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Discussione: Cultura padana

  1. #781
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  2. #782
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Gli indipendentisti giuliani indicavano la strada: quella la creazione di uno Stato libero Giuliano
    11 FEBBRAIO 202111 FEBBRAIO 2021

    CULTURA

    LETTURA 2 MIN

    di Roberto Gremmo – Nella bufera di terrore del dopoguerra, fra infoibamenti e violenze dei contrapposti nazionalismi, a Trieste spaventata e nell’Istria dolorosa, gli indipendentisti giuliani indicavano una strada diversa: quella della creazione di uno Stato libero Giuliano.
    Nel libro “Padania separatista” edito dalla Associazione Gilberto Oneto presieduta da Daniela Piolini abbiamo raccontato la loro vicenda. E’ la storia colpevolmente dimenticata di una formazione politica che, nel caos e fra gli eccessi degli scontri nazionalistici, ricordava la prosperità di Trieste come porto della Mitteleuropa, difendeva i diritti delle minoranze slovene e soprattutto respingeva le brame annessioniste sia dei politicanti italiani che del maresciallo Tito.
    Il movimento indipendentista triestino venne brutalmente osteggiato anche con la violenza dai fanatici della “grande Italia” ma, contro tutto e a dispetto di tutti, i sui coraggiosi sostenitori riuscirono ad avere un seguito notevole nei quartieri operai e marittimi della città.Del resto, a dar loro ragione, nel trattato di pace, le Nazioni unite avevano previsto fra Italia e Jugoslavia la creazione di uno stato indipendente, il “Territorio libero di Trieste” con alla testa un governatore, con una bandiera ed un territorio da amministrare dove potevano convivere pacificamente italiani, sloveni e croati in un regime di democrazia e libertà.
    Questo progetto ebbe subito un gran seguito in città, ma rimase sfortunatamente sulla carta e alla fine l’ebbe vinta Tito che slavizzò Pola e l’Istria provocando il mesto esodo di 300 mia popolani disperati. Cantarono vittoria anche i governanti di Roma che piantarono il vessillo italico sulle pietraie del Carso. Ma le tribolazioni sul confine orientale non ebbero fine.

    http://Gli indipendentisti giuliani ... Nuova Padania
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
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  3. #783
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  4. #784
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  5. #785
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    Predefinito Re: Cultura padana

    1° marzo, il capodanno dei Veneti
    1 MARZO 20211 MARZO 2021 VENETO LETTURA 1 MIN

    Nella Repubblica veneta il Capodanno cadeva il 1° di marzo. Una tradizione che era in uso anche nella popolazione veneta preromanica. Segnava l’inizio della primavera, l’addio all’inverno. Prova ne è il nome che abbiamo ai mesi e che è profondamente legato a questa antica e dimenticata tradizione: i nomi dei mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre, erano rispettivamente settimo, ottavo, nono e decimo mese a partire da marzo.

    Nella Serenissima il calendario con questa scansione durò fino alla caduta della Repubblica nel XVIII secolo.

    “L’introduzione del calendario gregoriano anche nel Veneto, a partire dal 1582, pur non stravolgendo l’ufficiale computo del tempo nella Serenissima, rese necessario l’utilizzo del termine ‘more veneto’ (secondo l’usanza veneta) per non confondere i due sistemi. Ad esempio, iniziando l’anno il primo marzo, il gennaio 1582 ‘more veneto‘, corrispondeva al gennaio 1583 del calendario gregoriano”, come ricorda Graziano Bragadin in Cao De 'Ano, il Capodanno Veneziano | Evenice.it.

    1deg marzo, il capodanno dei Veneti - La Nuova Padania
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  6. #786
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    Predefinito Re: Cultura padana

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  7. #787
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Olivetti federalista e pioniere. Un libro riapre la sua storia: fu assassinato?
    4 MARZO 20214 MARZO 2021 CULTURA LETTURA 3 MIN

    di Roberto Gremmo – Nell’anniversario della morte di Adriano Olivetti arriva anche in Italia edito da Rizzoli un libro bomba della scrittrice americana Meryle Secrest, convinta che l’improvviso decesso dell’imprenditore di Ivrea fosse stata provocato da forze oscure a lui ostili, decise ad impedirgli con ogni mezzo di realizzare il primo personal computer della storia, prima degli americani. Ricorrendo al delitto politico.

    Insomma, Olivetti assassinato il 27 febbraio 1960, come accadrà due anni dopo ad Enrico Mattei, bestia nera delle grandi società petrolifere americane.La tesi della Secrest e’ sconvolgente e dirompente, ma viene avanzata con una documentazione che la rende credibile.

    E’ certo comunque che Olivetti fu per tutta la vita un personaggio fuori norma, sempre controcorrente sia nell’organizzazione del lavoro nelle sue aziende che nel proporre modelli urbanistici e sociali innovatori. Soprattutto fu un federalista convinto, in anni in cui in Italia dettava legge il centralismo burocratico e statalista, sostenuto in vario modo da democristiani e togliattiani.

    Già nell’opera d’esordio, “L’ordine politico delle Comunità” scritto in Svizzera durante la guerra, Olivetti sosteneva la necessità di creare nuove forme di rappresentanza politica e di organizzazione sociale basate su comunità umane che fossero espressione di unità geografiche tradizionali, ad imitazione dei liberi Cantoni elvetici.

    Su queste basi programmatiche, doveva poi fondare un proprio Partito, la “Comunità” che doveva ricevere molti consensi solo nel Canavese, dando subito fastidio ai grossi partiti, perché rappresentava un’alternativa politica autenticamente democratica.Certo, come politico, Olivetti commise molti errori, primo fra tutti quello di esportare il suo movimento nel Meridione, andando incontro ad un bruciante fallimento a Matera. Miopi ed errate furono anche la sua intrusione nel Partito dei Contadini e l’ostilità verso il Movimento Autonomista Piemontese, ma comunque la sua adesione alle tesi federaliste non venne mai meno.

    Ancora nel 1952 nella dichiarazione politica di “Comunità” Olivetti sosteneva che “lo stato comunitario, fondato sulla integrazione armonica delle forze del lavoro e della cultura con quelle della democrazia, su una proprietà socializzata e radicata agli Enti territoriali autonomi (le Comunità), insisterà sulla tradizionale separazione dei poteri e sul principio di un nuovo integrale federalismo interno, inteso nel senso di autonomie tra periferia e centro”.
    Profetici progetti. Rimasti purtroppo sulla carta.

    Olivetti federalista e pioniere. Un libro riapre la sua storia: fu assassinato? - La Nuova Padania
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  8. #788
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    Predefinito Re: Cultura padana

    Ciao Casadei! Il Covid si porta via il genio del Liscio
    13 MARZO 202113 MARZO 2021 CULTURA LETTURA 4 MIN

    L’invenzione del ‘liscio’, come genere di ballo, precede Raoul CASADEI ma a lui si deve la diffusione della grande popolarità del termine. Nel 1973 Raoul CASADEI scala le classifiche con la sua “Ciao mare” e il genere di ballo da sala, nato in Romagna tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo, supera i confini regionali per diventare un fenomeno popolar-nazionale. Se ne accorsero anche i vocabolari della lingua italiana, che da allora, alla voce ‘liscio’ hanno aggiunto una nuova accezione per definire, come ad esempio recita il dizionario Treccani, “un ballo lento, non sincopato, eseguito strisciando i piedi sul pavimento”, ballo tradizionale, a coppie, “in contrapposizione ai balli più moderni, variamente figurati e movimentati”. E’ segnalato anche come sostantivato: “ballare un liscio”. Negli anni ’50 il liscio romagnolo, caratterizzato da un’esecuzione brillante (data dalla forte presenza ritmica di basso e batteria) e veloce dei brani scritti principalmente per violino, clarinetto in Do, sassofono e successivamente per voce, si impone nelle balere. Il “fenomeno liscio” inizia, di fatto con “Romagna mia”, canzone portata al successo da Secondo CASADEI nel 1954, lo zio di Raoul che nel 1928 aveva creato l’Orchestra CASADEI. Ma ci vorranno ancora 19 anni per imporre a livello nazionale “la febbre del liscio”: scoppierà con il nipote Raoul con “Ciao mare” nel 1973.

    “Il liscio già esisteva ed era ed è parte di quello che siamo, a Rimini e in Romagna – ha commentato il sindaco di Rimini, Andrea Gnassi – ma Raoul Casadei negli anni Settanta, con la sua contaminazione pop, lo ha fatto diventare patrimonio popolare di tutto il Paese. Da genere local a passione mainstream, con hit che scalano le classifiche dei dischi italiani più venduti”. Il sindaco ricorda l’episodio in cui Elio, in procinto di fare un disco con il gruppo romagnolo, motivò la scelta con “l’eccezionale capacità di Raoul e della sua ensemble di fare e eseguire ogni tipo di musica. Era vero. Proseguiva la grande tradizione del liscio, in cui si miscelavano nelle aie e nelle piazze dei nostri paesi, i valzer viennesi con il ritmo vorticoso, quasi ‘americano’, di chi per un attimo almeno voleva lasciarsi alle spalle povertà e dolore, magari stringendosi o cantando in un attimo di leggerezza”. Raoul Casadei, era una “persona solida con al centro la famiglia, l’amore per la sua terra, la passione per il lavoro, la generosità che non risparmiava per la sua Romagna e per la nostra regione, donando e offrendo il suo talento” ha ricordato Gnassi, sottolineando le capacità manageriali dell’artista. “Poteva fermarsi ai suoi successi ed era già tanto, ma non lo ha fatto” ha aggiunto. “Oggi che non c’è più – ha concluso il sindaco – io, noi, i nostri genitori, i nostri nonni vogliamo idealmente ringraziarlo per quegli assalti al cuore che ogni tanto ci facevano stringere alla persona amata in una danza libera, spensierata, o in un sorriso. Mirko avrà la forza per continuare la grande tradizione, nell’innovazione che sta portando avanti”.

    http://https://www.lanuovapadania.it...io-del-liscio/
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  9. #789
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    Predefinito Re: Cultura padana

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  10. #790
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    Predefinito Re: Cultura padana



    25 aprile. E’ la giornata nazionale piemontese, l’identità del popolo subalpino
    25 MARZO 202125 MARZO 2021 PIEMONTE LETTURA 5 MIN

    di Roberto Gremmo – La “Nazione Piemontese” è nata ufficialmente il 25 aprile del 1796 ad Alba, quando il coraggioso patriota Giovanni Antonio Ranza riconosceva l’identità etnica e culturale di questo piccolo popolo subalpino. Nella stessa occasione, garriva al vento il nuovo vessillo piemontese, ideato dallo stesso Ranza, con tre bande orizzontali di eguale grandezza, coi colori rosso (la forza), blu (la solidità) e arancione (la dolcezza e l’uguaglianza); un emblema altamente simbolico che precede il famoso tricolore italiano di Reggio Emilia.
    Condizionata dalla supremazia dei francesi, la “Nazione” riscoperta da Ranza doveva durare poco e il suo vessillifero doveva scoprire che i “liberatori” d’oltralpe erano dei colonizzatori e rapinatori di ricchezze, e che dietro i proclami di liberté, egalité, fraternité si celavano i peggiori intenti centralisti e imperialisti.



    Malgrado sia stata un fuoco di paglia, la “Nazione Piemontese” resta nella storia come un tentativo positivo di formare uno Stato che riconosceva pienamente le caratteristiche di un popolo a sé stante, ben differente anche da quelli della Padania cisalpina, con diverse – altrettanto nobili ma ineguali – tradizioni, lingua e cultura.
    Non per caso, a un anno dal proclama piemontesista di Alba, Ranza doveva dare alle stampe l’opuscolo Vera idea del Federalismo italiano dove, in aperta polemica con gli apologeti del centralismo napoleonico, sosteneva che l’unico avvenire di pace e prosperità poteva realizzarsi solo quando sarebbe nata “la Repubblica Piemontese, confederata con gli altri Stati Liberi Italiani”, una prospettiva che non si è mai concretizzata.
    Ogni 25 aprile ricordiamo mestamente un’utopia splendente, una speranza andata perduta, un desiderio di libertà, indipendenza e fraternità che conserviamo intatto nel nostro cuore.

    25 aprile giornata nazionale piemontese



    El 25 d’avril a l’è la “Giornà Nassional Piemontèisa”

    La “Nassion Piemontèisa” a l’è nà a l’onor dël mond ël 25 d’avril 1796 an Alba quandi ‘l vajantos patriòt Giovan Tòni Ransa arconossìa ‘l visagi ètnich e coltural ëd cost cit Pòpol subalpin.
    Ant ël midem moment, a svantajava al vent ël neuv drapò piemontèis, anventà da l’istess Ransa, con tre bande orisontaj gròsse istess, coj color ross (la fòrsa), bleu (la robustëssa) e giaon portigal (la dosseur e l’eguagliansa); ‘n ansëgna motobin simbòlica pì veja dl’avosà tricolor talian ‘d Reggio Emilia.
    Obligà a sté sota ‘l tach dij fransèis, la “Nassion” fàita arnàsse da Ransa a dovìa avèj ‘na vita ben corta e sò pòrtadrapò a dovìa deschëuvre che ij “liberator” dëdlà dij Alp a l’ero màch dië s-ciavisador e dij ladron e che daré dle crije ‘d “liberté, egalité, fraternité” a së scondìo le pess fisse crasose ‘l libertà e govern dël pòpol.
    Combin a sìa stàita ‘n feu ‘d paja, la “Nassion Piemontèisa” a resta andrinta la stòria coma ‘na preuva ‘d fé nasse në Stat ch’a arconossìa an pien lòn ch’a dëssern dël tut un Pòpol për sò cont, motobin dësmijant ‘dcò da coj dla Padania cisalpin-a con ‘d aotre, combin aotertant nòbij, tradission, lenga e coltura.
    Nen për combinassion, dòp ‘n ann da la crija ‘d Alba, Ransa a fasìa stampé ‘l tilèt Vera idea del Federalismo italiano andova, butandse contra ij cacam ch’a bërlicavo ij pé a Naplion, a fortìa che l’unìca stra vers ‘n avnì ‘d pas e ‘d fosonansa a sarìa stàita percoribil con “la Republica Piemontèisa confederà con j’aotri Estat Lìber Italian”, ‘n seugn ch’a l’è mai diventà efetiv.
    Minca 25 ‘d avril arcordoma arnosament ‘n utòpia lusenta, ‘na speranssa për maleur perdùa, ‘na veuja ‘d libertà, andipendensa e fradlansa ch’i guarnoma tuta antrega an nòs cheur.

    Per gentile concessione dell’autore da www.rivistaetnie.com

    https://www.lanuovapadania.it/piemon...olo-subalpino/
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