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Discussione: I megaliti

  1. #21
    mai, eh...
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    Predefinito Rif: I megaliti

    Segnalo anche le mura megalitiche di Alatri, nel Lazio, e quelle di Amelia.
    Gli storici datano quelle di Alatri al VI secolo avanti, ma lo fanno perché non possono immaginare che una civiltà più primitiva possedesse la tecnologia necessaria, ma la verità è che non si sa.
    Evidentemente, se sono anteriori, coloro che le hanno costruite erano dei giganti, oppure usavano "tecniche" diverse da quelle meccaniche.
    Questo vale per tutte le costruzioni ciclopiche, anche perché spesso la pietra utilizzata non era neanche locale (come nel caso di Newgrange, in Irlanda, dove le pietre di quarzo bianco che riflettono la luce all'alba del solstizio invernale provengono da molte miglia di distanza).

    Vi invito a leggere questo interessante articolo sui "Teschi Cabirici"
    http://www.simmetria.org/46-articoli...eschi-cabirici
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 15-01-17 alle 17:57

    "I don't make any rules, Nick, I go with the flow."

  2. #22
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    Predefinito Rif: I megaliti

    MEGALITI DI DARTMOOR LEGATI A CULTI DELLA MORTE?


    Secondo uno studio pubblicato nello scorso aprile sulla rivista British Archaeology, i nove megaliti scoperti nel 2004 presso Dartmoor, in Inghilterra, hanno caratteristiche in comune con Stonehenge: entrambi i siti presentano pietre verticali di grandi dimensioni allineate per segnare il sorgere del sole di mezza estate e il tramonto del sole in pieno inverno.

    Lo studioso Mike Pitts ha elaborato una teoria sulla possibile destinazione di questo complesso megalitico datato 3.500 anni prima di Cristo, quindi più antico di Stonehenge. Secondo l'archeologo, l'impressione che si ha osservando i megaliti (e i reperti nei dintorni, in particolare grandi quantità di ossa di maiale abbrustolite) è che non fossero legati al culto del Sole, bensì che il ciclo solare degli equinozi e dei solstizi fosse solo un sistema calendariale per gestire le ricorrenze. In particolare Pitts ritiene che l’allineamento con i solstizi potrebbe avere qualcosa a che fare con un culto legato alla morte: il tramonto del sole e i giorni più brevi d'inverno avrebbero rappresentato il passaggio nel buio del mondo sotterraneo, mentre l'allungarsi delle giornate la rinascita.

    La datazione delle pietre di Dartmoor è stata fortunosa: i megaliti infatti furono abbattuti e mai più rialzati (come invece è accaduto per Stonehenge) e il paragone fra le parti esposte all'aria e alla luce e quelle a contatto col terreno ha consentito di ricavare con una certa precisione l'età dei megaliti.


    Fonti: Storia In Rete e Discovery News

    (19 aprile 2010)


    Ultima modifica di Silvia; 03-06-10 alle 23:46

  3. #23
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    Predefinito Rif: I megaliti



    Storia del Piloton

    di Alberto Solinas

    La costruzione di megaliti (la parola deriva dal greco, e vuol dire “grosse pietre”) iniziò dopo la scoperta dell’agricoltura; quel termine viene impiegato per definire qualsiasi struttura architettonica costituita da grandi massi.

    I betili sono il tipo più semplice di megalito. Il loro nome deriva forse dall’ebraico beth ’El, che significa “casa di Dio”; questo termine è valido per l’area mediterranea, mentre nei paesi atlantici e baltici i betili vengono chiamati con la parola bretone menhir (che significa “pietra lunga”).

    Per l’uomo primitivo il betilo era una pietra sacra: egli pensava che fosse animata di vita divina e che talvolta impersonasse il Dio stesso. Oggi, è accertato che attorno al betilo si svolgevano cerimonie a sfondo magico-religioso rivolte anche a favorire la fertilità sia umana che della terra (maschio-femmina, seme-terra, sole-luna), come se nella pietra si celasse uno spirito fecondatore.

    I betili sono pietre a forma allungata di varia grandezza, grezze o parzialmente scolpite. Rappresentano il corpo umano o i suoi elementi sessuali sia maschili che femminili. La forma del betilo suggerisce: per quello maschile la forma del fallo; quello femminile reca scolpite delle mammelle sia in rilievo e sia in negativo a forma di coppe. In queste ultime, i “primitivi” attuali inseriscono delle palle di grasso, che con il calore del Sole si sciolgono e ungono la pietra. Spesso il betilo tende ad un colore particolare: il rosso o il bianco.

    Secondo la tradizione il colore rosso indicava il vigore solare associato all’energia maschile, mentre il bianco simboleggiava la forza lunare racchiusa nella fertilità femminile. Infatti il Sole è l’astro che dà forza e calore a tutte le creature della Terra, mentre la Luna influenza la germinazione delle piante e la rugiada notturna le mantiene in vita nei periodi di siccità. Tra l’altro, gli uomini di quel tempo dovevano aver colto la corrispondenza dei cicli fecondativi della donna con quelli lunari.

    Queste pietre più o meno grandi venivano conficcate verticalmente sul terreno e pertanto oggi vengono chiamate “pietre fitte”, o “pietre dritte” e sono ancora considerate elementi sacri in molte aree.

    La più antica testimonianza scritta della presenza di betili la troviamo nella Bibbia: «Giacobbe giunse a Caran e passò la notte, prese una delle pietre del posto e la usò come guanciale e fece un sogno. Sognò una scala appoggiata sulla terra e la sua cima arrivava fino al cielo, gli angeli di Dio salivano e scendevano e il Signore stata sopra di essa... Svegliatosi dal sonno Giacobbe disse: “Veramente il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo”... “Quanto è degno di venerazione questo luogo. Questo non è altro che la casa di Dio e la porta del cielo”... Quindi Giacobbe, prese la pietra che aveva usato come capezzale, la eresse in cippo e versò dell’olio sulla sua sommità, e dette a quel luogo il nome di Betel... “E questa pietra che ho eretto in cippo diventerà la casa di Dio”» (Genesi, 28,10).

    Queste poche righe ci spiegano la funzione del betilo che unisce la terra al cielo e su di esso stava il Dio, il luogo dove è collocato diventa sacro; perciò tutti i posti sacri devono possedere il betilo. Questo è confermato dalle popolazioni “primitive”, e non, tutti usiamo tuttora compiere riti religiosi attorno ai betili.

    Il clero cristiano condannò il culto dei betili, ma visto che le forme repressive nei confronti del popolino pagano che adorava queste pietre davano modesti risultati, cercò il compromesso: le pietre sacre vennero “battezzate”, si diede loro il nome di una santa o di un santo, vi si scolpì o si pose sopra una croce e in alcuni casi vi si issarono sopra statue di santi.

    L’esempio più noto è quello della colonna di Santa Brigida in Bretagna, che è tuttora meta di giovani donne non sposate. Queste donne salgono tre volte sopra la pietra lasciandosi poi scivolare verso il basso ripetendo il nome dell’amato desiderato, oppure più semplicemente abbracciano il monolito posando l’orecchio alla pietra nella speranza che questa riveli loro se si potranno sposare.

    La regione ricca di betili più vicina a noi è la Sardegna, ove i primi betili risalgono a circa 5000 anni fa (verso la fine del Neolitico). In un primo momento erano erette verticalmente pietre rozze nei luoghi sacri. Con l’Età del Rame, i betili vengono sbozzati a colonna; nell’Età del Bronzo medio (circa 3300 anni fa) assumono caratteri sessuali più evidenti: i maschili con forme cilindriche con la sommità spianata o concava, i femminili con forme troncoconiche; trecento anni dopo i betili prendono forme antropomorfe. In epoca punica e romana vengono costruiti con forme più plastiche, presentandosi come colonne lisce e regolari, mentre i più piccoli recano a volte delle sculture, questo ci permette di ricostruire i riti che si svolgevano attorno ad essi.

    Il folclore sardo è ancora legato alle pedras fittas o longa (i Sardi hanno adorato i betili almeno sino al papato di S. Gregorio Magno, 590-604), perciò possiamo comprendere più facilmente l’utilizzazione di tali pietre da parte dell’uomo e il significato rivestito da queste. Nella tradizione orale i sardi associano ai betili figure mitiche oppure santi, o anche cattivi cristiani pietrificati. Un nome ricorrente è quello di sa Perda de Luxia Rajosa (la Pietra di Lucia Radiosa), una fata o la santa martire siciliana che viene invocata per propiziare la fertilità e la vita. Si sa che il popolo ritiene che il giorno di S. Lucia coincida con il solstizio d’inverno.

    Sino a qualche decennio fa, nel Veronese non erano ancora stati individuati dei betili anche se alcuni toponimi potevano farne supporre l’esistenza. Tra questi “la Pozza de la Prea Drita” presso San Zeno di Montagna sul M. Baldo, ove una pietra lastriforme di notevoli dimensioni si ergeva nel mezzo di una pozza d’acqua. Purtroppo questa pietra andò distrutta per farne calce circa 40 anni fa. Poteva trattarsi di una stele o, forse, di un betilo; i betili sardi che sorgono in aree umide portano sovente il nome di Jorgià Rajosa (Giorgia Radiosa) nome di una fata-maga o dea madre dell’acqua associata ai festeggiamenti del1’equinozio di primavera, celebrati il 23 aprile.

    Il prof. Mario Gecchele mi informava che in Val d’Alpone a ovest del Monte Birón durante i lavori agricoli vennero spostati tre grossi massi longilinei. Mi recai sul posto e i tre monoliti mi diedero subito l’impressione di essere tre betili, infatti il raggruppamento di tre – del tipo “triade sacra” – è tra i più diffusi. Essi sono in basalto colonnare, e le rocce di questo genere non si trovano sul luogo, ma nella vallata opposta oppure quasi sulla sommità dei monti Belloca e Coleara, lontani dal Birón, perciò qualcheduno doveva averli portati sul posto.

    Questo potrebbe essere stato fatto dagli abitanti del vicino villaggio preistorico del Monte Birón, abitato ininterrottamente per circa 3000 anni: dal Neolitico all’inizio dell’età del Ferro.

    Infine, le loro misure possono corrispondere a quelle dei betili: il più grande presenta una lunghezza di circa 4 m e una circonferenza di oltre 5 m; gli altri due sono lunghi uno circa 3 m e l’altro 2,75 m; per una circonferenza di circa 4 m.

    Lo stesso giorno raccolsi una curiosa leggenda raccontata dal sig. Berto Gazzo di 70 anni: “Per far filò, i miei zii mi raccontavano che sul Monte Birón c’erano le anguane (streghe), che vivevano nelle tane dell’acqua (in effetti, nelle vicinanze ci sono delle sorgenti). La madrina degli zii non credendo nella loro esistenza, per metterle alla prova, le chiamò dalla cima del Monte Birón e le sfidò a lasciare un segno della loro presenza. Il giorno dopo, in contrada Birón, sulla finestra della sua casa, la madrina trovò con orrore, appesa, una gamba intera d’uomo”. L’amico Giovanni Rapelli rileva che la leggenda mostra influssi cimbri (la gamba umana appesa), ma che per il resto vi potrebbe essere il riferimento a un antico luogo di culto locale.

    È doveroso far notare ai nostri lettori un particolare curioso: i toponimi Monte Pipaldolo, Monte Birón, Monte d’Accoddi (in dialetto sassarese significa Monte del Coito), sono legati all’etimologia sessuale; e i nostri betili o menhir preistorici sono finora – secondo le mie conoscenze – gli unici della nostra penisola.

    La pietra fitta più curiosa si trova sulla dorsale a Ovest di Montorio a Nord del Forte Austriaco sulla strada detta appunto della Preafita. Oggi questo monolito colonnare in pietra bianca è ridotto di altezza, perché mi è stato raccontato da una persona anziana del luogo, che fino a pochi anni fa nei pressi del Pilotón esisteva un roccolo (difatti la casa vicina si chiama Roccolo) e ai cacciatori dava fastidio il Pilotón così alto e pensarono bene di abbassarlo con la mazza; i pezzi rotti si trovano attorno al Pilotón.

    Una domenica, il 13 maggio 1950, nel corso di una delle tante passeggiate archeologiche fatte con mio padre, ricordo bene, avevo 10 anni, venni issato sul Pilotón sul quale notai un avvallamento con infisso un moncone di ferro, forse la base di una croce. Poi misurammo il monolito: era alto 3,20 m sul terreno, la circonferenza alla base era di 2,05 m e alla sommità di 1,80 m. Data la forma regolare, mio padre ritenne trattarsi di un betilo di età romana, quando si associavano le pietre termini che delimitavano i confini con il culto al Dio Termine. Infatti un toponimo del luogo era Terminon; qui, durante il Regno Lombardo Veneto, tra l’altro si incontravano i confini dei comuni di Poiano, S. Maria in Stelle, Montorio e Castel S. Felice.

    L’anno dopo Umberto Grancelli – grande amico di mio padre – scrisse sul “L’Arena”, In Valpantena scoperto un menhir e lo classificò di età romana. Sempre Grancelli nel 1964 scrisse Il piano di fondazione di Verona Romana, e il fulcro della fondazione di Verona è il Pilotón. Questo libro venne contestato – e lo è tuttora –, tanto che Umberto sulla rivista Vita Veronese del 1968 scrisse un articolo in risposta ai contestatori i quali affermavano che Verona è stata orientata pressappoco sui quattro punti cardinali; il cardo è Via Cappello-S. Egidio e non Via Pellicciai-Santa Maria in Chiavica; e il Pilotón è una rozza colonna senza significato.

    Nella primavera del 1977 riesaminai quel Terminon confrontandolo con i betili sardi, prima di tutto era stato “battezzato” con due croci incise poco sotto la rottura causata dai cacciatori; e giunsi alla conclusione che la sua origine doveva essere più antica e connessa con il villaggio del Monte Pipaldolo che risale al Bronzo Medio (circa 3500 anni fa). Nella zona esistono tre villaggi di questa età: Forte Preara, Monte Pipaldolo e Monte Tesoro.

    Il sito di M. Pipaldolo si trova tra i primi due abitati ed è interpretabile come castelliere-santuario, dato che la sua alta piattaforma artificiale è simile a quella del villaggio-santuario sassarese di Monte d’Accoddi.

    Come abbiamo visto, i betili sono sempre collocati nei luoghi sacri e hanno lo scopo di propiziare fertilità. È noto che nel nostro dialetto, il pene viene chiamato pipolo o biri, quindi il monte avrebbe assunto il nome dal vicinissimo betilo.

    Nel tempo sorsero delle leggende attorno al nostro betilo, tra cui una simile a quella della colonna di Santa Brigida, secondo la quale appoggiando l’orecchio sul betilo si sentirebbero delle voci, il rumore di cavalli in corsa o le onde del mare.

    Il betilo assume la sua importanza sacrale anche perché essendo legato agli astri, dava la possibilità all’uomo di seguire gli spostamenti durante il giorno, la notte e negli anni degli astri. Poteva così calcolare l’anno agrario. Infatti se il betilo viene usato come gnomone, dava la possibilità di creare un calendario e quindi un orologio solare, lunare e stellare. Per esempio: per calcolare i solstizi bastava usare il betilo come mirino, osservare con precisione sull’orizzonte il punto dove appare al mattino del solstizio il primo bagliore del Sole nascente.

    Se a qualche decina di metri dal betilo mettiamo una seconda pietra lunga come riferimento, in corrispondenza della levata del Sole, si avrà la possibilità di riconoscere il giorno dal solstizio l’anno dopo. Così facendo per gli altri giorni si crearono degli allineamenti orientati su punti dell’orizzonte particolarmente interessanti astronomicamente, che a loro volta, divennero siti sacri. Come è noto su alcuni di questi luoghi sorsero poi le chiese cristiane.

    Sempre nel 1977 mi fu chiesto: Se il Pilotón fosse stato usato dai Romani per il piano di fondazione di Verona Romana come sosteneva Grancelli? Quindi decisi di verificare se Umberto aveva ragione o torto. In realtà lo studio non era difficile, a portata di mano erano i libri basilari: Dell’Architettura di Marco Vitruvio Pollione, il costruttore dell’arco dei Gavi, e De limitibus constituendis di Igino il Gromatico (Geometra), e considerando che: il Sole, il Pilotón e il Capitello di Piazza delle Erbe – conosciuto ingiustamente come berlina – non si sono mai mossi dal loro posto originale.

    Interessai all’argomento il prof. Giuliano Romano docente di storia dell’astronomia all’Università di Padova e massimo studioso di archeoastronomia in Italia, il quale mi mise in contatto con l’astrofilo veronese Flavio Castellani. Iniziammo così una serie di calcoli astronomici, tenendo come cardine il betilo in questione e l’orizzonte collinare intorno a noi.

    I risultati furono interessantissimi, per esempio: le due croci incise sul betilo erano espressione di orientamento, una era nella direzione del punto ove il Sole appare dietro la collina nel giorno del solstizio estivo (21 giugno), sul Pian di Castagnè, la seconda nella direzione opposta, cioè quando il Sole tramonta al solstizio invernale (21 dicembre); il castelliere dell’Età del Bronzo a nord di Verona, dove oggi vi è la torricella Austriaca n° 1, si trova dove il Sole tramonta all’equinozio di primavera e d’autunno (21 marzo, 23 settembre), perciò a Ovest; e il santuario della Madonna di Campagna a Sud.

    Nel 148 a.C. venne costruita la via Consolare Postumia, e logicamente iniziarono i lavori per la fondazione della Verona romana all’interno dell’ansa dell’Adige. Le norme seguite per la fondazione delle città romane avevano un orientamento diverso da quello canonico, con i lati o gli spigoli orientati ai quattro punti cardinali. Le altre regole erano: 1) l’assenso degli dei; 2) l’orientamento ad sidera (alle stelle); 3) il cardo (cardine) doveva seguire il percorso del Sole per far sì che tutti gli edifici potessero sfruttare al massimo la luce e nessun lato doveva essere né troppo caldo né troppo freddo; 4) le vie di comunicazione dovevano avere un facile accesso all’esterno della città.

    Perciò il sacerdote doveva scegliere il punto preciso del centro della futura città, cioè il Foro; decidere l’orientamento astronomico della città rispetto ai principali movimenti del Sole (solstizi ed equinozi).

    Nel caso di Verona si doveva adattare la città nell’ansa dell’Adige, che si presentava simile a una pianura. Perciò si potevano usare tutte le norme stabilite senza alcuna difficoltà.

    Dopo i nostri calcoli astronomici ci si accorse che il sacerdote (augure) che fondò la nostra città doveva conoscere il betilo di Montorio, perché lo scelse come punto di riferimento per orientare astronomicamente Verona.

    Infatti se tracciamo una linea attraverso tre mire: il Pilotón, il Capitello di Piazza delle Erbe e la chiesa del borgo cittadino di Santa Lucia si ottiene l’orientamento ad sidera di questa linea sul tramontare del Sole al solstizio d’inverno (21/12). Teniamo presente che sull’orizzonte astronomico la direzione dove sorge il sole al solstizio estivo, è diametralmente opposta a quella in cui tramonta al solstizio invernale e viceversa. Inoltre sembra che il più importante momento dell’anno fosse allora il solstizio invernale. Perché proprio in questo momento e non al sorgere del sole il 21 giugno come sosteneva Grancelli? Infatti dal Pilotón noi vediamo sorgere il Sole dietro le colline del Pian di Castagnè più spostato verso Nord, ma in effetti sull’orizzonte piano a est è nato prima. L’augure senza fare tanti calcoli trovò più comodo osservare il tramonto del Sole in una zona priva di ostacoli geomorfologici quindi piana e scelse la zona di Verona cioè l’area del borgo di Santa Lucia.

    Lungo questo orientamento l’augure doveva far incrociare perpendicolarmente sul cardo (Via Pellicciai-Santa Maria in Chiavica), la seconda via principale della città cioè il decumano (Via Cappello-Via S. Egidio). Essendo la città di forma quadrata, le due strade principali dovevano avere la stessa lunghezza. Infatti sono lunghe poco più di mezzo miglio romano, circa 750 e si incrociano perfettamente nel punto in cui sorge il Capitello. Tutte le strade, anche quella fluviale, hanno un facile accesso alla città.

    Come abbiamo notato sui luoghi principali sacri ai pagani sorsero in un secondo tempo le chiese cristiane. Nel nostro caso, lungo il percorso dell’orientamento del cardo, partendo da Est e andando verso Ovest, abbiamo chiese legate al santo del Solstizio d’estate dove sorge il Sole; vi è l’antichissima chiesetta dedicata a San Giovanni Battista, sul Pian di Castagnè. Seguendo a ritroso questa linea e partendo dalla chiesetta troviamo: il betilo, poi una delle più antiche e importanti chiese di Verona, quella di San Giovanni in Valle e il Capitello di Piazza delle Erbe. Prolungando sempre questa linea dal Capitello, abbiamo chiese dedicate alla santa del solstizio d’inverno: troviamo a metà di Corso Porta Palio, dopo il semaforo, guarda caso, l’antichissima chiesa – oggi sede del tribunale militare – del convento delle suore di Santa Lucia, e il Sole tramonta dove oggi si trova la più antica chiesa del borgo di Santa Lucia, che si trova spostata rispetto alla strada statale che ricalca il percorso della Postumia.

    Mentre, prolungando la linea del decumano troviamo la chiesetta di San Rocchetto sulla collina a Ovest di Quinzano. San Rocchetto, il Pilotón e il Capitello formano un triangolo astronomico perfetto. Difatti, osserviamo la posizione della chiesetta: stranamente si trova poco più bassa rispetto alla cima del colle, dove era logico sorgesse. Quella strana posizione era motivata perché si trovava vicinissima alla quota altimetrica del Pilotón: San Rocchetto quota 163 m sul livello del mare, Pilotón m 149 – calcolata con strumenti attuali –. Come si nota, il triangolo astronomico costruito dai Romani era perfetto in tutti i sensi. Sempre su questa chiesetta, inizialmente era una piccolissima cappellina fondata addirittura dal famosissimo Arcidiacono Ireneo Pacifico, nato nell’anno 776 e morto nell’844, ed era dedicata a Sant’Alessandro. I punti cardinali dell’Est e dell’Ovest si calcolano quando il Sole sorge e tramonta durante i giorni degli equinozi. Nel nostro caso sono indicati a Est dal Pilotón e a Ovest dalla cappellina di Sant’Alessandro.

    C’è da porsi un’altra domanda: perché è stata innalzata la chiesa di San Giovanni in Valle in quella posizione così infelice? Forse perché da quel punto abbiamo la possibilità di vedere dalla città – per la prima volta durante il giorno –, dove tramonta il Sole sull’orizzonte al solstizio d’inverno. Cioè San Giovanni in Valle si trova a 70 m sul livello del mare, come la chiesa di Santa Lucia, perciò sullo stesso livello altimetrico rispetto l’orizzonte.

    Tutto quello che ho scritto con l’aiuto di Flavio Castellani, è verificabile senza alcuna difficoltà, usando la semplice carta topografica al 25000, tavoletta Verona, foglio 49 III Nord-Ovest, un righello e un goniometro.

    In conclusione, il Pilotón sarebbe da restaurare con i pezzi mancanti che si trovano sulla sua base e valorizzarlo; e smettere di insegnare ai bambini che il cardo e Via Cappello - S. Egidio e il decumano Corso Porta Borsari - Corso S. Anastasia.

    Infine, teniamo presente che quei calcoli astronomici sono stati fatti con strumenti vecchi di oltre 2200 anni fa.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 15-01-17 alle 17:33

  4. #24
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    Predefinito Rif: I megaliti

    Cinzia Di Cianni

    LA MAGIA DI STONEHENGE È NELLA SUA MUSICA SEGRETA



    Alla scoperta della dimensione sonora. Nella preistoria e nell’antichità prevaleva su quella
    visiva, ma oggi l’abbiamo perduta. Ogni parola sussurrata nel centro dell’arena
    produce nove echi distinti. Alcune frequenze favoriscono la trance tipica dei riti arcaici.





    In un'alba nebbiosa del maggio 2009 due uomini si aggiravano tra i megaliti di Stonehenge, facendo scoppiare dei palloncini e registrando i suoni con un microfono al centro del cerchio. Non erano seguaci di culti pagani, ma ingegneri acustici: Bruno Fazenda dell'Università di Salford e Rupert Till dell'Università di Huddersfield. Lo scopo era misurare la «risposta all'impulso», una sorta di impronta acustica del sito. L'accurata levigatura e curvatura delle superfici interne dei blocchi suggerisce che, probabilmente, gli antichi costruttori sapevano come ottenere effetti molto suggestivi.

    Poiché in quattromila anni Stonehenge ha subito varie manomissioni e molti megaliti sono stati rimossi o giacciono a terra, i ricercatori inglesi sono andati anche a Maryhill, nello Stato di Washington, dove un cimitero militare ospita una versione in cemento di quella che doveva essere la struttura originaria dei sito inglese. I dati sembrano confermare che nel «magico» cerchio ogni parola poteva essere udita distintamente da ogni punto periferico. «Ovviamente a Maryhill è in gioco una maggiore energia acustica, perché lo spazio è chiuso da più superfici e quindi ne “scappa” fuori una minore quantità - commenta Renato Spagnolo dell'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino -. Per la stessa ragione il tempo di riverberazione medio risulta più lungo, circa 1,1 secondi, vale a dire quello che caratterizza una sala conferenze ben progettata, mentre sarebbe troppo breve per una buona resa musicale».

    La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilità all'archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non è affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l'udito era fondamentale, in un mondo più silenzioso e pericoloso di quello attuale. Ogni rumore poteva celare una minaccia. Ma gli stessi suoni della natura, oltre che la parola, il canto e la musica avevano anche significati sacri o magici, perché si riteneva che permettessero una comunicazione con la sfera divina e con i regni dei morti. I ricercatori dell’archeoacustica sostengono quindi che grotte affrescate, ipogei, edifici e luoghi sacri venissero realizzati ponendo grande attenzione agli effetti sonori o «aurali».

    Al momento gli studi più approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l'altezza del palcoscenico, modificando l'angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori.
    Ma le analisi più impressionanti, forse, restano quelle del gruppo «Princeton Engineering Anomalies Research», diretto dal fisico Robert Jahn: negli Anni 90 ha condotto vari test in siti megalitici risalenti a 5 mila anni fa, come Wayland's Smithy e Cairn Euny nel Regno Unito o Newgrange e Cairns in Irlanda: gli ambienti, sebbene di struttura diversa, mostrano una buona risonanza a una frequenza media di 110-112 Hz, frequenza che è presente nella gamma vocale umana, soprattutto nei toni gravi dei baritoni.

    Basandosi su queste e altre ricerche, lo psichiatra Ian A. Cook dell' Università di California a Los Angeles ha condotto uno studio su 30 volontari e ha dimostrato che i suoni di frequenza 110 Hz modificano l'attività cerebrale, «silenziando» la regione temporale sinistra e causando «asimmetrie operative» nella corteccia prefrontale, dovute a una predominanza dell'emisfero destro. Il risultato è che i centri del linguaggio vengono depotenziati, mentre sono favoriti i processi emozionali. E' probabile, quindi, che in molte strutture cerimoniali la salmodia o il canto risuonassero con un'eco profonda, che induceva lo stato di trance e favoriva il passaggio a dimensioni «altre».


    L'Articolo completo: Arianna Editrice

    Fonte originaria: http://www3.lastampa.it/fileadmin/me...enze/PDF/5.pdf - 26/01/2011

  5. #25
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    Predefinito Rif: I megaliti

    Due città venete fondate come l'osservatorio astronomico di STONEHENGE L'orientamento astronomico delle citta' romane
    dal sito de IL GIORNALE DI VICENZA
    è stato pubblicato un interessante articolo firmato da Alessandro Mogon: Vicenza tra i 38 centri italiani oggetto di una ricerca sulle citta' megalitiche:. Lo studio è stato pubblicato anche sul sito internet di una universita' Usa. In corso Palladio tra i misteri astrologici: I romani avrebbero costruito la citta' orientandola sul solstizio d'estatedi Fino a ieri non lo sapevamo, ma passeggiando per corso Palladio. come in via Pellicciai a Verona è come trovarsi fra i misteri delle pietre di Stonehenge o dentro i segreti delle gallerie delle piramidi d´Egitto. Tutti monumenti orientati in base ad allineamenti astronomici. Perchè lo stesso facevano gli antichi romani quando costruivano le citta', come ipotizza una ricerca di Giulio Magli, fisico e docente di meccanica razionale al Politecnico di Milano e studioso di archeoastronomia. Che dopo aver misurato e analizzato 38 citta' italiane fondate dai romani, ha stabilito che l´orientamento ha forti aspetti simbolici legati all?´astronomia. E fra queste solo due citta' sono state concepite duemila anni fa e per motivi ancora misteriosi per essere in linea con il sorgere del sole nel solstizio d'estate: Verona e Vicenza (i gradi del reticolo ortogonale costituito dal cardo e dal decumano differiscono di pochissimi gradi fra le due città. Verona però è l'unica città orientata "ad sideras. Dove il punto della nascita del sole al solstizio d'estate-passando per il centro di Piazza delle Erbe- si allinea al punto del tramonto del sole al solstizio d'inverno). La ricerca di Magli, che fa parte di uno studio pubblicato nel suo libro "I segreti della antiche citta' megalitiche", presente tra l´altro sul sito internet del dipartimento di fisica della Cornell University di Ithaca (New York): arXiv.org e-Print archive. E il motivo di tanto interesse c'è: un legame preciso fra le citta' romane e i simboli astronomici non era mai stato approfondito, se non addiruttra negato. Anche se come fa notare il fisico italiano « gia' Ovidio e Plutarco raccontavano di come la creazione di una nuova citta'si basasse sull´esame del volo degli uccelli o di altri riferimenti astronomici. Magli ha preso in esame solo citta' italiane in cui le due strade principali che caratterizzano le citta' romane, il decumano e il cardo che si incrociano a 90 gradi, e le altre strade a "griglia" sono ancora riconoscibili. Poi ha verificato l´orientamento degli assi della griglia in relazione ai movimenti del sorgere del sole a est durante il corso dell´anno. In realta' a Vicenza di certo c'è il decumano-corso Palladio mentre ancora dubbio è dove fosse il cardo. Ma la direzione c'è. Da qui tutta una serie di scoperte. Secondo il ricercatore di Milano gli antichi romani orientarono verso nord solo tre citta': Pesaro, Rimini e Senigallia. La maggioranza dei centri fondati fra il periodo repubblicano e quello imperiale (fra il V secolo avanti Cristo e il I dopo Cristo) sono allineati verso il sorgere del sole durante determinate feste sacre o in base ai punti cardinali. Altre citta' sembrano orientate entro 10 gradi a sudest rispetto al sorgere del sole o in prossimita' del solstizio d'inverno. E poi ci sono Verona e Vicenza, tutte e due nate intorno al I secolo dopo Cristo e uniche fra le 38, come risulta dallo studio di Giulio Magli, ad essere allineate con il solstizio d?´estate. «Le due citta' tra l´altro sono anche vicine fra loro - dice l´esperto di archeoastronomia -, anche se sul motivo di questo tipo di orientamento, come per le tre citt? dell?´Adriatico allineate verso nord, bisognera' indagare ancora». Insomma l´orientamento delle citta' romane non sarebbe casuale, ma pianificato e voluto. Per motivi ancora ignoti. Così, quando il 21 giugno, giorno del solstizio destate ( ma anche il 21 di dicembre solstizio d'inverno), faremo shopping in corso Palladio a Vicenza,o in via Pellicciai (o nelle vicinanze di piazza dei Signori o alla Arche scaligere) ricordiamocelo: magari leccando un cono panna e cioccolato, ma stiamo camminando in mezzo a un antico mistero è come fossimo a Stonehenge.

  6. #26
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    Predefinito Re: I megaliti

    E' ufficiale: gli esperti hanno verificato che alcuni monoliti di Stonehenge provengono da un sito nel Galles, ma ancora non si sa come vennero trasportati. E spunta l'ipotesi dell'antico ghiacciaio...




    Dave Mosher

    LE PIETRE DI STONEHENGE





    L'annuncio ufficiale è di questa settimana: alcune delle pietre vulcaniche (dette bluestones perché se bagnate diventano blu) dell'anello interno di Stonehenge provengono da un sito nel Galles che si trova a 257 chilometri dal famosissimo sito. Come fecero quindi queste pietre enormi ad arrivare fino alla Piana di Salisbury? Al momento, le teorie più plausibili sono due: trasportate a mano o in parte "via ghiacciaio".

    Nel suo aspetto attuale, il sito di 5.000 anni fa ha un anello esterno di massi di arenaria da 20-30 tonnellate ognuno e un anello interno di blocchi di pietra vulcanica da 3-5 tonnellate ognuno. I massi esterni più grandi, che compongono il cosiddetto "Cerchio dei Sarsen" sono stati con ogni probabilità estratti da una cava a una distanza che varia dai 32 ai 48 chilometri, nell'odierna Inghilterra, dove l'arenaria è piuttosto comune. L'origine delle bluestones, invece, è sempre stata un dilemma per gli archeologi; pietre simili, all'analisi microscopica, non sono mai state trovate da nessuna parte nei pressi di Stonehenge, almeno fino a oggi. E scoprire l'esatta origine delle pietre è fondamentale per capire come fecero gli antichi costruttori del sito a portare questi blocchi di pietra così pesanti nella pianura in cui si trova il monumento. "Non possiamo capire come vennero trasportate queste pietre se non sappiamo da dove provengono", ha spiegato Robert Ixer della University of Leicester.

    La fonte delle pietre è vicina a un allevamento di pecore. Per circa 20 anni, Ixer e il coautore dello studio Richard Bevins del National Museum of Wales hanno cercato il sito d'origine delle bluestones tra gli affioramenti rocciosi del Galles. Fino a due anni fa i due studiosi erano convinti che le pietre non potessero provenire dal Galles, visto che tutti i campioni che avevano raccolto in quel paese non corrispondevano a quelli del sito archeologico. Ma non tutti i campioni raccolti nell'arco di 20 anni erano stati sottoposti a esame microscopico. Perciò, per avere la certezza assoluta, i geologi hanno cominciato a tagliare a fette i loro campioni di roccia avanzati. Il primissimo che hanno analizzato, un frammento prelevato in Galles 20 anni fa, corrispondeva perfettamente ai bluestones di Stonehenge. I geologi hanno trascorso i due anni successivi paragonando un frammento di bluestone di Stonehenge a quelli degli affioramenti attorno al Galles. "Abbiamo fatto un gran numero di controlli, ma non abbiamo trovato nulla che si avvicinasse neanche lontanamente", dice Ixer.

    L'affioramento roccioso confermato dall'analisi dei due studiosi si chiama Craig Rhos-y-Felin, che si trova su un terreno privato in cui vengono allevate pecore. Il prossimo passo: la ricerca di tracce di utensili
    La nuova scoperta lascia due teorie fondamentali sul modo in cui le pietre sono giunte fino alla Piana di Salisbury: gli esseri umani potrebbero aver estratto le pietre dal sito e averle trascinate su zattere di legno, oppure un gigantesco ghiacciaio può aver causato lo staccamento delle pietre e può averle trascinate sul ghiaccio per circa 160 chilometri in direzione di Stonehenge; a quel punto, gli esseri umani li avrebbero trascinati a mano per il resto del percorso. Ma se l'estrazione delle pietre è stato realizzato da esseri umani, gli archeologi potrebbero individuare i segni degli utensili usati per cavare le pietre, o altre prove simili. Certo che se non vi è alcuna traccia di scavi, potrebbe prendere il sopravvento la teoria del ghiacciaio. "Se trovassimo una cava", dice Ixer, "sapremmo per certo che fu l'uomo a estrarre le pietre". Ma l'ultima parola, sottolinea Ixer, non sta ai geologi come lui: "Non ho mai scommesso in vita mia, e non ho intenzione di cominciare adesso", dice. "Abbiamo bisogno di archeologi. Se loro riescono a dimostrare che le pietre furono estratte dall'uomo, significherebbe che furono anche trasportate dall'uomo".


  7. #27
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    Predefinito Re: I megaliti

    Citazione Originariamente Scritto da Eric Draven Visualizza Messaggio
    effettivamente si fa fatica a credere a Coral Castle ed a questa storia: non risulta nemmeno un pezzettino di carta con dei disegni preparatori dei lavori,nulla di nulla?
    Citazione Originariamente Scritto da Silvia Visualizza Messaggio
    Nulla, nessun progetto, nessun disegno: prima di morire, Leedskalnin distrusse tutto ciò che si trovava nel suo laboratorio. L'unica indicazione che ha lasciato è quella relativa al metodo di trasporto dei monoliti: sosteneva infatti di essere riuscito a sollevarli con un sistema capace di vincere la forza di gravità, spiegazione ha contribuito ad amplificare enormemente il mistero e che, come è ovvio, la scienza ufficiale rifiuta.

    Secondo Il Cicap, non c'è nessun mistero: considerati i tempi di costruzione del parco (28 anni) e la massa complessiva delle sculture (1.100 tonnellate circa), sostiene che il tutto è perfettamente compatibile con i limiti umani.
    Il CICAP è una formidabile concentrazione di ottusi obsoleti.
    Tutti indistintamente dediti alla monotonia mortale di chi pensa ancora che negando certe evidentissime manifestazioni fisiche dell'incomprensibile, si conquista un accesso lecito all'ufficialità scientifica.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 15-01-17 alle 17:58

  8. #28
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    Predefinito Re: I megaliti


    Foto di jukaniko – da Welcome to Flickr - Photo Sharing


    La guardo e penso all'Isola dei Morti...

  9. #29
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    Predefinito Re: I megaliti

    Citazione Originariamente Scritto da Hasselblad Visualizza Messaggio
    Il CICAP è una formidabile concentrazione di ottusi obsoleti.
    Tutti indistintamente dediti alla monotonia mortale di chi pensa ancora che negando certe evidentissime manifestazioni fisiche dell'incomprensibile, si conquista un accesso lecito all'ufficialità scientifica.
    Più che altro, il loro problema è la totale refrattarietà all'elementare concetto di "dubbio". E così capita che, per tentare di spiegare l'inspiegabile, si imbarchino in contorsionismi così arditi da risultare stupefacenti.

  10. #30
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    Predefinito Re: I megaliti

    Una Stonehenge prima di Stonehenge

    Un antico complesso templare rinvenuto nelle Orcadi potrebbe essere stato il modello per il celebre cerchio di pietre in Inghilterra


    Su un'isola al largo della punta settentrionale della Gran Bretagna gli archeologi stanno riportando alla luce un vasto complesso rituale risalente all'Età della Pietra, ma più antico di Stonehenge.

    La novità non sta solo nell'età del sito: secondo gli studiosi, quello appena scoperto sarebbe stato il modello originale sia di Stonehenge che di altri, più noti complessi rituali del sud del paese.

    Individuato nel 2002, il sito, ribattezzato Ness of Brodgar ("promontorio di Brodgar") sorge sulle sponde di Mainland (detta anche Pomona in italiano), l'isola più grande dell'arcipelago scozzese delle Orcadi.

    Secondo le analisi al radiocarbonio effettuate su alcuni resti di frammenti di legno bruciato, il Ness sarebbe stato occupato attorno al 3200 a.C. e avrebbe finito per comprendere fino a un centinaio di edifici all'interno della sua monumentale cinta muraria.

    A Stonehenge invece si sarebbe iniziato a lavorare attorno al 3000 a.C., e ci sarebbero voluti altri 500 anni prima che le famose pietre venissero portate sulla Piana di Salisbury. Inoltre, nel sito di Ness of Brodgar si sarebbero tenuti dei raduni celebrativi che avrebbero preceduto i banchetti di Stonehenge e di altri siti simili, come ad esempio Avebury.

    "Le Orcadi sono una delle chiavi per comprendere lo sviluppo della religione durante il Neolitico", dice il direttore degli scavi Nick Card, dell'Orkney Research Centre for Archaeology.


    Banchetto finale

    Non è la prima volta che si parla delle Orcadi come di una delle fonti della cultura dell'Età della Pietra. Ad esempio, è stato ipotizzato che la cosiddetta cultura del vasellame inciso, che divenne dominante nella Gran Bretagna neolitica, abbia avuto origine nelle Orcadi e si sia poi diffusa verso sud. Secondo Card, ora sembra che questo modo di lavorare la ceramica possa aver innescato un'ondata culturale che comprendeva i primi circoli di pietre e recinti, zone rituali circondate da basse "mura” di terra.

    Nonostante l'influenza che sembra aver avuto su siti successivi, il Ness non sarebbe durato a lungo. La datazione delle ossa di animali trovate attorno al tempio indica che attorno al 2300 a.C. si sarebbe tenuto un enorme banchetto con il quale si sarebbe salutata la fine del tempio stesso, dice Card. "Ci troviamo di fronte ai resti di circa 600 animali, che sarebbe un banchetto di proporzioni gigantesche in qualsiasi epoca”.


    Lo splendore decorativo dell'Età della Pietra

    La nuova datazione del sito si basa sugli scavi effettuati a Ness of Brodgar nel 2011, quando i ricercatori hanno iniziato a mettere assieme tutta una serie di scoperte all'interno del complesso templare, riportato alla luce nel 2008.

    L'edificio, lungo 25 metri e con mura interne spesse cinque, contiene una sorta di "sanctum" interno dove gli archeologi hanno trovato delle scaffalature in pietra, o credenze, poste contro ogni muro. "Ne abbiamo rinvenute quattro, situate quasi ai punti cardinali", racconta Card. "Forse fungevano da altare".

    Realizzata in arenaria gialla e rossa, la mobilia dell'Età della Pietra era "lavorata finemente" e rappresentava "la più alta fascia di mercato" per l'epoca, sottolineano gli archeologi.

    Gli scavi del 2011 hanno permesso di rinvenire ulteriori esempi delle misteriose incisioni geometriche su pietra che decoravano il complesso, così come altre testimonianze di produzione di pitture; tracce di colore arancio, rosso e giallo erano state già individuate sulle mura nel 2010. "C'è una stanza dove vi sono tracce di vari colori ocra e piccole pietre cave in cui veniva macinato il pigmento”, spiega Card. "Abbiamo sempre pensato che durante il Neolitico l'uomo usasse i colori, sia per dipingersi il corpo o magari per tingere i vestiti, ma questa è la più antica testimonianza nell'Europa settentrionale di un utilizzo dei colori sulle mura di un edificio”, dice lo studioso.

    Fra le altre scoperte effettuate nel 2011 vi è una rara figurina umana neolitica realizzata in argilla (vedi la foto a destra). "Ha una testa con due occhi e un corpo; l'abbiamo chiamata 'il ragazzo di Brodgar'", spiega Card. "È stata trovata fra i resti di una delle strutture più piccole".


    Patrimonio dell'Umanità

    Il Ness of Brodgar si trova fra due altri importanti monumenti, il Cerchio di Brodgar e le Pietre Erette di Stenness, che fanno parte del cosiddetto Cuore delle Orcadi Neolitiche, il nome adottato dall'UNESCO quando, nel 1999, l'area venne dichiarata Patrimonio dell'Umanità.

    Secondo l'archeologo Mark Edmonds della University of York, migliaia di anni fa il Ness era uno dei luoghi dove le comunità agricole neolitiche delle Orcadi si riunivano in massa per celebrare le stagioni e commemorare i defunti — un comportamento che probabilmente venne mutuato nei siti sorti successivamente più a sud, come appunto Stonehenge e Avebury. "Quello che inizia a verificarsi in questi siti verso la fine del Neolitico sembra in effetti riflettere l'influenza di costumi che emergono precedentemente nelle Orcadi", afferma Edmonds, che non ha preso parte agli scavi del 2011.

    I complessi templari, inoltre, sembrano avere in comune una struttura e un concezione di base. "Abbiamo l'impressione che non fossero solo luoghi dove riunire i defunti e tenere cerimonie, ma dove aggregare i vivi”, dice l'archeologo. Il Ness of Brodgar "potrebbe rivoluzionare ciò che sappiamo sul Neolitico in Gran Bretagna”, aggiunge. "Ritengo possa aiutarci a comprendere la natura del sistema di credenze dell'epoca. Potrà fornirci nuovi elementi per capire il contesto sociale e politico in cui avevano luogo queste cerimonie”.

    Card, il direttore degli scavi, è d'accordo: finora è stato riportato alla luce solo il 10 per cento del complesso, sottolinea l'archeologo: "Abbiamo appena iniziato a scalfirne la superficie”.

    Fonte: National Geographic
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 15-01-17 alle 17:42

 

 
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