I conti del nucleare non tornano. Né dal punto di vista economico, con le multinazionali del settore che arrancano con i bilanci in rosso (Areva) o abbandonano (Siemens). Né dal punto di vista della valutazione del rischio. Secondo i calcoli ufficiali, con 400 reattori in funzione un incidente con fusione del nocciolo, il peggiore degli scenari, dovrebbe capitare una volta ogni 250 anni. Ne sono avvenuti 3 in 32 anni: Three Mile Island nel 1979, Chernobyl nel 1986, Fukushima nel 2011.
Sono i numeri contenuti in “Lezioni da Fukushima”, il rapporto preparato da Greenpeace a 12 mesi dal disastro in Giappone (11 marzo 2011). (...)
la reticenza delle fonti ufficiali nell’offrire un quadro attendibile della situazione ha ritardato una reazione corretta. Ad esempio il 12 marzo gli esponenti del governo, in una conferenza stampa, hanno assicurato che il reattore non stava rilasciando significative quantità di radioattività e che nell’area oltre i 20 chilometri dalla centrale le persone erano al sicuro. Dopo due settimane lo stesso governo è stato costretto a chiedere a chi viveva tra i 20 e i 30 chilometri dalla centrale di lasciare volontariamente la propria casa. Infine, ad aprile, l’evacuazione è stata portata in alcune zone fino a un raggio di 50 chilometri.
“A un anno dal disastro le persone colpite dalle radiazioni e costrette ad abbandonare tutto quello che avevano sono ancora prive di indennizzo e sostanzialmente abbandonate a se stesse”, si legge nel rapporto di Greenepace. “Alla fine, saranno i contribuenti giapponesi, e non la società Tepco, proprietaria della centrale esplosa, a pagare la maggior parte dei danni”.
Al momento la Tepco ha tirato fuori 3,8 miliardi di dollari, a fronte di una danno che può essere valutato tra i 75 e i 260 miliardi di dollari. Una cifra che supera i 500 miliardi di dollari se si includono, oltre ai danni, i costi dello smantellamento degli impianti della centrale di Daiichi. Anche dal punto di vista tecnico l’impresa della fuoriuscita dalla crisi Fukushima appare ardua. Il governo si è impegnato a decontaminare 13 mila chilometri quadrati, un’area grande quanto la metà della Sicilia. Ma non ha spiegato dove si metteranno le decine di milioni di metri cubi di terra contaminata.