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  1. #21
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Citazione Originariamente Scritto da Melchisedec Visualizza Messaggio
    Melchisedec sa....ma non vuole rispondere...
    Domandare è lecito, rispondere è cortesia. A meno che non ci sia qualche ragione oscura, non vedo perché tu non me lo voglia dire, ma lo accetto.

    Di nulla, ma guarda che nei libri che ho indicato, la citazione che ti ossessiona non ce la trovi….
    Fa niente.
    Cosa ne pensi del coinvolgimento di Siri nella cosiddetta "via dei conventi"?
    Quanto c'è di vero e quanto di pretestuoso, strumentale, se non addirittura falso in quello che la vulgata comune sostiene riguardo al ruolo di Siri?
    Ultima modifica di Giò; 10-03-12 alle 23:12
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    "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17, 5).

  2. #22
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    A meno che non ci sia qualche ragione oscura
    C’è una ragione chiarissima: sono un pò stronzo…
    Cosa ne pensi del coinvolgimento di Siri nella cosiddetta "via dei conventi"?
    C’è ancora molto da scavare e da rivelare.

    Elizabeth Santorum e i suoi sei fratelli. Una famiglia numerosa verso la Casa Bianca
    Quando la settima figlia di Rick Santorum è andata in ospedale, la primogenita ha preso il posto del candidato repubblicano. La ventenne incarna la forza della libertà per cui si batte il padre. I sette figli di Santorum piacciono anche ai media, capaci come sono di gioire come si deve e di sopportate molto. "Perché - dicono - l'America è degna di questo sacrificio".
    Di Benedetta Frigerio
    «Sapevamo dall'inizio che non sarebbe stato facile. Sapevamo che ci sarebbero stati momenti duri che ci avrebbero provati e saggiati, ma sapevamo anche che sarebbe stato un sacrificio degno d'onore. Perché l'America è degna d'onore», così ha parlato per la prima volta Elizabeth Santorum, 21 anni, prendendo il posto del padre Rick nel comizio pre elettorale in Florida. È iniziato tutto per un'emergenza, quando Santorum il 29 gennaio aveva dovuto raggiungere la moglie, in ospedale con la piccola Isabella, di 4 anni, l'ultima di sette figli affetta dalla sindrome di Turner.
    La ventenne ha poi continuato ad aiutare il padre nei dibattiti politici, rispondendo al suo posto anche a duri attacchi senza mai tentennare. Elizabeth ha così iniziato a mostrare una forza da first lady prima sconosciuta ai media, che fino ad allora avevano compreso la decisione della ragazza, ma senza nemmeno sognarsi che la simpatica universitaria, incaricata di aiutare mamma a curare i sei fratelli minori impegnati a seguire il papà candidato per tutto l'anno elettorale, potesse nascondere la sicurezza e l'acume che non troppi alla sua età conoscono ancora. Elizabeth è limpida e credibile come gli riconosce anche la stampa democratica. Rispondendo alle domande sulla legalizzazione della droga o sul matrimonio omosessuale ha dichiarato di essere contraria, spiegando aristotelicamente le ragioni della sua posizione e zittendo gli interlocutori: «Di solito i candidati divagano quando gli si fanno queste domande. Apprezzo la tua chiarezza», le ha detto un giornalista. «Ho imparato dalla mia famiglia», ha risposto prontamente lei. E in effetti sono tutti così i Santorum, divertenti, ma seri quando il gioco si fa duro, capaci di gioire e di attraversare grandi prove senza apparire finti o cinici.
    Quando al secondogenito John, minore di un anno ma più timido della sorella, hanno chiesto chi glielo fa fare di perdere un anno di scuola per girare tutta America in macchina, sopportando le male lingue che parlano della vita privata della sua familgia (la malattia della sorella, e la morte del quarto fratello) come di una storiella da cattolici bigotti e integralisti, lui ha risposto che «certo, è dura ma è bello vedere, come ci sta capitando, che c'è anche tanta gente che ama il paese come noi e che ci sostiene». Poi, ha aggiunto Elizabeth con sguardo preoccupato ma di chi non è disposto a cedere, «sappiamo che in queste elezioni ci giochiamo la libertà del nosto popolo. Per questo si può sopportare molto. I nostri padri se la sono conquistata con fatica. Vogliamo forse farcela rubare da chi sta cercando di togliercela, per accentrare il potere a Washington e averne di più sulle nostre vite?». Mentre Sarah, 14 anni, ha raccontato di come la sua famiglia ringrazi «Dio ogni giorno per quello che stiamo vivendo». Daniel, 17 anni, invece si diverte molto con le telecamere, dichiarando ogni volta che ne ha occasione che «la cosa che mi piace di più di mio padre è suo figlio». I due Santorum più piccoli, Peter di 13 anni e Patrick di 11, appaiono invece sempre al finco di mamma Karen. «Sanno che stanno facendo qualcosa di importante – ha spiegato Elizabeth – poi certo quando i nostri genitori ci hanno chiesto se ce la sentivamo, noi più grandi abbiamo resistito di più pensando a cosa avremmo dovuto rinunciare. Patrick ha reagito chiedendo se almeno alla Casa Bianca ci sarebbe stato qualcuno che gli faceva il gelato. A ogni età il suo peso!». «Comunque», ci ha tenuto a precisare Elizabeth con la voce rotta davanti a chi gli chiedeva notizie sulla sorellina in ospedale, «non sto facendo tutto questo solo per mio padre e perché in una famiglia ci si aiuta così, ma perché sono una credente. E non lo dico per modo di dire».
    Mentre la primogenita di Santorum, se papà non dovesse farcela, potrebbe pensare addirittura a prenderne il posto. Vista la futura laurea in scienze politiche e la stoffa da leader capace di scaldare i cuori così: «Dobbiamo renderci conto di essere in uno di quei rari momenti della storia in cui il mondo può cambiare drasticamente. Come quello in cui vissero i padri fondatori che hanno scritto la nostra Costituzione per ridare la libertà al popolo: misero nero su bianco che i nostri diritti inalienabili non sono una concessione di nessun potere, perché vengono direttamente da Dio». «I nostri padri», ha concluso la ragazza alzando il tono e prendendo coraggio, «hanno avuto la possibilità di segnare la storia. Oggi ce l'avete anche voi. Quindi prendetevela».
    La comparsa obbligata dagli eventi di Elizabeth, in effetti, sta aiutando non poco Santorum a rendere carne l'idea di questa possibilità, che lui si sforza in tutti i modi di spiegare. La sua primogenita, infatti, è l'emblema dell'educazione libera, che molti definiscono bigotta, di mamma Karen, dimostrandone i risultati e la capacità di generare personalità forti e non soggiogate al mainstream, la mentalità secolarizzata comune. L'immagine di Elizabeth fa emergere poi più chiaramente anche la sua alternativa, quella della maggioranza dei ventenni americani, che a differenza sua sono infragiliti dal relativismo libertino, prima scelto da alcuni e ora imposto, come sottolinea in continuazione Santorum, da Obama. Un libertinismo che indebolendo i coetanei di Elizabeth va in favore del potere. All'America, come ripete la ragazza, la scelta.



    Scola e il Mistero
    di Piero Gheddo
    L’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, il 7 marzo 2012, ha aperto gli incontri quaresimali dal titolo “Non di solo pane”, promossi dal Centro missionario Pime di Milano nel contesto delle celebrazioni per i 50 anni di fondazione.
    Il cardinale ha parlato ad un folto pubblico che riempiva la sala conferenze (circa 230 persone) e si è detto contento di essere stato invitato a parlare al Centro missionario Pime, che ha frequentato a lungo in passato. “In particolare – ha detto - ricordo padre Giacomo Girardi col quale ho potuto collaborare in varie circostanze. Per me è anche commovente poter riannodare i rapporti di comunione affettiva con mons. Aristide Pirovano, vescovo dell’Amazzonia e superiore generale del Pime, col lecchese padre Angelo Gianola e con Marcello Candia, del quale ho già potuto visitare la tomba nella parrocchia dei Santi Angeli Custodi; e sono anche onorato di poter parlare in questa sede del Centro missionario Pime, nella sua ricorrenza cinquantenaria, sede da cui si è generata per Milano, e non solo per Milano, una attitudine missionaria che è diventata cultura, favorendo così la comunicazione della fede. Perché, come diceva il Beato Giovanni Paolo II, senza cultura, ma una cultura bene intesa, cioè radicata nell’esperienza, la fede non risulta convincente, soprattutto agli uomini d’oggi”.
    L’arcivescovo di Milano è poi entrato nel tema della serata “Fame di mistero”, chiedendosi anzitutto cos’è il mistero, di cui gli uomini sentono fame. “La parola mistero è usata in senso metaforico. Il mistero è, diciamolo con una formula più accessibile, prima di tutto la voglia di vivere, la ricerca di qualcosa che risponda al desiderio profondo del nostro cuore. E questa ricerca dà all’uomo una carica di energia che orienta tutta la sua vita. L’uomo vuol dare volto concreto al mistero e tutti gli uomini convergono nella ricerca della felicità e della libertà, che sono i motori della nostra vita. Nel Novecento i motori di questa ricerca erano la ragione e la giustizia, nel mondo d’oggi, gli uomini portano nel cuore un immenso desiderio di felicità e di libertà. Questo - ha spiegato il cardinale - costituisce un’opportunità di evangelizzazione per la Chiesa, dato che esiste una sintonia profonda tra il messaggio del Vangelo e il sentire dell’uomo di oggi”.
    Il card. Scola continua dicendo che questa voglia di vivere incontra oggi, nella società e cultura in cui viviamo, ostacoli continui. Un esempio: due giovani sposi che vivono il loro amore in modo totale, desiderano che questo amore fruttifichi, in concreto desiderano un figlio. Mediante la loro libertà trasformano questo loro impeto di amore, questa voglia di compimento, in una scelta effettiva. Cosa che nella nostra Italia oggi, ahimé, si fa assai poco. Il gelo demografico della nostra società è gravissimo e purtroppo non ci rendiamo conto del fatto che il gelo demografico dell’Italia sembra già quasi irreversibile. Questa veramente è una tragedia.
    Le mille e mille espressioni di realizzazione della fame dell’uomo d’oggi portano ad uno smarrimento del desiderio, un infiacchirsi della libertà. Le due parole di libertà e di felicità credo siano oggi le parole più in voga, più dette. Però i cambiamenti che si sono verificati negli ultimi 20-30 anni, dopo la fine del “mondo moderno” e l’inizio del nostro “mondo post-moderno”, sono stati sconvolgenti e noi tutti ci sentiamo come pugili suonati, barcollanti, abbiamo smarrito ogni punto di riferimento. L’uomo ha messo le mani sulla genesi dell’uomo; siamo sottoposti, anche noi in Italia, con un ritmo violento, ad un meticciato delle culture; oggi il collegamento istantaneo con ogni parte del mondo sconvolge i nostri ritmi di vita e di comprensione.
    Ma Gesù ha detto: “Se il Figlio vi renderà liberi, allora sarete davvero uomini liberi” (Giov. 8. 36). La libertà non è scegliere senza contenuti, ma saper scegliere tra il bene e il male, e il cristianesimo è il compimento dell’umano. Gesù ha assunto tutto l’umano e l’ha redento, il cuore del suo messaggio è di portare l’uomo alla felicità e alla vera libertà.
    Oggi, nel tempo di pluralismo e di meticciamento culturale in cui viviamo, è soprattutto il tempo della testimonianza. Il che significa che il cristiano deve assumere tutto l’umano e che il cambiamento della società è possibile solo a partire da noi stessi. Se noi viviamo in Cristo, diamo il nostro contributo al mondo nuovo che sta sorgendo. Il card. Scola ha poi portato alcuni esempi, dicendo che “bisogna avere il coraggio della proposta, chiamando ogni cosa col suo nome”. L’aborto è definito “interruzione di una gravidanza”, diciamo che in verità è “l’uccisione di un bambino vivo nel seno materno”; la teoria del genere sessuale nella cultura moderna vuol confondere le carte, noi diciamo che la differenza sessuale tra uomo e donna è insuperabile perché il sesso è costitutivo dell’uomo.
    La proposta cristiana dev’essere chiara: non intimistica, perché la proposta va fatta con “parresia” (cioè con convinzione, forza, entusiasmo). Gesù che chiamava gli uomini con dolcezza, ma anche con decisione e senza tacere la verità. La stagione delle ideologie, grazie a Dio, sembra finita, quella delle utopie è tramontata. Nel recente passato si diceva che per cambiare il mondo bisognava cambiare “il sistema”, molti ci credevano e volevano fare la “rivoluzione”. Oggi si è capito che il cambiamento è possibile solo se incomincia da noi stessi. Noi cristiani dobbiamo mostrare, con la nostra vita, che la gioia di vivere e la felicità sono possibili solo mettendosi alla sequela di Cristo.
    La Bussola Quotidiana quotidiano cattolico di opinione online: Scola e il Mistero


  3. #23
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    «Cristiada», la rivolta per difendere la fede
    Luca Pellegrini
    Le logge massoniche contro la Chiesa, un sedicente illuminismo riformista contro la metafisica, le leggi della plutocrazia contro le tradizioni della fede: un periodo turbolento si scatena nella prima metà del ’900 in Messico, quando la massoneria al potere si scaglia contro un cattolicesimo radicato. Fu la guerra dei cosiddetti cristeros, il cui nome deriva da Cristos Reyes, i «Cristi-Re», come gli avversari definivano gli insorti cattolici che combattevano al grido di «Viva Cristo Re!», riprendendo il tema della regalità di Cristo, all’epoca molto popolare e in sintonia con l’istituzione della festa di Cristo Re proclamata nel 1925 da Pio XI.
    Una guerra civile nata con l’imposizione di leggi laiciste e oppressive volute dal nuovo presidente messicano, massone e intransigente, il generale Plutarco Elías Calles. Lotta contro la Chiesa, le sue autonomie e le credenze del popolo al centro del programma presidenziale, condotto con rigidità assoluta e violenze ripetute, tali da far passare alla storia il personaggio con il nomignolo, poco lusinghiero, di Nerone messicano. Aveva, in effetti, incendiato una nazione e scatenato l’esercito governativo mandandolo a caccia, con vera furia iconoclasta, di fedeli e sacerdoti, che avevano addirittura proclamato la sospensione del culto pubblico.
    Su quei fatti ancora poco divulgati il film Cristiada apre un sipario tragico e magniloquente. La rivolta, come il film, inizia nel 1926 e si conclude, anche se non definitivamente (strascichi della storia ancora gravano sul Messico moderno), nel 1929, con l’accordo tra Governo e Santa Sede, che voleva evitare ulteriori spargimenti di sangue.
    Dean Wright firma con questo soggetto impegnativo la sua prima regia – fino ad oggi una vita al servizio degli effetti speciali – e per l’occasione viene chiamato un cast di stelle cine-televisive: Peter O’Toole, Andy Garcia, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno, Oscar Isaac, convinti dall’intraprendente, giovane produttore messicano Pablo Jose Barroso per una produzione da 40 milioni di dollari («la più impegnativa nella storia del cinema messicano»), che ha occupato maestranze e tecnici locali per trentasei settimane.
    Un profluvio di musica, di lacrime, di pallottole, di eroismi piccoli e grandi, di conversioni e testimonianze di fede, per «un film uscito dal cuore – confessa il produttore nel corso della proiezione di ieri all’Augustinianum di Roma – e non da un calcolo politico. Per dare un’immagine autentica del popolo messicano, del mio popolo, della sua lotta per la libertà di culto e di religione ed evitare che questo passato ritorni». Uscite previste? «Il 20 aprile in Messico, il primo giugno negli Stati Uniti (col titolo For greater glory)». E in Europa? «Non abbiamo per ora nessuna certezza che riusciremo a farlo uscire».
    «Cristiada», la rivolta per difendere la fede | Spettacoli | www.avvenire.it

    "Cristiada", cercasi ancora distributore
    di Marco Respinti
    Per certi versi, la questione assomiglia a un giallo. Il protagonista è Cristiada, il film sull’epopea dei cristeros.
    Vessata e perseguitata dal governo massonico e anticlericale del presidente Plutarco Elías Calles (1877-1945), tra 1926 e 1929 la popolazione cattolica del Messico insorse in armi al grido di «¡Viva Cristo Rey! » (da cui il nome dei combattenti), e con il beneplacito della Santa Sede, dando vita a una nuova Vandea contemporanea. Ebbene, ne è stato fatto un film. Ma, pronto da mesi, già predisposto per il lancio mondiale con tanto di trailer (emozionante) e sito ufficiale, Cristiada non si vede. Almeno fino a ieri.
    Ieri, infatti, martedì 20 marzo, questo film scomparso perché ancora manca chi s’incarichi della sua distribuzione nelle sale cinematografiche è finalmente sbarcato al centro del mondo. A Roma, anzi praticamente in Vaticano, proiettato non in anteprima ma in esclusiva mondiale all’istituto Patristico Augustinianum, che sta a due passi - letteralmente - dal colonnato del Bernini. Posti rigorosamente riservati, prenotazione obbligatoria, di tutto si è occupato il servizio d’informazione cattolica H2O. Per molti aspetti, l’operazione assomiglia a un SOS.
    «Siamo qui per promuovere la pellicola, sperando di riuscire presto a distribuirla ovunque come accade per qualsiasi altro film, bello o brutto che sia…». A La Bussola Quotidiana lo dice Pablo José Barroso, il produttore di Cristiada venuto dal Messico apposta per accompagnare in Italia questa sua perla. «Perché si faccia tanta fatica a trovare un distributore resta un vero mistero…».
    Azzardiamo: forse che il suo essere apertamente filocattolico nel denunciare il brutale anticristianesimo che sta al centro della vicenda risulti troppo imbarazzante? Barroso mantiene l’aplomb e smorza la nostra malizia (forse). «Non lo so, francamente non lo so», risponde. «Ci siamo rivolti a tutte le major del settore, seguendo le prassi di rito, non tralasciando alcunché convinti che l’ottima qualità tecnica della pellicola, la sua storia avvincente e il richiamo esercitato da un pool di attori di grande fama potesse essere d’aiuto; e invece, per mesi e mesi, niente, solo ostacoli... Nessuno dei distributori grandi e piccoli che abbiamo interpellato è di per sé mai entrato nei dettagli contenutistici del film... ». Però?... «Però ci siamo costantemente sentiti rispondere che Cristiada è difficile da piazzare sul mercato, è di nicchia, rischia di essere un flop al botteghino… ». Una pellicola realizzata come un kolossal di Hollywood - benché di produzione messicana -, diretta dal Premio Oscar per gli effetti speciali di cult come Le due Torri, del 2002, e Il ritorno del re, del 2003 (ovvero il secondo e il terzo episodio della trilogia cinematografica tolkieniana diretta da Peter Jackson) e interpretato da Andy Garcia, Eva Longoria, Peter O’Toole ed Eduardo Verástegui? Difficile da credere.
    «Comunque», prosegue asciutto Barroso, «non ci siamo arresi, e alla fine qualche risultato importante lo abbiamo ottenuto. La prima mondiale a Roma prelude all’uscita del film - se null’altro accadrà nel frattempo - in Messico, curata dalla 20th Century Fox. Accadrà il 20 aprile. Se andrà bene, Cristiada verrà poi distribuito in tutta l’America ispanofona. Forte di questa novità, la mia casa di produzione, la Dos Corazones Productions di Città del Messico, lancerà la pellicola negli Stati Uniti il 1° giugno. Ancora totalmente scoperta resta invece l’Europa…». Già, l’Europa… «Stiamo persino pensando d’iscrivere il film al Festival di Cannes, per cercare di smuovere le acque. Ecco, lo scriva. Abbiamo bisogno di tutti gli aiuti. Vogliamo offrire al pubblico una storia che è avvincente come un western dei tempi d’oro e al contempo profondamente vera, davvero accaduta, basata su fatti realmente accaduti. E tragici…».
    Barroso concepisce il cinema come uno strumento di testimonianza e di apostolato. All’inizio del dicembre scorso è entrato nelle sale cinematografiche statunitense con una pellicola animata in 3D, The Greatest Miracle (El gran milagro) diretto da Bruce M. Morris (che ha all’attivo veri e propri capolavori del cinema di animazione): storia di un gruppo di cattolici che vengono guidati alla comprensione piena del santo sacrificio della Messa… E sta in buona compagnia, visto che il regista di Cristiada, Wright, ha recentemente rivelato all’agenzia cattolica latinoamericana di stampa ACI Prensa di accarezzare un sogno: spera che il film sui cristeros possa contribuire alla promozione della libertà religiosa nel mondo. La proiezione all’Augustinianum è stata voluta ieri perché tra pochi giorni Papa Benedetto XVI volerà in Messico. E subito dopo a Cuba, l’isola che l’attore-"cristero" Andy Garcia si porta nel cuore (vi è nato, con il nome di Andrés Arturo García Menéndez, nel 1956 ) e il cui regime comunista notoriamente detesta. L’entertainment al servizio della verità.













    Il Papa in Messico rilancia il grido: "Viva Cristo Re"
    di Massimo Introvigne
    Preceduta dal commovente incontro con i bambini di sabato sera, la domenica del Papa a León, in Messico, è stata dedicata a un inconsueto e coraggioso ricordo dell'epoca delle persecuzioni anticattoliche e della rivolta dei Cristeros, e a un richiamo alle radici spirituali della nazione messicana minacciata, come Benedetto XVI ha detto nell'Angelus, «dal narcotraffico, dalla crisi di valore e dalla criminalità».
    In un inatteso fuori programma, il Papa ha incontrato otto famiglie di vittime dei narcotrafficanti, Né tra le minacce il Papa ha dimenticato gli attacchi di alcune forze politiche - in un Messico che si avvicina alle elezioni - contro la libertà religiosa. Notevole all'Angelus è stato il richiamo alle persecuzioni anticristiane e alla resistenza armata dei Cristeros per la libertà della Chiesa nella sanguinosa guerra del 1926-1929, argomento tabù di cui nella politica messicana è pressoché vietato parlare. «In tempi di prova e dolore, la Madonna - ha detto il Papa - è stata invocata da tanti martiri che, al grido “Viva Cristo Re e Maria di Guadalupe”, hanno dato una perenne testimonianza di fedeltà al Vangelo e di dedizione alla Chiesa». Che il Pontefice abbia ripreso il grido tanto spesso censurato e vietato dei Cristeros, «Viva Cristo Re e Maria di Guadalupe!» dà il tono a tutto il viaggio.
    Ai messicani il Papa ha ricordato l'esempio di Israele nel Vecchio Testamento. «La storia di Israele narra anche grandi gesta e battaglie, ma nel momento di affrontare la sua esistenza più autentica, il suo destino più decisivo, cioè la salvezza, più che nelle proprie forze, ripone la sua speranza in Dio che può ricreare un cuore nuovo. Questo può ricordare oggi ad ognuno di noi ed ai nostri popoli che, quando si tratta della vita personale e comunitaria, nella sua dimensione più profonda, non basteranno le strategie umane per salvarci. Si deve ricorrere anche all'unico che può dare vita in pienezza, perché Egli stesso è l'essenza della vita ed il suo autore, e ci ha fatto partecipi di essa attraverso il suo Figlio Gesù Cristo».
    Prendendo spunto poi dal Vangelo del giorno, il Papa è tornato su un tema centrale del suo Magistero, la regalità di Gesù Cristo, che si estende a tutte le realtà umane e abbraccia tutti i popoli.
    Il Papa si è rallegrato di aver potuto vedere a León il monumento a Cristo Re, rilevando che «il mio venerato Predecessore, il beato Papa Giovanni Paolo II [1920-2005], benché lo desiderasse ardentemente, non poté visitare questo luogo emblematico della fede del popolo messicano, nei suoi viaggi a questa cara terra. Sicuramente oggi si rallegrerà dal cielo che il Signore mi abbia concesso la grazia di poter stare ora con voi».
    Si tratta di un monumento simbolo dell'epoca delle lotte e delle persecuzioni, che fu distrutto nel 1926, bombardato dal governo laicista all'inizio della guerra dei Cristeros, e ricostruito solo nel 1940.
    Se i Cristeros hanno dato la vita per Cristo Re, oggi affermare la sua regalità in una società secolarizzata significa resistere «alla tentazione di una fede superficiale e abitudinaria, a volte frammentaria ed incoerente. Anche qui si deve superare la stanchezza della fede e recuperare “la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa.” (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2011)».



    Un luogo speciale per Cristo Re
    Come nacque il santuario messicano del "Cubilete", che accoglierà Benedetto XVI
    di Paloma Rives, inviata speciale
    GUANAJUATO, lunedì, 19 marzo 2012 (ZENIT.org) – Il concepimento di questo luogo speciale iniziò con una messa nel 1919. La storia del Cristo del “cubilete” è, senza dubbio, la storia di un sentiero pieno di ostacoli ma, al tempo stesso, di perseveranza.
    Nel novembre 1919, il vescovo di Leon e Guanajuato, José Guadalupe Albino Emeterio Valverde Téllez, si recò in vista pastorale a Silao, nello stato di Guanajuato e, nel momento in cui era ospite nel tempio del Signore del Perdono – dove erano residenti dei carmelitani – contemplò la collina detta “El Cubilete”. Qui, avvertì il desiderio di celebrare una messa proprio su quell’altura. Si avvicinavano, inoltre, le festività della “Vigilia delle Spighe” – di cui è tradizionale la Adorazione Notturna – quindi era il momento ideale.
    Una volta che il vescovo Valverde Tellez avrebbe celebrato la messa, il padre Eleuterio de Maria Santisima Ferrer – sacerdote carmelitano e direttore spirituale degli Adoratori – propose di porvi una lapide commemorativa. Prima di far ciò, il presidente della sezione, Felipe Bravo Araujo, precisò che sarebbe stato meglio edificare un monumento e che, sopra di esso, sarebbe stata collocata l’immagine del Sacro Cuore di Gesù. L’idea fu comunicata al vescovo Valverde che, compiaciuto, accettò e attribuì al luogo uno status diocesano; la prima pietra venne posta il 12 marzo e l’11 aprile ebbe luogo la dedicazione.
    L’Episcopato lo nominò monumento nazionale e sollecitò la sua sostituzione con un altro più grandioso, che fu approvato il 10 ottobre 1920, giorno in cui in Messico si celebrava il Giubileo d’Argento della Coronazione della Santissima Vergine di Guadalupe.
    Vale la pena segnalare che il colle del cubilete si trova a 2579 metri sul livello del mare e segna il centro esatto della Repubblica Messicana.
    I lavori furono avviati in un secondo momento, nel 1923, tuttavia non fu possibile proseguire la costruzione. Ci trovavamo in una delle epoche più difficili della persecuzione cristera. L’atto di erezione di una statua in onore di Cristo Re fu quindi considerata un atto anticostituzionale e una sfida al governo. Il 30 gennaio 1928 il luogo fu distrutto da un’esplosione di dinamite.
    Dopo vari tentativi, continue lotte e momenti di disperazione, l’11 dicembre 1944, il vescovo Valverde benedisse e collocò la prima pietra dell’ormai quinto monumento. Lo stesso giorno benedisse l’Eremo di Espiazione – che fu edificato nel luogo dove fu fatta saltare in aria la prima statua – per chiedere perdono per l’attentato sacrilego.
    Il monumento a Cristo Re consta di due parti: una basilica sferica che simboleggia l’universo e, sopra di essa, in piedi, la statua di Cristo Re con due angeli che porgono due corone: quella del martirio e quella regale. La statua, opera dello scultore di Monterrey, Fidias Elizondo, simboleggia la divina regalità di Cristo Signore dell’Universo.
    Quando il vescovo Valverde morì (1948), lo stato dell’opera era già molto avanzato, ed il nuovo vescovo Manuel Martin del Campo Padilla continuò i lavori. L’11 dicembre 1950 benedisse la statua in nome di Sua Santità, Pio XII. Lo stesso giorno si compivano i 25 anni dell’enciclica Quas Primas, di Pio XI, con la quale si istituiva la festività universale di Cristo Re.
    La benedizione della custodia monumentale, vero trono di Cristo Re Eucaristico, ebbe luogo il 20 aprile 1960.
    Si è trattato di un cammino difficile, analogo al cammino che molti pellegrini hanno intrapreso in mezzo alle mulattiere anguste e pietrose prima che i percorsi verso questo santuario assumessero le caratteristiche odierne.
    La storia ci permette di constatare che questo è un luogo speciale per Cristo Re. Con le braccia distese, dall’alto, riparerà con la sua ombra il successore di Pietro e migliaia di persona di buona volontà che riceveranno qui Benedetto XVI.
    ZENIT - Un luogo speciale per Cristo Re










  4. #24
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    Cosa ne pensi del coinvolgimento di Siri nella cosiddetta "via dei conventi"?
    Quanto c'è di vero e quanto di pretestuoso, strumentale, se non addirittura falso in quello che la vulgata comune sostiene riguardo al ruolo di Siri?
    C’è di vero che il cardinale Siri collaborò con l’OSS, cioè praticamente con la CIA….




    Quell’esodo di rifugiati che passava da Genova
    di Redazione
    L'accusa, prima sommessa, poi sempre più amplificata su libri e giornali (tanto da accreditarsi di per se, non in quanto verità provata!), è lapidaria: la Chiesa genovese, e in particolare l'allora vescovo Giuseppe Siri sono responsabili d'aver favorito, nell'immediato secondo dopoguerra, la fuga in Sudamerica di criminali nazisti (tra cui Adolf Eichmann) e ustascia. Tutto questo, ben conoscendo l'identità dei «protetti», nell'ambito dell'«Operazione Odessa» che era stata organizzata verso al fine del conflitto con il concorso di industriali e politici tedeschi e aveva lo scopo di assicurare l'incolumità a un «esercito» di fuggiaschi, criminali in cerca di scampo dalle forche degli Alleati. Non solo: secondo una certa storiografia ufficiale o ufficiosa, e comunque accreditata, «Odessa» - l'acronimo in lingua tedesca per indicare l'«Organizzazione degli ex membri delle SS» - aveva anche l'obiettivo di esportare l'ingente massa di denaro che alti gradi delle forze armate tedesche avevano accumulato all'epoca del nazismo e, infine, di creare una sorta di Quarto Reich a completamento dell'opera di Hitler.
    Tesi suggestive, richiamate, nel 2003, da Uki Goni nel libro «Operazione Odessa-La fuga dei gerarchi nazisti verso l'Argentina di Peron» (Garzanti Editore), oltre che in alcuni servizi giornalistici che ribadivano le colpe di Siri, della Chiesa locale e del Vaticano nell'aver non solo coperto, ma addirittura organizzato l'espatrio clandestino di personaggi che si erano macchiati dei crimini più orrendi. Alle accuse era seguita una replica del cardinale Tarcisio Bertone e un ampio servizio del «Settimanale Cattolico», senza peraltro riuscire a diradare i sospetti e le «testimonianze» di pseudo-storici sull'argomento. Tanto più opportuno, quindi, arriva ora in libreria l'approfondito volume «Odessa-La vera storia e la leggenda nera» di Sergio Pessot e Piero Vassallo (Novantico Editrice, 280 pagine, 20 euro), che confuta le tesi semplicistiche degli accusatori della Chiesa e del Cardinale che ne tenne la guida dal 1946 al 1987, riportando fatti storici, testimonianze autentiche (senza «virgolette»), ricordi e documenti in parte inediti, in grado, in molti casi, di ribaltare le verità acquisite in precedenza. A partire dalla definizione dei fuggiaschi, «scampati ai massacri e lasciati passare attraverso la fitta rete tesa dai militari al servizio dei giudici di Norimberga perchè risultati del tutto estranei alle attività criminali dei nazisti. Erano a volte provvisoriamente ospitati in conventi o altri istituti protetti da extraterritorialità, dove ottenevano salvacondotti della Croce Rossa». Uno dei più importanti centri di accoglienza era la chiesa di San Teodoro, dove era parroco don Bruno Venturelli, ex prete partigiano e amico di Siri.
    Grazie alla copertura delle organizzazioni umanitarie cattoliche, spiegano gli Autori, «la cosiddetta “via dei Monasteri“ si dimostrò la più sicura», e venne percorsa prima di arrivare al porto di Genova da cui sarebbero salpati i bastimenti alla volta del Sudamerica. In questo ambito, «la smentita di Bertone non contemplava la conoscenza di alcune decisive notizie sui fatti». Nelle pagine di Pessot e Vassallo - che si leggono come un romanzo, ma sono tutt'altro che un romanzo - scorrono le evidenze che frantumano le supposizioni assurte a realtà: come cita nella prefazione Beppe Franzo, «il tentativo degli autori di riaffermare la verità storica mira a scardinare le false teorie propagandate dalla (sub)cultura di sinistra, atea e anticristiana, dal dopoguerra a oggi.
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    Odessa e la leggenda nera
    L.Garibaldi
    È passata alla storia con il nome di “Operazione Odessa”, anche se non ha nulla a che fare con la città alle foci del Dnepr. “Odessa” è soltanto una sigla in tedesco e sta per “Organisation Der Ehemahlige SS Angehörigen” (Organizzazione degli antichi membri delle SS). Secondo una vulgata largamente diffusa, l’organizzazione, il cui nome fu inventato a posteriori, riuscì a porre in salvo alcune migliaia di criminali nazisti, facilitando la loro fuga dall’Europa all’Argentina attraverso il porto di Genova e con la complicità della Curia, e in particolare del giovane vescovo monsignor Giuseppe Siri, futuro cardinale e arcivescovo della capitale ligure. Dopo una serie di libri tendenti a colpevolizzare la Chiesa, arriva ora una ricerca storica che inquadra in maniera molto precisa quel lontano evento. S’intitola Odessa: la vera storia e la leggenda nera (Novantico editrice) e ne sono autori due storici non per nulla genovesi: Sergio Pessot e Piero Vassallo. I quali non negano affatto che la struttura messa in piedi dalla Curia genovese abbia contribuito a far emigrare clandestinamente ufficiali tedeschi, francesi di Pétain, ed esponenti fascisti della sconfitta Rsi, e, anzi, a questi aggiungono non pochi «ustascia» croati, «domobranzi» sloveni, combattenti anticomunisti ucraini, lituani, estoni e lettoni. Mai però criminali. In altre parole, perdenti sì, sconfitti sì, ma solo combattenti e la cui vita era fortemente a rischio per le vendette comuniste.
    Con questo documentato lavoro, Pessot (appassionato all’argomento fin dai suoi anni giovanili nella lontana Argentina) e Vassallo (apprezzato storico cattolico, e già docente al Seminario arcivescovile di Genova all’epoca di Siri) inquadrano definitivamente quei lontani avvenimenti. Sì, la Chiesa aiutò quei disperati, ma lo fece per due ragioni ben precise: prima di tutto, per coerenza con la carità cristiana che impone di aiutare chi sia ingiustamente perseguitato; in secondo luogo, per precisi accordi stipulati con William Donovan, direttore centrale dell’Oss (Office of Special Operations), ovvero il controspionaggio americano da cui deriverà la Cia (Central Intelligence Agency).







    In proposito, gli autori raccontano come, già dal 1943, don Stefan Draganovic, sacerdote croato operativo in Vaticano, collaborasse segretamente con Donovan. Obiettivo comune: porre un freno all’espansione comunista. Pessot e Vassallo narrano che nell’ottobre 1944, quando già si profilava la sconfitta tedesca, l’esponente politico genovese Pino Rolandino (nel dopoguerra sarà uno dei fondatori del Msi), dopo avere incontrato in Baviera il generale Karl Wolff (il comandante delle Ss in Italia che stava trattando segretamente con gli americani quella che sarà poi la resa di Caserta), tornò a Genova e propose al vescovo ausiliare Giuseppe Siri di predisporre una via di fuga verso il Sud America per gli sconfitti. Siri sarà poi colui che, a Villa Migone, il 24 aprile 1945, sovrintenderà alla resa del generale Meinhold e di tutte le formazioni tedesche della Liguria e del Basso Piemonte ai componenti del Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) di Genova: l’unico caso, in tutta Italia, di conclamata vittoria delle forze partigiane sulla Wehrmacht. Ottenuta, tra l’altro, senza spargimento di sangue, e per di più con il salvataggio del porto di Genova anche grazie all’opera della Decima Mas, i cui incursori provvidero a sminare le banchine, impedendo così ai fedelissimi di Hitler di trasformarle in un cumulo di macerie.
    L’accordo con Wolff fu rispettato. A Rolandino furono messi a disposizione il Collegio di Rapallo, la chiesa di Santa Maria delle Grazie e un convento dove alloggiare i fuggiaschi in attesa di essere imbarcati sulle navi degli armatori cattolici Costa e Bibolini. Quanto al consenso degli americani, va ricordato il famoso rapporto del generale George Patton sulla necessità di contrastare l’espansione sovietica in Europa arruolando, all’occorrenza, anche gli ex nemici tedeschi.
    [Patton fu il generale americano più leggendario tra quelli che combatterono in Europa. Era nato protestante, e credeva incongruamente nella metempsicosi(o faceva credere di crederci...), ma si convertì al cattolicesimo durante la campagna in Sicilia, affascinato dalla celebrazione della Santa Messa. In seguito respinse in maniera esemplare la controffensiva tedesca delle Ardenne, attaccando e mettendo in fuga l'esercito tedesco. In tale occasione, essendo in corso una folta nevicata, e occorrendo il bel tempo, fece comporre seduta stante una apposita preghiera al cappellano militare, che, da lui personalmente recitata, piegò la volontà dell’Onnipotente…



    In questa vetrata dedicata a Patton





    San Giorgio, che simboleggia lo stesso Patton, sconfigge il Dragone satanico svasticato, che simboleggia il nazismo. Sono inoltre indicate le vittorie riportate dal generale, e le città da lui liberate, e lo stesso Patton è rappresentato sopra un carro armato.]

    Quando la Madonna di Fatima predisse un grande segno nel cielo (e la II guerra mondiale)
    Francesco Agnoli
    Le apparizioni della Madonna a Fatima sono una pagina della storia della Chiesa piuttosto speciale. Per decenni ci si è interrogati sul famoso Terzo segreto di Lucia, e forse non ne siamo ancora venuti a capo. A molti infatti, sembra che certe cose non tornino, e che nel segreto della Madonna, oltre ai riferimenti agli attacchi esterni alla Chiesa, resi noti, ci sarebbe stato un cenno alla apostasia della Chiesa stessa, ad una perdita di fede non solo del mondo, ma anche del clero, dei pastori.
    Ma non è di questo che voglio parlare, rimandando, per chi fosse interessato, agli ottimi lavori di Antonio Socci e Marco Tosatti.
    Quello che vorrei approfondire, perché mi sembra non sia stato fatto a sufficienza, è la (poco) famosa aurora boreale del 25-26 gennaio 1938.
    Nelle apparizioni portoghesi la Madonna venne a mostrare ai pastorelli l’Inferno, cioè il castigo eterno, ma non solo. Dichiarò anche che sotto il pontificato di Pio XI, se gli uomini non si fossero convertiti, sarebbe scoppiata un’altra guerra mondiale, più spaventosa della prima, annunciata da una “notte illuminata da una luce sconosciuta”. Decisamente la Madonna di Fatima non fu, diciamo così, rassicurante. Fatto sta, però, che se l’apparizione è vera, il messaggio è chiaro: conversione, penitenza, preghiera, altrimenti castigo. Nel senso che altrimenti Dio avrebbe lasciato l’uomo in balia di se stesso e della sua cattiveria: non c’è peggior castigo, infatti, di quello che noi uomini spesso siamo così bravi ad infliggerci, da soli. Come la virtù ha già in sé, in parte, il suo premio, così il peccato in sè porta una pena: è male non solo di fronte a Dio, ma anche per l’uomo.
    La rivelazione della “notte illuminata da una luce sconosciuta” , con la connessa affermazione secondo cui la Russia avrebbe sparso i suoi errori nel mondo, fu messa per iscritto da Lucia, per il vescovo di Leira-Fatima, soltanto il 31 agosto 1941. Qualcuno ha quindi potuto dichiarare che si tratterebbe soltanto di una profezia post eventum, un po’ troppo facile.
    Forse è meglio analizzare bene i fatti.
    Ragionando prima proprio sulle date: è vero, Lucia parla ufficialmente dell’aurora boreale del 1938 dopo che essa è già avvenuta. Però vi sono alcuni fatti da prendere in considerazione.
    Il primo: un segno celeste era già stato annunciato da Lucia nel 1917, e si era veramente verificato, come vedremo, proprio in quell’anno.
    Il secondo: nel 1941 sarebbe stato veramente più opportuno e intelligente, umanamente parlando, annunciare il pericolo nazionalsocialista, o comunque entrambi, quello comunista sovietico e quello nazista. Infatti la Germania sembrava trionfante: possedeva tutta l’Europa, esclusa la Gran Bretagna; gli Usa non erano ancora entrati in guerra e l’Urss appariva destinata alla sconfitta, sotto il tallone tedesco, da un momento all’altro.
    Invece Lucia, contro ogni logico ragionamento umano, fu molto chiara (come lo era stata già in precedenza): sarà la Russia, non la Germania, “a spargere i suoi errori nel mondo”, “promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa”.
    In effetti andò proprio così: pochi anni dopo il “Reich millenario” crollò miseramente, per fortuna, e per sempre; al contrario la Russia non solo vinse la guerra, ma occupò mezza Europa. Il comunismo conobbe così una diffusione immensa, inimmaginabile, tanto più se ricordiamo che nel 1949 anche la Cina sarebbe divenuta comunista. Dovunque i comunisti arrivarono, dalla Polonia all’Albania, la Chiesa fu attaccata, perseguitata, distrutta.
    C’è qualcosa, dunque, nella profezia di Lucia, che lascia interdetti. Anche perché la “fissazione” del comunismo Lucia e i veggenti la dimostrarono anche molto prima del 1941: del resto la Madonna era apparsa loro, non a caso, nel 1917, solo pochi mesi prima della rivoluzione bolscevica.
    Abbiamo molte testimonianze di questo. Dalle parole di Giacinta, che già nel 1920 annunciava un castigo, “prima per la Spagna”; al voto anticomunista dell’episcopato portoghese, nel 1936, al fine di essere preservati dal comunismo che sembrava potesse trionfare nella vicina Spagna e sfondare poi in Portogallo; alla lettera del vescovo di Leira, nel 1937, al pontefice, affinché provvedesse, come diceva Lucia, alla Consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria; sino, per fare un ultimo esempio, ad una lettera al papa Pio XII della stessa Lucia, datata 24 ottobre 1940 (cioè prima dell’entrata nella seconda guerra mondiale della Russia), in cui si ri-domandava la Consacrazione della Russia stessa, considerata, anche in quella data per certi versi insignificante, il pericolo imminente!
    Infine un’ultima considerazione: il Portogallo, nelle varie lettere di Lucia, appariva come “privilegiato” dalla Madonna (Lucia parlava e scriveva di una “protezione speciale”). In effetti il paese non fu coinvolto nella guerra di Spagna, come sarebbe stato molto facile, e rimase fuori anche dalla II guerra mondiale, dichiarandosi neutrale (e rimanendolo, cosa non facile, sino alla fine).
    Ma torniamo, indietro, ai fatti del 1917. I veggenti erano in grossa difficoltà in un Portogallo allora in mano ad un governo ferocemente anticlericale e trovavano molti oppositori anche tra amici e parenti, oltre che nelle autorità locali. Eppure la piccola Lucia, che finì persino in prigione, perché osteggiata dal sindaco massone del paese, sfidò il mondo: la Madonna, disse, darà un segno, e convocò tutti per il 13 ottobre 1917 alla Cova da Iria, pur capendo bene che se il segno non ci fosse stato, sarebbe stato un bel guaio. Anche perché erano allora vietate dal governo portoghese le adunanze religiose fuori dalle chiese.
    Il 13 ottobre migliaia e migliaia di persone si radunarono nella Cova. Le fonti dell’epoca parlano di almeno 40-50 mila persone, ma forse molte di più. Ebbene, cosa accadde? Ce lo raccontano innumerevoli testimoni, ma soprattutto, tra i tanti, un giornalista presente ai fatti, tale Avelino de Almedia, redattore capo di “O Sèculo”, quotidiano socialista di Lisbona, di orientamento positivista ed anticlericale, che in precedenza aveva ridicolizzato gli eventi di Fatima. Costui, sul numero del 15 ottobre, scrisse tra l’ altro: “Cose fenomenali. Come il sole ballò a mezzogiorno a Fatima [...] Il sole sorge, ma l’aspetto del cielo minaccia temporale. Nuvole nere si ammassano sulla folla di Fatima. [...] Alle dieci il cielo si oscura totalmente e non tarda a cadere una forte pioggia. [...] I fanciulli affermano che la Signora aveva parlato loro ancora una volta, e il cielo, prima caliginoso, comincia subito a schiarirsi in alto; la pioggia cessa e si presenta il sole che inonda di luce il paesaggio. [...] L’ora mattutina è la regola per questa moltitudine, che calcoli imparziali di persone colte e di tutto rispetto, punto rapite come per influenza mistica, contano in trenta o quaranta mila creature… La manifestazione miracolosa, il segno visibile annunciato sta per essere prodotto – assicurano molti pellegrini… E si assiste a uno spettacolo unico e incredibile per chi non fu testimone di esso. Dalla cima della strada, dove si ammassano i carri e sostano molte centinaia di persone, alle quali manca la voglia di mettersi nella terra fangosa, si vede tutta l’immensa moltitudine voltarsi verso il sole, che si mostra libero dalle nuvole, nello zenit. L’astro sembra un disco di argento scuro ed è possibile fissarlo senza il minimo sforzo. Non brucia, non acceca. Si direbbe realizzarsi un’eclissi. Ma ecco che un grido colossale si alza, e dagli spettatori che si trovano più vicini si ode gridare: “Miracolo, Miracolo! Meraviglia, meraviglia!” Agli occhi sbalorditi di quella folla, il cui atteggiamento ci riporta ai tempi biblici e che, pallida di sorpresa, con la testa scoperta, fissa l’azzurro cielo, il sole tremò ed ebbe mai visti movimenti bruschi fuori da tutte le leggi cosmiche, il sole “ballò”, secondo la tipica espressione dei contadini”. (nella foto, le persone osservano sbalordite il sole).
    Negli anni, tanti hanno ragionato su questi fatti, che di per se stessi sono innegabili perché ampiamente dimostrati, sia dalle testimonianze più insospettabili, sia dai quotidiani vari dell’epoca, sia dalle foto, in cui si vede chiaramente una moltitudine esterrefatta, sbalordita, attonita, dinnanzi agli strani movimenti del sole.
    Molti credettero e credono, altri parlarono di coincidenza, di fenomeno naturale, scientificamente spiegabile in qualche modo. Difficile, però, spiegare davvero come potesse Lucia, una semplice fanciulla di campagna, prevedere in anticipo che sarebbe successo qualcosa di simile.
    Un qualche collegamento tra il sole e la Madonna di Fatima, insomma, è lecito supporlo. Anche alla luce dei fatti successivi. Siamo finalmente all’aurora boreale del 1938.
    Andiamo ora a vedere bene cosa accadde la notte tra il 25 e il 26 gennaio di quell’anno. Ci fu, come si accennava, una grande aurora boreale, vista la quale Lucia, ben prima di scriverlo nel resoconto ufficiale del 1941, si affannò a dire, a destra e a sinistra, che quello era il segno terribile predetto dalla Madonna.
    L’aurora venne descritta dal quotidiano laico italiano, La Stampa, del 26 gennaio 1938, sotto il titolo: “Un singolare fenomeno celeste. Un’aurora boreale sull’Italia”. Vi si poteva leggere di una “aurora boreale di eccezionale luminosità apparsa ieri su gran parte dell’ Europa meridionale e centrale: Alta Italia, Mezzogiorno della Francia, Germania, Svizzera e Austria, suscitando ovunque per la sua luminosità sorpresa e ammirazione”. Il quotidiano notava che l’intensità del fenomeno e soprattutto la sua diffusione su gran parte dell’Europa, era eccezionale, ripetendo che si era trattato di un “insolito fenomeno celeste… che rarissimamente viene osservato alle nostre latitudini”. Inoltre, dando conto dei vari luoghi in cui l’aurora era stata osservata, si notava con insistenza il fatto che il cielo si era colorato “di un rosso di fuoco a levante, come se si trattasse di un grande incendio”; qualche riga dopo si insisteva sul colore del cielo, impressionante, definito, questa volta, “rosso-sangue”.
    Il giorno successivo, il 27 gennaio, La Stampa riportava questo titolo: “Un’altra aurora boreale tra l’una e le due di notte”. L’astronomo intervistato dal quotidiano metteva in luce il fatto che solitamente le aurore boreali si manifestano al nord, e che molto raramente assumono estensione e luminosità come quella appena osservata. “Stampa sera” del 28-29 gennaio titolava: “Il nostro Sole è in tumulto”. Si notava che “il sole attraversa un periodo di grande, grandissima attività”, piuttosto rara e straordinaria. Un altro giornale, “Il Brennero” del 29 gennaio 1938, notava l’estensione dell’aurora, che si era vista chiaramente anche in Portogallo, oltre che nel resto d’Europa, e commentava così: “Fenomeno rarissimo. L’aurora boreale non si manifesta che raramente nelle nostre regioni ed in Europa centrale…L’aurora che ha incendiato l’altro giorno il cielo dell’Europa sembra essere stata di una estensione e di una intensità senza pari…”.
    Un’altra fonte interessante per capire l’entità del fenomeno è la relazione di Eugenio Guerrieri, “La grande aurora boreale del 25-26 gennaio 1938”, pubblicata dall’Osservatorio Astronomico di Capodimonte-Napoli (Contributi astronomici, serie II, n.22, 1938, estratto da: Rivista di Fisica, matematica e scienze naturali anno 13, serie II, Ottobre-novembre 1938-XVII -N.1-).
    Scrive tra l’altro il Guerrieri: “L’Aurora boreale osservata nella notte dal 25 al 26 gennaio 1938 è stata veramente splendida e deve considerarsi come fenomeno straordinario per la sua magnificenza, anormale per la sua visibilità, oltre che nelle regioni nordiche dell’Europa e dell’America, anche in quelle di bassa latitudine nel nostro emisfero. Dovunque fu oggetto di ammirazione in tutta l’Europa, in Germania ed in Inghilterra specialmente; grande sviluppo in longitudine dal Portogallo alla Russia ed in latitudine dalla penisola Scandinava alla Sicilia e finanche in molti paesi del Nord Africa”. Guerrieri nota che il cielo si è colorato in maniera incredibile, di “rosso sangue”, come se vi fosse un “incendio gigantesco”, e continua: “Nell’Atlantide e negli Stati Uniti d’America l’a.b. è stata grandiosa”, mentre ha destato “ammirazione e sorpresa, nella Spagna e nel Portogallo, dove il fenomeno non si vedeva da mezzo secolo. Questo è stato egualmente osservato a Biserta, Fez, Hammamet, Toza, ed in molti paesi della Tunisia e del Marocco dove l’a.b. rarissimamente si osserva e l’ultima è stata quella del 1891: in questi paesi gli europei hanno creduto ad un vastissimo incendio lontano, mentre gli indigeni, molto spaventati, hanno supposto segnali ed avvertimenti celesti”.
    Alla notizia della aurora boreale, come si è detto, Lucia ritenne che si trattasse del segno della Madonna e continuò a ripeterlo anche dopo che gli accordi di Monaco sembrarono per un attimo scongiurare il conflitto. Nel 1938, però, la annessione nazionalsocialista dell’Austria può essere veramente considerata l’antefatto della II guerra mondiale. Anche perché proprio la sera del 25 gennaio Hitler aveva ricevuto il barone Werner Fritsch, generale e comandante in capo della Reichwehr, “che continuava ad avanzare obiezioni sui piani di guerra hitleriani”, per farlo definitivamente fuori. Come è risaputo, infatti, ufficiali e generali tedeschi, per lo più, non volevano la guerra e costituivano l’unico potere rimasto in grado di impensierire il dittatore. Proprio la defenestrazione di Fritsch fu dunque un evento preliminare alla guerra non indifferente (Antonio Spinosa, “Hitler”, Mondadori, Milano, 1991, p. 240-241), così come le purghe di Stalin, all’epoca del 1938 ormai quasi concluse, furono importanti per eliminare quei generali che si sarebbero messi di traverso rispetto all’alleanza con Hitler del 1939.
    A questo punto un ultimo dettaglio. Gli storici concordano nel dire che nel 1938 la guerra era in un certo senso ormai nell’aria. Ma il fatto che segnò definitivamente lo scoppio del conflitto fu il patto von Ribbentrop-Molotov, cioè la spartizione della Polonia e di altre zone di influenza tra Hitler e Stalin. La II guerra mondiale, insomma, nacque definitivamente con l’accordo tra nazisti tedeschi e comunisti russi, tra Hitler e Stalin. Ebbene, questo patto fu firmato la sera del 23 agosto 1939 (von Ribbentrop, da una parte, Stalin e Molotov, dall’altra).
    Manco farlo apposta, proprio quella stessa sera fu segnalata una nuova aurora boreale, non così straordinaria come quella del 1938, ma certo imponente.
    Ce la descrisse nientemeno che il gerarca nazista Albert Speer nelle sue “Memorie del Terzo Reich”: “Quella notte- racconta Speer- ci intrattenemmo con Hitler sulla terrazza del Berghof ad ammirare un raro fenomeno celeste: per un’ora circa, un’intensa aurora boreale illuminò di luce rossa il leggendario Untersberg che ci stava di fronte, mentre la volta del cielo era una tavolozza di tutti i colori dell’arcobaleno. L’ultimo atto del ‘Crepuscolo degli dei’ non avrebbe potuto essere messo in scena in modo più efficace. Anche i nostri volti e le nostre mani erano tinti di un rosso innaturale. Lo spettacolo produsse nelle nostre menti una profonda inquietudine. Di colpo, rivolto a uno dei suoi consiglieri militari, Hitler disse: ‘Fa pensare a molto sangue. Questa volta non potremmo fare a meno di usare la forza’”. Già da “due o tre settimane- continua Speer- l’attenzione di Hitler si era chiaramente spostata sulle questioni militari” e il “partito favorevole alla guerra” prendeva sempre più piede. In margine a queste osservazione di Speer, il curatore delle sue memorie annota: “Il 23 agosto 1939, il Volkischer Beobachter (giornale nazista, ndr) annunciò quanto segue: “Martedì mattina (22 agosto) alle ore 2.45 l’osservatorio astronomico del Sonneberg ha notato una gran luce nel cielo settentrionale” (Albert Speer, Memorie del terzo Reich, Mondadori, Milano, 1997, p. 197).
    Un altro gerarca nazista, presente alla scena, Nicolaus von Below, ricorderà a sua volta: “All’inizio abbiamo pensato che si trattasse di un grande incendio in una delle città a nord dell’Untersberg, ma poi quella luce rossa ha illuminato tutto il cielo a nord e allora è stato chiaro che si trattava di una manifestazione insolitamente intensa di luci nordiche, un fenomeno naturale che si verifica raramente nella Germania meridionale”. “Intimorito da quella scena, commenta T. Ryback, von Below disse a Hitler che forse quello era il presagio di un’imminente guerra sanguinosa. “Se così dev’essere, allora che sia più veloce possibile” replicò Hitler” (cit. in Timothy W. Ryback, “La biblioteca di Hitler”, Mondadori, Milano, 2008, p. 148-149).
    Concludo con un fatto: molti dicono che la Madonna, a Medjugorje, completi, diciamo così, le apparizioni di Fatima. Anche lì, dove il sole avrebbe “ballato”, secondo molte testimonianze, in più di un’occasione, la Vergine avrebbe annunciato dieci segreti, per svelare qualcosa di importante al mondo. Uno di questi, a quanto sembra, prevede una grande segno nel cielo…
    Quando la Madonna di Fatima predisse un grande segno nel cielo (e la II guerra mondiale)« Libertà e Persona




    Cuba, Venerdì Santo festivo
    A Cuba il prossimo Venerdì Santo sarà festivo: le autorità hanno accolto la richiesta di Benedetto XVI, così come era già accaduto per il Natale all'epoca del viaggio di Giovanni Paolo II.
    E' positivo che le autorità cubane abbiano deciso di dichiarare giorno festivo il prossimo Venerdì Santo, accogliendo la richiesta che era stata avanzata da Benedetto XVI. Lo ha detto il direttore della sala stampa vaticana Padre F.Lombardi: "Il fatto che le autorità cubane abbiano tempestivamente accolto la richiesta del Santo Padre, dichiarando il prossimo Venerdì Santo giorno non lavorativo, è certamente un segno molto positivo. La Santa Sede si augura che ciò favorisca la partecipazione alle celebrazioni religiose e felici festività pasquali, e che anche in seguito la visita del Santo Padre continui a portare i frutti desiderati per il bene della Chiesa e di tutti i cubani".
    Cuba, Venerdì Santo festivo - LASTAMPA.it

    Preghiera
    di Camillo Langone
    Che il Santo Padre, nonostante l’età recatosi a Cuba per chiedere a quei governanti di rendere festivo il Venerdì Santo, visiti un altro paese dove si lavora il Venerdì Santo, e se è per questo anche il Corpus Domini e il Giorno dei Morti, e in sempre più numerosi casi perfino la domenica. Un paese dove leggi ispirate da Mammona ostacolano la pratica religiosa. Un paese dove non si rende a Dio quel che è di Dio e perciò, di conseguenza, nemmeno all’uomo quel che è dell’uomo.
    Che Dio conceda al Papa la forza di visitare l’Italia.
    Preghiera del 29 marzo 2012 - [ Il Foglio.it › Preghiera ]

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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Una lama nella notte
    Il mio coltello è ancora sporco di sangue.
    Sì, ho mirato per uccidere. Non capivo più niente. Ci si spintonava,
    e i bastardi erano armati, e quello ha detto qualcosa, non ricordo
    neanche cosa, e allora ho tirato fuori il coltello e ho colpito.
    Se non era svelto lo aprivo in due.
    La ferita era comunque brutta, sanguinava come un porco.
    Credo che per poco non ci abbiano ammazzati tutti, erano molti più di noi
    e insomma, noi eravamo anche vecchi e ragazzini e gente per bene,
    che un coltello non l'ha avuto mai, mica tutti mezzi delinquenti come me.
    Io il ferro lo so usare, con il mio lavoro, e mi era già capitato di tirarlo fuori.
    Prima.
    E pensare che quel Giuda è anche più svelto di me. Ma oh, guardate,
    l'avrei sgozzato se fossi riuscito a prenderlo.
    Alla fine siamo scappati.
    Mi fanno male i polmoni per la corsa. Ho la mano appicicosa per il sangue.
    Non ci capisco più niente. Non ci capisco più niente.
    Volevo dargli il tempo per fuggire. Gliel'ho anche urlato, scappa,
    è te che vogliono. Con quello che l'ho visto fare, avrebbe potuto
    sbatterli tutti giù con una parola.



    Invece si è messo in mezzo.
    L'orecchio penzolava, quello sanguinava, e lui l'ha guarito.
    E poi l'hanno preso.
    E io sono scappato, tutti siamo scappati.
    Il mio coltello è ancora sporco di sangue. Io, sono ancora sporco di sangue.
    Non so adesso cosa succederà. Sono solo un pescatore che per un attimo
    ha creduto di essere qualcosa di più. Un pescatore ignorante e rissoso,
    duro come la pietra, a cui qualcuno ha messo un nome troppo pesante.
    Dove andrò? Chi mi salverà, adesso? Chi salverà tutti noi?







    L'albero
    E' lontano ma lo vedo bene, l'albero. Sono ore che lo guardo,
    da quando è fiorito.
    Il caldo di questa settimana ha asciugato tutte le pozzanghere, ma
    ora il cielo è di nuovo cupo, livido, come un mantello sospeso sulla città.
    Frange di tempesta si abbassano quasi a toccare le colline, e la gente
    cammina guardando in alto.
    Cammina parlando piano, sussurrando, trovandosi in capannelli
    agli angoli dei viottoli, e di tanto in tanto sbirciando l'albero.
    Io me ne sto nascosto. Ho un livido sulla spalla che mi fa male,
    ma quello che fa più male non si vede. Sul tetto ci siamo io e Filippo,
    dietro il muretto che dà sul vicolo. Non so gli altri.
    Credo che sotto l'albero ci sia Giovanni, sono quasi sicuro che è lui.
    Adesso non c'è quasi più nessuno lassù sulla collina, e il vento ha pulito l'aria.
    Si vede bene, si vedrebbe bene se non fosse per la distanza.
    Ma mi sento i suoi occhi addosso. E' impossibile, ma li sento. Mi bruciano.
    Vorrei anch'io andare sotto l'albero, ma non ho il coraggio.
    Non ho il coraggio, non ho la forza, o l'intelligenza.
    O forse semplicemente non ho l'amore, non ho abbastanza amore.
    Dovrebbe essere lui, come aveva fatto, a venire da me, a prendermi per mano.
    Ma la sua mano è inchiodata sull'albero.
    Sono stato un illuso. Mi sono giocato la vita per un'illusione,
    che ora sta morendo.
    Eppure a ripensarci è stato tutto vero.
    E non riesco a spiegarmi, non riesco a capire come sia stato possibile.
    Perchè se non posso credere a quello che ho visto e sentito,
    a cosa posso credere? Dove posso andare?
    Dovrei fare come Giuda, che si è ammazzato?
    Perchè, che senso avrebbe se no la vita?
    Posso continuare a vivere come se non fosse accaduto niente?
    Devo vivere il resto dell'esistenza come una menzogna?
    Da lontano guardo l'albero, e non riesco ad andare più vicino.
    Anche se non ho più una vita da perdere.

    Crux fidelis, inter omnes arbor una nobilis:
    nulla silva talem profert,
    fronde, flore, germine.
    Dulce lignum, dulces clavos, dulce pondus sustinet.

    O Croce fedele, il più nobile fra tutti gli alberi:
    nessun bosco ne produce uno simile
    per fiore, fronda, frutto.
    Dolce legno, che con dolci chiodi sostieni il dolce peso.












    I fiori della primavera
    Lei finisce di parlare, ed io e Giovanni ci guardiamo.
    Gli altri hanno facce pallide, più pallide ancora dell'altro ieri.
    Nessuno si muove per lunghi attimi.
    Scattiamo nello stesso istante, senza parlare, scontrandoci
    per passare dall'uscio, fregandocene se ci vedono.
    Ormai è giorno fatto, e le strade sono affollate di gente venuta per la festa.
    Corriamo sull'acciottolato sdrucciolo, ancora umido, rischiando di spaccarci
    l'osso del collo, urtando i passanti che ci urlano dietro insulti.
    Corriamo fino alla porta, in mezzo agli asini indifferenti, ai cammelli ignari,
    ai mercanti incuriositi, alle donne che fanno la spesa, ai bambini vocianti
    che ci inseguono per un tratto ridendo.
    Rallentiamo, passiamo in mezzo alle guardie che non ci degnano
    di un'occhiata, siamo fuori dalla città.
    Giovanni si torce le mani, io sono sudato, ansimo, le gambe mi fanno male.
    Non parliamo, non osiamo, non osiamo sperare, non osiamo credere.
    A metà della salita mi fermo, non ho più fiato.
    Giovanni si volta, mi aspetta, ma io gli faccio cenno di andare pure.
    Quando riparto lui ha già imboccato il viottolo.
    Il silenzio, alle tombe, è irreale. Non c'è nessuno.
    Giovanni è in piedi, davanti all'apertura. Immobile, mi attende.
    La pietra è di lato, macchiata dal rosso dei sigilli.
    Nell'aria c'è il profumo dei fiori della primavera.
    La tomba è buia, mi chino, entro.
    Una lama di luce illumina il sudario ancora legato,
    macchiato di sangue marrone, afflosciato, vuoto.
    "Giovanni," farfuglio.
    Lui entra.
    Vede.
    E, anche lui, crede.
    Non scorderò mai il profumo di quei fiori.







    Grazia
    La Grazia, non l'avevo mai capita.
    Questa cosa misteriosa, senza cui non puoi salvarti.
    Me la visualizzavo come una sorta di scarica elettrica,
    o il raggio di luce che illumina i Blues Brothers nell'omonimo film.
    Quanto sbagliavo.
    La Grazia è qualcosa di assolutamente concreto.
    La Grazia è la possibilità che ti viene data ogni giorno di ricominciare.
    Gratuitamente, appunto, senza che tu te la meriti.
    Può giungere in qualunque modo.
    La parola di una persona che conosci, o non conosci affatto.
    Un sorriso. Un albero nella nebbia. Un libro.
    Il rumore del mare, una morte, tua figlia, il vento.
    Ma soprattutto quelli che magari non conosci, ma che hanno a cuore la tua vita.
    La Grazia è un avvenimento imprevisto che ti smuove e che ti muove,
    e che hai solo da accettare per quello che è, senza mettere di mezzo
    quello che pensi dovrebbe essere.




  6. #26
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Paul Claudel: Pasqua a Milano-1947
    "Ego flos campi et lilium convallium!"
    Pensavo a questo versetto del cantico dei Cantici in quel radioso
    mezzogiorno di pasqua a Milano, quando, uscendo dal Duomo,
    mia moglie mi mostrò lassù, in alto, in mezzo allo slancio delirante
    di quegli alleluja di marmo bianco, la Santa Vergine in oro,
    nel sole!



    In mezzo alla confusione di quei tirsi vi è uno stelo vertiginoso
    che finisce in quel fiore.
    "Sicut lilium inter spinas, ita amica mea inter filias!"
    Tra l'altezza, tra la volubilità sempre ricominciante, lo sguardo
    attratto da tutti questi lunghi gigli, tra questi vocalizzi di pietra,
    vi è l'ascensione fino a Dio della scala musicale.











    Sia benedetta la grande città lombarda che voi tenete sotto i piedi,
    Maria!
    Vergine Santa, benchè siate posta così in alto nel firmamento,
    io vorrei farvi salire più in alto ancora mettendomi in ginocchio.
    Come starei meglio in ginocchio che dritto in piedi, per dirvi
    del signor Prefetto Sant'Ambrogio, che io sono andato a venerare
    questa mattina nella sua vecchia chiesa color rosa!



    Lo misero sotto terra nel suo bel costume, insieme,
    come egli volle, con San Gervasio e San Protasio,
    e lo credereste che mi hanno permesso di fargli toccare
    questo rosario che non cessa di scorrermi tra le dita
    notte e giorno a vostra lode?



    Vi è pure da qualche parte quel grande celebre affresco
    di Leonardo da Vinci, che rappresenta la Cena, su un muro,
    allo stato di emanazione e aspirazione.



    Accanto c'è quella considerevole chiesa del Bramante che è là
    per domandarci, nella pura proporzione delle linee e delle masse,
    se vi è qualche cosa al mondo di più bello della composizione
    della fede con l'intelligenza.





    Vi è il Duomo, infine, miracolosamente risparmiato dalle bombe
    che l'hanno da ogni parte inquadrato.



    Cosa ci dice il cero pasquale, guarnito d'oro, sospeso
    solo solo nel coro, tra cielo e terra, come preso in pugno
    da un arcangelo invisibile, se non che Cristo è veramente
    resuscitato, poiché il sepolcro è vuoto?
    Piano piano, sotto l'avanzare obliquo dei fasci solari,
    io vedo propagarsi luminosamente su questo pavimento
    di visi (e l'attenta dialettica della luce non ne lascia
    lentamente uno che per raggiungerne un altro) la dottrina
    di Sant'Ambrogio, la dottrina della Chiesa, la dottrina di Dio!



    Ora è il momento dell'elevazione, i turiboli ondeggiano
    nel pugno di un clero favoloso, le campane rombano,
    e vi è lassù nel cielo, in pieno azzurro, una donna che grida
    che il suo diletto le appartiene!
    Il mio diletto è mio! dice lassù nel cielo la Vergine-Giglio,
    che è germogliata attraverso il roveto ardente.
    Egli è mio, e io sono Sua!




  7. #27
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Mons. Moraglia, il nuovo patriarca di Venezia che promette già bene
    Stefano Fontana
    Un grande inizio quello del nuovo Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia, già vescovo di La Spezia, che domenica scorsa 25 marzo si è insediato come quarantottesimo successore di San Lorenzo Giustiniani. La sua omelia in San Marco merita una attenzione particolare e promette molto di buono. La notizia è importante visto il peso specifico di quella sede vescovile dentro il governo della Chiesa cattolica.
    L'appello alla comunione con il Papa, la necessità di ricentrarsi sulla fede e sull'annuncio, l'insistenza sulla tensione missionaria, la denuncia dei goffi tentativi dei teologi di voler guidare la Chiesa, l'annuncio del realismo cristiano che parte da Cristo e non dall'uomo ed infine l'invito non ad un generico dialogo ma ad una "testimonianza dialogica" dicono già molto di positivo della linea indicata alle chiese del Nordest dal nuovo Patriarca, e non solo alle chiese del Nordest. Dicevo della comunione con il Papa. Il Patriarca è stato molto chiaro in proposito: rifacendosi a San Cipriano egli ha detto che Il vescovo “nel nome di Cristo, guida la comunità ecclesiale”, egli vive in comunione con gli altri vescovi “ma alla fine è la comunione col Vescovo di Roma a garantire la stessa collegialità episcopale”. In un momento in cui ci sono cardinali che si discostano dall'insegnamento di Benedetto XVI e vasti ambiti delle chiese dell'Europa centrale premono per una chiesa più sinodale ed elettiva si tratta di una affermazione di una certa importanza.
    Ma la parte più interessante dell'omelia è stato quando il Patriarca ha parlato del prossimo convegno delle Venezie Aquileia2 che si terrà dal 13 al 15 aprile prossimi. Nel 1992 l'allora Patriarca Cè aveva voluto Aquileia1 che però di frutti non ne ha poi prodotti tanti se ora i dati dell'Osservatorio socio-religioso Triveneto segnala una crescente secolarizzazione in queste terre. Aquileia2 ha avuto una preparazione di due anni, ma sembra essere stata presa in mano dai pastoralisti e dalla Facoltà teologica del Triveneto ed anche all'interno dell'episcopato non tutti sono d'accordo con l'impostazione data. La Chiesa deve imparare dal mondo, deve darsi una struttura sinodale consultiva periodica, deve rigenerarsi dal basso, bisogna far parlare i laici e le donne, occorrono gesti profetici per il bene comune... queste alcune delle linee emerse nella fase preparatoria ad Aquileia2, con le quali, però, il nuovo Patriarca sembra aver tagliato corto. “L'impegno comune - ha detto - è di ricentrare la vita delle nostre Chiese avendo di mira l'annuncio di Cristo” . “La nuova evangelizzazione - ha proseguito - per essere veramente tale - suppone che la comunità evangelizzante sia, prima di tutto, rigenerata nel proprio rapporto vitale con Cristo; ogni cammino d'evangelizzazione ha inizio non con l'elaborazione di piani pastorali o progetti accademici delle facoltà teologiche, e neppure attraverso un'auspicabile copertura del territorio da parte dei media. Certo questi strumenti, per quanto di loro competenza, concorrono all'opera evangelizzatrice in modo eccellente, ma non costituiscono ancora il fondamento dell'evangelizzazione”.
    Questa segnalazione del pericolo di confondere lo strumentale con l'essenziale è tornato in una successiva notevole sottolineatura: “Sono infatti i discepoli, intesi personalmente e comunitariamente, che vengono prima degli uffici pastorali, prima delle facoltà teologiche, prima della rete mediatica; solo in un secondo momento tali strumenti diventano preziosi... Prima di tutto, però, viene la comunità testimoniante che in nessun modo può essere surrogata o data per presupposta”. Il messaggio è molto chiaro: non sarà con le indagini sociologiche o inseguendo i nuovi costumi sociali, non sarà con le spesso cervellotiche elaborazioni degli esperti che le comunità cristiane riprenderanno in mano l'evangelizzazione delle Venezie. Soffermandosi poi sul brano evangelico dei discepoli di Emmaus, il Patriarca ha ricordato la loro pretesa di spiegare a Gesù, che non avevano riconosciuto tale, gli avvenimenti dei giorni precedenti.
    Tagliente l'osservazione di Mons. Moraglia: “Pare di intravedere, in questo goffo tentativo, l'immagine di certa teologia, più volenterosa che illuminata, tutta dedita all'ardua e improbabile impresa di salvare, attraverso le proprie categorie, Gesù Cristo e la sua Parola. Ma in questa immagine siamo rappresentati anche noi ogni qual volta, con i nostri piani pastorali, con i nostri progetti, convegni e dibattiti, avulsi da una vera fede, pretendiamo di spiegare a Gesù Cristo chi Egli è. Quando la fede viene meno, o non è più in grado di sostenere e fecondare la vita dei discepoli, allora ogni discorso teologico, ogni piano pastorale o copertura mediatica appaiono insufficienti. E noi ci troviamo nella stessa condizione dei due discepoli di Emmaus, incapaci d'andar oltre le loro logiche, i loro stati d'animo, scoprendosi prigionieri delle loro paure. Teniamo conto di tutto ciò alla vigilia di Aquileia2 e dell'incipiente anno della fede”. In vista di Aquileia2 di riunioni di commissioni e di convegni ne sono stati fatti tanti. La convegnistica sta in certi casi surrogando la mancanza di fede e nelle diocesi i ragionamenti umani e una ingenua pastorale dell'accoglienza delle situazioni di fatto sta facendo perdere di vista la centralità di Cristo.
    Le conclusioni dell'omelia del Patriarca hanno poi presentato il "realismo cristiano" che “partendo da Gesù Cristo ritorna a Gesù Cristo dopo aver incontrato ed attraversato, in tutto il suo spessore e diversi gradi, la creaturalità dell'uomo”. Non si parte dalla centralità del'uomo, come spesso si sente dire dopo la "svolta antropologica", ma dalla centralità di Dio. La Chiesa deve “crescere nella consapevolezza della fede per educarsi e porsi, senza arroganza ma anche senza timori o complessi d'inferiorità, in una testimonianza dialogica con le culture dominanti”. Anche questa espressione della "testimonianza dialogica" è ricca di significato. Il dialogo nel postconcilio ha spesso sostituito l'annuncio, mentre il magistero ha sempre sostenuto che nel dialogo deve essere sempre presente l'annuncio. Il Patriarca Moraglia sembra essere anche lui di questo avviso: nella testimonianza dialogica il sostantivo è la testimonianza e il dialogo è il suo strumento e non il suo fine. Promette bene questo nuovo Patriarca e bisognerà seguirlo con attenzione.
    Mons. Moraglia, il nuovo patriarca di Venezia che promette già bene | l'Occidentale

    Il prete modello? Con i santi in cielo e con il catechismo in mano
    Cosa per lui rara, Benedetto ha fatto esplicito riferimento a due fatti concreti della vita della Chiesa, nell’omelia della messa crismale del 5 marzo, la mattina del giovedì santo.
    Il primo riferimento è stato alla ribellione di alcuni preti dell’Austria.
    In proposito ha detto il papa:
    “Di recente, un gruppo di sacerdoti in un paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del magistero, ad esempio nella questione circa l’ordinazione delle donne, in merito alla quale il beato papa Giovanni Paolo II ha dichiarato in maniera irrevocabile che la Chiesa, al riguardo, non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore. La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove, per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee?”.
    Il secondo riferimento è stato al recente concistoro, e in particolare alla giornata di riflessione trascorsa dal papa assieme ai cardinali. Prendendo spunto dalla constatazione di un diffuso analfabetismo religioso, Benedetto XVI ha esortato i vescovi e i sacerdoti a prendere finalmente in mano quel testo da tutti trascurato che è il Catechismo della Chiesa cattolica, per tornare a insegnare quegli “elementi fondamentali della fede che in passato ogni bambino conosceva”.

    Il papa insiste, vuole tutti in ginocchio
    Nell’omelia della messa “in cæna Domini” del Giovedì Santo, Benedetto XVI ha toccato un tasto sensibile della sua azione per restituire alla liturgia il suo autentico “spirito”: quello dell’inginocchiarsi.
    In effetti, da quando, in ogni messa, il papa ha deciso di dare la comunione ai fedeli inginocchiati, questo suo gesto ha trovato rari imitatori. In quasi tutte le chiese del mondo le balaustre sono state eliminate, la comunione la si prende in piedi e non si è incoraggiati a inginocchiarsi neppure durante la consacrazione. La gran parte dei liturgisti squalificano l’inginocchiarsi come un gesto devozionale tardivo, inesistente nell’eucaristia delle origini.
    Benedetto XVI sa di muoversi controcorrente. Nel libro intervista “Luce del mondo” si è detto consapevole di dare con ciò un “segno forte”:
    “Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la Presenza reale… Deve essere chiaro questo: È qualcosa di particolare! Qui c’è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio”.
    Ebbene, nell’omelia del Giovedì Santo Benedetto XVI è andato alla radice del mettersi in ginocchio, che lungi dall’essere una devozione spuria, è un gesto caratterizzante la preghiera di Gesù e della Chiesa delle origini.
    Ecco le sue parole:
    “… Dobbiamo rivolgere la nostra attenzione su ciò che gli evangelisti ci riferiscono riguardo all’atteggiamento di Gesù durante la sua preghiera. Matteo e Marco ci dicono che egli ‘cadde faccia a terra’ (Mt 26, 39; cfr. Mc 14, 35), assunse quindi l’atteggiamento di totale sottomissione, quale è stato conservato nella liturgia romana del Venerdì Santo. Luca, invece, ci dice che Gesù pregava in ginocchio. Negli Atti degli Apostoli, egli parla della preghiera in ginocchio da parte dei santi: Stefano durante la sua lapidazione, Pietro nel contesto della risurrezione di un morto, Paolo sulla via verso il martirio. Così Luca ha tracciato una piccola storia della preghiera in ginocchio nella Chiesa nascente. I cristiani, con il loro inginocchiarsi, entrano nella preghiera di Gesù sul Monte degli Ulivi. Nella minaccia da parte del potere del male, essi, in quanto inginocchiati, sono dritti di fronte al mondo, ma, in quanto figli, sono in ginocchio davanti al Padre. Davanti alla gloria di Dio, noi cristiani ci inginocchiamo e riconosciamo la sua divinità, ma esprimiamo in questo gesto anche la nostra fiducia che egli vinca”.

    CARLA E LA PASQUA
    di Carla D’Agostino Ungaretti
    Diciamo la verità: il mondo moderno ha spiritualmente messo in un cantuccio la Pasqua e il suo significato. L'universo vacanziero, composto anche di molti cristiani solo di nome, ne aspettano l'arrivo ogni anno per andare a godersi una bella vacanza di primavera, tanto che è stato pure inventato uno slogan: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Il dilagare delle uova di cioccolata, delle colombe e delle pecorelle di zucchero non regge il confronto con tutto il kitsch (non solo alimentare) del Natale, che è diventato negli ultimi decenni la festa universale per eccellenza, dal Giappone al Sud America, celebrata con abeti addobbati, luminarie, gadget e lusinghe commerciali di varia natura, dagli strofinacci di cucina, ai rossi e barbuti Babbi Natale dei centri commerciali. In tutto il mondo, tranne forse che nei paesi arabi (per motivi ideologici) quella che dovrebbe ricordare al mondo l'incarnazione di Dio venuto a salvarci, è diventata la festa del business, delle pantagrueliche scorpacciate e del consumismo più sfrenato. Regali a profusione, tavole riccamente imbandite, baci e abbracci più o meno sinceri sotto il vischio e accanto all'albero.
    Tutto ciò si spiega facilmente. Nell'immaginario collettivo, il Natale è la festa politicamente corretta per eccellenza; essa è stata definita (in verità un po' ipocritamente, e tutti sappiamo perché) la festa della famiglia perché con essa si celebra la nascita di un Bambino che, per i credenti in Lui, è Dio mentre, per tutti gli altri, si tratta solo di un profeta o comunque di un uomo eccezionale che è stato capace di dire cose inaudite a causa delle quali è stato condannato a una morte terribile. Punto e basta. Anche se in alcune scuole italiane si è scioccamente tentato di chiamare il Natale "Festa della neve" per non "offendere" gli scolari non cristiani (perché dovrebbero offendersi, poi?), di certo ricordare la nascita di un bambino non disturba nessuno, anzi a tutti fa tenerezza un piccolo innocente, indifeso e perseguitato, che ha avuto per culla una mangiatoia riscaldata dal respiro di un bue e di un asinello. Perciò anche i paesi a maggioranza buddista, induista, scintoista (tanto per citare alcune delle fedi più lontane dal Cristianesimo) non hanno nessuna difficoltà a festeggiarlo anch'essi, tanto più che il Natale procura anche a loro dei ben lauti guadagni.
    Nulla di tutto ciò per la Pasqua. Questa, invece, è la festa più scorretta politicamente, perché da duemila anni vuole celebrare un evento molto scomodo che oggigiorno si tende a passare sotto silenzio, addirittura la Resurrezione di un morto! Una Verità, cioè, che richiede molto coraggio per essere riconosciuta e quindi professata perché, come dice Henri de Lubac, il coraggio di riconoscerla è proprio uno dei motivi per cui la verità non è amata….
    Come si fa, in questa nostra epoca relativista che non crede in nulla che vada più in là dei propri sensi (oltretutto molto limitati) credere che quello che era stato, come tutti, un bambino in carne e ossa, all'età di 33 anni morì dopo aver subito un supplizio terribile, ma dopo tre giorni resuscitò a una vita gloriosa per non morire più e fu visto, sentito e toccato da molti che, per darne testimonianza al mondo, non esitarono a sacrificare la loro stessa vita?
    Eppure, se non crediamo che Gesù è veramente risorto, non siamo cristiani (1 Cor 15, 14). Se ci si pensa per un momento, si rimane sconvolti e soprattutto ci si sente chiamati a una scelta di parte, o con Lui o senza di Lui, ma oggi la maggior parte dell'umanità non se la sente di prendere una posizione perché, come diceva Jean Guitton, "ha paura che il cielo gli caschi addosso". Allora in tutto il mondo la Pasqua è passata in secondo piano rispetto al Natale o meglio, visto che essa esiste da ben due millenni ed è difficile cancellarla, è più conveniente festeggiare questa ricorrenza - che, oltretutto, cade sempre di domenica e perciò si confonde facilmente con tutte le altre domeniche dell'anno - senza pensare troppo al suo significato; meglio programmare qualche bel viaggio nei luoghi più esotici possibili dove, oltretutto, sia difficile trovare una chiesa cattolica che ci ricordi il dovere spirituale di ascoltare la S. Messa o, più modestamente, fare qualche gita in campagna o qualche buon pranzo con gli amici.
    Ma si può credere, nel XXI secolo, alla Resurrezione di Gesù? Una domanda analoga già se la poneva Dostojewskj centocinquanta anni fa: si può credere che Gesù sia Dio, ai nostri giorni? Secondo la vostra amica cattolica "bambina", SI', e nella sua debolezza di peccatrice, ella si sforza di vivere quotidianamente veluti si Deus daretur, come più volte ha esortato Benedetto XVI, perché solo Cristo ha pronunciato parole di Vita Eterna e perché, seguendo il consiglio di Pascal, ella ha scommesso su Dio e quindi sulla Resurrezione di Gesù: se Dio non esiste (e quindi non è risorto) dopo la morte non perderà nulla, ma se Dio esiste (e quindi è risorto) guadagnerà tutto, e cioè la Vita Eterna accanto a Lui, in un eterno faccia a faccia.
    CARLA E LA PASQUA - di Carla D


  8. #28
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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Corea del Sud, la tigre asiatica della Chiesa
    Lì i cattolici aumentano con ritmi stupefacenti. Con ogni anno molte migliaia di nuovi battezzati adulti. Il reportage di un grande missionario
    di Sandro Magister
    Nell'ultimo secolo la Chiesa cattolica ha vissuto la più straordinaria fase di espansione missionaria della sua storia.
    All'inizio del Novecento, nell'Africa subsahariana i cattolici erano meno di 2 milioni. Cent'anni dopo erano 130 milioni.
    E anche su scala mondiale il XX secolo è stato per la Chiesa un secolo di esplosione numerica. Da 266 milioni all'inizio del Novecento, i cattolici sono arrivati cent'anni dopo a un miliardo e 100 milioni. Si sono moltiplicati per quattro, più del parallelo aumento della popolazione del pianeta.
    È un'espansione che non dà alcun segno di arrestarsi e che ha preso inizio, nell'Ottocento, proprio quando in Europa la Chiesa cattolica subiva gli attacchi di una cultura e di poteri fortemente ostili al cristianesimo.
    Oggi il quadro è analogo. Per la Chiesa cattolica in Europa sono anni magri. Ma in altre regioni del mondo è l'opposto.
    La Corea del Sud, ad esempio, è un paese nel quale il cattolicesimo cresce a ritmi stupefacenti. E proprio tra gli strati più attivi e "moderni" della popolazione.
    Il reportage che segue – pubblicato il giorno di Pasqua sul quotidiano della conferenza episcopale italiana "Avvenire" – ha per autore uno dei massimi esperti delle missioni cattoliche nel mondo. Missionario lui stesso, padre Piero Gheddo è oggi direttore, a Roma, dell'Ufficio storico del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano.
    E autore di numerosi volumi e ha collaborato alla stesura dell'enciclica di Giovanni Paolo II "Redemptoris missio", del 1990.

    SEUL, UNA PASQUA DA RECORD
    di Piero Gheddo
    Non c’è forse paese al mondo che nell’ultimo mezzo secolo abbia registrato una crescita così sostenuta come la Corea del Sud, anche nelle conversioni a Cristo.
    Dal 1960 al 2010 gli abitanti passano da 23 a 48 milioni; il reddito pro capite da 1.300 a 19.500 dollari; i cristiani dal 2 al 30 per cento; i sacerdoti coreani erano 250, oggi sono 5.000.
    Sono stato una prima volta in Corea del Sud nel 1986 col padre Pino Cazzaniga, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere in Giappone, che parla il coreano.
    Era già allora una Chiesa con tante conversioni, e ancor oggi è così. Ogni parrocchia ha dai 200 ai 400 battesimi di convertiti dal buddhismo all’anno. Si convertono soprattutto gli abitanti delle città. Ogni anno 130-150 nuovi sacerdoti, uno ogni 1.110 battezzati. Nel 2009 il numero dei battezzati è salito a 157 mila e sono stati ordinati 149 sacerdoti, 21 più del 2008. Più di due terzi dei sacerdoti hanno meno di 40 anni.
    La Chiesa cattolica nella Corea del sud è quella che più cresce in Asia, In Corea c’è piena libertà di religione e il segretario della conferenza episcopale coreana, monsignor Simon E. Chen, mi diceva che i coreani manifestano una forte propensione verso il cristianesimo, perchè introduce l’idea di uguaglianza di tutti gli esseri umani creati dall'unico Dio. Inoltre, sia cattolici che protestanti hanno partecipato al movimento popolare contro la dittatura militare, tra il 1961 e il 1987, mentre confucianesimo e buddhismo promuovevano l’obbedienza all’autorità costituita. E poi, il cristianesimo è la religione di un Dio persona fatto uomo per salvarci, mentre sciamanesimo, buddhismo e confucianesimo non sono nemmeno religioni, ma semplici sistemi di saggezza umana. Infine, dopo la guerra di Corea fra Nord e Sud (1950-1953), la Corea del Sud, grazie all’aiuto americano, ha conosciuto un rapidissimo sviluppo economico, sociale e civile, diventando in tutto un paese evoluto e anche ricco, nel quale le antiche religioni non danno risposte ai problemi della vita moderna.
    Caratteristica della Chiesa coreana è l’ottima collaborazione dei laici all’evangelizzazione. La Chiesa è nata in Corea da alcuni filosofi e diplomatici coreani emigrati, che si erano convertiti al cristianesimo a Pechino, e poi, tornati in patria, hanno propagato la fede e battezzato. Dal 1779 al 1836, quando giunsero i primi missionari francesi, i cristiani si diffusero, poi vennero le persecuzioni, ma l’abitudine a collaborare con la Chiesa è rimasta. Oggi in Corea, chi si converte sa che deve impegnarsi in uno dei gruppi, associazioni, movimenti parrocchiali. Il cattolico "passivo" non è ammesso. A Seul, dove ci sono più di 200 parrocchie, sono stato nella parrocchia dei salesiani di Kuro 3-Dong, in ambiente operaio di periferia. I cattolici, già nel 1986, erano 9.537 su circa 150.000 abitanti, i battesimi di convertiti adulti quasi 600 l’anno.
    Il parroco padre Paul Kim Bo Rok, mi diceva: "In parrocchia siamo due sacerdoti e quattro suore, ma il vero lavoro di missione e di istruzione religiosa lo fanno i laici, sia negli otto corsi di catechesi, in ore e per persone diverse, sia nei movimenti ecclesiali molto attivi, specie la Legione di Maria. Ogni anno celebriamo in parrocchia due o tre riti di battesimi collettivi di adulti: ogni volta i battezzati sono 200,* 300 o anche di più, dopo circa un anno di catecumenato: è poco, ma non possiamo dare più tempo per le tante richieste di istruzione religiosa. La formazione profonda della fede viene data dopo il battesimo ed è compito dei movimenti ecclesiali. Diventare cristiano significa entrare in un gruppo che ti impegna a fondo, ti dà norme di comportamento e d’impegno, ti fa pagare le quote di partecipazione, ti dà le preghiere da dire tutti i giorni. Quando si entra nella Chiesa si deve accettare tutto. Questo è lo spirito coreano: o accetti e ti impegni, o non accetti e te ne vai".
    Continua padre Paul: "In Corea la religione è una cosa seria, impegnativa. È tutta la cultura del popolo che è impostata in questo modo. Anzi, il cristianesimo è la forza principale che punta sulla coscienza personale, sulla libertà della persona. La Corea del Sud conosce un prodigioso sviluppo economico, la povertà di trent’anni fa è scomparsa: oggi c’è per noi il passaggio all’abbondanza e anche alla ricchezza. Dobbiamo reagire con una formazione cristiana più profonda e personale. Siamo travolti dall’ondata delle conversioni, chiediamo al mondo cristiano almeno l’aiuto della preghiera".
    I battesimi vengono generalmente amministrati a Pasqua, Pentecoste e Natale. Nella parrocchia di Bang Rim Dong a Kwangiù, nella Pasqua del 1986 ho partecipato alla messa e al battesimo di 114 adulti e loro figli. Una festa di popolo, con la lunga processione di uomini e donne, bambini e bambine vestiti di bianco per ricevere il battesimo. Canti, musiche, tanta allegria.
    Nella Pasqua di quest’anno, domenica 8 aprile, in Corea e nel mondo delle missioni, altre decine di migliaia di catecumeni sono entrati nella Chiesa. Mai essere pessimisti sul futuro del cristianesimo e della Chiesa cattolica. Noi del Vecchio Continente attraversiamo un periodo di crisi della nostra fede, ma nelle giovani Chiese l’azione dello Spirito Santo ci dà una iniezione di speranza e di gioia pasquale.


    10 aprile 1912, Costa della Cornovaglia
    Padre e figlio guardarono passare la nave, un gigante illuminato nella sera, diretta verso l’oceano che si spingeva buio e illimitato ben oltre il punto dove lo sguardo poteva arrivare.
    “Dicono che sia troppo grande per affondare” disse il padre al bambino.
    “Non mi sembra così grande,” ribattè il bambino “guarda le stelle e le nuvole e il mare, sono molto più grandi”.
    “Ma le stelle e le nuvole non le ha fatte la scienza” rispose il padre.
    Il bambino interruppe, impaziente “Ma le stelle cadono e le nuvole spiovono, diventano acqua o neve o ghiaccio”.
    “La scienza fa cose molte più robuste delle nuvole, della neve o del ghiaccio” spiegò pazientemente il padre. “Le cose naturali hanno la forma che vogliono, la scienza piega l’acciaio secondo la forma che vogliamo noi. La scienza ci darà navi inaffondabili, la pace sulla terra, un progresso senza fine”.
    Il bambino tacque. Sui ponti del bastimento si intravedevano appena piccoli puntolini che forse erano uomini.
    “Chissà quanto ci divertiremo” sussurrò, mentre le luci svanivano nella notte.
    10 aprile 1912, Costa della Cornovaglia « Berlicche



    GRAN BRETAGNA, L'INSENSATEZZA DEL «POLITICAMENTE CORRETTO»
    Gianfranco Amato
    Non sono molti i cristiani che in Gran Bretagna hanno il coraggio di affrontare pubblicamente la potente ideologia del "politicamente corretto". Uno di questi è il cardinale Keith O’Brien, arcivescovo di Saint Andrews ed Edimburgo, che nei giorni scorsi, cogliendo gli spunti del tempo pasquale, ha lanciato l’ennesima sfida. Questa volta ha preso di mira la deriva crocifobica che sembra imperversare nel Regno Unito. La questione è tornata recentemente alla ribalta in seguito al ricorso presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo da un gruppo di dipendenti cristiani vessati sul posto di lavoro o licenziati per il fatto di portare al collo una croce. Dopo aver perso in tutti i gradi di giudizio, infatti, i lavoratori hanno deciso di rivolgersi alla Corte di Strasburgo, trovandosi di fronte, tra l’altro, l’ostinata opposizione del governo conservatore britannico guidato da David Cameron.
    La tesi è nota: poiché portare indosso una croce non è previsto come precetto religioso, tale atto rappresenterebbe un’intollerabile ostentazione vietata dal neutralismo del politically correct. Ed è per questo motivo che, quindi, è possibile discriminare i cristiani dai credenti in altre fedi nelle quali l’esibizione dei propri simboli religiosi rappresenta un vero e proprio obbligo. Una delle più recenti sentenze dell’Alta Corte britannica in materia, ad esempio, ha ribadito che la proibizione a una ragazza sikh di portare a scuola il kara – il braccialetto sacro – configura un vero e proprio atto di discriminazione religiosa. Lo stesso non vale per la croce dei cristiani.
    Dal pulpito della cattedrale di Saint Andrews, O’Brien ha invitato tutti i credenti a portare «con orgoglio (proudly) un simbolo della croce sui propri indumenti ogni giorno per tutta la vita». «Io so – ha precisato il cardinale – che molti di voi già tengono indosso una croce di Cristo, non come ostentazione né come provocazione sul posto di lavoro o in un luogo di divertimento, ma come un semplice richiamo al valore del ruolo di Gesù Cristo nella storia del mondo, e come segno del fatto che state cercando di vivere secondo i princìpi cristiani la vostra esistenza quotidiana. Non posso non gridare la mia preoccupazione – ha proseguito – per il crescente fenomeno di marginalizzazione della religione, in particolare di quella cristiana, che si sta diffondendo in alcuni ambiti». Il cardinale ha poi concluso ricordando come «la Santa Pasqua sia il tempo ideale per ricordarci la centralità della croce nella nostra fede», e ribadendo la sua «speranza che un numero sempre maggiore di cristiani ricorra alla pratica devozionale di esibire, in modo semplice e discreto, un piccolo crocifisso come simbolo della propria fede».
    Di fronte alla deriva persecutoria contro questo simbolo, che evidentemente continua a essere considerato stultitia gentibus, la provocazione risulta coraggiosa: ogni cristiano porti indosso il signum redemptionis.
    Ci sono due modi infatti per controbattere l’odio del mondo verso la Croce. Uno è quello di chi preferisce subire passivamente e in silenzio, quasi vergognandosi di quel simbolo di morte e risurrezione.
    C’è, invece, chi intende reagire, ricordando gli ammonimenti di san Paolo ai Galati: il cristiano non deve gloriarsi «nisi in cruce Domini nostri Iesu Christi». La Croce è, in realtà, l’unico motivo di vanto per i credenti. E i nuovi persecutori dovranno rendersene conto.
    L'orgoglio della croce | Commenti | www.avvenire.it



    Il Gesù di Cameron
    Autore: Gianfranco Amato
    Il Primo Ministro britannico David Cameron durante un ricevimento dato in occasione della Santa Pasqua a Downing Street, si è ricordato di essere un cristiano. Con il tipico understatement anglicano ha pubblicamente e pudicamente esternato i propri personali sentimenti religiosi. Il ricevimento non è stata l’unica opportunità per Cameron di professare la propria fede. In un altro messaggio pasquale, infatti, il premier ha avuto modo di sottolineare come «il Nuovo Testamento ci dica molto del carattere di Gesù: un uomo di incomparabile compassione, generosità, grazia, umiltà e amore», «valori che lo stesso Gesù ha incarnato e che tutti, credenti e non credenti, possono condividere ed ammirare».
    Questo è il cristianesimo di David Cameron: l’ammirazione di un uomo per il suo “carattere dolce”. Che, poi, questo Uomo sia anche stato Dio, incarnato, morto e risorto per la salvezza dell’umanità, sembra essere del tutto indifferente. Come indifferenti paiono essere, per Cameron, gli insegnamenti di quell’Uomo.
    Non è un caso, ad esempio, che il Primo Ministro sia uno strenuo e convinto sostenitore dei matrimoni omosessuali e della possibilità di ridefinire per legge il concetto di matrimonio, secondo criteri innovativi stabiliti dal governo.
    Non è un caso, ad esempio, che l’Esecutivo guidato da Cameron abbia deciso di non sostenere il ricorso presentato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da un gruppo di lavoratori cristiani licenziati per la croce che portavano al collo (dal cristiano Cameron ci si sarebbe aspettati una maggior attenzione in merito a quelle odiose vicende).
    Non è un caso, ad esempio, che in materia di bioetica il premier britannico abbia a suo tempo votato a favore della possibilità di creare gli ibridi uomo-animale, mostrando di credere alla fandonia che una simile mostruosità genetica potesse aiutare lo sviluppo della ricerca scientifica. Ciò che colpì particolarmente il mondo pro-life in quell’occasione fu l’incredibile superficialità con cui Cameron aveva liquidato la questione degli ibridi: «Non si tratta di creare una sorta di mostro di Frankenstein, ma semplicemente di prendere l’ovocita di una mucca e iniettarvi un po’ di DNA umano e tenerlo dentro solo per 14 giorni».
    In un’intervista resa al quotidiano Daily Mail il 17 marzo 2008 sull’aborto eugenetico, ancora Cameron fece letteralmente infuriare gli attivisti pro-life. Il leader conservatore, infatti, si dichiarò favorevole all’aborto tardivo anche in caso di lievi malformazione del feto. Pesarono, allora, le sue parole in quell’intervista a proposito della proposta di cambiare la norma che consente l’aborto fino a 39 settimane nel caso di accertate disabilità del nascituro. «Io non avallerò quella proposta», fu la secca replica del leader tory, «e l’attuale legge deve rimanere esattamente com’è».
    Un abortista eugenetico, a favore degli omosessuali, e indifferente alla deriva cristianofobica che sembra imperversare nel Regno Unito, questo è David Cameron. Il ritratto perfetto di un anglicano politically correct.
    Questa è la tragedia del cristianesimo in Gran Bretagna, una religione all’acqua di rose, ridotta a buoni sentimenti in cui si ammira, con una venatura di neo-arianesimo, la figura di un personaggio storico che ha mostrato all’umanità il suo meraviglioso carattere, la sua «incomparable compassion, generosity, grace, humility and love».
    La cosa più scandalosa è che, parlando in occasione della Pasqua, un cristiano come si professa Cameron, non abbia minimamente accennato al Cristo Risorto. Anche lui, come tutti i credenti nella fede del Nazareno, dovrebbe conoscere le parole dell’Apostolo delle Genti: «Si Christus non resurrexit, stulta est fides vestra». Se Cristo non fosse risorto dai morti la fede cristiana si sarebbe ridotta ad un’assurda follia, una fede per stolti, che forse può andar bene per i cristiani politicamente corretti, ma che di certo non può essere accolta da tutti coloro che ancora si ostinano a credere davvero nell’Incarnationis Mysterium.
    La questione, del resto, l’aveva centrata, con la sua consueta e lucida profondità, il grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij in un appunto scritto per il celebre romanzo I demoni: «Su Cristo, potete discutere, non essere d’accordo (…) tutte queste discussioni sono possibili e il mondo è pieno di esse, e a lungo ancora ne sarà pieno; ma io e voi, Šatov, sappiamo che sono tutte sciocchezze, che Cristo, se è solo uomo, non può essere Salvatore e fonte di Vita, e che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano, e che la pace per l’uomo, la fonte della vita e la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la condizione sine qua non e la garanzia per l’intero universo si racchiudono nelle parole: “Il Verbo si è fatto carne” e nella fede in queste parole».
    Il Gesù di Cameron



    Anglicani sempre più in “fuga” verso Roma
    Decine di pastori e centinaia di fedeli tornano nella Chiesa cattolica.
    GIACOMO GALEAZZI
    CITTÀ DEL VATICANO
    Ormai più che un’erosione è un esodo. Ogni mese decine di pastori e centinaia di fedeli e a luglio, con l’introduzione dell’episcopato rosa, la fuga appare destinata ad aumentare ulteriormente. Già ora è in continua crescita il fenomeno dei sacerdoti e fedeli anglicani che tornano con Roma in seguito all’accordo raggiunto con la Congregazione per la Dottrina della Fede e che vengono riordinati sacerdoti cattolici. Questo trend inarrestabile costituisce uno dei motivi che hanno indotto alle dimissioni il primate Rowan Williams.
    Secondo alcuni sondaggi, praticamente metà del gregge della Chiesa d’Inghilterra è favorevole ad un ricongiungimento con i cattolici. E il «contagio» si sta estendendo dagli anglicani ai luterani. Parecchi gruppi dell’America Settentrionale e della Scandinavia hanno chiesto alla Santa Sede di essere ricevuti nella Chiesa cattolica e quindi l’istituzione di un apposito Ordinariato per loro, sul modello di quello (intitolato a Nostra Signora di Walsingham) predisposto per gli ex anglicani. Un cammino di ritorno nella Chiesa cattolica che riguarda un crescente numero di chierici e laici in tutto il mondo.
    Nella Comunione anglicana non sono state finora individuate modalità efficaci per arrestare un trend che ha indebolito la leadership dell’arcivescovo uscente di Canterbury Rowan Williams che venti giorni fa ha annunciato che abbandonerà il suo ruolo alla fine dell’anno. Una decisione arrivata dopo dieci anni di servizio e dopo aver accettato la posizione di Master of Magdalene College a Cambridge.
    Intanto crescono senza sosta le conversioni al cattolicesimo favorite dall’istituzione, il 15 gennaio, dell’Ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham. Varie decine di gruppi, sparsi nel territorio dell’intera Gran Bretagna, stanno entrando nella Chiesa cattolica. Dopo un cammino di preparazione all’ingresso ufficiale nella Chiesa cattolica, i convertiti vengono accolti ricevendo il sacramento della Cresima. La costituzione apostolica «Anglicanorum coetibus», pubblicata nel novembre 2009, ha aperto la strada all’ingresso di comunità anglicane nella Chiesa cattolica attraverso l’istituzione di ordinariati personali, con caratteristiche simili a quelle di una diocesi non territoriale, una nuova struttura canonica. In questo modo, è possibile riconoscere il primato del Papa, mantenendo elementi propri della loro tradizione liturgica e spirituale. Finora l’abbandono dei fedeli anglicani per passare alla Chiesa cattolica nell’apposito ordinariato voluto da Benedetto XVI, ha riguardato vescovi, preti e fedeli desiderosi anche di poter tornare all’antica liturgia della messa in latino.
    A luglio la chiesa anglicana d’Inghilterra autorizzerà l’ordinazione di vescovi appartenenti al gentil sesso. Nel 1994, quando ha dato via libera all’ordinazione sacerdotale delle donne, la Chiesa anglicana ha perso circa 500 membri del clero passati alla chiesa cattolica. Nel luglio 2010 il Sinodo anglicano di York ha approvato l'ordinazione di donne vescovo, decisione che si sta imponendo a poco a poco in tutta la comunione Anglicana, contro il parere delle comunità tradizionaliste. La Comunione Anglicana è composta da 38 province indipendenti, una delle quali è l'Inghilterra. Varie province hanno già donne vescovo. Alla fine per la consacrazione vescovile delle donne l’emorragia potrebbe essere ancora più vasta.
    La Chiesa cattolica si oppone alla strada che il prossimo luglio porterà all’introduzione della legislazione che conduce all’ordinazione delle donne all’episcopato. La posizione nel merito della Chiesa cattolica è rimasta immutata dai tempi di Paolo VI. Il sì all’episcopato rosa per la Santa Sede equivale a uno strappo alla tradizione apostolica mantenuta da tutte le Chiese del primo millennio, ed è perciò un ulteriore ostacolo per la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la chiesa d’Inghilterra. Perciò l’apertura dell’episcopato all’altra metà del cielo avrà conseguenze negative per il dialogo con il Vaticano. E causerà un’ulteriore distacco di chierici e laici a vantaggio di Roma.
    L’iter sembra chiaro: il prossimo luglio le donne vescovi, poi l’ordinazione di sacerdoti dichiaratamente gay. E’ la strada che il mondo anglicano ha deciso di percorrere incurante delle comunità sempre più numerose che proprio a motivo di questa svolta «liberal» scelgono la diaspora, ovvero il ritorno alla «casa madre» cattolica. La Santa Sede, in numerosi incontri, aveva avvertito del fatto che la decisione di consacrare donne vescovo avrebbe compromesso il dialogo ecumenico con la Chiesa cattolica. Tutte le Chiese del primo millennio, cattolica, orientali e ortodosse, affermano che solo gli uomini possono essere ordinati. Queste Chiese vedono l’ordinazione delle donne come un abbandono illegittimo della tradizione autentica. Con le donne vescovo la Comunione Anglicana abbandonerebbe quella che Roma considera la tradizione essenziale della Chiesa fin dalle origini. Due questioni, infatti, sono al centro delle tensioni dentro la Comunione anglicana e nei suoi rapporti con la Chiesa Cattolica: l’ordinazione delle donne e l’omosessualità.
    Il Vaticano contesta agli anglicani l’impossibilità di offrire una testimonianza comune della sessualità umana e del matrimonio. Inoltre, l’ordinazione delle donne all’episcopato bloccherebbe sostanzialmente e definitivamente un possibile riconoscimento degli ordini anglicani da parte della Chiesa cattolica. L’«episcopato rosa» è un macigno sulla strada della partecipazione comune alla mensa di Cristo. E così la «fuga» di anglicani verso Roma si intensifica.
    Anglicani sempre più in

    USA, ondata di vocazioni religiose in arrivo: più giovani e più istruiti
    Antonio Ballarò
    Benedetto XVI, nella sua omelia del Giovedì Santo, ha ribadito la chiusura all’ordinazione femminile e al celibato opzionale (ne avevamo parlato anche noi). Il Pontefice ha colto l’occasione per indicare la vera strada di rinnovamento della Chiesa, che passa inevitabilmente dalla “gioia della fede” e non dalla spinta a “trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee”.
    E in effetti, il rinnovamento auspicato dal Papa sembra stia arrivando, nonostante le prese di posizione dei “cattolici progressisti”, i quali dopo gli scandali della pedofilia nel clero nel 2002, davano già per morto il sacerdozio. Oggi i numeri dicono che le ordinazioni sacerdotali sono in costante aumento, per non parlare delle conversioni e delle vocazioni (non solo maschili) che “colpiscono” sempre più i giovani.
    Ne ha dato notizia il “Wall Street Journal” in un articolo intitolato: “Il cattolicesimo tradizionale sta vincendo“, in cui si è parlato dell”«ondata di candidati sacerdotali» che sta investendo i seminari americani. Addirittura quello di Boston (diocesi-epicentro dello scandalo-pedofilia) ha dovuto allontanare i candidati per mancanza di spazio, mentre l’arcidiocesi di Washington DC ha ampliato le sue strutture e sta prendendo in considerazione l’idea di costruire un nuovo seminario nei pressi di Charlotte. Considerato il problema dei nostri giorni, in cui si parlava spesso di mancanza di sacerdoti, questa non può non essere una notizia più che positiva, e la Chiesa -mediante il suo Ufficio Centrale di Statistica-, ha rilevato che ci sono più di 5.000 preti cattolici in più in tutto il mondo nel 2009, rispetto a quelli che c’erano nel 1999. «Il futuro è incoraggiante», commenta l’articolista.
    Si parla anche della «vecchia generazione di progressisti, che continua a fare pressioni per cambiare la dottrina cattolica in materia di diritti riproduttivi, matrimonio omosessuale e l’ordinazione delle donne. Ma è stata sostituita da giovani uomini e donne che sono attratti alla chiesa proprio grazie all’eternità dei suoi insegnamenti. Sono attratti alla filosofia, l’arte, la letteratura e la teologia che rendono il cattolicesimo controculturale. Sono attratti dalla bellezza della liturgia e l’impegno della Chiesa per la dignità della persona». Uno studio condotto dalla Georgetown University ha confermato che gli uomini e le donne che hanno professato i voti perpetui nel 2011 sono più giovani e più istruiti di quelli del passato. Quasi il 60%, infatti, aveva conseguito almeno un diploma di laurea, mentre il 16% aveva conseguito anche la laurea. Secondo altri studi si apprende che negli USA ogni anno si convertono al cattolicesimo ben 120.000 adulti, che decidono poi di farsi battezzare.
    USA, ondata di vocazioni religiose in arrivo: più giovani e più istruiti | UCCR


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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    Pio IX? Statista illuminato
    Parola di "prof" reazionario
    Nel nuovo libro, il cattolico di ferro Roberto de Mattei rivaluta il Papa del "Sillabo" contro il Risorgimento che ha scristianizzato l’Italia. Un saggio già in odor di polemiche
    di Luca Negri
    La bibliografia sul Risorgimento italiano si è parecchio allungata nei mesi scorsi, in occasione dei festeggiamenti per i centocinquant’anni d’unità nazionale. Quel momento fondante e problematico della storia patria è stato raccontato sotto diversi punti di vista, anche le letture revisioniste e critiche hanno (finalmente) conquistato piena legittimità editoriale.
    Ovvio che rimanga ancora molto da scoprire, da indagare, da comprendere per uscire definitivamente dalla retorica ottocentesca e poi fascista.
    Ulteriore stimolo allo studio e alla riflessione arriva da Pio IX e la Rivoluzione italiana di Roberto de Mattei (Cantagalli, pagg. 208, euro 16). Il volume, fresco di stampa, è uscito fuori tempo massimo per rientrare nella sbornia editoriale celebrativa. Meglio così, dato che solo il nome dell’autore rischia di mettere in allarme i sinceri democratici e molti veri o presunti laici.
    La fama del professor De Mattei, cattolico militante, presidente dell’associazione «Lepanto», ha valicato da tempo i confini degli addetti ai lavori della ricerca storica per via di una serie di prese di posizione politicamente scorrette: De Mattei ha preso posizione contro l’Unione europea che disgrega le unità nazionali. Dai microfoni di Radio Maria ha trovato un nesso fra la decadenza della civiltà occidentale e la propaganda omosessuale. Poiché «ogni male deve avere il suo castigo» non ha poi escluso che catastrofi naturali come un terremoto o uno tsunami possano rientrare nei piani della giustizia divina.
    Di più. La sua «storia mai scritta» del Concilio Vaticano II, pubblicata per Lindau, ha vinto il premio Acqui Storia 2011, però ha sollevato molti dubbi anche fra cattolici non progressisti. In fondo, De Mattei non nasconde la sua vicinanza intellettuale alla cosiddetta scuola «controrivoluzionaria» di Plinio Corrêa de Oliveira. Secondo il pensatore brasiliano, la Rivoluzione è un processo messo in moto da forze avverse alla civiltà cristiana, iniziato con la Riforma protestante, proseguito con l’89 francese e culminato con il ’68. Il Risorgimento italiano è un’altra tappa fondamentale di questa scristianizzazione europea, aggiunge De Mattei. La stessa «questione romana non è un’appendice politico-diplomatica del Risorgimento ma il filo conduttore e il compimento». Significativa è l’immagine del primo civile che attraversò la breccia di Porta Pia: un valdese con un carretto carico di bibbie protestanti trainato da un cane battezzato con nome di Pio IX...
    Ebbene, Giovanni Maria Mastai Ferretti, il pontefice che regnò più a lungo dopo San Pietro, ben trentadue anni, nella ricostruzione di De Mattei fu tutt’altro che sprovveduto in politica, ben conscio della posta in gioco, consapevole dell’attacco massonico e protestante dietro Mazzini, Garibaldi e Cavour. Addirittura sarebbe un mito quello del «Papa liberale» agli albori del pontificato, alimentato da nemici interni come Gioberti.
    Non è necessario essere d’accordo del tutto con De Mattei, e sposare una certa propensione complottista, per ammettere una componente violentemente anticattolica in alcuni eroi risorgimentali, o per intravedere «un tentativo di eliminare il soprannaturale e il trascendente dalla storia». Se così non fosse, si spiegherebbero ben poco certi provvedimenti prima piemontesi e poi del Regno d’Italia nei confronti dei religiosi: abolizione per legge degli ordini contemplativi, espropri, carcerazioni, profanazioni. Nemmeno occorre militare fra i cattolici tradizionalisti per trovare in Pio IX motivi di stima: resse bene a un attacco culturale e militare senza precedenti nella storia della Chiesa. Affrontò di petto il materialismo trionfante proclamando a furor di popolo il dogma dell’Immacolata Concezione, aprendo il Concilio Vaticano I che sancì l’infallibilità papale e pubblicando il Sillabo, «sommario dei principali errori» dell’epoca.
    Proprio il Sillabo non va venerato come fanno molti reazionari che confondono la Chiesa con la sua fase storica post-tridentina, ed è indubbiamente il documento di un’istituzione sotto attacco, che gioca in difesa.
    Però ebbe il merito di rivendicare e tramandare un’idea medioevale del cattolicesimo e la visione del mondo tomista. In quest’epoca di tronfio neo-positivismo - suggerisce De Mattei - Pio IX ha qualcosa da dire a tutti, qualcosa di attuale. Non per nulla quando riesumarono il cadavere per la causa di beatificazione del settembre 2001 lo trovarono perfettamente conservato. Se lo stesso avviene per Mazzini - ha fatto notare qualcuno - è solo perché venne letteralmente mummificato dai seguaci.
    Pio IX? statista illuminato Parola di "prof" reazionario - Cultura - ilGiornale.it

    La Messa per il Card. Siri e Pio XII: altro che pizzi e merletti!
    By adaltaredei
    Spesso molti si chiedono perché qualcuno possa preferire una “Messa” antiquata come quella gregoriana (detta anche tridentina), in latino, quindi per molti incomprensibile, piena di genuflessioni poco tollerabili per il “cattolico adulto amico di Cristo” che accoglie gli amici in piedi e non in ginocchio, con un ministro ordinato che per molto tempo “volge le spalle al popolo” benché questo sia sacerdote quanto lui, precisa nella forma e quindi poco adattabile alle nuove e diverse “culture” e, cosa orribile, celebrata con ricchezza di paramenti e decori alla faccia della povertà: una Messa, come dice qualcuno, ferma ai “pizzi e merletti”.
    Obiezioni scontate e superficiali, cui fin troppe risposte intelligenti sono state offerte pur a chi rifiuta di ascoltarle, sulle quali sarà bene tornare più volte. Qui la parola è data al sempre grandissimo Card. Giuseppe Siri, che durante gli esercizi spirituali per la Pro Civitate Christiana ha modo di tornare più volte sull’argomento della S. Messa e, nella fattispecie, anche di narrare la richiesta di dispensa di un sacerdote quasi morente per celebrare la messa dal suo letto, senza paramenti ed ornamenti: dispensa concessa con commozione dall’altrettanto grande papa Pio XII, martirizzato insieme al Cardinale dalle vili calunnie di tristissimi figuri. Altro che pizzi e merletti: certamente la forma è fondamentale, quando (e generalmente è così) può essere mantenuta, ma possono esistere eccezioni. Chi si lamenta dei “pizzi e merletti” preferisce evidentemente che le eccezioni diventino la regola, non avendo capito il benché minimo accidente (in senso filosofico, naturalmente: absit iniuria verbi).
    Tuttavia, prima di riportare il discorso del card. Siri, vorrei rispondere nel modo più semplice all’obiezione delle “spalle al popolo”: chi se ne lamenta, che cosa penserebbe di un autobus pieno di autisti e guidato da un autista che, invece di essere rivolto alla strada (o alla “via”, quella con la lettera minuscola…) guidasse rivolto verso i suoi colleghi? Quanti incidenti mortali si potrebbero evitare se si evitasse qualche esagerazione…

    La S. Messa
    Discorriamo della S. Messa. Veniamo così più direttamente al tema eucaristico.
    L’Eucaristia nasce nel sacrificio e dal sacrificio. Notate che questa è una affermazione importante. E perché? Perché la presenza reale di Nostro Signore sotto le apparenze del pane e del vino si attua nel momento in cui si offre il sacrificio. La consacrazione costituisce il sacrificio, perché la Messa è un sacrificio. Perché il mistero eucaristico della consacrazione e di quanto vi è connesso è un sacrificio? Perché Gesù Cristo consacrando nell’Ultima Cena ha usato parole sacrificali, indicative del sacrificio. Perché S. Paolo, ripetendo la narrazione dell’istituzione nel cap. 11 della prima Lettera ai Corinti, ha usato parole che indicano il sacrificio. Perché la divina Tradizione, fin dall’inizio, come ne fanno fede i testi che arrivano fino all’età apostolica, ha ritenuto sempre sacrificio la S. Messa.
    E’ un sacrificio. Questo vuole dire che, siccome è in quel momento che Gesù Cristo diventa presente, quando si offre e si consuma il santo sacrificio, l′ Eucaristia nasce dal sacrificio. Questo basti a farvi intendere che non si può separare assolutamente, mai, l′Eucaristia dal carattere sacrificale. Ecco perché la più perfetta orazione che sia stata mai scritta a proposito dell’Eucaristia — fu scritta da S. Tommaso d’Aquino, e ritengo non ci possano più essere dubbi oggi — è l’orazione che si canta sempre dopo il Tantum Ergo prima della Benedizione col SS. Sacramento : «Deus, qui nobis sub sacramento mirabili passionis tuae memoriam reliquisti… », il che basta a stabilire che per ragione nativa, originaria, costitutiva, l’Eucaristia parla e parlerà sempre del sacrificio della croce.
    Tenendo conto del fatto che è un sacrificio rappresentativo della croce, come ha detto Gesù stesso al momento della istituzione, quindi tenuto conto che vi deve essere un rapporto tra quello che si vede esternamente e quello che fu il sacrificio della croce, la migliore spiegazione teologica parrebbe quella di ritenere che il fatto della costituzione sotto le due specie separate, che evidentemente rappresentano la separazione tra il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo avvenuta in croce, fatto esterno ma dimostrativo della consumazione del sacrificio, verifichi la ragione del sacrificio. Ma ritorno al punto di partenza, perché è quello il peso dell’argomento di questa meditazione: la S. Messa è un sacrificio, l’Eucaristia pertanto nasce dal sacrificio.
    Veniamo a un secondo punto. La S. Messa è sacrificio legato al sacrificio della croce. Vediamo come è legato. Lo ha detto N. S. Gesù Cristo: è memoria del sacrificio della croce, quindi ha carattere rappresentativo, raffigurativo, per le parole stesse del Divin Salvatore che si ripetono sempre nella consacrazione. E siccome è quello della croce il sacrificio che tutto ha consumato, tutto ha ottenuto, tutto ha redento il mondo, e su questo punto la S. Scrittura è ben netta, specialmente nella Lettera agli Ebrei, dobbiamo ritenere che il sacrificio della Messa, che costituisce un solo sacrificio col sacrificio del Calvario, non solo è rappresentativo e commemorativo di quello, ma è rinnovativo e applicativo di quello.
    Il peccato dell’uomo supera l’uomo, e appunto perché supera l’uomo, l’uomo non ha mai potuto pagarlo. Mai. Lo può commettere, non lo può redimere. Infatti la sensazione più diffusa che noi abbiamo in tutte le forme mitiche anche cosmogoniche della storia umana e che noi andiamo rivangando ora dalla preistoria, presenta sempre i caratteri di questa ineluttabilità. Quando dalle forme puramente mitiche e primitive si è passati alle forme di cultura ha cominciato a imperare, terribile, il senso della Nemesi. Tutta la mentalità greca, e soprattutto la tragedia greca nella espressione più sublime, porta, anzi è intrisa del senso della nemesi, la vendetta terribile. Il peccato, la colpa, il crimine non può essere pagato dall’uomo, e pertanto viene ripresentato indefinitamente, e i crimini passano dai padri ai figli e dai figli ai nipoti, ai pronipoti, e così via. E’ il terribile senso della Nemesi. L’umanità realmente, in quelle poche volte che ha un pò pensato, come tale, si è sempre trovata innanzi a questa stanca costatazione che noi possiamo con parole riassuntive riprodurre così: gli uomini hanno avuto coscienza che potevano fare il male, ma non se ne potevano liberare. Gli atti ci seguono. Questo era il dramma del mondo, e pertanto era necessaria una riparazione in giustizia, ma una riparazione il cui valore superasse l’uomo, cioè appartenesse all’ordine divino. Senza una riparazione che superasse l’uomo e appartenesse pertanto all’ordine divino, non era possibile che si rifacesse l’equilibrio e che l’uomo, dopo aver commesso il suo peccato, potesse liberarsi dal medesimo.
    E questo fa capire la ragione dell’Incarnazione del Verbo, perché nell’Incarnazione del Verbo le cose sono poste così: che la natura umana assunta dal Verbo Figlio di Dio sussiste nella persona divina. Il soggetto delle azioni compiute da questa natura umana diventa Dio, perché il soggetto dell’azione è la persona, lo strumento è la natura. E allora queste azioni, attivamente o passivamente compiute attraverso la natura umana, avendo per soggetto Dio, diventavano azioni divine e potevano essere pertanto di valore infinito, capaci di riparare veramente, e di riportare tutto all’equilibrio, cioè di salvare, risolvendo il dramma del mondo.
    La storia ha un significato solo: la prova dell’uomo libero. La storia ha un riassunto solo: l’epilogo dell’uso della libertà. La storia ha una linea sola: la ricerca di uno sbocco di questo buon uso o cattivo uso della libertà. Tutte le azioni, assolutamente tutte, risentono di questo grande filone che le domina. E allora voi vedete come soltanto il Figlio di Dio fatto uomo poteva riparare e come la storia ha un significato solo, una soluzione sola, ed è il Sacrificio di Gesù Cristo in croce. La Storia è là. L’unico fatto che si allontana da questa linea, da questa monotonia nella variazione e da questa variazione nella monotonia, è l’Incarnazione del Verbo e la morte del Nostro Signore Gesù Cristo in croce, perché la finalità della Incarnazione del Verbo era in quel Sacrificio. Ecco ciò che sta al centro. Ecco perché dappertutto c’è la Croce, ecco perché dappertutto c’è il Crocifisso, ecco perché, immaginativamente, le braccia del Crocifisso non si sono mai schiodate. Rimangono così, aperte, come per abbracciare senza fine l’umanità che pecca. Tutto è là, tutto. Ogni attimo di vita di ogni uomo, ogni senso della vita d’ogni uomo — perché essa ha pure, voglia o non voglia, una direzione — prende il suo colorito di là. Ogni cosa, bella o brutta, dell’umana esperienza si rapporta là. Ogni giudizio, ogni verità, ogni conquista ha il suo termine di criterio ultimo e risolutivo soltanto nella Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
    La storia è fatta di tre elementi. Il primo, quello che troviamo sul proscenio, è l’uomo libero, che fa quello che vuole, bene o male. Il secondo è dato dalla natura che, guidata da leggi determinate, fisse e impreteribili, fa il suo cammino e intreccia pertanto l’elemento deterministico con l’elemento libero dell’uomo che cammina in mezzo ad essa, dando il risultato per noi più sorprendente di non essere mai disturbata nella determinatezza delle sue leggi dalla libertà dell’uomo e di non disturbare mai con la determinatezza delle sue leggi la stessa libertà dell’uomo. Ma c’è un terzo elemento che è misterioso, che cammina accanto all’uomo, che cammina accanto alla natura, che non è né l’uomo né la natura, che sta al di sopra di essi e che viene rivelato da un disegno, che viene rivelato dai cicli, dalle rispondenze, che viene rivelato dai sentimenti morali e dal fatto di un legame quanto mai indicatore che esiste tra colpa e dolore, tra peccato e disgrazia. E il terzo elemento misterioso è il reparto dove agisce soltanto Iddio, la Divina Provvidenza. E’ dall’incontro di questi tre elementi che si fa la storia. Ma di questi tre elementi il vertice si chiama Gesù Cristo, e Gesù Cristo nella sua Passione, il Verbo di Dio fatto uomo che immola sé stesso perché gli uomini trovino la via della giustizia e della eterna pace. Questo bisognava richiamare, perché la S. Messa è questo.
    Ricapitoliamo. La Messa è un sacrificio: l’ha detto Gesù Cristo. La Messa è sacrificio rappresentativo del sacrificio della croce: l’ha detto lui. La Messa è una cosa sola col sacrificio della croce e pertanto nell’unità del sacrificio, rinnova quello; non è un altro sacrificio. Le forme sono diverse, perché la Messa è sacrificio incruento mentre quello della croce è stato cruento, ma questo si rapporta a quello, talché rientra nella unità del sacrificio della croce. E pertanto rinnova quello, anche se le forme sono specificamente distinte. Rinnova quello, ed è in questo senso che si parla di unità: ri-presenta, ri-propone quello. L’atto di offerta di quello ritorna a ogni consacrazione, ossia ritorna a ogni consacrazione la risoluzione del dramma del mondo, la sorgente di tutto.
    E’ per questo che la S. Messa ha un valore infinito. Allora, quando si celebra la Messa, che cosa si vive? Tutto il mondo, tutta la storia, tutta la salvezza. Ma non la si vive con la memoria, riandando a un passato: è un presente. Non è una ricostruzione soltanto commemorativa, è rinnovazione; quel fatto, il Sacrificio di Cristo, è di nuovo ontologicamente vivente, e ritorna tutto. Tutto questo ritorna quando si celebra la Messa. Ritorna nelle sue supreme ragioni, supreme esigenze di giustizia, suprema corrispondenza di giustizia, perché il sacrificio è corrispondenza di giustizia, è una soluzione di giustizia, ritorna col suo tema obiettivo attuato di eterna redenzione e di eterna salvezza, dal quale tutto rifulse. C’è tutto nella S. Messa. Noi possiamo riflettervi per tutta la vita, possiamo consumare le nostre capacità intellettive per tutta la esistenza, ma non arriveremo mai a capire bene, a esaurire l’argomento della S. Messa.
    Ora provatevi voi a vedere se esiste una cosa più grande, se ne esista una che possa essere anteposta alla S. Messa, se esista un atto che possa, più della S. Messa, acquisire le nostre attrattive e le nostre preferenze. Dite voi se esiste un momento più sublime di quello nel quale si celebra, si ascolta, ci si unisce alla S. Messa. Allora si arriva a un vertice, e da quel vertice si sente che si attinge il mondo e l’eternità, perché il valore di questo sacrificio non è soltanto per i vivi, nella soluzione del loro grande dramma di fronte all’eternità, ma si estende al di là delle barriere della morte e diventa anche suffragio e soluzione per coloro che, nel purgatorio, attendono ancora la purificazione definitiva, per quanto già siano certi dell’eterna salvezza. Si arriva allora al crinale fra tempo ed eternità.
    Quell’altezza è vertiginosa, e il grande problema è che l’abitudine e la ripetitività tendono a ricoprirla, a intasarla, a renderla opaca, comune, banale. E allora la lotta di tutta la vita sarà contro questa abitudine che tenterà di imbozzolarci, di chiuderci perché noi non vediamo, non sentiamo e non proviamo, mentre sempre e soltanto nel balzo vigoroso della fede possiamo rompere la grande tentazione dell’oscurità e del crepuscolo col quale le cose della vita tentano di avvolgere e banalizzare il S. Sacrificio.
    Alcuni anni fa andai al sanatorio di Arco per compiere uno dei miei doveri. Trovai là un sacerdote, un missionario tubercoloso. Era pressappoco morente. Si capiva che avrebbe potuto tirare avanti giorni, settimane, un mese, poco più. Era disfatto quell’uomo. Lo ricordo. Aveva anche altri mali, per cui era veramente un crocifisso. Mi disse: «Chiedo una grazia sola. Vede, il mio sangue è marcio — era vero — tutto è marcio in me. Ma chieda lei al Papa la grazia di poter dire, così, perché non posso più reggermi, la Messa, una volta, una volta sola! Non chiedo altro. Sono felice di offrire la mia vita per la Chiesa, per il Papa, sono contento di morire, ma domando una cosa sola: mi si lasci dire ancora una volta la Messa; perché mi occorre una dispensa». Gli dissi: «Va bene, non so se riuscirò». Dopo alcuni giorni andai da Pio XII. A un certo punto dell’udienza, alla fine di ciò di cui si doveva trattare, gli raccontai la cosa. Gli diss : «Padre Santo, me lo faccia questo dono. Almeno una volta! Se vado a chiederlo alla Congregazione dei Riti mi fanno aspettare un anno, e quello muore. E poi non me lo concedono, perché quest’uomo è ridotto a un gomitolo, non potrà indossare i paramenti, dovrà celebrare in letto stando arrotolato. E’ una Messa senza forma. Padre Santo, una volta sola!». Io vidi una lacrima negli occhi del Papa. Stentò a parlare. Dopo un po’ disse: «Una volta sola? Poveretto! Fin che vivrà».
    Cari, vale la pena di vivere tutta una vita per sentire una Messa sola!
    Il popolo ebreo peregrinò 40 anni nel deserto e non arrivò al monte di Sion. Quelli della prima uscita hanno dovuto morire tutti ; e lo stesso Mosè ha dovuto morire sul Monte Nebo guardando da lontano la terra Promessa, perché aveva avuto un atto di esitazione nella sua fede. Vale la pena di vivere tutta una vita per sentire anche una sola volta la Messa; camminare trascinandosi da un polo all’altro per sentire una sola volta la Messa.
    Ora guardate questa moltitudine, che non si cura neppure di andare a Messa alla domenica. Ne abbiamo da fare, è vero? Perché il farcela andare, vedete, Dio l’ha lasciato affare nostro. Lui ci aiuta e muove tutte le cose nel senso in cui lavoriamo noi, ricordatevelo. Ma portarcela, questa gente, l’ha lasciato affare nostro. Comunque una vita sarebbe bene spesa quando fosse spesa, se non altro, che per dire o ascoltare una Messa.


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    Predefinito Re: Il Verbo di Dio si è fatto carne

    (Sotto)Misión per conto di Dio
    di Isabel Molina
    Questa intervista a Costanza Miriano pubblicata sul settimanale spagnolo Misiòn e ripubblicato anche ondine sul sito Religiòn en Libertad, ha avuto per giorni il più alto numero di letture e di commenti (con discussioni anche piuttosto animate). Abbiamo pensato di proporvelo in italiano.

    Che cosa ti ha ispirato questo libro?
    In realtà il libro è nato un po’ per caso. Stavo trascorrendo ore e ore al telefono per convincere una mia amica a sposarsi. E’ capitato che ne parlassi con un collega. Gli ho spiegato che secondo me spesso era il fidanzato ad avere ragione, che le pretese della mia amica erano irragionevoli, che vedevo per loro una felicità che non si decidevano a cogliere per una serie di idee strampalate, quelle che abbiamo un po’ tutti sull’amore e sul matrimonio. Ricordavo anche spesso alla mia amica che è importante che una donna sia accogliente, dolce, capace di mediare, di mettere in relazione, di unire più che di dividere. Queste tesi sono piaciute molto al mio amico, che mi ha messa in contatto con la casa editrice. Avevo dunque trovato un editore prima ancora di avere scritto un solo capitolo, e così mi è sembrato che fosse chiaramente un disegno della Provvidenza che io scrivessi questo libro. Vedo intorno a me tanta infelicità, e molta di essa è evitabile. C’è un’idea assurda del matrimonio in giro, soprattutto adesso che le donne, nella loro in certi casi giusta battaglia di emancipazione, hanno perso anche un po’ della loro identità profonda, del loro “genio femminile”, come lo chiamava Wojtyla nella Mulieris dignitatem.

    Cosa pensa tuo marito di quello che hai scritto?
    Pensa: “Oh, come sarebbe bello se tu fossi davvero così!” No, scherzo… Lui è stato il mio primo lettore, il più severo quanto allo stile (spesso mi aiuta ad essere più efficace, a trovare le parole giuste), ma il più entusiasta quanto ai contenuti. Mi ha incoraggiata, e continua a farlo, vuole che scriva ancora. Inoltre si occupa lui del mio blog, che ha già avuto oltre 700mila contatti, ed è stato invitato anche al Vatican Meeting per i bloggers.

    Sottomissione è una parola un po’ scioccante per le donne di oggi… Perché suggerisci alle donne di sottomettersi? Che intendi esattamente?
    Non sono mica io a scegliere questa parola! E’ san Paolo, nella lettera agli Efesini. La parola sembra offensiva, a noi donne di oggi, perché non sappiamo uscire dalla logica del dominio e della sopraffazione, che spesso vige in molte coppie. Ma in una logica di servizio reciproco, sottomissione indica solo lo specifico tipo di servizio al quale è chiamata la donna. Mentre l’uomo, chiamato anche lui a servire, in modo diverso, deve essere “pronto a morire per la sposa come Cristo per la Chiesa”. Dunque non è che all’uomo vada molto meglio… San Paolo ce lo ricorda perchè noi donne tendenzialmente vorremmo controllare tutto, mettere sempre la nostra impronta, dire l’ultima parola, manovrare le persone, magari non direttamente o apertamente, ma da dietro, in modo non scoperto. Invece essere sottomesse significa letteralmente stare sotto, cioè sostenere tutti i membri della famiglia, sorreggere, accompagnare i più deboli. Questa è una qualità peculiarmente femminile, e nessuna rivoluzione femminista potrà mai farci dimenticare che questo è il nostro vero talento. Potremo lavorare e avere sempre maggiori successi, ma la cosa che sappiamo fare meglio, e quella che davvero risponde ai nostri più profondi desideri del nostro cuore, è mettere noi e gli altri in relazione. L’amore della donna è più oblativo, quello dell’uomo più deciso e portato ad “uscire fuori” mentre la donna accoglie (il rapporto fisico è figura di quello spirituale). Uomini e donne di oggi devono riappropriarsi del loro specifico talento, complementare l’uno all’altro.

    In poche parole, che significa essere una buona moglie?
    Wow, che domanda difficile! E in poche parole, poi… Be’ credo che una parte della risposta cambi per ogni coppia, io dovrei per esempio smettere di dare pareri non richiesti su argomenti che non conosco, è la mia specialità. In generale penso che una sposa debba essere accogliente, dolce, paziente. Deve partire da un pregiudizio positivo sul proprio marito, e quindi accogliere come buono per principio tutto quello che viene da lui. Il nostro modello deve essere la Madonna della medaglia miracolosa, con le mani e le braccia aperte per accogliere quello che viene, e sotto il piede il serpente, che è la nostra lingua, sempre pronta a criticare, a trovare quello che non va, a sottolineare quello che manca. Una buona moglie poi cerca di rimandare il momento del confronto: non discute quando vede qualcosa che non va, ma lascia decantare le emozioni, schiarirsi la vista dell’intelletto, e trovare, se una critica è da fare, il momento più giusto, quello dell’intimità. Mai e poi mai, infine, contraddice il padre davanti ai figli.

    Quale sarebbe il primo consiglio che daresti a una giovane donna che sogni un matrimonio più appagante e soddisfacente?
    Le donne giovani vanno più spesso incontro a delusioni, perché a differenza che nel passato oggi abbiamo pretese altissime nei confronti del matrimonio. Nel passato serviva a trovare una sistemazione, oggi dal matrimonio vogliamo la felicità, ed è giusto e bello che sia così. Solo che bisogna accettare i limiti nostri e dell’altro, sapere che ci deluderemo in alcune cose, ci faremo arrabbiare in altre, e poi, è chiaro, ci stupiremo in altre ancora. L’amore non è un sentimento, è una decisione. Aderiamo liberamente e con tutta la nostra volontà alla scelta di una persona sola, per tutta la vita. Allora sappiamo che il sentiero sarà tortuoso, ci saranno delle salite, e dei momenti in cui la strada sembrerà tutta dritta e apparentemente noiosa. Ma bisogna allenare gli occhi a vedere le meraviglie nascoste nel quotidiano, a scoprire che dopo una salita si apre una vallata di una bellezza inimmaginabile, che chi passa da una storia all’altra, chi non ha il coraggio di fare la salita, non si sogna neanche.

    Ti succede a volte di arrabbiarti con tuo marito? E se succede, come vi riconciliate?
    Certo che succede! Anche se non spesso, perché io sono piuttosto paziente, e difficilmente mi arrabbio proprio. In più mio marito è davvero buono. Ma se non sono d’accordo, come ho detto, cerco di rimandare il momento di dirgli perché non la penso come lui. Faccio sbollire l’arrabbiatura, mi chiarisco le idee, e il più delle volte mi accorgo che aveva ragione lui. Inoltre ho i miei piccoli sfoghi: prima di tutto c’è la preghiera, il rosario. Poi c’è la corsa, la mia grande passione (sono una maratoneta): dopo una bella sudata non mi ricordo neanche perché ero preoccupata. Infine ci sono le amiche: con loro posso lamentarmi, sfogarmi, essere lagnosa, querula, noiosa, insopportabile. Un uomo se gli poni un problema cerca di risolverlo, invece un’amica dice esattamente quello che vuoi sentirti dire: che sei una donna meravigliosa e che davvero reggi il mondo intero sulle spalle. Che lo fai magnificamente, e che fra l’altro quel nuovo taglio ti dona moltissimo, e forse sei anche un po’ dimagrita.

    Qual è la sfida principale che il matrimonio rappresenta per le coppie, oggi?
    Tutta la società spinge in moltissimi modi contro la famiglia. Dio è scomparso dall’orizzonte, e senza Dio, con la forza del sacramento e con la grazia rinnovata ogni volta che glielo chiediamo nella preghiera, è impossibile pensare a qualcosa che sia per sempre, in questa società liquida e relativista. Prima le tradizioni e le convenzioni, le consuetudini forse costringevano anche le persone, ma le tenevano salde. L’idea di essere infedeli, di seguire istinti, emozioni, di essere liberi da vincoli è fortissima: è diffusa, la si respira nell’aria. Inoltre non ci sono aiuti per le famiglie numerose, di nessun tipo, né facilitazioni per conciliare famiglia e lavoro, o magari permettere alle mamme di stare a casa, con contributi economici. Tutto congiura contro la famiglia, e solo la Chiesa davvero ci difende, fa una battaglia culturale per noi. Altrimenti l’idea che passa è che le famiglie felici sono solo quelle allargate, magari con omosessuali, risposati, separati, figli di altri letti. Quelle cosiddette libere, mentre la vera libertà è solo quella che dà la Verità, cioè Gesù Cristo.

    Che impatto stai avendo sulle donne cattoliche italiane? Pensi di averle indotte a guardare il matrimonio in modo diverso?
    Mamma mia, che impressione!! Non so se davvero sto cambiando così tanto le cose, ma se devo dire la verità ho ricevuto tantissime lettere di donne che mi hanno detto che le ho aiutate a modificare il loro modo di vivere il matrimonio. Molte, anche tra quelle che ho incontrato alle presentazioni in giro per tutta Italia (ho ricevuto centinaia di inviti, ma non posso dire sempre sì), mi hanno detto che grazie al mio libro hanno imparato a volere più bene al loro marito. Alcune hanno deciso di sposarsi, altre hanno recuperato una storia che era in crisi. E anche molte donne cattoliche impegnate, ben formate da anni di incontri di formazione spirituale, mi hanno detto che certe cose non si dicono più neanche in ambiti religiosi, mentre la mia visione, cioè quella di san Paolo, è davvero quella che risponde più profondamente al loro cuore.

    Stai preparando un altro libro?
    Sì, sto cercando di analizzare il seguito della frase di san Paolo, nella lettera agli Efesini: e voi mariti siate pronti a morire per le vostre mogli, come Cristo è morto per la Chiesa. Se la donna tende al controllo l’uomo tende all’egoismo, e allora bisogna ricordargli qual è la sia chiamata, quella all’eroismo. Quindi il prossimo libro è per lui.

    La preghiera è importante per la vita matrimoniale?
    Certo, la preghiera è importantissima per tutti. Prima di parlare bisogna pensare, ma prima di pensare bisogna pregare. La preghiera pulisce gli occhi e fa vedere tutto più chiaro. Scioglie i nodi e appiana le incomprensioni. Porta la pace prima di tutto nel nostro cuore e ci permette di diffonderla.

    Quali sono i tre libri che ha amato di più?
    A parte la Bibbia, dice? Beh, la Divina Commedia, innanzitutto, che ricorda all’uomo quale ampiezza deve avere il suo respiro, proiettato verso l’eternità. La mia santa preferita è la vostra Teresa d’Avila, e le sue opere sono meravigliose, ma anche Edith Stein, Teresa Benedetta della Croce, ha scritto parole meravigliose sulla donna. Poi c’è un libro poco noto, forse, che si chiama Il mistero della donna, di Jo Croissant, che invita le donne al sacerdozio del cuore, a offrire in sacrificio quella sete d’amore che tutte ci arde, e che non è mai saziata.

    Come trasmette il suo messaggio ai figli?
    Poche parole e molta pratica: i bambini ascoltano con gli occhi. Vedono il rispetto reciproco, il sacrificio, la donazione generosa di babbo e mamma, che li seguono e li amano con modalità diversissime ma complementari.



    Recensione libraria: Il prezzo da pagare
    di Fabrizio Cannone
    E’ difficile recensire, senza pathos, un libro che ha toccato nel profondo e altresì profondamente commosso centinaia di migliaia di lettori (Joseph Fadelle, Il prezzo da pagare, San Paolo, Cinisello Balsamo 2011, pp. 220, euro 18). Joseph Fadelle, nasce nel 1964 in Iraq, da una famiglia dell’alta aristocrazia sciita, notoriamente perseguitata dai sunniti, il gruppo maggioritario nell’Islam, e dal governo autocratico di Saddam Hussein. Il suo vero nome è Mohammed al-Sayyd al-Moussaoui e la sua famiglia “discende direttamente da quella del Profeta” (p. 14).
    La storia della sua conversione al cattolicesimo, narrata nel libro, nasce da un incontro fortuito fatto in caserma dove lui svolgeva il servizio militare. Infatti fu mandato nella camerata con un cristiano di 44 anni, di nome Massoud. Ben presto una profonda amicizia nasce tra i due commilitoni. La cosa che più stupisce Mohammed è «la capacità di ascoltare» così «empatica e benevola» (p. 22) di Massoud. Tra letture, conversazioni, approfondimenti, piano piano Mohammed si rende conto di non accettare più tante cose dell’Islam.
    Ma la conversione piena avverrà per Mohammed, come per certi Patriarchi del Vecchio Testamento, attraverso un sogno. Si trovava nel sogno presso un ruscello e aveva di fronte un uomo di straordinaria bellezza, che lo attraeva con il suo sguardo «di una dolcezza infinita» (p. 35). Quest’uomo, evidentemente Gesù di Nazareth, gli dice una sola frase che sarà per lui l’incipit dell’adesione definitiva alla fede cristiana: «Per attraversare il ruscello, hai bisogno del Pane della vita» (p. 35). Quando il Nostro scoprirà, nel Vangelo di Giovanni, prestatogli dall’amico Massoud, che Gesù stesso usò quell’espressione, a lui ignota, avrà una certezza spirituale di essere sulla strada giusta.
    Ma da qui iniziano i suoi dolori e si manifesta, con una crudeltà senza pari, il suo «prezzo da pagare» per abbandonare l’Islam e farsi cristiano-cattolico. Le prime croci arrivano dalla Chiesa locale la quale farà di tutto per dissuaderlo dal divenire cristiano! Queste pagine, sono forse le più dolorose del libro, e vanno ben meditate per capire fino a che punto, la “crisi della fede” di cui parla così spesso Benedetto XVI, sia diventata oramai qualcosa di profondamente radicato e di universale.
    Un prelato, alla sua richiesta di battesimo, gli risponde, ribaltando l’esempio di Cristo che corre per una sola pecora da salvare (cfr. Mt. 18, 12-14), che: «Non si può sacrificare tutto il gregge per salvare una sola pecora…»! (p. 52). Dopo che la famiglia lo persuade/obbliga a sposare una giovane mussulmana, da cui ha presto un figlio, inizia la carcerazione, per farlo tornare nell’Islam (cfr. pp. 94-110).
    Passa oltre un anno in un penitenziario come sorvegliato speciale tra i criminali comuni. Dei dolori indicibili della prigionia, scrive così: «Se non avessi sperimentato la vita in cella non avrei mai potuto sprofondarmi in questo cuore-a-cuore con Gesù e il suo Spirito» (p. 105).
    Quando esce dal penitenziario pesa soltanto 50 kg e la stessa moglie fa fatica a riconoscerlo. Nel 2000, dopo mille peripezie, fugge con la famiglia dall’Iraq e si rifugia in Giordania. Da lì, con l’aiuto di una suora coraggiosa, la definitiva fuga verso l’Europa. Il 15 agosto del 2000, festa dell’Assunzione di Maria, nell’Anno giubilare, arriva a Parigi dove si trasferisce con la moglie e i due figli, che nel frattempo hanno ricevuto il battesimo. Il racconto della sua storia, uscito in Francia nel 2010, è divenuto un best seller, e pare, ha prodotto nuove conversioni di islamici al cristianesimo.
    Recensione libraria: Il prezzo da pagare | Corrispondenza romana

    Benedetto XVI: «La preghiera ci libera dalle dittatura delle voglie»
    Benedetta Frigerio
    Il Pontefice ha spronato i fedeli affinché la preghiera sia «assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi».
    «La preghiera della Chiesa mi sostiene, soprattutto nei momenti difficili». Così papa Benedetto XVI durante l’udienza generale in Piazza san Pietro, oggi dedicata alla prodigiosa liberazione di san Pietro a Gerusalemme descritta negli Atti degli apostoli.
    Pietro, arrestato, viene liberato dall’angelo del Signore che interviene miracolosamente.



    Ma, ha sottolineato il Pontefice, Pietro non teme i nemici. Al contrario, il suo stato d’animo è sereno, perché l’apostolo «si fida di Dio» e della preghiera della sua comunità. Il Papa si è così paragonato al primo capo della Chiesa. Come se il momento attraversato da Pietro fosse sua esperienza quotidiana: «Anche io, fin dal primo momento della mia elezione come successore di Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera della Chiesa, dalla vostra preghiera, soprattutto nei momenti più difficili. Grazie di cuore». Il Pontefice ha parlato di sé per dimostrare ai fedeli che «con la preghiera», se è «costante e fiduciosa», il Signore «ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione».
    L’episodio di Pietro ci parla anche della preghiera comunitaria. L’apostolo riusciva a essere fiducioso, ha detto il Papa, anche perché era «circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi», potendo in questo modo abbandonarsi «totalmente nelle mani del Signore».
    L’episodio ci ricorda la necessità di un dialogo costante con Dio: «Così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi al punto che – dice Gesù – “perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati”». Se la comunità, ha detto il Santo Padre, non è in «continuità di dialogo vivente con il Signore (…) la testimonianza inaridisce».
    La comunità di Gerusalemme è «un richiamo importante anche per noi, per le nostre comunità, sia quelle piccole come la famiglia, sia quelle più vaste come la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera». Perché è solo con la preghiera, di ciascuno e comunitaria, che le nostre case e le nostre comunità si liberano «dalla dittatura delle tentazioni, delle proprie voglie, dall’egoismo». In questo modo, ogni parte e ogni membro può rivivere quanto ha vissuto Pietro, che «posto come roccia (…) sperimenta che nel seguire Gesù sta la vera libertà», che così «è avvolto dalla luce sfolgorante della Risurrezione» e che «per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto».
    L'udienza generale di Benedetto XVI e san Pietro in prigione | Tempi.it


    MONS. BABINI: RECITARE IL ROSARIO PER RESPINGERE LE TENTAZIONI E LA DIFFUSIONE DEI GAY. IL ROSARIO CI HA SALVATO DAI TURCHI A LEPANTO
    Bruno Volpe
    La devozione popolare ha da sempre destinato il mese di Maggio alla Madonna, Madre del Signore, Madre della Chiesa e Madre nostra. Con Monsignor Giacomo Babini parliamo di questa devozione e del perché: "La Madonna è la Madre di Gesù e questo da solo basterebbe a farcela amare con ogni forza e con ogni tenerezza. Maria è la porta attraverso la quale il Salvatore è venuto al mondo. Un vero cattolico la deve onorare, le deve voler bene, deve riconoscere in Lei la discepola perfetta, Colei che mai ha dubitato del Figlio, anche quando si profilava lo scandalo della Croce".
    Maria e il Santo Rosario. Nel mese di Maggio si dovrebbe anche accentuare la recitazione di questa preghiera: "Certamente. Il Rosario, in verità, bisognerebbe recitarlo sempre, non solo in ottobre o maggio. Purtroppo, questa società secolare e talvolta pagana, ha sostituito nelle famiglie, la recitazione del Rosario con la Tv, si vedono spettacolini a dir poco sconvenienti, per non dire osceni o di basso livello e ci si dimentica di dire grazie al Figlio e alla Madre con il Rosario. Sappiamo tutto di Belen, tanto insignificante che non piace neppure al Diavolo, e ignoriamo i misteri del Rosario".
    Quale è il lato positivo del santo Rosario?
    "Non è una preghiera ripetitiva come qualcuno dice, col Rosario ripercorriamo i misteri di Cristo. Il Rosario aiuta le coscienze a rimanere pure, limpide, a respingere le tentazioni, a dire di no al demonio. Il rosario ci ha salvati dai turchi a Lepanto.



    Forse una maggiore recitazione del Rosario ci aiuterà a limitare la diffusione di quella ondata innaturale che è la scelta gay (sia sotto la forma della pratica, sia sotto la forma della propaganda immorale) un modo di essere che offende la natura e Dio".



    Chiesa: card. Scola dice no a veglia per vittime violenza omofobia
    (ASCA) - Roma, 11 mag - Per il sesto anno consecutivo, in occasione della giornata mondiale contro l'omofobia, il 17 maggio, centinaia di persone veglieranno in preghiera per le vittime della violenza dell'omofobia in numerose citta' italiane e spagnole, da Palermo a Padova, da Malaga a Madrid.
    Il Gruppo Gionata che organizza le veglie in Italia denuncia però ''con grande sconcerto'' che quest'anno la Curia Arcivescovile di Milano, per la prima volta nella sua storia, ha detto 'no' alla richiesta dei Gruppi di cristiani milanesi di poter vegliare in una chiesa cattolica milanese, come invece avveniva dal 2009[Quando c'era ancora Tettapalla...].



    “'Mai avrei pensato, quest'anno, di dover fare i conti con un no - commenta Gianni Geraci, portavoce del gruppo di omosessuali milanesi il Guado -. E invece il no è arrivato.”
    "E così, mentre la comunità valdese di Milano si ritrovera' il 13 maggio per celebrare il consueto culto domenicale dedicato all'omofobia, noi cattolici ci troveremo letteralmente per strada, non avendo trovato posto in una delle tantissime chiese cattoliche che ci sono in città''.
    Le comunità valdesi, battiste, metodiste, luterane e veterocattoliche di diverse città italiane, domenica 13 e 20 maggio, faranno memoria del peccato dell'omofobia nei loro culti domenicali.


 

 
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