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    Predefinito Re: Il vero volto del femminismo

    PATRIARCATO?

    REDAZIONE
    24 NOVEMBRE 2023
    SOCIOLOGIA

    di Andrea Zhok

    Ci sono temi più importanti e preferirei tacere su tutto il circo che è partito dalla vicenda dell’ultimo omicidio volontario di una donna. Preferirei tacere anche per preservare la salute psichica, perché ogni qual volta ci si scontra con il muro ideologico costruito dai media correnti la frustrazione è inevitabile.
    Ma alla luce del fatto che il ministro Valditara sta davvero prendendo sul serio le fiabe ideologiche correnti, una parola mi sembra necessaria.
    Speravo in uno scherzo, ma leggo che il ministro dell’istruzione, in una pregevole armonia di intenti con l’opposizione, sta davvero proponendo un’ora a settimana di “educazione alle relazioni” nella scuola secondaria. Non solo, la proposta prevede anche l’intervento in queste ore di educazione sentimentale di “influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani e coinvolgerli”.

    Forse fraintendiamo l’intervento del ministro, che probabilmente ha il solo scopo di incrementare l’afflusso alle scuole private. Come spiegare altrimenti questa ulteriore accentuazione della tendenza della scuola pubblica a diventare un interminabile catechismo dell’ovvio, che ripete in bianco e nero gli stessi contenuti che si ritrovano, a colori, su una rivista media da parrucchiere? Tra ramanzine moralistiche, alternanze scuola-lavoro e consulti psicologici gli spazi per insegnare qualcosa di sostanziale nella scuola pubblica si stanno riducendo a feritoie.

    Ma purtroppo questo è solo piccola parte del problema.
    Il problema più grosso è che l’interpretazione ufficiale degli eventi delittuosi aventi per oggetto donne ha subito da tempo un sequestro ideologico. Esiste una singola lettura che anche persone intelligenti e al di sopra di ogni sospetto ripetono pappagallescamente, come se fosse una sorta di verità acclarata. E questa lettura non è semplicemente sbagliata, che sarebbe il meno, ma è proprio socialmente dannosa, anzi dannosa per le stesse dinamiche che si immagina di voler correggere.

    Provo a spiegarmi in breve.
    La lettura d’ordinanza di questi eventi delittuosi è la seguente. Si tratterebbe di espressioni di un’atavica, arcaica (patriarcale), concezione subordinante della donna che la concepisce come una proprietà, un oggetto a disposizione, e che perciò non ne accetta l’indipendenza e la punisce con la violenza e persino con la morte.
    Dunque, dissimulato sotto la superficie di un mondo moderno e formalmente egalitario serpeggerebbe ancora questo “residuo patriarcale”, tenace e ostico da sconfiggere, che richiede perciò una rieducazione della popolazione – e della popolazione maschile in specie.
    Ora, io credo che questa lettura delle violenze e degli omicidi spesso per futili motivi che oggi riscontriamo, tra cui anche quelli che hanno per oggetto donne, non c’entri assolutamente nulla con alcuna presunta “cultura patriarcale”. E credo che le ricette che vengono proposte, lungi dall’essere risolutive, possano soltanto aggravare il problema.
    Perché mai?


    Partiamo da un po’ di pulizia terminologica e mentale. Tutti si riempiono la bocca di “patriarcato” senza avere per lo più alcuna idea di ciò di cui si tratta. Ora, l’unico senso antropologicamente accettabile della nozione di “patriarcato” (che non va confuso con la patrilinearità della discendenza) è il modello sociale diffuso un tempo in molte civiltà dedite all’agricoltura o alla pastorizia, dove l’ultima autorità cui ricorrere per i dissidi interni e per i rapporti verso l’esterno era rappresentato dal maschio più anziano del gruppo (patriarca). Queste strutture sociali erano (e in alcune parti del mondo ancora sono) caratterizzate da una sostanziale assenza delle legislazione pubblica, da forti nessi comunitari all’interno di famiglie estese connesse, che dovevano risolvere molte questioni oggi risolte dalla giustizia ordinaria. Gli ordinamenti patriarcali sono tipicamente preindustriali e definiti da ordinamenti famigliari estremamente solidi e vincolanti.
    La prima domanda che dovrebbe venire in mente è: cosa diavolo c’entra questa forma sociale con il mondo occidentale odierno? Ovviamente non c’entra assolutamente nulla, ma questa impostazione del problema nasce negli anni ’70, in cui l’idea che ci fossero ancora residui patriarcali da abbattere era il principale oggetto polemico del second-wave feminism. Oggi, mezzo secolo dopo, stiamo ancora qua a berci un’interpretazione che era tirata per i capelli allora e che oggi è letteralmente fluttuante nel vuoto.
    A questo punto c’è sempre qualcuno che se ne viene fuori dicendo che sono questioni filologiche, di lana caprina, che se non va bene il termine patriarcato chiamiamolo maschilismo che va bene uguale.

    Solo che il problema non è meramente terminologico, ma è legato a quale si ritiene essere la radice causale di violenze e assassini odierni. Se si evoca il “patriarcato” o simili si evoca l’immagine di un residuo ostico del passato che stentiamo ancora a lasciarci dietro le spalle. Dunque per superarlo dovremmo procedere ulteriormente con l’abbattimento di qualunque simile residuo del passato: bando al familismo, bando all’autorità paterna, bando al normativismo, sempre in odore di autoritarismo, ecc.
    Ora, prima di esporre quella che credo essere un’interpretazione più plausibile, provo a sottoporre all’attenzione qualche fatto empirico.
    Se il problema delle violenze si radica nei residui patriarcali in una qualche versione, allora i paesi che hanno società maggiormente modernizzate, con minori vincoli famigliari e con una posizione di maggiore indipendenza delle donne dovrebbero essere esenti da questo problema, o almeno presentarlo in misura molto minore.
    Ma è davvero così?
    Curiosamente ciò che si profila è esattamente l’opposto.
    Se guardiamo alle violenze domestiche vediamo che (dati di un paio di anni fa) i primi paesi per denunce di violenza subita dalle donne sono quattro paesi proverbialmente emancipati: Danimarca (52% delle donne lemantano di aver subito violenza), Finlandia (47%), Svezia (46%), Olanda (45%), in coda classifica in Europa troviamo la Polonia (16%).
    Naturalmente qui c’è la replica pronta: si tratterebbe di un mero effetto statistico, dovuto al fatto che in quei paesi, proprio grazie alla maggiore emancipazione, le donne denunciano di più.
    Può darsi.
    Allora per tagliare la testa al toro andiamo a vedere la categoria degli omicidi volontari di donne (cosiddetti “femminicidi”), che registra eventi non soggetti a filtri intepretativi.
    Qui, secondo i dati Eurostat aggiornati al 2019, il profilo appare leggermente diverso, ma non troppo.
    In testa in questa macabra classifica stanno costantemente i paesi baltici (Lettonia, Lituania, Estonia), insieme a Malta e Cipro, con Finlandia, Danimarca, e Norvegia poco sotto e Svezia a metà classifica. All’estremo opposto, costantemente agli ultimi tre posti troviamo Italia, Grecia e Irlanda, che si scambiano solo di posto di anno in anno.
    Per un confronto numerico, l’Italia presenta un dato di 0,36 “femminicidi” ogni 100.000 abitanti, la Norvegia 0,61, la Germania 0,66, la Francia 0,82,la Danimarca 0,91, la Finlandia 0,93, la Lituania 1,24.

    Ora, cosa hanno in comune Italia, Irlanda, Grecia?
    Non molto, salvo il fatto di essere tutte società con un ruolo tradizionalmente molto forte delle famiglie, società di cui spesso si è lamentata la limitata modernizzazione, anche per il peso significativo delle istituzioni religiose.
    Cosa hanno in comune gran parte dei paesi del Nord e in parte dell’Est Europa? Sono società che hanno subito processi estremamente accelerati di modernizzazione, con laicizzazione forzosa, e frantumazione (riconosciuta al loro stesso interno) delle unità famigliari.
    Ecco, una volta messi giù questi dati, per quanto sommari, io credo che un’intepretazione molto più sensata delle eventuali radici culturali della violenza e dell’omicidio per futili motivi di donne sia rintracciabile nell’esatto opposto del “patriarcato”.
    Lungi dall’aver a che fare con ordinamenti famigliari estesi, vincolanti, con elevata normatività, tipici del patriarcato, ci troviamo di fronte a contesti dove le forme famigliari sono dissolte o in via di dissoluzione, dove i giovani crescono educati più da tik-tok e dai video trap che dalle famiglie, società dove peraltro da tempo la figura del padre latita ed è spesso definita dagli psicologi come effimera. In questi contesti, “modernizzati ed emancipati” si allevano in maggior misura identità fragili, disorientate, che si sentono costantemente sopraffatte dalle circostanze, e che perciò, occasionalmente, possono più facilmente ricorrere alla violenza, che è il tipico modo di reagire a situazioni di sofferenza che non si è in grado di comprendere né affrontare.
    Molti altri aspetti andrebbero approfonditi, ma se, come io credo, questa è una lettura assai più probabile dei fatti, le strategie che stiamo adottando per affrontare il problema vanno precisamente nella direzione dell’ennesimo aggravio dei problemi.
    Questo in attesa delle lezioni di educazione sentimentale di Sfera Ebbasta.

    Fonte: Andrea Zhok

    https://www.controinformazione.info/patriarcato/
    Da riportare.
    Ultima modifica di Eridano; 25-11-23 alle 12:58

  2. #572
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    Predefinito Re: Il vero volto del femminismo

    Femminismo di genere, montature e menzogne
    Roberto Pecchioli 27 Novembre 2023

    La triste vicenda dell’omicidio di Giulia Cecchettin ha scatenato una sfacciata operazione politica, culturale e sociologica contro l’universo maschile. Il caso è stato montato sino al parossismo da un’accorta regia mediatica che obbedisce agli ordini delle centrali della guerra cognitiva che attacca ogni aspetto della nostra estenuata civilizzazione. Assolutamente priva di interesse per la sorte della povera ragazza veneta, l’operazione ha come filo conduttore la demonizzazione del cosiddetto patriarcato. A nulla sono valse le puntualizzazioni di intellettuali come Massimo Cacciari circa l’insussistenza nella nostra società del patriarcato, il dominio dei padri e in generale degli uomini . La verità cede dinanzi alla menzogna diffusa a reti unificate da un apparato di manipolazione scattato all’unisono; le parole sono piegate al significato voluto dal sistema culturale, mediatico, accademico al servizio dell’oligarchia di potere.

    Per quanto certi dell’inutilità delle nostre, di parole, proviamo a ribaltare la narrazione, mostrando come il baccano che ha accompagnato la vicenda della ragazza –vittima strumentalizzata da sciacalli- sia una tappa del processo di distruzione dei fondamenti della società e dell’essere umano che viene da lontano. La strategia consiste nel manipolare e poi dominare le società, minando valori e principi per farli crollare dall’interno promuovendo la corruzione e la depravazione dei concetti, perché, “una volta che la società sarà depravata, gli esseri umani perderanno ogni fede” (Johan A. Weishaupt, fondatore degli Illuminati di Baviera).

    La “distruzione creativa” promossa dall’alto mina ogni giorno il vecchio ordine, dall’economia alla scienza, alla letteratura, all’arte, all’architettura, al cinema, alla politica e al diritto. Si basa sulla creazione di conflitti artificiali: la guerra dei sessi è un elemento chiave. In questi giorni è all’opera un violento spirito di bellicosità contro gli uomini, derubricati zoologicamente a “maschi”, oggetto di ogni tipo di accuse. La bellicosità urlata è una strategia ideata da Edward Bernays, considerato il padre della propaganda e dell’ingegneria sociale, eufemisticamente celata dietro il sistema delle pubbliche relazioni, espressione coniata dallo stesso Bernays.

    Questo spirito bellicoso è al centro di tutti i movimenti culturali postmoderni, compresa la lobby LGTBI. “ La bellicosità con la sua concomitante emozione di rabbia è una costante umana. il consulente per le pubbliche relazioni ha nell’istinto bellicoso un’arma potente per ottenere il sostegno o l’opposizione del pubblico ad un punto di vista che gli interessa.

    Quando non c’è bellicosità, è molto difficile che coloro che non sono direttamente coinvolti nella questione mantengano l’interesse. Coloro che sono coinvolti manterranno l’interesse nonostante l’assenza di dibattito. Ma per coloro per i quali il problema è estraneo e distante, deve esserci un ulteriore fattore di interesse. Perché la questione abbia significato per loro, deve fornire un fattore di lotta, di suspense e di vittoria”. Uno dei punti fondamentali della postmodernità è l’abolizione della famiglia naturale, definita spregiativamente “tradizionale”. Lo spirito bellicoso dell’ingegneria sociale è orientato al raggiungimento di questo obiettivo fornendo appunto “ un fattore di lotta”, nella fattispecie l’omicidio di Giulia. L’ applicazione dello spirito bellicoso al femminismo storico che chiedeva giustamente parità di diritti per le donne ha fatto emergere un movimento agonistico antimaschile diventato la degradazione delle rivendicazioni delle prime ondate. Si tratta del “femminismo di genere”, un’ ideologia nata all’ Università di San Diego nel 1969, progettata e finanziata dalla Fondazione Ford, sotto il cui patrocinio è stata sviluppata una nuova disciplina, denominata Women’s Studies (studi sulle donne, un campo accademico che attinge a metodi femministi e interdisciplinari per porre le vite e le esperienze delle donne al centro dello studio), diffusa nel primi anni Settanta con il sostegno finanziario delle fondazioni dei miliardari “filantropi”, in particolare Ford e Rockefeller. Il femminismo di genere è emerso dalla politica radicale degli anni Sessanta, segnato dalla filosofia della Scuola di Francoforte, in particolare di Herbert Marcuse, dalla scuola francese strutturalista ( Michel Foucault) oltreché dall’influenza di libri-culto come I dannati della terra di Frantz Fanon.

    E’ una tendenza profondamente intrisa del marxismo culturale sganciato dal collettivismo economico promosso dai francofortesi, diventato la modalità ideologica dominante in Occidente. Un attivismo assai noto è quello dei collettivi Femen, consistente nell’ irruzione iconoclasta di militanti seminude nei luoghi simbolo del potere “patriarcale”. Esso trae origine dalle pratiche della “Women’s International Terrorist Conspiracy from Hell” (Cospirazione Terroristica Internazionale delle Donne dell’Inferno), il cui acronimo WITCH significa strega. Il nome fu adottato da diversi gruppi femministi che si formarono negli Stati Uniti dopo il 1968. Il loro attivismo si svolgeva sotto forma di “zapping”, una rappresentazione di guerriglia che mescolava teatro di strada e protesta, con cui attiravano l’attenzione, generavano umorismo, denunce politiche e rivendicazioni economiche contro aziende e agenzie governative.

    Nello sviluppo mediatico del caso della sfortunata Giulia , questo potrebbe spiegare alcuni simboli apparsi sull’abbigliamento della sorella, diventata portavoce di un violento sentimento antimaschile. Il movimento adottò come simbolo la figura della strega in quanto considerata la prima donna a combattere contro l’oppressione. Secondo la studiosa Cynthia Eller, “scegliendo quel simbolo, le femministe si sono identificate con tutto ciò che alle donne era insegnato che non dovevano essere: brutte, aggressive, indipendenti e malvagie. Le femministe presero questo simbolo e lo trasformarono in un emblema del potere femminile, della conoscenza, dell’indipendenza e del martirio.”

    A partire dall’ iconografia della strega, settori femministi giunsero ad abbracciare il “dianismo “, una forma di neopaganesimo orientato al culto di Diana, la Dea Madre. Analoga è la moderna “wicca”, adottata da alcuni movimenti femministi. Il femminismo di genere è un’ideologia il cui obiettivo è la decostruzione delle strutture “patriarcali” (famiglia, religione, scienza, linguaggio), interpretate come mere “costruzioni sociali”. Una esponente di punta è la filosofa post strutturalista americana Judit Butler, militante LGBT, tra le prime a teorizzare la maternità come obbligo imposto dall’eteropatriarcato. Il femminismo di genere attribuisce alle donne una superiorità morale rispetto agli uomini, assegnando loro ossessivamente il ruolo di “vittime” oppresse e represse dal patriarcato.

    Animata dallo spirito di bellicosità alla Bernays e dal principio di distruzione creativa, la corrente è un filone del pensiero globalista che cerca la sua attuazione generando conflitti e scontri “ di genere” per corrodere dall’interno la società. La guerra dei sessi – donne contro uomini- e degli “orientamenti sessuali”- omosessuali contro etero– è uno degli scenari alimentati con il pieno consenso delle centrali di potere, in ogni tempo interessate a promuovere la divisione sociale. Secondo il femminismo di genere, il sesso è una mera differenziazione morfologica; ciò che conta veramente nella definizione dei ruoli maschile e femminile è la parola “genere”. Il principio è la lotta contro la distinzione tra i sessi, una lezione risalente a Simone de Beauvoir, musa di Jean Paul Sartre, storica autrice de Il secondo sesso, la cui frase iconica era “ donna non si nasce, si diventa”. Non si può tacere che la stessa Beauvoir, assieme a Sartre, a Michel Foucault, al linguista Roland Barthes e al caposcuola della corrente decostruzionista Jacques Derrida, sottoscrisse nel 1977 una petizione al parlamento francese tesa alla depenalizzazione di ogni rapporto sessuale consenziente tra adulti e minori di quindici anni. Diverse esponenti del femminismo di genere arrivano ad affermare che ogni relazione eterosessuale è uno stupro e che il lesbismo è la condizione naturale delle donne. Naomi Wolf ha asserito che la bellezza femminile è un imposizione del patriarcato per distoglierle dal loro sviluppo personale. E’ questa la cornice dell’assalto al cielo antipatriarcale cui assistiamo nel nome di Giulia. Se alla guerra dei sessi si aggiungono l’aborto come diritto universale , totem pseudo religioso, e la promozione dell’ideologia di genere LGTBQI+, si riconoscono chiaramente alcuni obiettivi fondamentali del globalismo: la riduzione della popolazione mondiale ( neo malthusianesimo) e la distruzione della famiglia, tasselli essenziali per la costruzione del Nuovo Ordine Mondiale.

    Non sorprende quindi l’ossessione abortista, declinata come diritto alla salute riproduttiva, espressione a cavallo tra zootecnia ed eugenetica. La maternità è considerata una malattia, un costrutto e una costrizione sociale che limita l’ autorealizzazione femminile, imposta dall’eteropatriarcato. La fondatrice della prima clinica per aborti negli Stati Uniti nel 1915 fu Margaret Sanger, uno dei modelli del femminismo di genere, fondatrice dell’American Planned Parenthood League, da cui ebbe origine la International Planned Parenthood Federation ( IPPF), di cui fu prima presidente. Oggi Planet Parenthood, ricchissima destinataria di finanziamenti dalle grandi fondazioni “filantropiche” e dalla vasta rete delle organizzazioni progressiste occidentali, è al centro delle politiche di “salute riproduttiva” e gode enorme influenza presso ONU, Unione Europea, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale.

    Segui il denaro e capirai motivi, protagonisti ed obiettivi delle attuali scelte politiche e antropologiche. La Fondazione Ford è una delle principali sostenitrici del globalismo liberista, insieme con istituzioni simili, le Fondazioni Rockefeller, Carnegie, Turner, Mc Arthur, Bill e Melinda Gates, la Open Society di George Soros, il CFR (Consiglio delle Relazioni Estere), l’USAID (Agenzia Americana per l’Aiuto alla Sviluppo) e il NED (National Endowment for Democracy, Fondo Nazionale per la Democrazia), queste ultime emanazioni del deep State americano. Oggi metà dei progetti finanziati dalla Fondazione Ford sono dedicati alla promozione dei movimenti di genere.

    Uno dei suoi portavoce più influenti è la giornalista di origine ebrea Gloria Steinem, che in gioventù apparteneva all’ala più radicale della CIA nella lotta contro il comunismo (The CIA Old Boys) – incaricata di diffondere il neo femminismo nei media più importanti del mondo. Il femminismo di genere è la perversione globalista del femminismo storico, la lotta per la parità di diritti tra uomini e donne.

    Questa deriva è stata denunciata da importanti figure femministe, come la francese Elisabeth Badinter ne La strada degli errori (2005) diventato un best sellers contro ogni aspettativa, e Camille Anna Paglia, americana, autrice di libri di grande impatto sulla cultura contemporanea: Sexual personae” (1990), Sex, art and American culture” (1992) Vamps & tramps. (1994). “E’ di un’ingenuità totale attribuire la colpa di tutti i mali dell’universo agli uomini bianchi imperialisti.

    Non c’è umorismo, tutto è sermone, e nel femminismo accademico e intellettuale quello che si vede è un atteggiamento assolutamente dittatoriale.” La pensatrice americana Christina Hoff Sommer, autrice di Who Stole Feminism from Us? (Chi ci ha rubato il femminismo?) afferma che “c’è sempre stata una certa fobia degli uomini in alcune donne del movimento, questo è innegabile. Ma erano marginali. Oggi, almeno nelle università, sono le protagoniste del dibattito. La mascolinità viene trattata come una patologia bisognosa di cura. Quasi tutti gli studi di genere attribuiscono la maggior parte dei mali della società agli uomini e al patriarcato.”

    La terza ondata di femminismo è costruita su bugie e iperboli. Una, osserva Hoff Sommer, è la disuguaglianza salariale. “Le donne guadagnano meno degli uomini, ma perché studiano materie diverse, lavorano in campi diversi e per meno ore. Quando si valutano tutti questi fattori, la differenza quasi scompare. Ma questo non viene detto negli studi di genere. “ Secondo lei, “il vero femminismo dovrebbe aiutare le donne che lottano contro i delitti d’onore, l’escissione dei genitali, i matrimoni forzati, le aggressioni con l’acido e le frustate”, anziché lamentarsi come vittime immaginarie di oppressioni pressoché inesistenti nelle società occidentali, dove godono di una posizione sconosciuta nelle altre parti del mondo.

    Parole importanti, ma inutili. I padroni del discorso hanno deciso diversamente e dobbiamo applaudire menzogne e generalizzazioni per non apparire arretrati, violenti, maschilisti ( dopo quella di razzismo, l’accusa più infamante). Non possiamo neppure affermare che attorno al cadavere di una ragazza sfortunata si sta svolgendo una campagna di odio forsennato tesa a distruggere quanto resta non del patriarcato, ma della figura del maschio della specie umana. Una guerra insensata utile solo a chi domina il mondo. Curioso che siano maschi bianchi eterosessuali.



    https://www.maurizioblondet.it/femmi...re-e-menzogne/
    Ultima modifica di Eridano; 29-11-23 alle 00:01

  3. #573
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