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  1. #11
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    Predefinito Rif: Il linguaggio degli animali

    Italo Calvino


    Il linguaggio degli animali


    Un ricco mercante aveva un figliolo a nome Bobo, sveglio d’ingegno e con una gran voglia d’imparare. Il padre lo affidò a un maestro assai dotto, perché gli insegnasse tutte le lingue.
    Finiti gli studi, Bobo tornò a casa e una sera passeggiava col padre pel giardino. Su un albero, gridavano i passeri: un cinguettio da assordare.
    — Questi passeri mi rompono i timpani ogni sera, disse il mercante tappandosi le orecchie.
    E Bobo: — Volete che vi spieghi cosa stanno dicendo?
    Il padre lo guardò stupito.
    — Come vuoi sapere cosa dicono i passeri? Sei forse un indovino?
    — No, ma il maestro m’ha insegnato il linguaggio di tutti gli animali.
    — Oh, li ho spesi bene i miei soldi! — disse il padre. — Cosa ha capito quel maestro? Io volevo che t’insegnasse le lingue che parlano gli uomini, non quelle delle bestie!
    — Le lingue degli animali sono più difficili, e il maestro ha voluto
    cominciare da quelle.
    Il cane correva loro incontro abbaiando.
    E Bobo: — Volete che vi spieghi cosa dice?
    No! Lasciami in pace col tuo linguaggio da bestie! Poveri soldi miei!
    Passeggiavano lungo il fossato, e cantavano le rane.
    — Anche le rane ci mancavano a tenermi allegro... brontolava il padre.
    — Padre, volete che vi spieghi... cominciò Bobo.
    — Va’ al diavolo tu e chi t’ha insegnato!

    E il padre, irato d’aver buttato via i quattrini per educare il figlio, e con l’idea che questa sapienza del linguaggio animale fosse una mala sorte, chiamò due servi e disse loro cosa dovevano fare l’indomani. Alla mattina, Bobo fu svegliato, uno dei servi lo fece montare in carrozza e gli si sedette vicino; l’altro, a cassetta, frustò i cavalli e partirono al galoppo. Bobo non sapeva nulla di quel viaggio, ma vide che il servitore accanto a lui aveva gli occhi tristi e gonfi.
    — Dove andiamo? — gli chiese. — Perché sei così triste?
    Ma il servitore taceva.
    Allora i cavalli cominciarono a nitrire, e Bobo capi che dicevano:
    — Triste viaggio è il nostro, portiamo alla morte il padroncino.
    E l’altro rispondeva:
    — Crudele è stato l’ordine di suo padre.
    — Dunque, voi avete l’ordine da mio padre di portarmi a uccidere? — disse Bobo ai servitori.
    I servitori trasalirono:
    — Come lo sapete? — chiesero.
    — Me l’han detto i cavalli, — disse Bobo. — Allora uccidetemi subito. Perché farmi penare aspettando?
    — Noi non abbiamo cuore di farlo, — dissero i servitori. — Pensiamo al modo di salvarvi.

    In quella li raggiunse abbaiando il cane, che era corso dietro la carrozza. E Bobo intese che diceva:
    — Per salvare il mio padroncino darei la mia vita!
    — Se mio padre è crudele, — disse Bobo, — ci sono pure creature fedeli; voi, miei cari servitori, e questo cane che. si dice pronto a dar la vita per me.
    — Allora, — dissero i servitori, — uccidiamo il cane, e portiamo il suo cuore al padrone. Voi, padroncino, fuggite. Bobo abbracciò i servi e il cane fedele e se andò alla ventura. Alla sera
    giunse a una cascina e domandò ricovero ai contadini. Erano seduti a cena, quando dal cortile venne il latrare del cane. Bobo stette ad ascoltare alla finestra, poi, disse:
    — Fate presto, mandate a letto donne e figli, e voi armatevi fino ai denti e state in guardia. A mezzanotte verrà una masnada di malandrini ad assalirvi. I contadini credevano che gli desse di volta il cervello.
    — Ma come lo sapete? Chi ve l’ha detto?
    — L’ho saputo dal cane che latrava per avvertirvi. Povera bestia, se non c’ero io avrebbe sprecato il fiato. Se m’ascoltate, siete salvi.
    I contadini, coi fucili, si misero in agguato dietro una siepe. Le mogli e i figli si chiusero in casa. A mezzanotte s’ode un fischio, poi un altro, un altro ancora; poi un muoversi di gente. Dalla siepe uscì una scarica di piombo. I ladri si diedero alla fuga; due restarono secchi nel fango, coi coltelli in mano. A Bobo furono fatte grandi feste, e i contadini volevano si fermasse con loro, ma lui prese commiato, e continuò il suo viaggio.



    Jacopo Bassano, Due cani, 1548 (Louvre, Parigi)



    Cammina cammina, a sera arriva a un’altra casa di contadini. È incerto se bussare o non bussare, quando sente un gracidare di rane nel fosso. Sta ad ascoltare; dicevano:
    — Dài, passami l’ostia! A me! A me! Se non mi lasciate mai l’ostia a me, non gioco più! Tu non la prendi e si rompe! L’abbiamo serbata intera per tanti anni!
    S’avvicina e guarda: le rane giocavano a palla con un’ostia sacra. Bobo si fece il segno della croce.
    — Sei anni, sono, ormai, che è qui nel fosso! disse una rana.
    — Da quando la figlia del contadino fu tentata dal demonio, e invece di far la comunione nascose in tasca l’ostia, e poi ritornando dalla chiesa, la buttò qui nel fosso.
    Bobo bussò alla casa. L’invitarono a cena. Parlando col contadino, apprese che egli aveva una figlia, malata da sei anni, ma nessun medico sapeva di che malattia, e ormai era in fin di vita.
    — Sfido! — disse Bobo. — È Dio che la punisce. Sei anni fa ha buttato nel fosso l’ostia sacra. Bisogna cercare quest’ostia, e poi farla comunicare devotamente; allora guarirà.
    Il contadino trasecolò.
    — Ma da chi sapete tutte queste cose?
    — Dalle rane, disse Bobo.
    Il contadino, pur senza capire, frugò nel fosso, trovò l’ostia, fece comunicare la figlia, e lei guarì. Bobo non sapevano come compensarlo, ma lui non volle niente, prese commiato, e andò via.

    Un giorno di gran caldo, trovò due uomini che riposavano all’ombra d’un castagno. Si sdraiò accanto a loro e chiese di far loro compagnia. Presero a discorrere:
    — Dove andate, voi due?
    — A Roma, andiamo. Non sapete che è morto il Papa e si elegge il Papa nuovo?
    Intanto, sui rami del castagno venne a posarsi un volo di passeri.
    — Anche questi passeri stanno andando a Roma, disse Bobo.
    — E come lo sapete? chiesero quei due.
    — Capisco il loro linguaggio, disse Bobo.
    Tese l’orecchio, e poi:
    — Sapete cosa dicono?
    — Cosa?
    — Dicono che sarà eletto Papa uno di noi tre.
    A quel tempo, per eleggere il Papa si lasciava libera una colomba che volasse nella piazza di San Pietro piena di gente. L’uomo sul cui capo si sarebbe posata la colomba, doveva essere eletto Papa. I tre arrivarono nella piazza gremita e si cacciarono in mezzo alla folla. La colomba volò, volò, e si posò sulla testa di Bobo. In mezzo a canti e grida d’allegrezza fu issato sopra un trono e vestito d’abiti preziosi. S’alzò per benedire e nel silenzio che s’era fatto nella piazza s’udì un grido. Un vecchio era caduto a terra come morto. Accorse il nuovo Papa e nel vecchio riconobbe suo padre. Il rimorso l’aveva ucciso e fece appena in tempo a chiedere perdono al figlio, per spirare poi tra le sue braccia. Bobo gli perdonò, e fu uno dei migliori papi che ebbe mai la Chiesa.


    Italo Calvino, Fiabe italiane - Mondadori, Milano 1993
    (Vol. I, n. 23, pp. 100-103)

  2. #12
    ---
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    Predefinito Rif: Riferimento: Il linguaggio degli animali

    Citazione Originariamente Scritto da Eric Draven Visualizza Messaggio
    Tutto questo è molto bello, davvero.
    Però mi sembra di non cogliere il nesso con l'esoterismo...
    Un uomo Sacro ama il silenzio, ci si avvolge come in una coperta.
    Un silenzio che parla, con una voce forte come il tuono, che gli insegna tante cose.
    Uno sciamano desidera essere in un luogo dove si senta solo il ronzio degli insetti.
    Se ne sta seduto, con il viso rivolto a ovest, e chiede aiuto.
    Parla con le piante, ed esse rispondono.
    Ascolta con attenzione le voci degli animali.
    Diventa uno di loro. Da ogni creatura affluisce qualcosa dentro di lui.
    Anche lui emana qualcosa: come e che cosa io non lo so, ma è così. Io l'ho vissuto.
    Uno sciamano deve appartenere alla terra: deve leggere la natura come un uomo bianco sa leggere un libro.
    Cervo Zoppo
    Sioux

  3. #13
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    Predefinito Il canto delle balene




    Chi l’ha ascoltato, nelle profondità marine o su youtube, sa che non è solo un richiamo, ma un insieme articolato di suoni (grida, gemiti, fischi, misteriosi muggiti), un vero «canto» tra i più ancestrali della terra: l’emozione è forte perché pare provenire da un altro universo. E a un altro mondo in effetti appartiene, a quello oceanico, dal quale dipende la vita del pianeta.

    Musica e suoni ad alto tasso di spiritualità, registrati fin dagli Anni 60: il canto delle megattere è capace di cambiare nel tempo a seconda delle esigenze ambientali; come la musica per gli umani, rappresenta per gli animali una forma di cultura. Questi grandi esseri sanno modificare il canto ascoltando quello dei consimili (succede anche a molti uccelli e ai delfini), ma sono capaci di produrlo in modo più complesso, con frequenza più alta e bande maggiori rispetto alla balenottera comune e a quella azzurra. I suoni percorrono poi immense distanze, sfruttando la capacità delle distese d’acqua di «condurre» le onde sonore: l’Oceano permette ai suoni a bassa frequenza di viaggiare ovunque e di percorrere fino a metà della circonferenza del globo.

    Per la sopravvivenza delle specie i canti sono vitali, specie quando legati al corteggiamento: chi canta meglio trova una compagna e si riproduce. Alcuni ricercatori del Queensland, in Australia, hanno scoperto che i maschi li imparano tramite «passaparola», dopo averli ascoltati attraverso l’oceano da colonie di consimili. Uno scambio culturale che attraversa le distese sottomarine e il tempo: un canto registrato nel 1990 nell’Oceano Indiano a Ovest del continente è stato ritrovato nel 2001 al largo della Polinesia francese: una trasmissione di cultura che ha attraversato 10 mila chilometri. C’è anche chi ha individuato una vera e propria «fabbrica di canzoni» a Est dell’Australia, dove in 11 anni ne sono state prodotte parecchie poi adottate da numerosi branchi, più a Ovest. I maschi quando ascoltavano i canti di una popolazione diversa passavano alla nuova versione, come catturati da una nuova moda o da un nuovo stato di grazia artistico.

    Con queste meravigliose onde sonore (come i magici richiami emessi dalle foche e registrati da Werner Herzog in Antartide, in «Incontri alla fine del mondo»), viaggiano nell’acqua anche rumori e inquinamento acustico, in primis quello delle imbarcazioni a motore che producono suoni molto dannosi e fastidiosi per i cetacei. Alterano infatti le loro abitudini di vita, li costringono a modificare il loro modo di comunicare. Isolare e insonorizzare i motori, sarebbe facile e possibile: si può ridurre il rumore del 99%. Ne varrebbe la pena, per difendere il meraviglioso mondo acustico delle balene, frutto di un adattamento compiuto in decine di milioni di anni: poi siamo arrivati noi, ingordi e fracassoni, e abbiamo trasformato il loro canto in un grido di allarme per il pianeta.

    Carlo Grande - LASTAMPA.it - 31.01.2012


    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 03-02-12 alle 00:05

  4. #14
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    Predefinito Re: Il canto delle balene

    Francesco Tot

    COSA LEGGONO I BABBUINI




    1




    Di certo non vedremo mai una scimmia sfogliare appassionatamente le pagine di un romanzo di Dostoevskij, ma questo non ci impedisce di ipotizzare che saprebbe riconoscerne le parole. Il sospetto che qualche primate (oltre all’essere umano) potesse avere una certa attitudine alla lettura è stato in effetti confermato su Science da uno studio della Aix-Marseille Université coordinato da Jonathan Grainger, in cui 6 babbuini della Guinea (Papio papio) sono stati sottoposti a una prova di identificazione di vocaboli scritti. Superata con esito sorprendente. La precisazione è d’obbligo: queste scimmie non hanno imparato a leggere. Però sono riuscite a distinguere parole scritte che in inglese hanno un significato, da altre senza senso, sebbene non siano state in grado di collegare tali vocaboli a un suono o a un contenuto.

    Ecco come si è svolto l’esperimento. I babbuini erano lasciati liberi di andare, quando ne avevano voglia, davanti allo schermo di uno dei 10 computer messi a disposizione dai ricercatori, per fare quello che probabilmente considerano un gioco. Sul display comparivano sequenze di quattro lettere che potevano formare parole di senso compiuto o meno. Le scimmie avevano davanti due bottoni e dovevano premere l’uno o l’altro a seconda dei due casi, ricevendo una ricompensa in cibo ogni volta che l’associazione risultava corretta. Dopo un mese e mezzo di allenamento (e oltre 60 mila prove), i babbuini avevano imparato a riconoscere decine di parole, con un record di 308 per uno dei sei, Dan. Questo, come fa notare New Scientist, è un'impressionante prova di memoria, sebbene non sia un caso unico: molti animali, come i piccioni, imparano a catalogare oggetti in due categorie.

    I babbuini, però, hanno dimostrato di saper fare di meglio. Finito il periodo di allenamento, riuscivano a distinguere facilmente anche le parole che non avevano mai visto prima, come se avessero imparato certe regole che sottostanno all’ordine delle lettere nella grammatica inglese, riuscendo così a riconoscere le sequenze improbabili da quelle verosimili. La lettura, in pratica, non sembra essere una prerogativa di chi sa usare un linguaggio articolato, e il riconoscimento delle parole scritte appare più vicino all’identificazione di oggetti che alle abilità linguistiche, come sottolinea anche la BBC.

    L’esperimento, in effetti, ha permesso di far luce su alcuni aspetti dell’evoluzione dei processi cognitivi legati alla scrittura. Il complesso edificio cognitivo umano è fondato su neuroni specializzati che si sono probabilmente evoluti allo scopo di risolvere problemi in ambito sociale, tra cui il riconoscimento facciale dei compagni di gruppo. Solo in un secondo momento questi neuroni sono stati messi a servizio della comunicazione scritta, racconta il neurobiologo Michael Platt della Duke University in un articolo di accompagnamento allo studio, apparso sempre su Science. Lettura e scrittura, infatti, emersero in tempi relativamente recenti e si diffusero con estrema rapidità, motivo per cui l’assetto neuronale su cui si è costruita questa abilità doveva essere già ben collaudato, secondo il ricercatore.

    Altri indizi che l’area cerebrale attivata nel riconoscimento delle parole (visual word form area, VWFA) non si sia evoluta specificamente per supportare la lettura, ma preesistesse negli antenati dell’essere umano moderno, ci sono forniti dai popoli indigeni alfabetizzati nel corso degli ultimi due secoli, come i Cherokee del Nord America, dove la rapidità di acquisizione di un sistema di linguaggio scritto esclude la formazione di una nuova struttura cerebrale ad hoc.



  5. #15
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    Predefinito Re: Il linguaggio degli animali

    Non è vero che le pecore sono animali che adattano i loro comportamenti alla moltitudine del gregge. Ogni animale ha invece una sua particolare individualità, almeno nella "voce".
    Secondo l'etologo Jouventin, le pecore emettono infatti un belato in codice per farsi ritrovare dai loro agnelli anche nel gregge più numeroso: modulando il timbro e l'intonazione del belato, ogni pecora può rendersi riconoscibile alle altre. Mamma pecora può così richiamare l'attenzione dei suoi piccoli evitando che nella confusione si perdano e questi ultimi possono usare lo stesso linguaggio in codice per farsi individuare dalla madre. (Fonte: un vecchio numero di Newton)





    Stessa cosa accade per il pinguino imperatore, che non dispone di un "indirizzo" verso cui dirigersi dal momento che non costruisce un nido, ma cova l'uovo e alleva il piccolo sul dorso delle zampe termicamente protette da una soffice piega cutanea. E così, sempre secondo l'etologo Pierre Jouventin (che ha condotto una serie di studi su una colonia di questi uccelli in Antartide), il pinguino che al ritorno dalle battute di pesca in mare aperto si trova dinnanzi alla difficoltà di identificare i suoi familiari, lancia un richiamo molto complesso che viene selettivamente riconosciuto dalla sua compagna e dal suo affamatissimo piccolo i quali, a loro volta, emettono un suono di riconoscimento, si spostano verso la fonte del richiamo, e continuano il duetto fino a incontrarsi in un punto della colonia. Non solo, ma esiste anche una sorta di galateo che facilita la ricerca: non appena viene emesso il segnale di identificazione, i pinguini che si trovano nel raggio di una decina di metri ammutoliscono letteralmente e mantengono il silenzio per tutta la durata del canto, permettendo così al segnale di emergere meglio dal rumore di fondo. Queste "firme vocali" sono talmente efficaci che il pinguino impiega spesso meno di due minuti per trovare il partner e il proprio piccolo tra diverse migliaia di uccelli.

    Stupefacente…



  6. #16
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    Predefinito Re: Il linguaggio degli animali

    I DELFINI SI CHIAMANO PER NOME ?




    La biologia marina ha ormai scoperto da tempo che i delfini sono in grado di parlare. Utilizzano un linguaggio complesso e ancora parzialmente misterioso, composto da dialetti locali o lingue a più vasta diffusione, fino ad arrivare a vere e proprie "lezioni di vita" impartite dai delfini adulti ai più piccoli a colpi di vocalizzazioni, fischi e click. I ricercatori della University of St Andrews hanno recentemente scoperto che alcune specie di delfini, durante le loro vocalizzazioni, utilizzano suoni ben definiti che potrebbero essere associati a nomi propri. Ogni delfino ha un suono che lo contraddistingue, e gli individui del gruppo sono in grado di capire e memorizzare il suo nome per utilizzarlo in qualche conversazione futura.

    "I delfini vivono in un universo tridimensionale, lontano dalla costa, senza alcun punto di riferimento, e hanno bisogno di rimanere in gruppo" spiega Vincent Janik, ricercatore della Sea Mammal Reserach Unit dell'università. "Questi animali vivono in un ambiente in cui è necessario possedere un sistema di contatti molto efficiente".
    Le relazioni sociali nel mondo dei delfini sono particolarmente complesse, e non sempre idilliache come mostrano alcuni documentari: alla spiccata intelligenza spaziale, linguistica e matematica si associano anche casi di violenza deliberata verso individui del sesso opposto o appartenenti ad altri gruppi sociali, fino ad arrivare a stupri e infanticidi. In un mondo in cui il tuo compagno potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, identificarsi nel mezzo dell'oceano diventa indispensabile.

    E' da molto tempo che si sospetta che i delfini utilizzino dei suoni distintivi per chiamarsi per nome, in modo molto simile a quanto fa quotidianamente l'essere umano. Questi suoni, insoliti se paragonati ai set vocali più tradizionali, vengono appresi dagli altri delfini e utilizzati, pare, per riferirsi ad altri individui del proprio gruppo.
    E' la prima volta, tuttavia, che viene dimostrato come i delfini rispondano al richiamo corrispondente al proprio nome. I ricercatori hanno registrato i segnali sonori distintivi di alcuni delfini, facendoli ascoltare agli stessi mammiferi marini attraverso alcuni speaker subacquei. "Abbiamo riprodotto i fischi distintivi degli animali di quel gruppo, abbiamo anche riprodotto alcuni suoni del loro repertorio, per finire con fischi provenienti da diverse popolazioni di delfini, animali che non avevano mai visto nella loro vita" spiega Janik. I ricercatori hanno scoperto che i delfini hanno reagito (rispondendo con lo stesso richiamo) soltanto ai loro suoni distintivi, proprio come farebbe un essere umano nel momento in cui sente chiamarsi per nome. "La maggior parte del tempo i delfini non riescono a mantenere il contatto visivo, non possono usare l'olfatto sott'acqua, cosa molto importante nella fase di riconoscimento dei mammiferi, e non tendono a rimanere in un solo posto, per cui non hanno nidi o tane in cui ritornare".

    Secondo i ricercatori, è la prima volta che si osserva un animale utilizzare suoni particolari per riferirsi ad un individuo utilizzando un vero e proprio sistema di nomi. Anche se, rimanendo nella sfera dei mammiferi marini, un altro animale potrebbe comportarsi in modo molto simile: il capodoglio. Nel 2011, una ricerca pubblicata su Marine Mammal Sciences riportava come un piccolo gruppo di capodogli che vive al largo delle coste caraibiche utilizzi delle particolari vocalizzazioni in grado di distinguere ogni individuo della comunità. Questi capodogli approcciavano gli altri membri del gruppo emettendo una serie di vocalizzazioni uniche, "presentandosi" agli altri e rendendosi riconoscibili a distanza di chilometri.



  7. #17
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    Predefinito Re: Il linguaggio degli animali

    I TOPI CANTANO PER AMORE, IN MODO SUPERSONICO... CON FREQUENZA JET





    Walt Disney l'aveva intuito quando disegnò Topolino e i topi canterini di Cenerentola: i roditori cantano. Ma non poteva certo sapere che il loro è un canto supersonico che raggiunge le stesse frequenze dei motori dei jet. Lo dimostra la ricerca pubblicata sulla rivista "Current Biology", coordinata dalla Washington State University.

    I topi come tutti gli altri roditori "cantano" per amore o per difendere il territorio. E studiare il loro canto, secondo i ricercatori, è utile per trovare possibili cure a balbuzie e autismo. I topi sono infatti soggetti a mutazioni genetiche simili a quelle che avvengono negli esseri umani. Per la prima volta si è scoperto che topi e roditori emettono ultrasuoni: "Abbiamo scoperto che i topi emettono ultrasuoni in un modo mai osservato prima in nessun altro animale", ha spiegato la coordinatrice della ricerca, Elena Mahrt. "Per emettere i suoni i topi non vibrano le corde vocali nella laringe, ma rilasciano un piccolo getto d'aria dalla trachea contro la parete interna della laringe, questo produce un fischio ad ultrasuoni", spiega Coen Elemans, un altro autore dello studio presso l'University of Southern Denmark.

    I ricercatori sono arrivati a questa conclusione realizzando video a Ultra Alta velocità di 100.000 fotogrammi al secondo. In sostanza, "i topi fanno qualcosa di molto complicato e intelligente per produrre suoni" osserva Anurag, co-autore dello studio all'Università di Cambridge. "È interessante notare che questo meccanismo è attualmente noto solo per i suoni emessi nelle applicazioni del flusso supersonico, come ad esempio il decollo verticale e l'atterraggio aerei con motori a reazione, o flussi subsonici ad alta velocità, come i getti per il raffreddamento rapido di componenti elettrici e turbine".

    "Quanto più sarà possibile scoprire come i roditori producono suoni sociali, - ha concluso Mahrt - tanto più sarà facile capire cosa accade nel cervello dei topi, che hanno le stesse mutazioni genetiche degli esseri umani per ciò che riguarda disturbi del linguaggio e del comportamento".



  8. #18
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    Predefinito Re: Il linguaggio degli animali

    Matteo Gullì

    PREPARATEVI: È IN ARRIVO UN TRADUTTORE PER PARLARE CON CANI E GATTI






    “Gli manca solo la parola!” usiamo dire spesso riferendoci a cani o gatti di casa. In effetti, nella maggior parte dei casi cani e gatti sembrano pienamente capaci di capire e farsi capire dall’essere umano, come fossero a un passo dall’esprimersi nel nostro stesso linguaggio. Ebbene, presto l’intelligenza artificiale potrebbe compiere quel passo, aiutandoci a valicare quel confine: Con Slobodchikoff, ricercatore e professore emerito alla Northern Arizona University, esperto di comportamento animale, sta mettendo a punto un dispositivo che potrebbe permetterci a tutti gli effetti di dare voce umana agli animali, grazie ad un algoritmo che ne potrà leggere e interpretare i versi e le espressioni facciali. E tradurre un abbaio, per esempio, in un “ho fame”. Un traguardo dai tratti fantascientifici, ma che a suo dire sarà raggiungibile al massimo entro una decina di anni.

    Con Slobodchikoff studia il comportamento degli animali da almeno 30 anni. Gran parte di questo tempo l’ha dedicata ai cani della prateria, analizzando nel dettaglio il loro complesso sistema di comunicazione, fatto di precisi comandi e istruzioni. Si tratta di intelligenti roditori della famiglia delle marmotte, molto diffusi nelle praterie del Nord America, dotati di una sofisticatissima forma di comunicazione vocale che, secondo le scoperte del ricercatore, ha ben poco da invidiare al linguaggio umano. I loro stridii, emessi per avvisare il gruppo dell’arrivo di potenziali minacce, sembrano infatti variare a seconda delle dimensioni del predatore. Non solo: questi roditori riescono a plasmare i loro vocalizzi per comunicare ai propri simili persino il colore e la forma degli altri esseri viventi avvistati.

    A illuminare il ricercatore è stata l’insospettabile capacità di questi animali di comunicare assemblando in modo consapevole e volontario le unità acustiche del linguaggio: “Nel linguaggio umano chiamiamo fonema la più piccola unità del suono. Diversi fonemi vengono assemblati nei cosiddetti morfemi, le più piccole unità del significato, che a loro volta compongono le parole. Dall’osservazione dei cani della prateria è emerso lo stesso meccanismo che usiamo noi umani: i versi emessi contengono sempre gli stessi fonemi, ma assemblati ogni volta in modo diverso a seconda del messaggio che si vuole trasmettere”. Una scoperta che ha ispirato Slobodchikoff a proseguire nella sua ricerca e approfondire le analogie tra linguaggio umano e animale.

    Finché, qualche tempo dopo, il passo successivo. “Se possiamo raggiungere certi risultati con i cani della prateria, possiamo fare altrettanto, se non oltre, con cani e gatti domestici”, animali dalle dinamiche comunicative senz’altro meno complesse. Collaborando con un informatico, oggi Slobodchikoff si impegna in un lavoro ambizioso: creare un dispositivo ‒ una sorta di traduttore ‒ che grazie ad un particolare algoritmo possa convertire i versi dei cani in lingua inglese. Per riuscirci, il ricercatore si serve di video in cui i cani sono impegnati in attività di varia natura, così da insegnare all’intelligenza artificiale il significato dei vari segnali ‒ non solo latrati, ringhia e ululati ma anche movimenti ed espressioni facciali.

    Uno strumento tecnologico capace di “interpretare” messaggi esterni, quindi, oggi non può ancora fare a meno dell’elaborazione umana. Slobodchikoff, tuttavia, sostiene di voler sfruttare il progresso tecnologico per condurre esperimenti che gli permetteranno di comprendere sempre più a fondo il significato del comportamento animale. Un approccio che, secondo le sue aspettative, nell’arco di dieci anni darà vita ad un dispositivo mai visto: basterà puntarlo verso il proprio cane per poter sentire in pochi secondi “portami a spasso!” o “non sono stato io!”, in perfetto linguaggio umano.

    Un giorno, in futuro, questi traduttori potrebbero rivoluzionare il modo in cui ci prendiamo cura dei nostri animali, minimizzando gli errori che talvolta commettiamo nell’interpretare i loro segnali. Ma al di là dell’aspetto emotivo, strumenti di questo tipo potranno essere utili in senso più ampio, a partire dal lavoro. Agli allevatori, per esempio, potrebbe far comodo rilevare istantaneamente e con certezza lo stato di salute degli animali: proprio questa è la scopo di un algoritmo messo a punto dai ricercatori dell’Università di Cambridge, in grado di capire se una pecora prova dolore grazie all’analisi delle sue espressioni facciali. Stiamo parlando di strumenti, insomma, che potenzialmente apriranno orizzonti a cui oggi siamo ancora lontani. Intanto Slobodchikoff l’anno scorso ha fondato Zoolingua, azienda con cui porterà avanti le sue intenzioni: aprire una nuova era nella comunicazione tra esseri umani e animali.


    Galileo.net - 22 gennaio 2018


    C'è anche un articolo su Repubblica: Un algoritmo per capire il cane

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    Predefinito Re: Il linguaggio degli animali

    L'APE REGINA ''PARLA'' COME UN'ANATRA: LO STRANO SUONO REGISTRATO NEGLI ALVEARI







    Un suono forte, acuto, insistente, che copre il ronzio dell'alveare: è il modo in cui l'ape regina mellifera informa le operaie di essere fertile e quindi pronta a lasciare il nido per fondare una nuova colonia.
    Il suono, che gli stessi scienziati definiscono simile a un clacson o al "qua qua" delle anatre, è stato identificato e registrato nell'ambito di una ricerca realizzata dalla Nottingham Trent University, in Gran Bretagna, i cui risultati sono stati pubblicati su Scientific Reports.

    Quando una regina è pronta a uscire, inizia a emettere questi brevi suoni ripetuti, avvisando così le operaie della sua presenza. Il suono serve anche a fare in modo che le operaie si adoperino per "intrappolare" altre regine - anche pronte a uscire - all'interno delle loro celle fino a quando la regina che "suona" non è partita. Una forma di autoprotezione, dato che se le due regine si incontrassero, combatterebbero fra loro fino alla morte. Tenute prigioniere nelle loro celle per prevenire gli scontri, le "regine vergini" rivali quindi "suonano" a loro volta: questo è per gli scienziati il loro segnale alla colonia per dire che sono pronte e in attesa di sostituire la regina appena se ne va.

    Subito dopo l'uscita dalla cella, i versi della regina "uscente" cambiano, diventando più prolungati e simili a un "clacson": in questo modo "ordina" ad altre api di prepararsi a sciamare. Fino a quasi metà dell'alveare partirà con la nuova regina per fondare una colonia separata. I risultati suggeriscono anche che quando il suono si interrompe completamente, la colonia sa che non ci sono altre regine vergini rimaste e che le api non devono sciamare di nuovo.

    I suoni sono stati registrati tramite alcuni sensori vibrazionali ultra sensibili chiamati "accelerometri", inseriti nel cuore di 25 alveari situati tra Francia e Regno Unito. L'obiettivo era indagare in modo non invasivo sui segnali vibrazionali prodotti dalle api, per cercare indizi che potrebbero aiutare a monitorare e prevedere il processo di sciamatura. La vibrazione è una delle forme di comunicazione che le api usano per preservare la coesione delle colonie.


 

 
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