Orgoglioso di non essere uno di loro
Nella storia della destra italiana non c'è posto per il conservatore
di Mr. Right
Dopo aver subito un’assurda contestazione dalla curva in occasione della sua ultima partita con la maglia rossonera, il glorioso capitano di mille battaglie Paolo Maldini in un impeto d’orgoglio si è lasciato sfuggire di bocca le seguenti parole: “Orgoglioso di non essere uno di loro”.
Sarà per via della mia fede milanista, ma l’immagine del guerriero che abbandona la scena deluso ma a testa alta mi si è ravvivata in mente questa mattina, dopo aver sfogliato con attenzione in libreria un volume fresco di stampa: Storia della destra. Dal postfascismo al PDL, di Adalberto Baldoni. Edita da Vallecchi con la prefazione di Luciano Lanna, l’opera in questione è solo l’ultima di una serie che sembra principalmente volta a rimarcare l’estraneità del postfascismo (e dunque della destra odierna) ad ogni velleità conservatrice o reazionaria. L’intera vicenda della destra italiana, per Baldoni e Lanna, si sarebbe giocata al contrario nel campo dell’innovazione e persino della rivoluzione. Da Minghetti a Mussolini fino ad Almirante e Fini, essa si sarebbe trovata più volte a rincorrere il socialismo e il radicalismo, essendo del tutto priva di quella mentalità conservatrice tipica delle destre più convenzionali di marca anglosassone.
L’atteggiamento degli intellettuali di destra verso il conservatorismo è assai ambiguo. Spesso questo viene artatamente confuso con il mero immobilismo politico, per cui anche un conservatore doc quale il Prezzolini, per via del suo tortuoso itinerario politico e per aver riconosciuto che in Italia non vi fosse “nulla da conservare”, viene arruolato alla causa e dipinto come un anarchico, un atipico, un irregolare. Allo stesso tempo, però, si nega ogni vicinanza ideale con quei conservatori che hanno profondamente inciso nella storia del Novecento – si veda l’esempio di un Churchill o di una Thatcher, solo per citare la realtà inglese – perché in definitiva troppo “borghesi” e convenziali per chi ha sempre esaltato la “nobiltà”, aristocratica o di popolo.
Se queste resistenze ci erano note, siamo però rimasti sbigottiti nel constatare come, da qualche anno a questa parte, il conservatorismo, nella mente di tanti intellettuali e politici della destra italiana, non sappiamo dire se per intima convinzione o per mera convenienza politica, sembra assurgere non meno del fascismo al rango di “male assoluto”, da cui doversi necessariamente differenziare per guadagnarsi un plauso trasversale e politicamente corretto. Ieri era il solo Veltroni a inveire “contro tutti i conservatorismi”, oggi questo sciocco slogan populista lo si sente ripetere spesso – con nostra somma indignazione – anche dagli scranni della sedicente destra.
Di libri sulle recenti fortune politiche dell’ex comunità postfascista se ne sono scritti in notevole quantità, ma si trattava pur sempre di libri sul MSI e sulla sua erede Alleanza Nazionale. Il volume in questione pur trattando della stessa solfa ha invece un titolo più ambizioso, in quanto mirerebbe a narrare più genericamente la storia della destra italiana. Come si evince però già dal sottotitolo si fa coincidere questa con il postfascismo, ignorando o piuttosto considerando come corollari quei personaggi e quei movimenti che su posizioni di vera destra (dai monarchici all’Uomo qualunque, oltre a vari cattolici, liberali e conservatori), pur a volte confluendo nel partito missino non si sono mai pienamente identificati in esso.
A mio modesto avviso una storia della destra italiana è una storia rappresentata da piccole frange di intellettuali e da politici spesso senza fissa dimora che hanno cercato il bene dell’Italia attraverso la “conservazione” piuttosto che la “rivoluzione”, quest’ultima paradossalmente il sogno agognato dalla maggioranza della base missina. E’ una storia che sicuramente comprende il MSI, che grazie al suo Presidente, Pino Romualdi, nacque proprio per rappresentare, sotto le apparenti vestigia del reducismo fascista, una determinata volontà atlantica e conservatrice, o come si diceva allora una forte “diga” anticomunista. Quel MSI che dagli anni settanta in poi fu anche nominalmente “destra nazionale”, inglobando nelle sue fila monarchici, conservatori e liberali proponendosi come partito borghese della legge e dell’ordine, ovvero quanto più di lontano dall’umore libertario e anarcoide degli spiriti più radicali che paradossalmente oggi riscrivono la storia e dettano l’agenda politica.
E’ infatti all’ala da sempre sconfitta - quella identificatasi nella destra radicale di Graziani, nella destra sociale di Rauti e quindi nella nuova destra di Tarchi, unite nello sbeffeggiare i “conservatori” della destra nazionale - quella a cui è stato paradossalmente concesso di rielaborare il passato e perciò di condizionare il presente. E’ un triste dato di fatto che ormai i conservatori nella destra italiana non abitano più, e quei pochi rimasti sono ridotti al silenzio oppure si limitano, sempre più imbarazzati, a prendere le distanze dalle opinioni espresse dagli intellettuali della “pseudodestra” sul tipo di un Giordano Bruno Guerri. Che il Secolo venga ormai sfogliato soltanto da pochissimi militanti e che il sito web di “Farefuturo” si guadagni più il plauso degli avversari politici che non quello degli elettori di centrodestra è cosa nota e già dibattuta. Tuttavia non sono di quelli che giudica “irrilevante” il contributo espresso dall’intellighenzia posfascista. Le idee contano e alla fine capita pure che si impongono, specie se hanno intorno a sé il deserto, come è accaduto per i neodestri di AN affermatisi alla distanza in mancanza di un pensiero alternativo. Questi libri, nel bene e nel male, finiscono con l’alimentare il cosiddetto “senso comune” attorno alla destra. E se viene detto in coro che il conservatorismo è estraneo alla destra ed in fondo è bene così perché piace a tutti essere avanti e non indietro, sognatori invece che realisti, idealisti e non gretti immobilisti, libertari e giammai autoritari, ecco che il giochino è fatto. Nessun giovane, anche a destra, vorrà mai palesarsi per “conservatore”, termine ormai divenuto un insulto nel lessico politico italiano, usato solo come clava delegittimante da una parte politica nei confronti dell’altra.
Eppure non è stato sempre così. Nel nostro piccolo abbiamo già cercato di ricordarlo in altri articoletti scritti per il forum. C’è stato un tempo non troppo lontano in cui Alleanza Nazionale non si vergognava di essere un partito conservatore e anche se non si è mai azzardata ad inserire nel suo pantheon un Reagan o una Thatcher perché “ultraliberisti” si rispecchiava pur sempre nel classico paternalismo tory o continentale. Era allora una destra che per legittimarsi non doveva stupire con ardite sintesi e ambigui abboccamenti. Era una destra che si legittimava semplicemente in quanto destra. Ovvero, perchè andava a coprire quello spazio politico di chi ambiva per natura a conservare e innovare con prudenza per non creare pericolose fratture nel corpo sociale. Conservatori si dicevano intellettuali come Veneziani, Malgieri, Torriero… Conservatori erano politici come Fisichella, Gasparri, Selva, Pedrizzi... Persino la “rossa” Adriana Poli Bortone si dichiarava tale in ossequio alla tradizione più “sociale” del torysmo. Poi, nel giro di qualche anno lo strabismo di Fini ha dato il via ad una diaspora che ha completamente ridisegnato le gerarchie nel partito e soprattutto imposto all’attenzione una nuova cultura e una nuova politica volta a fare del conservatorismo il suo principale nemico.
A questo punto qualcuno potrebbe dire che è inutile stare a fare le pulci ad un’area che non ha mai avuto un genuino interesse per il conservatorismo e che a stento ha accettato di sentirsi parte dell’Occidente; che destra e conservatorismo sono sinonimi in quei paesi a vocazione bipartitica come l’Inghilterra e gli USA, ma occupano caselle diverse in Germania, mentre in Francia sono stati entrambi sostituiti dal “gollismo”, peculiare espressione della politica d’oltralpe. Non a caso i più autorevoli esempi di conservatorismo intellettuale del dopoguerra, da Prezzolini, a Montanelli, a Sergio Romano, non si sono mai identificati col postfascismo dal quale anzi hanno sempre preso le distanze. Tuttavia, chi scrive trova intollerabile l’idea di una destra “anticonservatrice” ed è disgustato dal constatare come ormai quotidianamente non solo la sinistra ma tutta la politica italiana prende le distanze da ciò che mi è culturalmente più caro. Io che mi sono sempre identificato con la destra, pur con i dovuti distinguo e le virgolette del caso, adesso mi trovo nella sgradevole situazione di non avere più una “casa” politica – essendo il PdL solo un misto di sentimenti cattolici e vacui libertarismi - di essere un apolide i cui riferimenti sono territorialmente lontani e culturalmente indifferenti quando non addirittura ostili ai miei più stretti concittadini.
Fino a ieri il mio essere di destra si combinava ancora positivamente con una “destra” politica a volte distinta ma mai distante dal modello conservatore. Se non amici, con altri esponenti di AN, ci si sentiva in qualche modo affratellati da un comune sentire alternativo al progressismo delle sinistre. Oggi non è più così. La politica di Berlusconi è il pragmatismo del “buon governo” e in quanto tale non ha una distinta coloritura politica. Chi non vorrebbe dare una casa agli Aquilani terremotati? E chi non vorrebbe ripulire Napoli dalla spazzatura? Chi infine non vorrebbe l’Italia affermarsi tra le nazioni del G8? Tutti, salvo qualche impenitente marxista condannato all’irrilevanza. Ma non sono queste le politiche che distinguono una destra dalla sinistra. Sul fronte culturale, invece, vediamo il PDL inseguire il Vaticano più per interesse politico contingente che per autentica convinzione. Sui temi etici, infatti, la sedicente destra non è meno divisa al suo interno della sinistra “laicista”. In questi anni abbiamo assistito ad uno slittamento scurrile del postfascismo al progressismo “di destra” e del conservatorismo al cattolicesimo liberale. Ragion per cui, in un mondo che ormai concepisce la politica unicamente in termini liberali, ovvero pluralisti, la distinzione a destra sembra unicamente porsi tra un’anima cattolica-liberale e un’altra d’ispirazione laica e libertaria. Come a dire, tra Buttiglione e Pannella!
In conclusione, forse queste mie riflessioni non aggiungono granchè ad una realtà che a molti è da tempo oltremodo chiara. I destri libertari giudicheranno questo l’ennesimo lamento reazionario sul “destino crudele” del nascere italiani. Da parte mia, se la sedicente destra continua a sbracciarsi nel prendere le distanze dal conservatorismo, non rimane altro che voltare le spalle una volta e per tutte a questa destra e unirmi al sempre più numeroso ed eterogeneo gruppo di coloro che, per un motivo o per un altro, si sentono oggi privi di una loro casa politica.
Da conservatore non pentito questi attacchi immotivati ed ingenerosi da parte del mio partito mi fanno sentire come se fossi stato “espulso” dalle vicende politiche del mio Paese. Il mio stato d’animo ondeggia tra l’esigenza di una protesta vivace per quella che considero una rilettura faziosa e a senso unico di una vicenda umana prima ancora che politica (l'etnia postfascista) e il limitarmi ad una scrollatina di spalle, conscio che, in fondo, il sottoscritto è sempre rimasto estraneo a quest’area culturale. Ed è stato per questo che, dopo aver accuratamente riposto il suddetto volume nell'apposito scaffale, me ne sono andato rimuginando quelle sprezzanti parole: “Orgoglioso di non essere uno di loro”.
Mr. Right