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    Predefinito La scacchiera di Adam Smith

    Riporto qui il pezzo memorabile (e saggio) di Barbara Spinelli di oggi sul lavoro e su che cosa si intende per "sistema economico". Lo posto qui perchè servirebbe veramente TANTO a chi vaneggia di sistemi economici senza averne capito la reale valenza.
    Ma so già che chi lo leggerà (perlomeno qui) non ne trarrà alcun beneficio. Ma devo farlo lo stesso.

    La scacchiera di Adam Smith
    di BARBARA SPINELLI

    OLTRE un decennio è passato, e ancora in Italia si inveisce contro un articolo dello Statuto dei lavoratori che incendia gli animi come se possedesse vizi ferali, da cui deriverebbero tutti i mali.

    Possibile che in piena recessione, con la disoccupazione giovanile salita al 32 per cento, l'infelicità e il malessere dipendano in modo così totale dalla tutela giuridica del lavoratore allontanato per falsi motivi economici, contemplata nell'articolo 18?

    Possibile che i pochi casi di reintegrazione dei licenziati (un migliaio in 10 anni) siano a tal punto distruttivi della ripresa, della stabilità economica, della reputazione esterna, dell'interesse di investitori stranieri? Neppure la Confindustria pare crederci, tanto che il nuovo presidente, Squinzi, considera la burocrazia ben più devastante dell'articolo 18 ("Non è l'articolo a fermare lo sviluppo").

    Né si può abusare dell'Europa: la lettera della Bce non parla nei dettagli dell'articolo, ma di una "revisione delle norme che regolano assunzione e licenziamento (...), stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro". Le autorità europee sono "indifferenti alle classi" (class-indifferent), ha detto un economista greco, Yanis Varoufakis: fissano obiettivi, non come raggiungerli.

    Se i detrattori dell'articolo 18 sono così rigidi vuol dire che dietro la loro battaglia c'è un'ideologia forte, restia alle confutazioni. C'era in Berlusconi, ma c'è anche in quello che Ezio Mauro chiama "integralismo accademico". Una norma dello Statuto diventa sineddoche, cioè la parte che spiega il tutto: come quando si dice vela e s'intende nave. Si dice articolo 18 ma s'intende la filosofia, la genealogia, la storia dell'incandescente articolo. Con questa filosofia e questa storia si regolano i conti, e più precisamente con alcuni principi base della socialdemocrazia: lo Statuto dei lavoratori del '70, e la concertazione praticata nei primi '90 tra governi, imprenditori, sindacati.

    Ambedue sono la riposta che la nostra classe dirigente seppe dare al ribellismo sociale, nonché al terrorismo. Ambedue generarono un Patto sociale permanente che in Italia era inconsueto, che consentì ai sindacati di preferire le riforme alla rivoluzione o ai particolarismi rivendicativi. Che li spinse a unirsi, a rendersi autonomi dai partiti. Che diede loro un'inedita padronanza di sé, del destino nazionale (Amartya Sen parla di empowerment, di potere su di sé dato agli emarginati, perché diventino cittadini responsabili).

    Tutto questo è socialdemocrazia, non comunismo o consociativismo: anche se da noi il nome era altro. Chi se la prende con tale patrimonio trucca un po' le carte. La crisi del 2007-2008 non sembra passata da queste parti, intaccando vecchi dogmi e anatemi: per molti resta una storia raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che prodigiosamente colpevolizza non i mercati poco imbrigliati, ma le riforme socialdemocratiche e la carta d'identità dell'Europa postbellica che è stata la creazione (non a caso concepita durante la guerra) del Welfare.

    È così che alcune parole decadono, annerite: la concertazione, il consenso o dialogo sociale. Perfino dialettica è parola invisa a chi, certo d'avere scienza infusa, non vede che il conflitto di idee e progetti è sale della democrazia.

    Vale dunque la pena ripensare gli anni '70-'90, che produssero la variante socialdemocratica italiana che è il patto sociale permanente. Lo Statuto dei lavoratori, divenuto legge nel '70, viene approvato dal Senato il giorno dopo Piazza Fontana. La concertazione e la politica dei redditi furono perfezionate da Amato e Ciampi nel '92 e '93, quando un sistema politico infettato dalla corruzione e tanto più vulnerabile al terrorismo venne messo in riga da Mani Pulite.

    Salvaguardare la coesione sociale d'un Paese così provato era prioritario, e per ottenerla fu inventata non una democrazia più autoritaria ma più plurale, che del conflitto sapesse far tesoro "coinvolgendo (sono parole di Gino Giugni, ministro del lavoro di Ciampi) una platea di soggetti assai più ampia di quella uscita dal voto".

    Sin dal '94 Berlusconi mise in questione tale eredità. La concertazione divenne il nemico, come testimonia il Libro Bianco sul lavoro presentato nel 2001 dal ministro del Welfare Maroni: la codecisione doveva finire, soppiantata da mere consultazioni. Che il bersaglio non fosse il comunismo ma la socialdemocrazia è attestato dalla biografia di Giugni: è nel partito socialdemocratico di Saragat che il padre della concertazione si fece le ossa.

    In un libro-intervista del 2003, Giugni disse che con lo Statuto dei lavoratori "la Costituzione entrò in fabbrica", e che la concertazione rese la democrazia più plurale, efficace: "Perché ci sia intesa bisogna partire dalla diversità", scrisse, aggiungendo che la critica della concertazione in nome delle prerogative sovrane del Parlamento era infondata, anche quando veniva da economisti illustri come Mario Monti (Giugni, La lunga marcia della concertazione, Mulino).

    Gino Giugni fu gambizzato nell'83 dalle Br. Altri economisti a lui vicini, riformatori del diritto del lavoro, furono assassinati (Tarantelli, D'Antona, Biagi). Tutti erano fautori della concertazione. Ricordiamo quel che disse D'Antona, sull'articolo 18 e la reintegrazione dell'operaio licenziato per fittizi motivi economici: "Il superamento delle forme più rigide di garantismo può portare a rivedere in cosa consiste un licenziamento legittimo, ma non a sottoporre a revisione i rimedi che si offrono nei confronti dei licenziamenti non rispondenti a tale requisito". Il regolamento dei conti non è finito, con un'epoca che vide congiungersi concertazione, lotta alla corruzione, antimafia. Noi commemoriamo Falcone e Borsellino, e Tarantelli, D'Antona, Biagi. Ma volentieri ne dimentichiamo i metodi e le fedi.

    Dicono che l'articolo 18 non ha da essere tabù, e certo i difetti non mancano: i processi sterminati sono fonte d'incertezza. Ma i tabù sono materia combustibile, non si spengono senza pericolo. Ci deve essere una ragione per cui all'articolo s'aggrappa anche chi - precario, disoccupato - non ne usufruisce. Anche chi, col tristo nome di esodato, non ha più lavoro e non ancora pensione. Esistono tabù civilizzatori, eretti contro future derive. I tabù non sono idoli, feticci. È colma di tabù, l'Europa uscita da guerre e dittature che fecero strame di antichi divieti (non ucciderai, non negherai giustizia alla vedova e all'orfano, ai deboli e diversi). Per Hitler era tabù intollerabile anche il Decalogo.

    Gli economisti neo-liberali che denunciano mercati troppo regolati hanno forse in mente una società perfetta, che funziona senza lentezze né dubbi. Si dicono ispirati da Adam Smith. Ma Smith teorizzò la mano invisibile che in un libero mercato trasforma l'interesse egoista in pubblica virtù, restando il filosofo morale che era. In quanto tale se la prese con gli ideologi, chiamati "uomini animati da spirito di sistema".

    L'uomo di sistema, scrive nella Teoria dei sentimenti morali, "tende a essere molto saggio nel suo giudizio e spesso è talmente innamorato della presunta bellezza del suo progetto ideale di governo, che non riesce a tollerare la minima deviazione da esso. Sembra ritenere di poter sistemare i membri di una grande società con la stessa facilità con cui sistema i pezzi su una scacchiera.(...) Nella grande scacchiera della società umana ogni singolo pezzo ha un principio di moto autonomo, del tutto diverso da quello che la legislazione può decidere di imporgli".

    Forse vale la pena rileggere Smith il moralizzatore, oltre che l'economista: l'avversario di tutti coloro che "inebriati dalla bellezza immaginaria di sistemi ideali" si lasciano ingannare dai loro stessi sofismi, e alla società chiedono troppo, non ottenendo nulla.
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    ah, delle argomentazioni nuove e per nulla ideologiche

  3. #3
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    Quindi la Spinelli prima si inventa una presunta rigidità ideale che non esiste perchè il sistema che Monti o la BCE vorrebbero già è un compromesso tra liberismo e statalismo lontanissimo dal modello di Smith, poi prende una massima morale di Smith che potrebbe valere per qualunque ideologia (e Dio sa quanto valga di più per la CGIL che per Monti) e la applica con invidiabile faccia tosta epr dire che in pratica non si deve cambiare nulla dell'esistente perchè il meglio è il periodo della concertazione dal 1970 al 1994, ovvero il periodo in cui è decollato il debito pubblico, in cui hanno speso a destra e manca riversando sui figli i debiti, come se non ci fosse un domani. Una faccia di m... invidiabile.
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  4. #4
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    Praticamente non dimostra che il liberismo è sbagliato, ma che siccome qualcuno potrebbe mettersi a sparare meglio la social democrazia, modo geniale per dimostrare di aver ragione.

  5. #5
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    'avversario di tutti coloro che "inebriati dalla bellezza immaginaria di sistemi ideali" si lasciano ingannare dai loro stessi sofismi, e alla società chiedono troppo, non ottenendo nulla.
    questa è la descrizione dei comunisti, anche quando l'urss entrava nelle capitali dell'est europa con i carri armati loro dicevano che il comunismo reale era il paradiso.

  6. #6
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    Thread SPAZZATURA


  7. #7
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    « Gli italiani non sono solo consumatori-contribuenti ma cittadini con il diritto di sapere il tempo da cui vengono e quello verso cui vanno »

  8. #8
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    Citazione Originariamente Scritto da Iannis Visualizza Messaggio
    Quindi la Spinelli prima si inventa una presunta rigidità ideale che non esiste perchè il sistema che Monti o la BCE vorrebbero già è un compromesso tra liberismo e statalismo lontanissimo dal modello di Smith, poi prende una massima morale di Smith che potrebbe valere per qualunque ideologia (e Dio sa quanto valga di più per la CGIL che per Monti) e la applica con invidiabile faccia tosta epr dire che in pratica non si deve cambiare nulla dell'esistente perchè il meglio è il periodo della concertazione dal 1970 al 1994, ovvero il periodo in cui è decollato il debito pubblico, in cui hanno speso a destra e manca riversando sui figli i debiti, come se non ci fosse un domani. Una faccia di m... invidiabile.
    Il debito è decollato con Craxi e poi successivamente con Berlusconi, suo "figlio" adottivo. La concertazione "di per sè" con il debito c'entra ben poco, c'entra molto di piu' il malaffare e la corruzione. E ben vale l'esempio di Ciampi che riusci ad evitare la crisi (e l'affogamento derivato dalle politiche craxiane, che ben ricordo POCO avevano di "concertato" e TANTOMENO con la CGIL (leggasi Scala Mobile) ) PROPRIO con la concertazione.
    Evitiamo di dire stupidaggini.
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  9. #9
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    Citazione Originariamente Scritto da Zaccanasta Visualizza Messaggio
    Praticamente non dimostra che il liberismo è sbagliato, ma che siccome qualcuno potrebbe mettersi a sparare meglio la social democrazia, modo geniale per dimostrare di aver ragione.
    Le dottrine economiche DOVREBBERO (e mica ci riescono) servire per applicarle ai cittadini e farli stare meglio. Senno' il comunismo aveva ragione. E debito pubblico il comunismo NON ne faceva. Faceva molto piu' semplicemente crepare di fame.
    Se poi uno teorizza statisticamente il pollo di trilussa ovvero che se c'è 1 ricchissimo e un miliardo di poveri siamo mediamente ricchi, allora è meglio che si dia all'ippica.
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  10. #10
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    Predefinito Re: La scacchiera di Adam Smith

    Ho la netta impressione che ci sia un difetto di comprensione delle attuali dinamiche. Che, in realtà, si sia in presenza di un oriente snello e veloce (per vari motivi che non occorre indicare) e di un occidente pesante e lento. E che per competere (a meno che non si auspichi che l'oriente torni a morire di fame, con le buone o con le cattive, che però non mi sembra proprio un concetto di sinistra) sia necessario essere più flessibili, meno rigidi ed irrigiti dallo Stato.

    Che solo la possibilità di provarci, a costi anche burocratici e fiscali inferiori, possa favorire la creatività. E possa svilupparsi quel capitale umano che in occidente abbonda.

 

 
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