il contrario. Ha chiuso la partita Iva, capovolto l’insegna della merceria per non pagare più manco quella tassa, tenuto sul bancone il vecchio registratore di cassa per continuare a fare finti scontrini. E s’è immersa, fiscalmente, più in profondità di Enzo Majorca.
Sensi di colpa? Zero: ad Arzano, il paesone della periferia partenopea dove sorgono gli stabilimenti del presidente della Confindustria Antonio D’Amato, il più accanito promotore della battaglia per il recupero alla legalità del lavoro nero, così fan tutti. D’accordo, non tutti: quasi. L’analisi corale, dal sindaco ai commercialisti, è questa: 10% di imprese "bianche", 70% "grigie" un po’ in regola e un po’ no, 20% "nere". Ignote al fisco, all’Inps, all’ufficio igiene, ai vigili. Insomma: il posto giusto per cercare di capire come mai anche un governo «amico», sul fronte dell’imprenditoria sommersa, si è finora schiantato su percentuali catastrofiche.
Che i numeri siano umilianti, pochi dubbi. Presentando la legge nel pacchetto dei cento giorni e sposando la tesi dell’Istat secondo cui i lavoratori in nero sono tre milioni e mezzo (la stima del Cnel è ancora più pessimista: 5 milioni), il governo era rimasto per una volta alla larga dai proclami. Annunciando che, coi provvedimenti varati, era ipotizzabile «a titolo molto prudenziale», un recupero di «900 mila lavoratori che potranno aderire al programma di emersione». Con un parallelo recupero, vista l’evasione di circa 150 miliardi, di 30 miliardi di euro. Dei quali circa 370 milioni subito, alla prima botta. Magari. Dicono i dati diffusi dalle Finanze che in realtà, in un Paese che a spanne dovrebbe avere un milione di imprese in nero, quelle che finora hanno fatto il primo passo, nonostante gli inviti e le mani tese e le promesse di comprensione e la paura d’avere un giorno o l’altro la visita dei finanzieri, sono state 159. Per un totale di 430 lavoratori. Mezzo millesimo del previsto.
Ma non è tutto. I numeri ufficiali, che Giorgio Benvenuto lamenta di aver dovuto strappare «con le unghie e coi denti» al governo, andrebbero riletti. Le 159 dichiarazioni d’emersione sarebbero infatti solo assaggi. Lettere d’intenti compilate da commercialisti per conto di anonimi clienti che sono sì interessati a emergere però, tuttavia, vedi mai... Fatto sta che in Sicilia, dove per la Fondazione Curella i lavoratori «disperati» («che devono restare sommersi perché per loro un lavoro vero non c’è», spiega Pietro Busetta) sono almeno 420 mila, le domande «d’assaggio» sono state 20. Ma in realtà, dice Michelangelo Russo, presidente della Commissione all’emersione («stiamo cercando di emergere pure come ufficio: per ora non abbiamo neppure un tavolo e due sedie») quelle «davvero emerse, che io sappia, non esistono proprio».
Quanto alla Campania, dove Antonio Bassolino tuona che «la legge è stata un clamoroso fallimento che si ripercuoterà sui conti pubblici», le cifre non sono più consolanti. Il Censis dice che, in linea con tutto il Sud, il lavoro irregolare rappresenta il 92% in agricoltura, il 30% nell’industria, il 67% nell’edilizia, il 40% nei servizi destinati alla vendita per un totale del 49,7%? La segreteria regionale della Uil, catastrofista, parla di «un milione e mezzo di lavoratori campani in nero»? Ai quartieri spagnoli sopravvivono negli scantinati 300 laboratori di pelletteria dove le "macchiniste" lavorano nove ore al giorno tra gli acidi e le colle per mezzo milione al mese? Esistono nella periferia capannoni vuoti dove volta per volta sono allestite fabbriche fantasma con macchine e operai in prestito da mostrare a quelli delle aziende del Nord che vogliono vedere come lavorano i "terzisti"? Bene. In questo contesto le domande d’assaggio sono state 24. E quelle andate in porto? C’è chi dice sei, chi tre, chi due. Boh...
«Qualcuno lascia perdere perché si spaventa, altri aspettano i prossimi ritocchi alla legge convinti che saranno ancora più favorevoli, altri dopo aver visto tante proroghe attendono già le prossime, fatto è che non emerge praticamente nessuno», dice Paolo Porcaro, della Cna. «Ci vuole tempo, ci vuole pazienza», sospira Liliana Bacula, che lavora con Luca Meldolesi nella commissione addetta al recupero: «Quando sei cresciuto nella cultura del "nero", non è facile uscirne. Hai problemi fiscali, sanitari, culturali... Il percorso può richiedere anni».
Per spiegare, spiegare, spiegare, quelli dell’associazione industriali hanno indetto pubbliche assemblee. Ad Arzano, il «Nordest napoletano» regno di Antonio D’Amato, se la ricordano con sgomento.
Mettetevi al posto degli organizzatori: siete in un paese di 41 mila abitanti dove operano almeno 3.500 imprese tra le quali alcune di spicco (Campanile, Melluso, Ferragamo, Kiton, Finseda, Ipm...) e tantissime, in parte o del tutto, irregolari. E quanti rispondono all’appello di venire alla riunione? In 18, compresi oratori e cronisti.
Pratiche d’emersione avviate e completate? «Mah, credo nessuna», risponde amaro il sindaco diessino, Nicola De Mare: «D’altra parte l’ho detto e lo ripeto: plaudo alla Confindustria e allo sforzo di fare emergere il nero. Purché non spingano qualcuno a chiudere. Il sommerso, in molti casi, qui da noi, darà magari solo 700 mila lire di paga e in nero, ma quella è spesso l’unica paga».
E Giovanni e Caterina e Pasquale e Sasà ti spiegano, se ti impegni a non scriverne il cognome, che sì, sono gli stessi lavoratori spesso a non volere essere messi in regola: «C’è chi perderebbe la pensione reversibile, chi dovrebbe rinunciare all’assegno di lavoratore socialmente utile, chi sarebbe chiamato ad ammettere d’avere avuto un secondo posto mentre era in malattia o in cassa integrazione... Insomma, in troppi ci andrebbero a perdere». Per non parlar della certezza del posto di lavoro: «Se sei in nero il padrone ti teme perché puoi denunciarlo ma se lui emerge e ti chiede di firmare una carta in cui dichiari di non avere pendenze...».
«Una ventina di emersioni in Campania? Ma venti imprese sommerse gliele mostro nel raggio di 200 metri da dove siamo», ride ruotando il dito l’avvocato arzanese Santolo De Rosa: «Arzano ne è strapiena. Anche nella zona del rettifilo Abramo che ora, in onore del padre del presidente di Confindustria, si chiama viale D’Amato». «Scelta obbligatoria», ghigna Salvatore Sorrentino, titolare di una celebre camiceria: «Una camicia fatta da dipendenti in regola costa 13 mila lire, in nero 5 mila. Nessuno può reggere una concorrenza così». Lui pure, una volta, ebbe delle grane: «Avevo 10 operai in regola, 30 no. E intorno sei o sette terzisti che davano da mangiare ad altre 450 famiglie. E non pagavo tasse. Mai pagato tasse fino al ’98. Finché non mi hanno beccato e detto che dovevo mettermi in regola. Non posso, gli ho detto, sennò chiudo». Poi si è deciso, ride, ed è emerso anche lui: «Ma con la testa qui e i piedi in Albania».

Gian Antonio Stella


E poi con praticamente mezzo Paese nell'illegalita',c'e' persino qualche pagliaccio che OSA criticare il Nord Est magari?
Ma questi signori si rendono conto che a Napoli,ad esempio,i tabaccai fanno la fame???