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Il 7 Maggio 1941, [Ante Pavelic] accompagnato da ministri e religiosi (fra cui il Vicario Generale dell'Arcivescovo Stepinac, il vescovo Salis-Sewis), si recò in Italia da Vittorio Emanuele III, offrendo la corona di Croazia al Duca Aimone di Spoleto, il quale (benchè mai incoronato) già il 17 Maggio si annunciò in Vaticano come re designato di Croazia col nome di Tomislav II. Il giorno dopo, «circondato dai suoi banditi» - come annoterà Ciano nel suo Diario - Pavelic venne festosamente e solennemente ricevuto in udienza privata da Pio XII, che, congedandolo, gli fece i migliori auguri per «la sua opera futura...». La sua opera futura: di che cosa si trattava esattamente?
Della ricattolicizzazione della Croazia, con tutti i mezzi, come risulta inequivocabilmente dalle parole del padre francescano Simic: «Ammazzare tutti i Serbi nel più breve tempo possibile. Questo è il nostro programma»; oppure dalle lugubri espressioni programmatiche di Ante Pavelic: «Un terzo dei Serbi deve diventare cattolico, un terzo deve abbandonare il paese, un terzo deve morire!». Ebbe così inizio una politica di sterminio in tutto identica alla «soluzione finale» nazista: le chiese ortodosse vennero distrutte, trasformate in stalle, depredate; i Serbi dovevano circolare con una P sul braccio (Pravoslavac=Ortodosso), gli Ebrei con la stella di David, e solo nei quartieri-ghetto approntati per loro. Nei locali pubblici pendeva il cartello: «Ingresso vietato a Serbi, Ebrei, Zingari e cani».
L'unico modo per sfuggire al destino di morte che li attendeva era la conversione al cattolicesimo: «Se passerete alla chiesa cattolica» - prometteva il vescovo Aksamovic di Djakovo - «srete lasciati in pace nelle vostre case». Tuttavia nelle prime sei settimane di vita della nuova Croazia furono assassinati tre vescovi, più di cento preti e monaci ortodossi e 180.000 fra Serbi ed Ebrei. Per ordine dell'ordinariato episcopale le chiese ortodosse vennero trasformate in luoghi di culto cattolico oppure furono completamente distrutte. Il mese seguente vennero ammazzati oltre 100.000 Serbi, donne, vecchi, bambini. La chiesa di Glina venne trasformata in un mattatoio: «Il bagno di sangue durava dalle dieci di sera alle quattro del mattino, e andò avanti per otto giorni. Le uniformi dei macellai dovettero essere cambiate, perché intrise di sangue. In seguito vennero ritrovati bambini infilzati negli spiedi, con le membra ancora contratte negli spasmi della sofferenza». Fino al Novembre del 1941 furono uccisi altri cinque vescovi e non meno di trecento preti ortodossi: l'ottantenne metropolita di Sarajewo Petar Simonic venne strangolato, mentre contemporaneamente l'arcivescovo cattolico della città Ivan Saric componeva odi in onore di Pavelic ed esaltava nel giornale diocesano i nuovi metodi rivoluzionari «al servizio della verità, della giustizia e dell'onore». A Zagabria, dove risiedevano il primate Stepinac e il Nunzio Apostolico Marcone, il metropolita ortodosso Dositej fu torturato al punto che divenne pazzo. Il 26 Giugno 1941 Pavelic accolse in pompa magna l'episcopato cattolico guidato da Stepinac, cui promise «dedizione e collaborazione in vista dello splendido futuro della nostra patria». Il primate di Croazia sorrideva. Gli eccessi furono talmente virulenti che il generale Mario Roatta, comandante della Seconda Armata italiana, minacciò di aprire il fuoco contro gli Ustascia che intendevano penetrare nei territori controllati dagli Italiani, e gli stessi tedeschi, diplomatici, militari e uomini dei servizi segreti, inviarono proteste contro il terrore ustascia al comando supremo della Wehrmacht e all'Ufficio Esteri. Il 17 Febbraio 1942 il capo dei Servizi di Sicurezza scrisse al comando centrale delle SS: «È possibile calcolare a circa 300.000 il numero dei Pravoslavi uccisi o torturati sadicamente a morte dai Croati... In proposito è necessario notare che in fondo è la chiesa cattolica a favorire tali mostruosità con le sue misure a favore delle conversioni e con la sua politica delle conversioni coatte, perseguite proprio con l'aiuto degli Ustascia... È un fatto che i Serbi che vivono in Croazia e che si sono convertiti al cattolicesimo vivono indisturbati nelle proprie case... La tensione esistente fra Serbi e Croati è non da ultimo la lotta della chiesa cattolica contro quella ortodossa» (dagli archivi della Gestapo).
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Tratto da Beati i criminali di guerra.