Originariamente Scritto da
Kremator
Una storia dei nostri giorni
Non molto tempo fa, in una città imprecisata del Nord italiano, v'era un uomo, non ricco, nè dotato di altre particolari qualità, ma gran lavoratore, onesto, scrupoloso, che s'era trasferito dal suo paese natale, nel Sud, in suddetta imprecisata città, poichè, pur sommamente desideroso di lavorare, come spesso accadeva e accade, nel suo paese natale non riusciva a trovare lavoro.
Egli lavorava come semplice operaio in un'imprecisata fabbrica; non guadagnava molto, ma grazie al suo impegno e alla sua parsimonia, riusciva a mettere qualcosa da parte, con l'intento di crearsi una sua famiglia.
Sicchè, per farla breve, riuscì a trovarsi una donna, più o meno della sua stessa condizione, e decisero di sposarsi. Con grandi sacrifici, l'uomo riuscì a comprare una piccola casa (col mutuo, s'intende) e garantire alla consorte una vita, abbastanza tranquilla, in previsione della futura figliolanza.
In verità, il poveretto si spaccava davvero la schiena in quella fabbrica: entrava alle 6 di mattina ed usciva alle 3 di notte, senza mai rincasare per una pausa o il pranzo, sempre ligio e obbediente alle direttive dei suoi superiori.
La fatica del buon uomo fu ben presto ripagata: come detto, infatti, la moglie rimase incinta e partorì un bambino, il suo primogenito. Stranamente, il piccolo aveva alquanto inusuali tratti africani, ma tant'è, i genitori non ci facevano caso, essendo il padre d'origini meridionali; forse, dicevano, avrà preso da qualche antenato saraceno.
Ma la realtà, come spesso accade, era molto meno poetica: infatti, fin dall'inizio del matrimonio, mentre il marito lavorava alacremente in fabbrica, per il bene della famigliola, la moglie, sotto lo stesso tetto coniugale, s'incontrava col vucumprà senegalese che di solito stazionava sotto casa, divenuto il suo amante; ed erano incontri assai piacevoli, e lunghi, e la donna, sempre all'oscuro del povero marito, che nulla sospettava (e che sperabilmente nulla avrebbe dovuto sospettare), rimase incinta di lui.
Col passare del tempo, il bimbo cresceva, sempre meno somigliante al padre apparente (che pur, accecato dall'affetto per il piccolo, nulla sospettava), e il trastullo della donna, ignaro il marito, continuava: lei e il suo amante infatti pianificavano di dare un fratellino al primogenito.
Come spesso accade, però, questo felice equilibro venne a rompersi, a causa d'un evento inaspettato.
Quella mattina, era di primavera, il padre di famiglia se ne andò a lavoro come al solito, pronto a sgobbare per mantenere l'amata famigliola. Quando però giunse alla fabbrica, l'accolse una sorpresa: era stato indetto uno sciopero senza preavviso, per motivi che non staremo qui ad esplicare, e tutto era stato bloccato. Il pover'uomo, desideroso di guadagnarsi la giornata, tentò d'entrare comunque nella fabbrica; ma non vi fu proprio verso. Non gli rimase dunque che tornare a casa, dove la moglie e il suo amante colorato nel frattempo stavano dandosi a lieto convegno, nulla sospettando di ciò che sarebbe poi avvenuto.
Appena aperta la porticina della piccola alcova familiare, fu accolto da strani rumori, che provenivano dalla camera da letto: i tipici rumori causati da un'accoppiamento furioso. Un brivido freddo attraversò la schiena dell'uomo. Si diresse verso la stanza del talamo, e trovandovi la portà già aperta, entrò, per trovarsi di fronte a una scena agghicciante. Per amor del buon costume, non riferiremo la scena dei dettagli; si sappia solo che il pover uomo si trovò di fronte alla sposa e al vucumprà che, avvinghianti come un demone e un'anima dannata all'inferno, urlavano e si dibattevano come forsennati, in preda al furore erotico, un furore che, invero, la donna non aveva mai provato insieme al legittimo consorte.
Vista la scena, completamente abbattuto, il pover'uomo non ebbe nemmeno la forza di farsi valere, nè tantomeno di protestare; rimase a guardare lì, immobile, mentre i due amanti adulterini, accortisi dopo un po' della sua presenza, finalmente si separavano. Sembrava quasi che quei brevi attimi fossero durati una vita. In quel momento, l'uomo, fra l'altro, divenne consapevole che il suo amato primogenito, in realtà, non era suo.
Ripresosi dalla shock, abbandonò la casa, imprecando e proclamando di volere il divorzio, com'era del resto logico e naturale. Ma la cura fu anche peggiore del male. Come succede assai spesso, infatti, i giudici diedero del tutto ragione alla moglie: l'uomo fu costretto a cedere la casa a lei e all'amante (ormai trasferitosi lì in pianta stabile), oltre che a pagare una somma cospicua in alimenti, per il bambino spurio e per la moglie.
In breve, quel poco che il disgraziato aveva costruito, a suon di fatica e sacrifici, spaccandosi la schiena giorno e notte, lavorando come e più d'un mulo, andò in fumo, insieme alle sue illusioni, così come infranti furono i suoi (folli?) sogni.
Per mantenere sè stesso, e pagare i cospicui alimenti, dovette continuare a lavorare come prima, ma ormai non nè aveva più la voglia (anche perchè, come prevedibile, era diventato lo zimbello della fabbrica), nè tantomeno un tetto sopra la testa; decise così d'abbandonare tutto e di darsi alla vita di strada.
Oggi, si dice viva in una baracca, in un'imprecisata zona periferica, mantenendosi facendo da prostituta per gl'immigrati della zona.