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  1. #201
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    È possibile un “francescanesimo militante” se non addirittura un “francescanesimo militare”? Qualcuno forse penserà immediatamente alle note deviazioni sudamericane dove, sobillati dal veleno della teologia della liberazione, anche molti figli di san Francesco lasciarono le tonache in favore delle armi per prendere parte a movimenti rivoluzionari.
    Qui non si tratta però di partigiani comunisti e nemmeno di frati pervertiti da qualche teologia balzana o da qualche ideologia anticristiana. Si tratta di veri e propri francescani, di figli fedeli del Poverello d’Assisi. Anzi, in molti casi, si tratta di veri e propri santi canonizzati, o, in ogni caso, di buoni e devoti religiosi, costretti dalle vicende storiche in cui si trovarono a vivere a scendere in battaglia, stare fianco a fianco ai soldati, se non addirittura a guidare eserciti e pianificare intere guerre, compiendo opere di eroismo militare e cristiano tali da far sbalordire i soldati di professione.
    Se però questi figli del Serafino d’Assisi – anzi, se perfino il Serafico Padre stesso! – erano dei veri guerrieri, qualcosa non torna con la leggenda pacifista del francescanesimo ormai purtroppo tanto diffusa? Lo potrà giudicare il Lettore del presente volume, composto di dieci racconti affascinanti dedicati ad altrettanti guerrieri serafici, avventurieri di Dio nelle vicende del mondo e cuori cavallereschi sotto la tonaca religiosa. Oppure, per meglio dire, a cuori di santi in mezzo al rumore dei campi di battaglia.


    Ambrogio M. Canavesi e Wawrzyniec M. Waszkiewicz
    GUERRIERI SERAFICI
    Racconti di pace e bene... e guerra
    Edizioni Tabula fati
    [ISBN-978-88-7475-965-1]
    Pag. 232 - € 13,00

  2. #202
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali



    « […] E forse, proprio perché costretti a guardare nell’abisso di immoralità di una parte del Clero, i buoni potranno esser spronati a moltiplicare l’impegno di santità, di umiltà e di sacrificio, in modo da attirare sulla Sposa dell’Agnello quelle benedizioni e quelle grazie che altri oggi tengono lontane. Tempora bona veniant. Alle anime innamorate di Dio queste pagine ispirino sentimenti di riparazione e di espiazione, invocando al Sommo ed Eterno Sacerdote il dono del pentimento e della conversione per i traviati che continuano a crocifiggerLo rinnegando le solenni promesse che hanno fatto, nelle mani del Vescovo, il giorno della loro Ordinazione. Sia loro di aiuto la Vergine Santissima, Refugium peccatorum, Madre del Sacerdozio». (Breve estratto dalla prefazione di Mons. C. M. Viganò)

    Galleria neovaticana – Modernismo, vizi innominabili e corruzione ai tempi di Bergoglio, è l’ultimo libro di Marco Tosatti, pubblicato dalle Edizioni Radio Spada. E – lo immaginiamo facilmente – sarà un libro che farà discutere parecchio.

    La prefazione del volume è scritta da Mons. Carlo Maria Viganò, Arcivescovo titolare di Ulpiana, già Nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America dal 2011 al 2016.

    L‘introduzione è opera di Maike Hickson PhD, studiosa di letteratura e collaboratrice di LifeSiteNews e OnePeterFive.

    Volentieri offriamo qui sotto ai lettori la nota editoriale – firmata da Piergiorgio Seveso – che apre il volume.


    -----------------------------------------------------------

    Nota delle Edizioni Radio Spada

    Se le Edizioni Radio Spada fossero una persona e dovessero firmare un documento, siglerebbero il foglio con due parole che fanno sì che la nostra casa editrice sia tale, che sia degna della propria causa e degna di sé: coraggio e realismo.

    Ci vuole coraggio ad affrontare, frontalmente e senza fronzoli rassicuranti o ipnotici sofismi, la crisi terribile e incapacitante che l’edificio storico e sociale della Chiesa sta attraversando. Non una fase critica, non un periodo di ripiegamento ed involuzione, di quelli di cui la storia è ricolma, ma una crisi unica ed eversiva che ne svuota dall’interno il contenuto salvifico e ne riduce drasticamente la capacità apostolica, crisi di dottrine eretiche ed empie, crisi di prassi ora deboli, ora scellerate, crisi di uomini. In ultima analisi si tratta di una crisi di Fede che trova la sua origine nella rinascita del modernismo, intronizzato sotto le colonne tortili del baldacchino di San Pietro da Roncalli e da Montini.

    Di questi Castore e Polluce della sovversione, di questi artefici della più grave, avvilente e imbastardente catastrofe che il Cattolicesimo Romano (ovvero la Chiesa militante) ha dovuto subire nella sua storia, Jorge Mario Bergoglio è fedele discepolo, tardivo epigono, rinnovata eco. Nulla di più, nulla di meno.

    Ci vuole altrettanto realismo, anzitutto per non perdere il senso della misura e del limite in tutto ciò che facciamo (che è poco e comunque mai abbastanza, date le attualità necessità ecclesiali) e in secondo luogo per vedere le amplissime debolezze e divisioni di quel Cattolicesimo Romano residuale, sarei tentato di scrivere, marginale, che tenta di mantenersi tale e di non snaturarsi in amplessi adulterini con la Rivoluzione.

    Come in ogni esercito vinto (ma non domo) regnano tra le nostre file confusione, disperazione, foghe allucinatorie, involuzioni psicotiche e pose da commedia dell’arte, accanto beninteso alle silenziose virtù oranti e riparatrici di tante anime buone che spesso preferiscono il silenzio al tramestio della pubblica piazza. Dal punto di vista però delle pubbliche “buone battaglie”, può una semplice casa editrice, pur se integralmente cattolica, cambiare quest’ordine di cose, avventurarsi in percorsi reazionari e controrivoluzionari che non le competono, capeggiare insorgenze che rischierebbero ben prima che il deserto, il ridicolo?

    Rispondiamo francamente e incontrovertibilmente: no, non può, non deve e, rebus sic stantibus, non lo farà. Può invece contribuire all’istruzione e alla pietà di molti, alla formazione di una sana e ricca cultura cattolica, estranea alla lettera e allo spirito del Concilio Vaticano II, ed infine a fare la cronaca e fors’anche la storia di questi anni drammatici e perniciosi.

    Questo libro dell’operoso Marco Tosatti, impreziosito editorialmente da una prefazione di Monsignor Carlo Maria Viganò, rientra in questa inesausta raccolta di materiali che serviranno a scrivere la storia della Chiesa negli anni a venire e ancora più propriamente la storia degli anni bergogliani.

    Con coraggio e realismo, non recusamus laborem, non retrocediamo di fronte all’onere di darlo alle stampe, non ci tiriamo indietro di fronte a materie e argomenti che certamente sono scabrosi e ripugnanti ma possono fornire ai nostri lettori un’altra angolatura da cui osservare l’annosa crisi DOTTRINALE che sta attraversando la compagine ecclesiale.

    Proprio per questo, aggiungiamo a questa nota editoriale qualche breve postilla.

    Per scelta – di vita e di linea editoriale – non siamo usi osservare il mondo dal buco delle serrature, né abbiamo vocazioni scandalistiche, né tantomeno avalliamo il tipico automatismo secondo il quale alla proclamazione di dottrine ereticali si accompagnino necessariamente disordini morali. Ci possono essere banditori di dottrine violentemente eterodosse che non manifestarono, né manifestano alcun disordine comportamentale e al contempo custodi della Fede romana, non privi di abbondanti mende.

    Quello che a noi interessa è annotare il rapporto storico tra neomodernismo trionfante e taluni casi di devianze morali, che per loro stessa natura non possono rimanere estranee al governo della Chiesa, alle scelte gerarchiche e ai posizionamenti dottrinali e sociali delle attuali “gerarchie”. Lo facciamo senza entrare nel merito dei singoli casi e delle particolari evenienze, peraltro copiose ed impressionanti, citate nel libro. Non potremmo farlo, non vogliamo farlo, tanto è forte l’olezzo che promana da esse. Per la loro attendibilità ci affidiamo all’acribia e alla passione documentaria del nostro scrittore.

    Un chiarimento ulteriore: quanto segue non è e non può essere letto come un centone di cronache giudiziarie o come una speculazione sui mormorii di un confessionale. Per carità e giustizia, nulla possiamo dire sul foro interno di ogni singola persona citata e nulla vogliamo stabilire contro la presunzione d’innocenza e il beneficio del dubbio cui vanno soggette anche le sentenze definitive dei tribunali umani. Ai dossier e alle inchieste riportate sono seguite polemiche, difese, contrattacchi, precisazioni: a ognuno il diritto – e persino il dovere – di approfondire. Non è questo il punto: non è alla singola tessera del mosaico che bisogna guardare ma all’intera opera, al suo senso complessivo, all’orizzonte che delinea.

    In fondo, ripetiamo l’antico adagio: de minimis non curat praetor. Di fronte alle attuali gerarchie, dimentiche dei diritti di Dio e danzanti intorno alla statua della Cibele dell’antropocentrismo e del relativismo religioso, tutto ci appare piccolo, minore, meschino, corollario, per quanto turpe possa essere.

    Un ringraziamento di cuore all’autore del volume, all’autrice dell’introduzione e al prefatore, che con quest’opera entrano di diritto nella grande famiglia di Radio Spada e a voi cari lettori, buona lettura!

    Piergiorgio Seveso

    Presidente dell’Associazione Edizioni Radio Spada

  3. #203
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    [PRESENTAZIONE VIDEO] “Dio strabenedica gli inglesi!”: il nuovo saggio cattolico integrale sulla letteratura cattolica britannica


    Per il Venerdì Santo 2017 fu tenuta all'Università Cattolica del Sacro Cuore la 436° conferenza di formazione militante dal tema "Itinerari corviniani: il desiderio e la ricerca del Tutto", IL Venerdì Santo di quattro anni dopo, una conferenza video che continua la numerazione della conferenze di formazione militante (sarà la numero 642) ma dal respiro assai più ampio e omnicomprensivo. Eccola!



    Dio strabenedica gli inglesi! è una collezione di diversi articoli apparsi sulle pagine culturali del blog Radio Spada, rivisti, ampliati e giustapposti con l’intento di fornire spunti critici per tracciare una storia della letteratura cattolica britannica degli ultimi due secoli (con particolare attenzione all’Inghilterra, ma pure alla Scozia e all’Irlanda). Il risultato è una vasta galleria di nomi e opere che comprende autori quali J. H. Newman, G. K. Chesterton, J. R. R. Tolkien, R. H. Benson, Hilaire Belloc, Evelyn Waugh, Bruce Marshall, Graham Greene e molti altri ancora, un tesoro artistico e religioso che viene per la prima volta svelato al lettore italiano. Il volume è ulteriormente impreziosito da una prefazione di Paolo Gulisano, medico e scrittore, e da una postfazione di Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana.

    Il libro: Luca Fumagalli, Dio strabenedica gli inglesi! Note per una storia della letteratura cattolica britannica tra XIX e XX secolo, Radio Spada, Cermenate, 2021, 416 pagine, 15 Euro.


  4. #204
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    {Notarella} SI MARIA PRO NOBIS, QUIS CONTRA NOS?
    Mai come ora il culto mariano è attaccato, e lo è da chi dovrebbe difenderlo. Per citare le righe che introducono il libro: “Ora derubricata come superstizione, ora ostacolata da false dottrine, ora ridotta a un vuoto e opportunistico sentimentalismo, ora apertamente negata, la pratica del culto alla Vergine Maria attraversa una delle sue fasi più critiche. Nemici esterni di mille sette, nemici interni alla Chiesa, falsi amici, amici tiepidi: la lista da svolgere sarebbe troppo lunga per raccogliere anche per sommi capi le categorie di chi lavora contro la causa di Maria; se nei primi secoli gli eretici se la prendevano con la Divina Maternità, oggi attaccano il titolo di Corredentrice e di Mediatrice di tutte le grazie, ma il fomite dell’avversità resta sempre lo stesso. Mai come ora, dunque, pare necessario agere contra”.
    Difficile sostenere il contrario. È per questo che la nostra associazione propone una collazione di capolavori da oltre 500 pagine ad un prezzo decisamente accessibile. Il Libro d’Oro di Maria Santissima è un volume da leggere in ginocchio, non certo per gli editori, ma per gli Autori e le benedizioni che le loro opere hanno ricevuto. È un libro da promuovere e diffondere. Soprattutto, difficile anche per chi scrive ora, è un libro da vivere. E che può cambiare la vita di chi lo legge.


  5. #205
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    [SEGNALAZIONE LIBRARIA] “Il vangelo secondo Oscar Wilde”: un canto del cigno tra sacro e profano





    di Luca Fumagalli

    Negli ultimi scampoli del XIX secolo, durante uno dei suoi viaggi giovanili, Charles Greene – padre dello scrittore Graham Greene – e un suo amico insegnante vennero avvicinati, a Napoli, da un uomo dall’aria curiosamente familiare che chiese il permesso di sedersi con loro mentre bevevano un caffè. Lo sconosciuto ordinò per sé qualcosa di un po’ più forte e li intrattenne amabilmente per un’ora con discorsi arguti e divertenti; poi lasciò che pagassero la sua consumazione. Solo dopo che se ne fu andato i due compresero che si trattava di Oscar Wilde, da poco uscito di prigione. Charles era solito raccontare questa storia concludendo: «Quanto doveva sentirsi solo per dedicare tanto tempo e tanta abilità a due maestri di scuola in vacanza».

    Il curioso aneddoto, oltre a fornire un ritratto benevolo di uno scrittore in pieno viale del tramonto, non fa che confermare una convinzione che era condivisa da tutti, ammiratori e detrattori, ovvero che nell’arte della conversazione Wilde era semplicemente insuperabile. Molti dei suoi aforismi hanno fatto scuola, compreso quel culto del paradosso che, levigato dal più ortodosso Chesterton, divenne per quest’ultimo un’arma apologetica irresistibile. Solitamente l’autore irlandese si cimentava in racconti più o meno improvvisati, curiose variazioni sui canovacci di noti apologhi tratti dalle Sacre Scritture, dai miti greci e latini o dalla tradizione popolare. Né mancava in lui il gusto per la fiaba o per l’osceno (speculare al suo amore per il bello). Wilde andava ripetendo «Metto il talento nell’arte, il genio lo riservo per la vita», e se per l’eterogeneità della sua produzione molti, come André Gide e Max Beerbhom, gli contestarono di non essere neppure uno scrittore, nessuno osò mai dire che non fosse “il principe della vita”, dove l’arte del conversare gioca un ruolo tutt’altro che marginale. Che il campo dei racconti fosse quello in cui si sentiva più a suo agio, che fosse per lui quasi una forma mentis, è lo stesso Wilde ad ammetterlo: «Non comprendono che io non posso pensare che in forma di racconti. Lo scultore non cerca di tradurre in marmo la sua idea; egli pensa direttamente in marmo. Io penso per racconti».

    Senza contare le fiabe – alle quali Wilde si dedicò con grande passione e cura – alcune di queste storie minori apparvero su rivista, mentre altre sono state riportate nel corso dei decenni da diversi amici o biografi che ne hanno parlato nei loro libri. Tuttavia la maggior parte sarebbe andata perduta se l’attore e drammaturgo Guillot De Saix non si fosse adoperato per raccoglierle in un libro, Le Chant du Cygne, pubblicato a Parigi nel 1942. Quando si mise sulle tracce delle parole che Wilde aveva «imprudentemente affidate alla fluida memoria degli uomini», De Saix venne accolto con entusiasmo da molti intellettuali, tra cui Arthur Conan Doyle, W. B. Yeats e George Bernard Shaw, che furono ben felici di poter consegnare ai posteri una piccola testimonianza del genio dello scrittore irlandese. A questi frammenti De Saix aggiunse in seguito quelli pubblicati dallo stesso Wilde e altri estratti da biografie, memorie o articoli di giornale. Dalla ricorrenza di certi personaggi e temi è possibile riscontrare come quest’ultimo utilizzasse le sessioni narrative anche alla scopo di saggiare la validità dei suoi soggetti, per poi eventualmente riscriverli in forma di racconti, commedie o altro ancora.

    A portare in Italia l’opera di De Saix ci ha pensato nel 2019 Paolo Orlandelli, attore e regista, appassionato studioso del variegato mondo del decadentismo anglosassone, sgravando il libro originale da tutti i commenti personali dell’autore e reintitolandolo Il vangelo secondo Oscar Wilde (a sottolineare il «florilegio di parabole dal sapore profano ma per nulla prive di religiosità»).

    I racconti che compongono il volume sono piuttosto eterogenei, sia per lunghezza che per temi. Alle storie dal marcato sapore estetizzante, dove il mondo pagano dell’antica Grecia e il culto della bellezza la fanno da padroni, si alternano brani più spiritosi, altri simpaticamente irriverenti, ma pure riscritture di miti segnati da una tristezza che ha molto dell’autobiografico. Vi sono persino un paio di esempi che lambiscono il gotico, addirittura il distopico. Ciononostante le narrazioni più affascinanti rimangono quelle legate al Vangelo, dove Wilde alterna con la tipica noncuranza affondi sorprendentemente commoventi a passaggi più superficiali e provocatori. A questa seconda categoria appartengono racconti come quello in cui Giuda confessa di volersi suicidare non per il suo tradimento, ma perché ha scoperto che i proverbiali trenta denari sono falsi, oppure quello in cui Lazzaro resuscitato confida a Gesù che nell’aldilà non vi è nulla. Di tutt’altra pasta – e qui è il Wilde migliore, quello che per un momento si leva la maschera del dandy per penetrare nella carne di un’umanità dolente, assetata d’eterno – sono i frammenti come quello in cui la moglie del Cireneo rimprovera il marito per aver perso tempo a portare la croce di Cristo anziché trovarsi un lavoro di prestigio al tempio; o quello in cui le donne si accaniscono contro Gesù perché non vorrebbero perdere la speranza di essere loro, un giorno, le madri del Messia.

    Al di là del pregevolissimo lavoro editoriale di Orlandelli, è innegabile che la qualità dei racconti sia abbastanza altalenante, soprattutto perché in origine pensati per la conversazione più che per la scrittura. Eppure Il Vangelo secondo Oscar Wilde ha dalla sua il grandissimo pregio di offrire, anche se in forma di marginalia, uno sguardo fresco e a tutto tondo su un autore colpevolmente frainteso e ridotto ai suoi vizi, spesso evocato nel dibattito pubblico più per ragioni politiche che letterarie.

    Il libro: P. ORLANDELLI (a cura di), Il vangelo secondo Oscar Wilde raccontato da Guillot De Saix, Stampa Alternativa, Viterbo, 2019, 176 pagine, Euro 14.

  6. #206
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    “In quella grotta” di George Mackay Brown: le radici e la memoria in uno splendido romanzo per ragazzi



    di Luca Fumagalli

    Continua con questo articolo l’approfondimento sulla vita e le opere dello scrittore scozzese George Mackay Brown (1921-1996), tra gli autori più interessanti e originali del panorama letterario cattolico del Novecento. Per i contributi precedenti:

    Il bardo delle Orcadi: le opere e i giorni di George Mackay Brown – QUI
    La comunità tradizionale e la lunga ombra del progresso nichilista: leggendo “Greenvoe”, il primo romanzo di George Mackay Brown – QUI
    “Magnus” di George Mackay Brown: note a margine di un capolavoro della letteratura cattolica scozzese – QUI
    “Lungo l’oceano del tempo”: il ritorno al reale in un romanzo dello scozzese George Mackay Brown – QUI

    «Un libro non merita di essere letto a dieci anni se non merita di essere letto anche a cinquanta» (C. S. Lewis)

    George Mackay Brown (1921-1996) è uno degli scrittori scozzesi più importanti del Novecento. Originario di Stromness, nelle isole Orcadi, nel corso della sua lunga carriera ha pubblicato raccolte poetiche, racconti, romanzi e testi teatrali, nonché numerosi articoli su vari periodici. Nei suoi scritti il desolato paesaggio delle Orcadi, privo di alberi a causa delle basse temperature, fa da sfondo alle vicende della povera comunità locale, tenacemente attaccata alle proprie tradizioni, che sopravvive grazie alla pesca e al lavoro nei campi. Tuttavia Brown non si accontenta di un approccio documentaristico in salsa “neorealista”, ma fonde il presente con il mito e la storia, dando corpo a narrazioni in bilico tra realtà e fantasia. Allo stesso modo il suo cattolicesimo è sempre presente, anche se spesso in sottotraccia, a donare speranza a individui che altrimenti sarebbero sopraffatti dai dolori della vita, in balìa dei capricci della natura – madre e matrigna – e della malizia dei vicini. Soprattutto a fare paura è quella modernità che avanza implacabile, senza cuore né radici, a un passo dal fagocitare ogni cosa in un nulla fatto di orrido cemento e conformismo.

    Pure In quella grotta (Pictures in the Cave, 1977), benché rivolto ai lettori più giovani, affronta i medesimi temi. Il romanzo, tradotto in italiano nel 1995 dalla casa editrice Bompiani – qualche copia del libro, ormai fuori commercio, è ancora possibile recuperarla online sui siti dell’usato – attinge a piene mani da Un’estate a Greenvoe (Greenvoe, 1972), di cui viene recuperata innanzitutto la struttura frammentaria, per preparare il terreno a Lungo l’oceano del tempo (Beside the Ocean of Time, 1994), una delle opere più lette e apprezzate dello scozzese.



    La trama ruota attorno a Sigurd, un ragazzo orcadiano che ama molto il mare e poco la scuola. Una mattina, mentre sta bighellonando come al solito sulla spiaggia, incontra Shelmark, del popolo degli uomini-foca, ansioso di raccontargli le storie legate alla misteriosa grotta che si trova lì vicino, dove gli abitanti dell’isola credono abbia vissuto un tempo una terribile strega. A questo punto Sigurd scompare dal testo per ritornare solamente nel capitolo conclusivo, divenuto ormai un anziano lupo di mare, mentre nelle pagine precedenti è dato spazio alle storie di Shelmark, ambientate in secoli differenti, con la grotta a fare da minimo comune denominatore (lo scorrere del tempo è un altro aspetto chiave della poetica di Brown).

    Se il primo racconto parla della selvaggia Jennifer Stoor, figlia del ministro locale, che non vuole sposare il nobile dell’isola, a partire dal terzo capitolo le varie storie si sviluppano seguendo un ordine cronologico, partendo dall’antichità, quando le Orcadi erano vittime dalle incursioni vichinghe, fino ad arrivare alla Seconda guerra mondiale e agli aerei tedeschi che solcano minacciosi il cielo. Nel mezzo un carnevale di toni e colori che narra della vittoria a Stirling di Re Robert contro gli inglesi, oppure di come uno spagnolo, sopravvissuto al naufragio di uno dei galeoni dell’Armada, abbia sposato la giovane donna che lo ha soccorso (si tratta di una nota leggenda scozzese, rivisitata in versione farsesca da Compton Mackenzie in Whisky a volontà – titolo originale Whisky Galore! – ed evocata anche nella recente serie tv Shetland); si prosegue poi con la ribellione del Bonnie Prince Charlie fino ad arrivare a episodi decisamente crudi e drammatici quali quelli che hanno per protagonisti due contrabbandieri che finiscono impiccati o un folle suicida, quest’ultimo talmente innamorato di un’immaginaria sirena da lasciarsi affogare. Naturalmente non mancano momenti più solari, contraddistinti dalla commovente sovrapposizione tra dimensione locale e universale che marca le pagine più riuscite di Brown: un racconto, ad esempio, parla di un ragazzo ritardato che, ispirato dalla storia dei Re Magi ascoltata in chiesa, offre aiuto a una famiglia di zingari in fuga, ma ve n’è anche un altro in cui il ritrovamento di una perla in un’ostrica salva padre e figlio dallo sfratto.



    L’epilogo agrodolce è all’insegna del tramonto di un’epoca. Difatti Sigurd, dopo una vita da capitano giramondo, torna a casa per scoprire con suo grande rammarico che la grotta, guardiana dell’eternità, sta per essere distrutta con la complicità delle autorità dell’isola da una compagnia interessata a sfruttare alcuni giacimenti minerari scoperti lì vicino. A questo punto l’unica speranza per il futuro, per non perdere quel deposito secolare d’esperienze, rimane la memoria, tanto che Sigurd decide di affidare i suoi racconti alla piccola Solveig, la figlia della governante, proprio con il compito di tramandarli alle generazioni successive.

    Solo quando nessuno li racconterà più, quando il secolare filo della tradizione verrà definitivamente spezzato, l’isola farà la fine di Atlantide.

  7. #207
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    [NOVITÀ IN LIBRERIA] “La sindrome del criceto”: gender, coscienze artificiali e altre follie orwelliane del tempo presente



    di Luca Fumagalli



    «Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate» (G. K. Chesterton)

    La sindrome del criceto è un saggio che merita assolutamente di essere letto. In esso vengono catalogati e analizzati i mali dell’oggi, un’epoca sempre più vittima dei deliri di onnipotenza di chi celebra le magnifiche sorti e progressive dell’intelligenza artificiale, dei robot dotati di coscienza e della libera scelta del proprio sesso indipendentemente da quanto scritto nel DNA. La prosa è lineare e chiara, il tutto insaporito da numerose citazioni a sostegno delle argomentazioni di un autore che non ha nulla dello “scappato di casa” o del “complottista” da strapazzo. Difatti Alberto Contri, docente di comunicazione sociale all’università IULM di Milano, vanta un curriculum di tutto rispetto che lo ha visto impegnato su molteplici fronti nell’ambito delle comunicazioni sociali. Solo per fare qualche esempio, ha guidato la Fondazione Pubblicità Progresso dal 1999 al 2019, è stato consigliere RAI e ha ricoperto l’incarico di amministratore delegato di Rainet.

    Il volume di Contri si apre con un’impietosa descrizione della classe dirigente italiana che, oltre a rendere ragione del titolo, svela i motivi per cui certi segmenti sociali della penisola sono così ben disposti ad accogliere a braccia aperte tante sconcezze del post-moderno: «Il nostro Paese (e non solo il nostro) è fermo a causa della diffusissima sindrome del criceto, di cui soffre molta parte delle classe dirigente. Intenta a perseguire obiettivi a breve termine o guadagni immediati, essa finisce per correre soprattutto per se stessa, condannando il Paese a non avanzare mai», proprio come il criceto sulla sua ruota.

    Da una simile premessa si dipana un’indagine che procede per gradi, interessata innanzitutto a sottolineare come il progresso materiale e tecnologico, per quanto non da demonizzare in senso assoluto, abbia sempre e comunque delle conseguenze, spesso pericolosissime: basti pensare alla smania per l’elettrico in campo automobilistico che, al netto di una presunta diminuzione dell’impatto ambientale ancora tutta da dimostrare, porterà inevitabilmente alla perdita di decine di migliaia di posti di lavoro; oppure al sempre più capillare uso del GPS – con il conseguente venir meno della capacità di orientamento – e della videoscrittura per i più giovani, che vari studi hanno dimostrato avere un rapporto diretto con l’insorgere in seguito di ritardi del linguaggio.

    Ma i pericoli non si esauriscono di certo qui, tanto che tra scuola, propaganda mediatica e una distorta concezione del politically correct al limite del dittatoriale, è sempre più difficile ritrovare la bussola del buon senso. A tal proposito Contri parla di una doppia tenaglia: «Da un lato singolarità e transumanesimo puntano su un’ibridazione dell’uomo con il computer, così da diventare più efficienti e più rapidi, ma anche assai facili a manovrare e controllare. Dall’altro la pur meritevole battaglia per l’inclusione e l’uguaglianza di genere, che, per un’evidente eterogenesi dei fini, tende a costruire (meglio, decostruire) personalità indifferenziate, invertebrate, senza radici né tradizione, senza storia, memoria e punti di riferimento».

    Per lo meno, a parziale consolazione, qualche altarino si sta scoprendo, e se nella Silicon Valley più di una voce si sta levando contro chi nutre una smisurata fiducia nell’onnipotenza di un’intelligenza artificiale capace di superare quella dell’uomo, nell’ambito della battaglia per la parità di genere persino un’insospettabile come la scrittrice J. K. Rowling è stata accusata di “transfobia”, mentre il docente canadese Christopher Dummitt, storico e teorico del gender di fama mondiale, ha ammesso candidamente di essersi inventato tutto, di aver basato le sue ricerche su presupposti meramente ideologici.

    Per rispondere attivamente ai tanti problemi derivanti da uno scenario così desolante, Contri ha dato il via ai GRU (Gruppi di Resistenza Umana), un’associazione intesa a difendere il culto della bellezza e del sapere, di ciò che è buono e vero, ma soprattutto a sostenere la convinzione che la persona non è e non sarà mai una macchina, pena la sua fine. Il manifesto del GRU è esposto dettagliatamente proprio nelle pagine finali de La sindrome del criceto, prima che il libro si concluda con l’invito a collaborare per un futuro che sia davvero umano.

    Il libro: Alberto Contri, La sindrome del criceto, La Vela, Lucca, 2020, 268 pagine, Euro 15.

  8. #208
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    [NOVITÀ IN LIBRERIA] “Geopolitica dei vaccini”: la nuova Guerra fredda al tempo del Covid



    Che in Italia il dibattito pubblico sulla questione vaccini abbia toccato un livello pietoso, è ormai fuori discussione. Tra politici men che mediocri, virologi diventati star della televisione, giornalisti a caccia del sensazionale, intellettuali da pelle d’oca e attivisti di ogni genere e sorta, il Coronavirus ha messo in luce tutte le piccolezze e le contraddizioni di un Paese lanciato a gran velocità verso il baratro (ecco perché lavarsi le mani, a volte, è più un segno di igiene che di ignavia).

    Tuttavia un libro come Geopolitica dei vaccini (La Vela, 2021) dimostra che è ancora possibile parlare di Covid in termini seri e documentati. L’ottima inchiesta del giornalista Federico Giuliani, collaboratore di InsideOver e IlGiornale.it, si presenta come una ricostruzione dei mutamenti che stanno attraversando lo scacchiere politico globale nell’epoca della cosiddetta “corsa al vaccino”: «Cina, Russia, Europa e Stati Uniti», scrive l’autore, «sono i quattro attori principali che, da qui ai prossimi mesi (se non anni), si contenderanno la vittoria finale. Una vittoria che non sarà solo sanitaria, ma anche e soprattutto geopolitica, visti gli interessi economici (e non solo) nascosti dentro ogni singola dose. In altre parole, sviluppare un vaccino efficace, efficiente e funzionale alla causa globale, offre alle varie potenze politiche planetarie l’occasione di accrescere il proprio soft power e, parallelamente, rimescolare i loro rapporti di forza con il resto del mondo».

    La partita si gioca dunque sia nell’ambito sanitario che in quello politico-economico. Se il siero anti Covid è l’unico modo per frenare la pandemia, allo stesso tempo può anche essere visto come uno strumento diplomatico, utile sia per rafforzare i rapporti con gli altri stati che per instaurare proficue relazioni commerciali. D’altronde, stando alle più recenti previsioni, i vaccini arriveranno verosimilmente a mobilitare un fatturato globale pari a 100 miliardi di dollari, oltre che profitti per 40 miliardi.

    La Cina, ad esempio, che non ha mai dovuto fare i conti con una situazione sanitaria tragica, ha rallentato le sperimentazioni interne, preferendo concentrare l’attenzione sugli accordi commerciali con quei paesi africani, asiatici e sudamericani che, al contrario, hanno urgentemente bisogno di un antidoto. Lo Sputnik russo, su cui si è riversata buona parte del pregiudizio occidentale, è anch’esso un formidabile strumento diplomatico, mentre gli Stati Uniti, benché Biden abbia inaugurato una sorta di sovranismo vaccinale alimentato dai dollari investiti dal governo nelle Big Pharma, stanno tentando di creare un asse d’acciaio con Giappone, Australia e India per consegnare vaccini “nel cortile di casa” cinese. Infine l’Unione Europe appare in difficoltà, divisa al suo interno e appesantita da una burocrazia inconcludente che, tra l’altro, ha determinato la firma di accordi poco trasparenti e ritardi nella consegna delle dosi pattuite.

    In uno scenario così complesso e mutevole è difficilissimo prevedere cosa riserverà il futuro. Di certo, però, Geopolitica dei vaccini è un ottimo strumento per capire meglio il presente, un agile volume reso ulteriormente godibile dall’introduzione del giornalista Matteo Carnieletto e dalla bella intervista, in appendice, a Emanuele Montomoli, professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica presso l’Università di Siena.

    Il libro: Federico Giuliani, Geopolitica dei vaccini, La Vela, Lucca, 2021, pagine 128, Euro 12.

    Link all’acquisto: https://www.edizionilavela.it/prodotto/geopolitica-dei-vaccini-la-sfida-del-secolo/

  9. #209
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    [Novità in libreria] “Solitudine?”: l’ultimo romanzo di mons. Robert Hugh Benson



    di Luca Fumagalli

    Nel settembre del 1903 la notizia della conversione al cattolicesimo di Robert Hugh Benson (1871-1914) sconvolse l’opinione pubblica inglese. Benson, infatti, non era un semplice prelato anglicano, ma il figlio dell’ex arcivescovo di Canterbury, il primate della Chiesa nazionale. Mai prima di allora un uomo che poteva vantare legami così importanti con gli alti ordini protestanti aveva abbandonato ogni comodità e privilegio per imboccare “la via di Roma”.

    Le conseguenze, com’era prevedibile, non si fecero attendere. Le colonne dei periodici più diffusi furono riempite d’inchiostro per commentare un evento che, all’inizio del Novecento, pareva confermare quella tendenza di progressivo indebolimento dell’anglicanesimo che era in corso da diversi decenni, almeno da quando, nel 1850, Pio IX con il breve Universalis Ecclesiae aveva ristabilito la gerarchia cattolica in Inghilterra, soppressa sin dai tempi della Riforma.

    Ordinato sacerdote, Benson fu predicatore e scrittore di successo, ricordato ancora oggi per il best-seller escatologico Il Padrone del Mondo, divenuto col tempo un classico della narrativa cristiana. Del resto alcuni dei più brillanti autori del cattolicesimo britannico, come Bruce Marshall, Hilaire Belloc, mons. Ronald Knox e Maurice Baring, rivelano un profondo debito nei confronti del monsignore, il quale rivestì un ruolo decisivo anche per lo sviluppo spirituale e intellettuale di Maisie Ward, di Jacques e Raissa Maritain e del teologo Teilhard de Chardin; fu inoltre letto e apprezzato dallo storico Christopher Dawson, da Scott Fitzgerald e da Evelyn Waugh. A Benson va soprattutto il merito di essere stato tra i primi a infrangere con la fama ottenuta quella marginalità a cui sembrava inevitabilmente destinata, in terra inglese, la cultura cattolica (per questo, non senza una nota di rimprovero nei confronti della miopia di certa critica, Joseph Pearce lo ha definito «il genio non celebrato del “Catholic Literary Revival”»).

    Nella bibliografia del monsignore – a dir poco impressionante se si considera l’arco poco più che decennale della sua attività letteraria – spiccano per qualità i romanzi storici e quelli di ambientazione edoardiana. Dietro simili opere, come scrive Michael D. Greaney, si nascondeva l’intento di «offrire una prospettiva cattolica in forma di racconto finalizzata a contrastare alcuni degli orribili stereotipi anticattolici presenti nei libri popolari dei suoi giorni; ma soprattutto […] Benson scriveva per “esplorare” il concetto di vocazione, la chiamata di ciascuno nell’esistenza».




    Proprio quest’ultimo tema è il nucleo centrale attorno a cui si sviluppa la trama di Solitudine?, l’ultimo romanzo del monsignore, pubblicato postumo nel 1915 e recentemente riproposto in una pregevole traduzione a cura di Francesco Antonio Mangone – con la revisione di Stefano Chiappalone – dalla casa editrice Fede & Cultura di Verona, impegnata da diversi anni in un coraggioso lavoro di riedizione dei capolavori bensoniani.

    La storia – il cui titolo italiano si rifà a quello dell’edizione americana, ovvero Loneliness?, con un punto interrogativo che è invece assente nel titolo dell’edizione inglese – ha per protagonista la cantante Marion Tenterden, ritornata a Londra alla ricerca di un contratto dopo mesi trascorsi in Germania per perfezionare le già brillanti doti canore. Quando la giovane si innamora di Max Merival, la famiglia protestante del rampollo è molto preoccupata sia per la fede cattolica di Marion che per la sua carriera di cantante d’opera, giudicata sconveniente. Il confessore consiglia allora alla ragazza di chiedere a Max di convertirsi al cattolicesimo prima del matrimonio, facendogli promettere di educare nell’antica fede anche i figli. L’uomo, però, non sembra molto convinto e la paura di perderlo fa vacillare Marion, le cui difficoltà sono solo all’inizio…

    Definito da Greaney una «dimostrazione di bravura», il romanzo di congedo di Benson è una sorta di testamento umano e spirituale in cui riecheggiano le memorie e gli affetti di una vita (in particolare la musica che, come ricorda Rita Monaghan, «ebbe sempre il potere di commuoverlo). Sulle note di Wagner si dipana la storia di una conversione autentica, lontana dal facile sentimentalismo, vissuta dalla protagonista principalmente attraverso l’allontanamento da tutto, anche dagli effetti più cari. Aiutata dalla fedele Maggie, un’anziana donna che ha preso a cuore la sua sorte, Marion sperimenta dapprima il fasto della mondanità – e nel corso della vicenda sono diverse le frecciatine satiriche che Benson rivolge contro una upper-class al fondo vanesia e triste – per poi perdersi nelle tenebre della commiserazione e dell’errore. Nell’epilogo, la fedeltà all’ideale cristiano diviene per Marion l’appiglio per redimere un’esistenza drammaticamente in bilico e per ridare nuovo lustro alla sua umanità.

    La solitudine – una parola che, a partire dal titolo, ritorna a più riprese nel corso della narrazione – finisce così per assumere un valore inaspettatamente positivo: non significa essere soli, ma in compagnia di quell’invisibile che, parafrasando Saint-Exupéry, è l’unica cosa davvero essenziale.

    Il libro: Robert Hugh Benson, Solitudine?, Fede & Cultura, Verona, 2021, pp. 400, Euro 19.

    Link all’acquisto: https://www.fedecultura.com/?store-page=Solitudine-p381231839

  10. #210
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    Predefinito Re: Segnalazioni editoriali

    [Novità in libreria] “Leggiamo insieme Lo Hobbit”: sulle tracce del grande Tolkien



    di Luca Fumagalli

    Se Lo Hobbit, complice la poco riuscita trilogia cinematografica di Jackson, ha avuto la fortuna di non essere fagocitato e “normalizzato” dalla cultura pop – come invece è accaduto, in certa misura, a Il Signore degli Anelli –, seguita purtroppo a essere considerato da molti nulla più che una favola per ragazzi, di gran lunga inferiore al più celebre seguito; e ciò nonostante alcuni intellettuali, tra cui C. S. Lewis, abbiano sottolineato come, dietro l’apparente semplicità del racconto, si celi un’indagine profonda e appassionante della realtà.

    Del resto, Lo Hobbit lascia nell’animo di chi legge il ricordo di un’esperienza meravigliosa. È come se la dimensione fantastica che caratterizza il volume permettesse di comprendere meglio, a un’adeguata distanza, quello straordinario dono che è la vita, con il suo quotidiano di infinite contraddizioni (ecco perché il professore di Oxford fu tutto meno che un fautore dell’ “escapismo”, cioè di una letteratura concepita quale fuga mundi o sterile consolazione). Ha perciò ragione Tom Shippey quando, in J.R.R. Tolkien autore del secolo, scrive che con la sua opera lo scrittore inglese stava facendo qualcosa di molto comune fra i romanzieri del Novecento: nel ruolo di sub-creatore, raccontava di mondi e creature che non esistono, non per ignorare la realtà, ma per guardarla in un modo nuovo. Difatti Lo Hobbit, nonostante tutto, continua a essere letto e apprezzato proprio perché affronta temi universali quali il potere, il progresso, l’ignoto, la tentazione e la morte, questioni radicali dell’essere umano, mai destinate a passare di moda.

    Nel corso degli anni sono state avanzate svariate interpretazioni del racconto di Tolkien, non di rado contraddittorie, frutto di letture parziali o ideologiche. Troppo spesso il professore di Oxford è stato trattato anche dagli estimatori alla stregua di un santino, ridotto, nel peggiore dei casi, a un serbatoio di slogan e frasi d’effetto a buon mercato. In Italia, poi, il travisamento a scopi politici pare una regola, e la recente polemica a proposito della traduzione firmata da Ottavio Fatica de Il Signore degli Anelli non fa che confermare come una lettura del legendarium tolkieniano sgombra da pregiudizi sia ancora molto difficile.



    È proprio dal desiderio di percorrere una simile strada alternativa, di ridare dignità a Lo Hobbit, che nasce Leggiamo insieme Lo Hobbit (Fede & Cultura, 2021) di Paolo Nardi, traduzione cartacea di una serie di video a commento del libro già apparsi questa primavera e questa estate su YouTube.

    Basandosi su una bibliografia critica vasta e variegata, Nardi riesce nella complicata operazione di portare in primo piano l’opera, offrendo di essa un’interpretazione convincente, capitolo dopo capitolo, in grado di mostrare i limiti di certe esegesi miopi e partigiane. Pur da cattolico, l’autore resiste inoltre alla tentazione di una lettura allegorica, e correttamente rifiuta di scorgere in ogni particolare del libro tracce della fede di Tolkien; allo stesso tempo, mentre critica chi derubrica Lo Hobbit a un semplice racconto per ragazzi, svela la grandissima profondità dell’opera, mostrando come sia attraversata da interminabili contraddizioni e ambiguità, frutto di una scrittura che è qualcosa di molto più complesso del semplice stilare manifesti e utopie da ideologo nostalgico del passato o sussidi per il catechismo.

    Leggiamo insieme Lo Hobbit si dimostra dunque una guida preziosissima, utile sia per i neofiti della Terra di Mezzo che per i lettori più smaliziati. A questo punto c’è solo da sperare che Paolo Nardi possa regalarci altri libri così, godibili e intelligenti, magari per analizzare ancora più nel dettaglio il vasto e complesso universo letterario nato dalla penna di quel genio che fu Tolkien.

    Il libro: Paolo Nardi, Leggiamo insieme Lo Hobbit, Fede & Cultura, Verona, 2021, pp. 112, Euro 14.

    Link all’acquisto (in libreria il libro sarà disponibile a partire dal 18 novembre):

    https://www.fedecultura.com/leggiamo_insieme_lo_hobbit#!/Leggiamo-insieme-Lo-Hobbit/p/411266824

 

 
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