“C’è una pista per moto [a Tel Aviv] dove abbiamo ricevuto l’addestramento. Ci hanno insegnato ad attaccare bombe magnetiche sulle auto in movimento e scappare velocemente. [...] Poi ci hanno dato delle bombe a orologeria con un timer che dovevamo attivare una volta attaccata la bomba. [...] Alla fine del corso di addestramento, ci hanno dato dei soldi e hanno organizzato il nostro ritorno [in Iran]”. Con queste parole Arash Kheradkish, uno dei tredici cittadini iraniani accusato di aver ucciso quattro scienziati nucleari e studiosi in Iran dal 2010 a oggi, ha raccontato il proprio coinvolgimento negli omicidi, in un video diffuso dalla televisione iraniana.
Il 10 gennaio del 2012, davanti l’università Allameh Tabatabai di Teheran, due persone su una moto si accostarono alla Peugeot 405 su cui viaggiava Mustafa Ahmadi-Roshan (32 anni e vicedirettore dell’ufficio commerciale dell’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz), attaccarono una bomba magnetica all’auto e fuggirono. Poco dopo l’ordigno esplose, uccidendo sul colpo lo scienziato, ferendo a morte l’autista e la guardia del corpo che si trovava nell’auto, e colpendo gravemente un passante. Tempo prima, il 29 settembre del 2010, altri motociclisti piazzarono due ordigni sotto le auto di Majid Shahriari, responsabile del progetto sui reattori nucleari, e Fereydoon Abbasi-Davani, uno dei più importanti specialisti iraniani nel settore dei laser utilizzati dal ministero della Difesa. Il primo morì nell’esplosione, mentre Abbasi-Davani riuscì a salvarsi e ora dirige l’Organizzazione atomica iraniana.
Nel video-confessione diffuso ieri appare anche Jamali Fashi, condannato e giustiziato a maggio scorso per l’omicidio del professore di fisica nucleare all’università di Teheran Massoud Ali Mohammadi, ucciso all’inizio del 2010 dall’esplosione di una moto-bomba mentre usciva dalla sua abitazione. La magistratura rilevò che Fashi aveva agito per conto del Mossad dietro il pagamento di 120mila dollari. Maziar Ebrahimi, un altro dei tredici accusati che appaiono nel video – otto uomini e cinque donne – spiega di essere stato “inviato in Israele per imparare a maneggiare gli esplosivi e di aver ricevuto addestramenti militari”. Segue la confessione di Behzad Abdoli, che racconta di essere “andato in Turchia e da lì aver preso una nave per andare a Cipro. E da lì per Israele, verso una piccola città vicino a Tel Aviv”.
La messa in onda del video delle confessioni degli arrestati, i quali spiegano anche di aver ricevuto ordini da “Washington e da Londra”, era stata annunciata nelle scorse settimane dal ministro dell’Intelligence iraniano, Heydar Moslehi, in occasione del primo anniversario della morte di Dariush Rezainejad, uno studente di ingegneria freddato da due killer in moto e inizialmente erroneamente identificato in Darioush Rezaei, un professore di fisica esperto di neutroni. Qualche settimana dopo la morte di Rezainejad, una fonte dei servizi segreti israeliani dichiarò al quotidiano tedesco Der Spiegel che l’omicidio era stata “la prima azione importante di Tamir Pardo”, il nuovo capo del Mossad subentrato a Dagan.
Qualche tempo dopo, un’inchiesta pubblicata a febbraio scorso dalla NBC News riportò diverse testimonianze, tra le quali anche le conferme di due funzionari Usa, che confermavano la mano israeliana dietro gli attacchi, attraverso anche la collaborazione dei Mujaheddin del Popolo (Mek), un’organizzazione di esuli iraniani anti-Teheran che in passato è stata protagonista di diversi attentati contro la Repubblica Islamica.
Nonostante le accuse delle autorità iraniane, sia il Mek che gli Usa hanno sempre negato con forza qualsiasi coinvolgimento nelle uccisioni degli scienziati. In precedenza fonti statunitensi hanno persino accusato il Mossad di essersi spacciato per la Cia per reclutare gruppi di terroristi sunniti (in particolare il famigerato Jundallah) contro Teheran. Da parte loro, come da prassi, gli israeliani non confermano né smentiscono il loro ruolo nelle “misteriose” morti tra gli scienziati iraniani, preferendo ribattere con maliziosa ambiguità alle domande in proposito.
Secondo un recente libro inchiesta dei giornalisti israeliani Yossi Melman e Dav Ravin, Spies against Armageddon: inside Israel’s secret wars, dietro gli omicidi ci sarebbe un’esclusiva unità del Mossad chiamata Kidon (Baionetta), composta da agenti sotto copertura originari di Paesi arabi o, soprattutto, dell’Iran, addestrati a portare a termine operazioni clandestine di assassinio e sabotaggio mirato. Secondo gli autori del libro uscito lo scorso mese, il principale obiettivo della campagna di omicidi non è tanto interrompere il programma nucleare iraniano, dato che gli scienziati uccisi vengono sostituiti, bensì “spedire un messaggio chiaro agli iraniani e agli scienziati degli altri Paesi che intendono lavorare per il programma nucleare”. È come se, spiegano, “il Mossad dicesse loro: ‘Restate nelle vostre aule e godetevi la vita universitaria, ma non aiutate l’Iran a diventare una potenza atomica, o le vostre vite potrebbero finire prima del previsto con un proiettile o una bomba’”.
Confessano gli assassini degli scienziati iraniani | Esteri | Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale