I diritti umani: una ideologia occidentale in declino


di Danilo Zolo -



Fonte: Jura Gentium

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1. I diritti umani: una ideologia occidentale in declino

La tesi principale che intendo sostenere è la seguente: il processo storico che noi occidentali chiamiamo "globalizzazione" non favorisce il successo e la diffusione dei diritti umani fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita. Per "globalizzazione" intendo la crescente espansione delle relazioni sociali fra gli esseri umani, dovuta anzitutto allo sviluppo tecnologico, alla rapidità dei trasporti e alla rivoluzione informatica (1). In secondo luogo intendo sostenere che sta diventando problematica anche la conservazione e la difesa delle istituzioni democratiche tuttora esistenti in Occidente. E vorrei infine richiamare l'attenzione su un fenomeno ancora più allarmante: la paralisi del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali di fronte al problema della guerra nel mondo. Aggiungo che a mio parere il diritto internazionale è sempre più condizionato a livello globale dagli interessi politici ed economico-finanziari delle grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti d'America.

Nel 1948 gli autori della Dichiarazione universale dei diritti umani avevano attribuito a tutti i soggetti umani il diritto di vivere. Speravano di mettere fine alle pratiche violente del passato e di cancellare per sempre la tragedia della seconda guerra mondiale (2). Ma la formalizzazione del "diritto alla vita" non ha ottenuto il successo sperato. In particolare negli ultimi decenni non sono mancati fenomeni come la strage di migliaia di militari e di civili innocenti, il bombardamento a tappeto di intere città e l'uccisione sommaria di centinaia di persone ritenute responsabili di atti terroristici. A mio parere questa è la prova che il processo di globalizzazione tende a contrastare i principi affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e tende a cancellare il principio stesso del "diritto alla vita".

La Dichiarazione universale ha avuto il merito di rendere i diritti umani indivisibili e non confusamente separabili in diritti civili, politici, sociali (3). Ma non si possono tacere nello stesso tempo i limiti del documento: inaccettabile è secondo me il suo preteso universalismo e nello stesso tempo l'individualismo tipicamente occidentale (4).

Nel corso del processo di globalizzazione l'insufficienza della Dichiarazione universale si è fatta sempre più evidente. Come da tempo dimostrano i rapporti di Amnesty International, la violazione dei diritti umani è un fenomeno di proporzioni crescenti. Il fenomeno riguarda un numero elevato di Stati, inclusi tutti gli Stati occidentali. Gli organismi e le agenzie incaricate di assicurare il rispetto dei diritti umani - anzitutto il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (5) - mancano di qualsiasi potere esecutivo. Le loro decisioni vengono sistematicamente ignorate e disattese. Si pensi ai crimini commessi dagli Stati Uniti ad Abu Ghraib, a Bagram, a Guantánamo, a Falluja, senza dimenticare quelli commessi da Israele nei territori palestinesi, in particolare a Gaza con la strage del dicembre 2008-gennaio 2009. I responsabili di questi crimini contro l'umanità hanno goduto e godono tuttora della più assoluta impunità, anche grazie alla connivenza della Corte Penale Internazionale dell'Aja. Luigi Ferrajoli ha scritto autorevolmente: "L'età dei diritti è anche l'età della loro più massiccia violazione e della più profonda e intollerabile diseguaglianza" (6).

Bastano pochi dati per confermare drammaticamente il tramonto dell'"età dei diritti" nell'era della globalizzazione. L'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha calcolato che tre miliardi di persone oggi vivono sotto il livello della povertà, fissato in due dollari di reddito al giorno (7). John Galbraith, nella prefazione allo Human Development Report delle Nazioni Unite del 1998, aveva documentato che il 20% della popolazione mondiale più ricca si accaparrava l'86% di tutti i beni e servizi universalmente prodotti mentre il 20% più povero ne consumava soltanto l'1,3%. Oggi, dopo circa dieci anni, queste cifre sono purtroppo cambiate: il 20% della popolazione più ricca consuma il 90% dei beni prodotti, mentre il 20% più povero ne consuma l'1% (8). E si è inoltre calcolato che il 40% della ricchezza del pianeta è posseduta dall'1% della popolazione mondiale (9), mentre le 20 persone più ricche del mondo dispongono di risorse pari a quelle del miliardo di persone più povere (10).

I dati forniti dalle Nazioni Unite mostrano inoltre che un miliardo di persone sopravvive in condizioni di "povertà assoluta" nei paesi economicamente più arretrati: circa una metà si trova in Asia meridionale, un terzo nell'Africa sub-sahariana e una quota di rilievo anche in America Latina (11). Nell'ampia fascia di questi paesi un miliardo e 700.000 persone sono prive di accesso all'acqua potabile e si prevede che questa cifra raddoppierà entro il 2020. Ogni anno muoiono oltre 2 milioni di bambini per mancanza d'acqua o a causa dell'acqua insalubre che è responsabile dell'80% delle malattie epidemiche. La mancanza di acqua è inoltre la causa di una drastica diminuzione della produzione alimentare e di un aumento delle malattie legate alla denutrizione. Tra le conseguenze della fame e della sete ci sono anche i 25.000 bambini che muoiono ogni giorno per malattie che sarebbero innocue per bambini ben nutriti (12).

Tutto ciò accade anche perché le grandi potenze praticano complesse strategie nelle quali si sovrappongono la competizione mercantilistica fra gli Stati, il regionalismo economico e il protezionismo settoriale. Un esempio agghiacciante è stato recentemente fornito da Luciano Gallino: le aree agricole regionali sono state cancellate dalla faccia della terra - dall'India all'America Latina, dall'Africa all'Indonesia e alle Filippine - e sono state sostituite da immense monoculture. I contadini e le loro famiglie, espulsi dai loro campi, si rifugiano negli sterminati slums urbani del pianeta. Molto spesso si uccidono perché non riescono a pagare i debiti che hanno fatto nel tentativo di acquistare le sementi e i fertilizzanti ai prezzi imposti dalle corporations europee e statunitensi dell'agro-business. In India, tra il 1995 e il 2006, vi sono stati almeno duecentomila suicidi di piccoli coltivatori (13). Fenomeni non diversi sono presenti anche in Cina.
2. Una democrazia senza futuro

Se per democrazia intendiamo un regime nel quale la maggioranza dei cittadini è in grado di controllare i meccanismi della decisione politica e di condizionare i processi decisionali, allora è legittimo pensare che oggi la democrazia è in grave crisi. Come già nel secolo scorso Max Weber e Joseph Schumpeter avevano intravisto, le stesse nozioni di "rappresentanza", di "sovranità popolare" e di "interesse collettivo" sono ormai dogmi illuministici senza alcun rilievo politico e lontanissimi dalla cultura popolare (14).

È inoltre molto incerto che cosa si debba intendere oggi per "partiti politici". Come Leslie Sklair ha sostenuto e Luciano Gallino ha documentato, le democrazie operano ormai come dei regimi dominati dalla cosiddetta "nuova classe capitalistica transnazionale". Essa controlla i processi di globalizzazione dall'alto delle torri di cristallo di metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai (15). In questo contesto il sistema dei partiti politici è in notevole difficoltà. I partiti non sono più dei veicoli della rappresentanza politica, sostenuti dai propri militanti ed elettori. Ormai al centro della vita democratica si erge trionfante lo schermo televisivo, attraverso il quale i leader politici si rivolgono ai cittadini mettendo in mostra, secondo precise strategie dimarketing televisivo, i "prodotti" che intendono vendere. Attraverso circuiti occulti i partiti distribuiscono ai propri collaboratori risorse finanziarie, vantaggi e privilegi economici e politici (16).

Oltre a questo, analisi attendibili mettono in luce sempre più chiaramente la logica bipartisan che induce i partiti politici ad accordarsi fra di loro su tutto ciò che è essenziale per la loro stabilità in quanto facoltosi apparati burocratici. Un esempio clamoroso è l'imponente auto-finanziamento dei partiti, del tutto sottratto a qualsiasi controllo o sanzione (17). E lo stretto rapporto di solidarietà collettiva è tale che consente all'insieme dei partiti di porsi in concorrenza con gli altri soggetti della poliarchia nazionale. Si pensi, per quanto riguarda l'Italia, a strutture di potere che non è esagerato chiamare "quasi-statali": la mafia, la n'drangheta calabrese, la camorra, i trafficanti di droga, le grandi banche d'affari, le compagnie di assicurazione e, non ultimi, i servizi segreti. In sintonia con questi soggetti "pubblico-privati" la maggioranza dei partiti opera al di fuori del sistema politico e, talora, contro l'ordinamento giuridico. Si pensi - sempre con riferimento all'Italia - alla fitta rete degli appalti pubblici, che opera come la casa madre miliardaria della corruzione e della concussione di leader politici, funzionari pubblici e managers.

Occorre aggiungere che l'opinione pubblica non dispone di fonti di informazione indipendenti dal sistema telecratico mondiale. I poteri informatici locali sono connessi alla struttura internazionale dell'industria multimediale. Le corporations transnazionali che monopolizzano l'emittenza televisiva sono in maggioranza insediate negli Stati Uniti: fra queste Time Warner, Disney, Bertelsmann, Viacom, News Corporation, Sony, Fox. La comunicazione pubblicitaria diffonde in tutto il mondo messaggi simbolici fortemente suggestivi che esaltano la ricchezza, il consumo, lo spettacolo, la competizione, il successo, la seduzione del corpo femminile. Gli impulsi acquisitivi di chi riceve i messaggi vengono così stimolati secondo gli interessi dell'economia capitalistica ormai dominante a livello globale (18).

La mia opinione è che i processi di globalizzazione rendono sempre più improbabile la conservazione dei delicati meccanismi della democrazia. Essi vengono sostituiti da forme di esercizio del potere che sono concentrate nelle mani di pochi esperti senza scrupoli. Il potere esecutivo - il parlamento è ormai privo di funzioni autonome - si sostituisce a quella che un tempo era la volontà del "popolo sovrano". Di conseguenza è assente la partecipazione attiva dei cittadini e decade il loro senso di appartenenza ad una comunità civile e democratica.

Oltre a ciò, il processo di globalizzazione ha posto in crisi le strutture del Welfare state e ha favorito la nascita di regimi che, pur sventolando ancora la bandiera della democrazia, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive. Sono regimi orientati alla pura efficienza economico-finanziaria, al benessere della classe dominante e alla discriminazione dei cittadini non abbienti, in particolare dei migranti, trattati non di rado come "barbari invasori".

In questo quadro, il processo di globalizzazione aggrava ulteriormente gli squilibri sociali non risolti dal Welfare state. La competizione globale impone la concorrenza soprattutto nei settori produttivi più deboli, a cominciare dalla forza-lavoro. Il lavoro dipendente è ormai scarso, precario, segmentato, poco retribuito, anche a causa della concorrenza di paesi caratterizzati da un eccesso di forza-lavoro e da una scarsa protezione dei lavoratori (19).

Ai processi di globalizzazione corrisponde nella maggioranza dei paesi occidentali una profonda trasformazione delle politiche penali e repressive: una trasformazione per la quale Loïc Wacquant ha coniato l'espressione: "dallo Stato sociale allo Stato penale" (20). Gli Stati occidentali accordano un'importanza crescente alla difesa poliziesca delle persone e dei loro beni. E l'amministrazione penitenziaria tende a occupare spazi sempre più ampi. Si ritiene infatti che il carcere sia lo strumento più efficace per far fronte agli sconvolgimenti causati* dallo smantellamento dello Stato sociale e dall'insicurezza sociale che investe sempre più i soggetti deboli ed emarginati.

Un caso esemplare è rappresentato dalle politiche penali e penitenziarie praticate negli Stati Uniti nell'ultimo trentennio e, con un leggero ritardo, anche dalla Gran Bretagna e da altri paesi europei, l'Italia compresa. Gli Stati Uniti occupano di gran lunga il primo posto nell'incarcerazione di un numero crescente di detenuti. Dal 1980 ad oggi la popolazione penitenziaria si è più che triplicata, raggiungendo nel 2007 la cifra di oltre 2.300.000 detenuti (21). Per ora non ci sono dati ufficiali sulla diffusione del suicidio in carcere.
3. Un pacifismo al tramonto

Per quanto riguarda la pace, la mia opinione è che essa non è mai stata così apertamente violata dalle istituzioni internazionali e senza alcun rispetto del diritto internazionale, scritto e consuetudinario. Nel contesto del processo di globalizzazione la guerra di aggressione è stata sempre più legalizzata e "normalizzata" come una "guerra giusta". Le grandi potenze occidentali hanno dichiarato di usare la guerra come uno strumento essenziale per diffondere i diritti umani e la democrazia in tutto il mondo. E per garantire un futuro di pace esse ricorrono alla war on terrorism, estesa quasi in ogni angolo del pianeta (22). Negli ultimi vent'anni le istituzioni internazionali, anzitutto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Corte penale internazionale, hanno assecondato senza scrupoli la politica bellica degli Stati Uniti e dei loro alleati.

La produzione e il traffico delle armi da guerra, incluse quelle nucleari e spaziali, è ormai fuori dal controllo della cosiddetta "comunità internazionale" e delle sue istituzioni. E l'uso delle armi dipende dalla "decisione di uccidere" che viene presa da autorità statali e non statali secondo le loro convenienze strategiche, di carattere non solo politico ma anche e soprattutto di carattere economico. Sentenze di morte collettiva sono state emesse al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria contro migliaia di persone non responsabili di alcun illecito penale, né di alcuna colpa morale. La morte, la tortura, il terrore sono ingredienti di una cerimonia che non suscita più alcuna emozione. Il patibolo globale offre uno spettacolo quotidiano così scontato e ripetitivo da essere ormai stucchevole per le grandi masse televisive.

Il fallimento del pacifismo autocratico delle Nazioni Unite e dei Tribunali penali internazionali ad hoc, istituiti per volontà degli Stati Uniti, è sotto gli occhi di tutti. Per provarlo sarebbe sufficiente una rapida rassegna delle guerre di aggressione scatenate dalle potenze occidentali a partire dai primi anni novanta del secolo scorso. Si tratta di guerre che possono essere definite "terroristiche" per la violenza sanguinaria con cui sono state condotte o che vengono tuttora condotte. Iniziata nel 2001, la guerra in Afghanistan è ancora in corso per volontà del presidente americano Barack Obama, Premio Nobel per la pace (23). Ma si tratta di "guerre terroristiche" anche perché sono state la causa della replica terroristica da parte di paesi islamici che sono stati aggrediti, martoriati, militarmente occupati.

Si può pertanto sostenere che oggi il terrorismo è un nuovo tipo di guerra, è il cuore della "guerra globale" che è stata scatenata dal mondo occidentale. E il terrorismo è una delle ragioni del diffondersi nel mondo occidentale dell'insicurezza e della paura. Nel solco della globalizzazione il tramonto dei diritti umani e della democrazia coincide con il tramonto della solidarietà e dell'apertura al dialogo con i "diversi". È un tramonto globale che oscura il nobile sogno di Norberto Bobbio: il sogno di un mondo unificato, pacificato e governato da una sola autorità sovranazionale (24).

Se questa chiave di lettura può essere accolta, allora è lecito sostenere che la guerra del Golfo del 1991 e le guerre successive scatenate contro la Repubblica Federale Jugoslava, l'Afghanistan, l'Iraq, il Libano, la Palestina e la Libia, hanno segnato il trionfo della simulazione "umanitaria" nell'uso terroristico del potere militare. In particolare le guerre condotte dalla NATO prima contro la Repubblica Federale Jugoslava e poi contro la Libia possono essere assunte come l'archetipo della guerra di aggressione terroristica, abilmente coperta sotto le vesti della guerra umanitaria. Si è trattato in realtà di guerre di aggressione dirette a realizzare un progetto neo-imperialistico di egemonia globale sul terreno politico, militare e soprattutto economico.

L'erosione dei diritti umani, della democrazia e della pace è dunque l'esito di un processo globale voluto dalle potenze occidentali oltre che garantito dalle istituzioni economico-finanziarie che stanno compromettendo le basi stesse della sussistenza dell'uomo.
4. Conclusione

Concludo chiedendo a me stesso e a chi mi legge se è possibile intravedere qualche soluzione per le tragedie che insanguinano il mondo. Non posso non pensare alle migliaia di bambini che ogni giorno muoiono perché denutriti, alle centinaia di migliaia di piccoli coltivatori suicidi, alla discriminazione spietata fra ricchi e poveri, fra potenti e deboli, fra noi e gli "altri". Penso alla rovina delle istituzioni democratiche e alla depressione della nuove generazioni prive di solidarietà comunitaria e di futuro. E penso alla Libia devastata dai feroci bombardamenti della NATO e alla guerra decennale tuttora in corso in Afghanistan.

Devo confessare, per quello che vale la mia confessione, che non sono in attesa di un mondo migliore. I diritti umani, la democrazia e la pace stanno tramontando tra le fitte nubi della globalizzazione e delle guerre terroristiche che trascina con sé. Io non sono un ottimista, come non lo era Norberto Bobbio. Il mio pessimismo non mi consente di intravedere un filo di luce all'orizzonte. E tuttavia non dimentico la massima alla quale Bobbio si era comunque ispirato:

Qualche volta è accaduto che un granello di sabbia sollevato dal vento abbia fermato il motore di una macchina. Anche se ci fosse un miliardesimo di miliardesimo di probabilità che il granello sollevato dal vento vada a finire negli ingranaggi del motore e ne arresti il movimento, la macchina che stiamo costruendo è troppo mostruosa perché non valga la pena di sfidare il destino" (25).

E dunque anch'io non nego che valga la pena di lottare in extremis e di sfidare il destino.
Note

1. Sul tema si può vedere il mio Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Roma-Bari, Laterza, 2004; ed. brasiliana: Globalização. Um mapa dos problemas, Florianópolis, Conceito Editorial, 2010.

2. Si veda l'art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona".

3. Sul tema si può vedere T.H. Marshall, Citizenship and Social Class and other essays, Cambridge, Cambridge University Press, 1950.

4. Vanno segnalate alcune lacune rilevanti: i diritti delle donne dimenticati, la pena di morte di fatto confermata, nessuna critica del colonialismo, nessun accenno alla necessità di una lotta contro la povertà.

5. Il Consiglio è nato il 15 marzo 2006 con una risoluzione dell'Assemblea Generale ed è un suo organo sussidiario senza alcun potere vincolante. Hanno votato contro la risoluzione gli Stati Uniti, Israele, le Isole Marshall, Palau.

6. Cfr. L. Ferrajoli, "Diritti fondamentali e democrazia costituzionale", in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2002-2003, Torino, Giappichelli, 2004, p. 347.

7. Cfr. International Labour Office, Global Employment Trends, Genève, Ilo, 2008, pp. 9-11.

8. Cfr. L. Gallino, Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'economia, Torino, Einaudi, 2009, p. 9.

9. Cfr. F. Rampini, "Chi sono i ricchi e perché sono sempre più ricchi", la Repubblica, 6 novembre 2011, pp. 32-33.

10. Cfr. L. Gallino, Con i soldi degli altri, cit., p. 9.

11. Si veda P. Ekins, A New World Order: Grass Roots Movements for Global Change, London, Routledge, 1992.

12. Cfr. L. Gallino, Con i soldi degli altri, cit., pp. 8-9.

13. Si veda L. Gallino, "Così l'Occidente produce la fame nel mondo", La Repubblica, 10/05/2008.

14. E ciò accade nonostante che si tratti di principi fatti propri qualche decennio fa, nella scia di Weber e di Schumpeter, da teorici autorevoli come Hans Kelsen, Giovanni Sartori, Raymond Aron, Robert Dahl, Norberto Bobbio. Si veda H. Kelsen, La democrazia, Bologna, il Mulino, 1955; G. Sartori, Democrazia e definizioni, Bologna, il Mulino, 1957; R. Aron, Démocratie et totalitarisme, Paris, Gallimard, 1965; J. Plamenatz, Democracy and Illusion, London, Longman, 1973; N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1984; R. Dahl, Democracy and Its Critics, New Haven, Yale University Press, 1989.

15. Si veda L. Sklair, The Transnational Capitalist Class, Oxford, Blackwell, 2001; L. Sklair, "The end of capitalist globalization", in M.B. Steger (a cura di), Rethinking Globalism, Maryland, Rowman and Littlefield, 2004, pp. 39-49; L. Sklair, "The globalization of human rights", Journal of Global Ethics, 5 (2009), 2, pp. 81-96; L. Gallino, Con i soldi degli altri, cit., pp. 123-40.

16. Cfr. N. Luhmann, Politische Planung, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1971, particolarmente alle pp. 9-45, 53-89.

17. Rinvio al mio saggio "Il 'doppio Stato' e l'autoreferenza del sistema dei partiti", in D. Zolo, Complessità e democrazia, Torino, Giappichelli, 1987, pp. 137-53.

18. In particolare nell'ultimo decennio il processo di integrazione comunicativa è stato talmente intenso e rapido che ha legittimato l'idea di un "globalismo cibernetico" capace di mettere in rete il mondo, e cioè di avvolgerlo in una fitta trama di connessioni informative e comunicative, non escluse le reti di monitoraggio e spionaggio cibernetico-satellitare a fini sia industriali che militari. Ne sono un esempio Echelon e l'accordo Uk-Usa, che integra le agenzie di spionaggio elettronico dei cinque principali paesi anglofoni. La tappa successiva, già largamente avviata, non potrà che essere l'industrializzazione e la militarizzazione informatica dello spazio extraterrestre.

19. Si veda: G. Gareffi, M. Korzeniewicz, R.P. Korzeniewicz, Commodity Chains and Global Capitalism, Westport, Greenwood Press, 1994; R. Jenkins, Transnational Corporations and Uneven Development, London, Methuen, 1987.

20. Si veda L. Waquant, Les prisons de la misère, Editions Raisons d'Agir, Paris 1999, trad. it. Milano, Feltrinelli, 2000.

21. Si veda L. Re, Carcere e globalizzazione. Il boom penitenziario negli Stati Uniti e in Europa, Roma-Bari, Laterza, 2006.

22. Sul tema si veda R. Pape, Dying to Win: The Strategic Logic of Suicide Terrorism, New York, Random House, 2005; trad. it. Bologna, Il Ponte, 2007.

23. Nell'arco di un ventennio le guerre di aggressione in ambito occidentale e mediorientale hanno coinvolto l'Iraq (1991), la Serbia, l'Afghanistan, di nuovo l'Iraq (2003), il Libano, i territori palestinesi, la Libia, solo per citare gli eventi bellici più rilevanti. In queste guerre, condotte in nome di valori universali, nessuna limitazione 'umanitaria' degli strumenti bellici è stata praticata.

24. Nel 1990 Norberto Bobbio aveva scritto che: "Diritti dell'uomo, democrazia e pace sono tre momenti necessari dello stesso movimento storico: senza diritti dell'uomo riconosciuti o protetti non c'è democrazia; senza democrazia non ci sono le condizioni minime per la soluzione pacifica dei conflitti"; cfr. N. Bobbio, L'età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990, p. VII.

25. Cfr. N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna, il Mulino, 1984, pp. 94-5.


I diritti umani: una ideologia occidentale in declino, Danilo Zolo