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    Predefinito L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    Ultima modifica di Guelfo Nero; 12-02-14 alle 13:47

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    31 marzo 2009

    LVI Conferenza di formazione militante a cura degli studenti della Comunità Antagonista Padana

    Stefano Colombo, continuando nel suo percorso di approfondimento iniziato nella conferenza del 4 giugno 2008, ha compiuto un ampio affresco storico da un parte sulle influenze sostanziali talmudico-cabalistiche presenti nel pensiero massonico, dall'altre sull'aspetto gnostico-teurgico dell'ideologia massonica. Ha poi passato in rassegna sulla scorta degli studi Mons. Leon Meurin i principali pensatori della massoneria moderna, mostrando le varie diversificazioni ideologiche tra "moderati" e "rivoluzionari" all'interno della Setta Verde. Da ultimo si è dedicato alla disamina del concetto di "giudeo-massoneria", sia come criterio ermeneutico che come categoria storografica. Sulla cattedra del conferenziere campeggiavano alcune rare riproduzioni di copertine dei famosi libri di Leo Taxil, Domenico Margiotta e Bataille, come testimonianza certamente discussa di una parte dell'antimassonismo militante di fine Ottocento.

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali


  4. #4
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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali


  5. #5
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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali


  6. #6
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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    La Civiltà Cattolica anno XIX 1868 pag. 670-687
    Serie VII, vol. IV, fasc. 450. 9 Decembre 1868.
    SAGGIO CRITICO
    DELLA SOCIETÀ MASSONICA [1]
    LA LOGGIA

    La definizione non rappresenta l'obbietto vivo, spirante e tutto in atto, sicchè l'anima si vegga come trasfusa per i sensi, ma lo gitta dinanzi, figurato dal semplice contorno delle proprietà essenziali poichè essa disegna e non colora. Or essendo nostro intendimento di far conoscere la massoneria tale quale apparisce in se stessa e nel suo operare, ed a tanto non potendo bastare la data definizione, conviene che determiniamo ciò che in essa è rimasto indeterminato, vale a dire i principii, onde la società massonica si agita e scuote, le forze con che opera, gli strumenti, di che si vale ne' suoi conati: breve, conviene, che incarniamo il disegno, presentatoci dalla definizione. Fatto questo, potremo dire con franchezza: eccovi la massoneria. Il luogo ove ella si discopre nelle sue forme più semplici essendo la loggia, lettor cortese, se pur ti aggrada, entriamovi per vederle. Non ti ritraggano le descrizioni paurose, che per avventura leggesti, in cui la loggia viene rappresentata come un antro cieco, o un covo secreto, profondo, ove il fioco lume di una fiammella rompe a malo stento la tenebria circostante, ed il misero, che vi mette il piè la prima volta, trasalisce di tratto in tratto, or alla visione repentina di orribili ceffi, or al baleno de' vibrati pugnali, ed ora al gorgoglio ed al fumar del sangue, che spiccia da qualche vittima. Nulla di tutto questo s'incontra nella loggia moderna. Affidati al proposto invito con fidanza.
    I.
    Descrizione della Loggia.

    Loggia in senso massonico importa due significati: « il luogo, in cui i massoni si adunano per farvi lor arte, appararvi i misterii dell'antica sapienza, e rendersene perfetti maestri, e l'adunanza dei massoni convenutivi. » Aprite la Enciclopedia della Frammassoneria, scritta dal Lenning ed illustrata dal Mossdorf, ed alla pagina 326 troverete la loggia definita per l'appunto così [2]. Sicchè volendo noi pigliarne intera contezza nella visita, che stiamo in sul punto di farle, è mestieri che consideriamo : 1.° la forma del luogo; 2.° l'adunanza massonica, che vi si tiene; 3.° il fine, a cui è volto l'uso della loggia. Incominciamo dalla prima.

    A non divagare per le lunghe, teniamoci a ciò, che è di ordinaria necessità per una loggia. Quattro sono le stanze, che ne compongono il corpo. Varcata la porta, che mette nel sacro ricinto, apriamo quest'uscio : eccoci nella camera della riflessione. Negro é il parato, che la copre da capo a fondo : cranii, stinchi, costole ed altri ossami, aggruppati e sciolti in diverso modo, rompono qua e là il tristo colore, e di mezzo a cotali fregi spiccano queste ed altre sentenze: - « Se vana curiosità ti ha qui condotto, vattene tosto. - Se temi di essere ammonito de' tuoi difetti, non hai che fare in questo luogo. - Se tu sei capace di simulare, trema: sarai scoperto. - Se ami le umane distinzioni, esci; qui non si conoscono. - Si potranno richiederti i più grandi sacrifizii , ed anche quello della vita. Vi se' tu rassegnato? » - Guardiamo l'arredo. Esso é un rozzo e piccolo desco e sopravi un vaso d' acqua con un pane secco, un calamaio e un foglio di carta, e di fianco una bara funeraria. A questo desco, su questa scranna con un lumiccino dinanzi deve il nuovo recipiendo rimanersi solo per qualche tempo, scrivere burlescamente il proprio testamento e la risposta a tre determinate domande [3]. Ti pare che si possa immaginare un giuoco più ridicolo in sè, o più noioso ad un giovane malcapitato? camera meditazioneUsciamone. Qui siamo nel vestibolo della loggia, detto altrimenti passo smarrito. Gli armadii, che tu vedi, contengono gli arredi e gli ordigni appartenenti alla loggia: che, stante il secreto niuno di essi può essere portato altrove. Di costinci si va alla Camera di mezzo: funerei drappi, tempestati di candide lagrime la rivestono tutta. In essa fanno le loro adunate i Maestri ed iniziano i Compagni al proprio grado. Là è l'ingresso alla loggia. La porta, che ci si mostra, è a due battenti : cosi porta il sacro rito. Trapassiamone le soglie sicuramente.

    Eccoci nella loggia. Al primo sguardo si palesa per una sala di forma quadrilunga; i quattro lati rappresentano i quattro punti cardinali del mondo: il lato della porta si denomina Occidente, l'opposto Oriente; Nord e Sud gli altri due. La linea più lunga corre tra i due primi. La soffitta, a somiglianza del cielo, gira a tondo, ed è tinta in azzurro e seminata di stelle. Due cave colonne di bronzo di ordine corinzio stanno a guardia dell'entrata, e portano in capo tre melogranate aprentesi in soave riso: sul fusto l'una ha il marchio della lettera J e l'altra la lettera B; cinque adornano il fianco Nord e cinque il fianco Sud, e per lo lungo dell'architrave, che su vi poggia, corre ondeggiante un cordone, che a luogo a luogo si annoda dodici volte in altrettanti lacci d'amore e mette colle sue cime, terminanti in nappe merlettate, sopra le colonne di bronzo. Su le pareti, se lo comporta l'architettura, paiono simboleggiate le arti, la industria, l'agricoltura e la guerra, ovvero la semplice tinta bianco-azzurra o verde, secondo che la loggia è di rito moderno o scozzese.

    Là in fondo sul lato di Oriente si leva il trono del Venerabile o Presidente. È degno di somma considerazione: avviciniamoci. - Guardati ai piè: sacro è il luogo, che tu calpesti e te lo mostra la scena, che qui a mezzo della sala miri disegnata in sul suolo. Essa contiene il quadro della loggia. Da basso v'è un pavimento a mosaico, che figura quello del portico del tempio di Salomone; levansi quindi sette gradi, e sopra di questi apparisce la porta, per cui entravasi nel medesimo. Sorgono ai lati le due colonne misteriose, segnate col monogramma J.·. e B.·. e tra l'una e l'altra, all'altezza dei capitelli, si apre il compasso colle punte in su. Quel rozzo masso a manca della colonna J.·. è la pietra greggia; quell' altro lavorato a destra della colonna B.·. è la pietra cubica a punta. simboliTengono il mezzo il traguardo o la livella, la squadra, l'archipenzolo, e l'alto a diritta il sole sfolgorante, a sinistra la luna accesa poco oltre il quarto: ciascuno dei tre lati occidente, oriente e mezzodì presenta disegnata una fenestra ed il cordone dalle nappe merlettate compie il pittoresco lavoro, circumcingendo la scena da sommo ad imo. Questo quadro è dipinto in tela, o delineato col gesso sul pavimento prima delle riunioni massoniche, cancellato dopo. Il secondo modo è consigliato da più savii massoni, affine di schivare il reo uso, che altri potrebbe farne, se venisse a mano di qualche profano la sacra e misteriosa scena [4]. Oltrepassiamola colle ginocchia della mente inchine.

    Siamo dinanzi al trono del Venerabile. Tre gradi lo sollevano dal suolo, una balaustrata, girandolo, l'adorna da piè, e gli procaccia decoro e maestà un baldacchino di color azzurro, se la loggia è del rito moderno, rosso scarlatto, se dello scozzese. A sopraccapo del baldacchino fiammeggia il mistico Delta. Il sole raggia a destra, a sinistra si alluma la luna bicornuta e da un lato campeggia il vessillo della loggia. Davanti al trono levasi su tre gradi l'altare, che è un tavolino, coverto della stessa maniera di drappo che il baldacchino, con sopravi un maglietto, un compasso, la spada fiammeggiante, il libro degli Statuti generali, un candeliere a tre bracci, e se vuoi, in alcuni riti anche la Bibbia. - Queste due panche, condotte a cerchio, e poste qui all'Oriente, servono per i fratelli forestieri.

    Le panchette ordinate lungo i lati nord e sud diconsi colonne, e vi s'impancano i fratelli della loggia secondo il loro grado. Quindi «colonna nord, colonna sud» significa nel linguaggio massonico la colta dei socii, che tiene il lato nord o il lato sud, e « porre o bruciare tra le due colonne » vale nel mezzo della loggia. A mano manca del trono ed a capo della colonna sud siede, presso a quel deschetto, l'Oratore coi Regolamenti e gli Statuti generali dinanzi, il Tesoriere alla sua costa, il Segretario ed il Limosiniere di fronte, ossia a capo della colonna nord. In quel seggiolone presso la colonna J.·. sta il primo Sopravvegliante, e nell'altro presso la colonna B.·. il secondo: indi correggono le due colonne a colpi di quel maglietto, che tengono sul proprio tavolino. Nel rito scozzese v'è tra essi scambio di posto.

    Gli autori sopra citati appiè di pagina non fanno motto di certa divozione, che usasi nelle logge. Eccola quale ci viene disvelata dagli Statuti generali, pel rito scozzese, stampati in Napoli nel 1863. 1 buoni cristiani, come tutti sanno, costumano di tenere accese lampane, o bruciar candele avanti le statuette di que' santi, a cui si professano divoti. I massoni hanno pure i loro santi, e nell'onorarli osservano il costume cattolico. Tre sono quelli, a cui portano singolare divozione: Minerva, Ercole e Venere. Onde, come tu puoi vedere, tengono esposte le statue perpetuamente in loggia: del primo non guari lontano dal seggio del Venerabile a mano diritta, del secondo presso al primo Sopravvegliante, del terzo accosto al secondo, e qual segno di particolare divozione arde innanzi a ciascuna di esse un cereo durante i lavori massonici, come a simboli della Sapienza, della Forza e della Bellezza [5].

    Le singole logge; per distinguersi dalle sorelle, portano un titolo particolare col nome della città, dove sono aperte, a modo di esempio: Dovere-Diritto all'Oriente di Pisa. Da principio traevanlo dalla casa, in cui nascevano. E siccome questa era una birraria od una taverna, così per la più corta esse distinguevansi dall'insegna, con che e birrai e tavernai sogliono far conoscere il luogo del proprio traffico. Sicchè la prima loggia di Londra nominossi dall'insegna « dell'Oca e della Graticola », la seconda dalla birraria « alla Corona », la terza dalla taverna alla insegna « del Melo »; la quarta dalla osteria all' impresa « del pieno Bicchiere » e così le altre, che venivano a mano a mano nascendo [6]. Ma quando la società sentissi bene a panni, disdegnò cotesti luogacci e la viltà dei loro titoli, e prese a pigione o fabbricate ampie stanze, ingentilì anche i nomi delle logge. Finiamo il quadro con una rarità. Eccoti la formola, che si usa più o meno lunga al cominciamento degli atti e delle lettere delle logge - « Il giorno 27.° del 10.° mese, l'anno della vera luce 5856, il G. Oriente di.Francia, regolarmente convocato, e fraternamente riunito sotto il punto geometrico, noto ai soli veri massoni, in un luogo chiarissimo, regolarissimo e fortissimo, dove regnano il silenzio, la pace e l'equità ecc. » -

    Che ti pare di quel punto geometrico, di quei tre aggiunti superlativi dati alla loggia, e di quel nuovo regno della pace, del silenzio e della equità? Che ti sembra di tutto il quadro, che ti porge di sè stessa la loggia? Quanta a noi la idea, che ci domina, si è che la loggia nel suo esterno apparato raffiguri appuntino la sala del giocoliere e del prestigiatore, perchè ambedue simili nella stranezza degli obbietti, delle loro partizioni e delle rappresentanze e simili ancora nell'effetto di colpire la fantasia in modo particolare del giovane che vi pone il piede. Per ciò che spetta all'onorevolissima nomenclatura acconciatale, ce ne rapportiamo al massone Rebold, il quale, dopo di averla un tantino derisa con qualche sdegno, soggiunge: « Quanto al luogo chiarissimo, dove regnano il silenzio, la pace e l'equità ci sia concesso di contestare la verità di cotesta descrizione : perché non avremmo a far altro, che citare certi fatti accaduti e menzionare il tempio di Venere, stabilitosi nel ricinto di quello dei frammassoni, per dimostrarla per lo meno fuor di luogo nella bocca dei massoni di Parigi. [7]» Se lo scandalo duri tuttavia, se sia cosa di altre G. Logge, oppure il contrario, non è qui nostro intendimento di cercarlo. Notiamo solamente la falsità della magnifica descrizione in laude ed onoranza della loggia.
    II.
    Della regolarità delle adunanze massoniche.

    Tale è la loggia massonica al rito simbolico quanto alla sua forma. Ma questa con tutte le sue acconciature non basta: conviene che la loggia sia giusta e perfetta in massoneria [8]. Senza questa nota, irregolari sarebbero le adunanze, irregolari i massoni, che ve le tenessero, misconosciuti gli atti, disapprovati altamente gli autori dalla università massonica. Affinchè non manchi alla loggia cotanta qualità, occorrono più cose. È mestieri prima di tutto che intervenga nella fondazione l'autorità del G. Oriente, e per ottenerla v'hanno forme da non preterire. Sette debbono essere i precipui fondatori, e questi tutti massoni, tutti per lo meno graduati maestri: debbono riunirsi in loggia temporanea, organarsi in gerarchia massonica, riconoscere i gradi degli altri Fratelli presenti, e scelto il nome da darsi alla loggia, scrivere una petizione al G. Oriente domandandone la fondazione, e con questa inviare il ruolo di tutti quelli, che vogliono pigliarvi parte, con minuta descrizione di ciò che essi sono e come massoni e come cittadini. Ricevuto dall'altezza del G. Oriente un rescritto favorevole, convien procedere all' insediamento.

    Questo si suol fare con grande solennità massonica. Il G. Maestro nomina a tale uopo tre commessarii, i quali fissano il dì, o per dire il vero, la sera dell'insediamento; giacche i lavori massonici si fanno nelle tenebre della notte, come tempo più proprio alla lor natura: i fondatori della loggia fanno inviti ed apprestamenti. La sera determinata e all'ora posta, i fratelli convengono nella loggia; ciascuno si asside al suo luogo cogli arnesi e colle divise proprie della dignità e del grado. Gli officiali portano a modo di collana un nastro azzurro marezzato; da questo pende un gioiello, che é la squadra pel Venerabile: la livella adorna il primo Sopravvegliante, il regolo il secondo, un libro aperto fregia l'oratore ecc.: la spada ed il grembiule di pelle bianca legato ai fianchi sono arnesi comuni a tutti. Accolti i massoni delle altre logge, detti visitatori, e significato con brevi parole dal Venerabile il fine della adunata, incomincia la cerimonia. All'annunzio, che i tre commessarii sono arrivati nella sala del passo smarrito, eccovi spiccarsi tre Deputati della loggia per riconoscere le patenti della loro autorità. Trovatele a modo e riferitolo all'adunanza, nove fratelli armati l'una mano di spada, e l'altra di una stella, ossia di un torchio acceso, muovono in divota processione verso i commessarü per introdurli onoratamente. Il Venerabile e i due Sopravveglianti vengono alla porta, sta loro accanto un Maestro di cerimonie, in atto di offerire tre maglietti giacenti sopra un cuscinetto, e le due colonne, fatte due righe ed incrociate l'une coll'altre le spade, formano la volta di acciaio. Spalancasi la porta della loggia: i commessarii sono intromessi dal cortèo dei nove confratelli, e presentati i maglietti con ossequiose parole dal Venerabile, si drizzano per la volta di acciaio verso l'Oriente: una melodia accompagna i loro passi e mancando questa, le scariche ripetute delle batterie, ossia un fragoroso suon di mani battute a legge.

    Messosi ognuno al proprio luogo, il Venerabile si porta appiè dell'altare e là « giura solennemente di obbedire senza ristringimento agli Statuti ed ai Regolamenti generali, e di restare inviolabilmente soggetto al G. Oriente. ». Lo giurano a voce i due Sopravveglianti, lo giurano colle sottoscrizioni tutti i fratelli, chiamati ad uno ad uno.

    Il Presidente, uno dei tre commessarii, fa una calorosa allocuzione, « inspirata dalle circostanze e dalla gravità del ministero, che egli compie. » Finitala, dà un colpo di maglietto, ed avverte, che il grande atto della installazione è in sul punto di eseguirsi. Il silenzio è cupo, universale, mentre egli pronunzia d'une voix ferme questa formola : « Alla Gloria del Grande Architetto dell' Universo, a nome e sotto gli auspicii del G. Oriente di Francia, in virtù dei poteri delegatici, noi installiamo in perpetuo all'Oriente di... spartimento di... una loggia di rito... sotto il titolo... » Pronunziate queste gelide parole, batte « i tre colpi misteriosi » col suo maglietto, e soggiunge : « La rispettabile Loggia è installata. » I tre colpi e l'annunzio sono ripetuti dai due Sopravveglianti: la funzione è fornita. E qui altra allocuzione del Presidente, nuova parlata del Venerabile, predica dell'Oratore, discorsi di quanti amano sciorre lo scilinguagnolo. Le lodi della massoneria, le enumerazioni de' suoi benefizii, le esortazioni a ben vivere in essa, le invettive contro il fanatismo piovono da tuttte le parti. Stanchi i corpi e gli spiriti a tanto lavoro, conviene riconfortarli. Chiuso lo spettacolo, eccovi le due colonne comporre un'altra processione, e col vessillo alla testa, ed al suonoo di musici istromenti o dei battenti maglietti, entrar difilato nella sala del banchetto, dove un lauto desinare, ossia il lavoro della masticazione, secondo il linguaggio massonico, pone un valido suggello alla pia impresa di quella notte [9].

    La loggia porta ancora il titolo di Tempio, e come tale ha consecrazione e feste particolari. Abbiamo sott'occhio la descrizione di quest'atto religioso, compitosi a Bordeaux il quindici del Dicembre dell'anno passato. Sfioriamola. Edificatasi a spese di sei logge un ampla loggia, fu nominato dal G. Oriente a Presidente della sacra funzione massonica il F.·. Hermitte. All'ora fissa, convenuti i fratelli delle sei logge e con essi da trecento massoni di altri Orienti, ed intromessi i commessarii colle cerimonie della installazione, il Presidente incomincia i lavori. Chiede a che fine sia stato costruito il nuovo tempio; il primo Sopravvegliante risponde: « come tutte le opere massoniche, così il nuovo tempio è stato levato alla Gloria del G.·. Architetto dell' U.·. e destinato al perfezionamento dell'umanità. » Domanda qual sia il dovere che stringe i presenti: risponde il secondo Sopravvegliante: « onorare le insegne del lavoro e raccomandarne la pratica. » Ad un cenno il Maestro di cerimonie porta appiè dell'altare cotali insegne: squadra, compasso, regolo ed una spada. Celebrato il lavoro con amplissime laudi, il Presidente interroga, che significhi la spada. È l'oratore, che qui risponde : « per i massoni la spada è la sanzione della legge, senza la quale niuna società è possibile: è la guarentigia della pace, che i tristi studiano sempre di turbare [10]. » Ottimamente. Ma se è così, noi ripigliamo, perchè i massoni dell' Italia hanno menato tanto scalpore per i caduti a Mentana e dentro e fuori delle logge? perchè giurano tante vendette? perchè tante maledizioni e tante minacce al Governo pontificio, per la morte di un Monti e di un Tognetti? Non fu forse la spada « sanzione della legge » e« guarentigia della pace » che si adoperò nell'uno e nell'altro caso? Non erano forse i garibaldeschi « turbatori della pace »; ed il rovesciamento della caserma di Serristori, colla uccisione di tanti innocenti, non è forse da riputarsi un atto contro la legge? Lettor cortese, la spada per i nostri massoni è « la sanzione della legge », è « la guarentigia della pace »; sai quando? quando eglino sono a capo dello Stato, quando lo reggono colle proprie leggi; in questo caso le migliaia di vittime cadono sotto il ferro, sanzione della legge e guarentigia della pace. Il Governo formato alla massonica ha solo il diritto d'imperare: gli altri no: sono usurpatori, sono fuori della legge, e però il ribellare è dovere di giustizia; l'assassinare un merito; degni di lode i tradimenti, le mine; lecito ogni altro mezzo che giovi al fine!tempio

    Torniamo alla consacrazione. La loggia si chiama Tempio. Ebbene, ripiglia il Presidente, « che cosa conviene farvi? » Risposta: « onorar Dio e studiare i suoi disegni, per farne regola delle nostre azioni, ed apparecchiarci per le opere della vita presente alla iniziazione della vita futura, che chiamano morte. » Iniziazione alla vita futura! Di qual grado sarà cotale iniziazione, che si chiama morte? di qual rito? Il Presidente, comechè sia giunto al culmine dell'altezza massonica, dove si fruisce la luce più limpida, non lo sa di certo; « la tomba, ei soggiunge, è il cammino misterioso di cotanta iniziazione [11]. » Questo ei conosce, e non più. Porterà un tale cammino alla trasmigrazione, porterà alla ricompensa il giusto, ed alla pena l'iniquo? Ei lo ignora. Quale debba essere la futura vita immortale dell'anima, per lui massone è un'incognita, è un problema avviluppato dalle tenebre più fitte del mistero: ed ecco i suoi uditori e fratelli lanciati nel più crudele scetticismo circa la sorte futura della parte più nobile di sè medesimi. Checchè sia di ciò, poco monta. Si passa oltre. Per suo ordine l'incenso è gittato a struggersi nel fuoco sacro. Una prece, un voto sale al cielo coll'odoroso fumo e la colonna dell'armonia (i suonatori) tocca gli stromenti con religiose note, au milieu du recueillement général. Si ode quindi una voce alta, che grida: « In piè; all'ordine. » È obbedita in istante. Siamo all'atto venerando della consecrazione. « A nome del Grande Oriente di Francia, il Tempio edificato dalla massoneria bordelese essendo .stato riconosciuto giusto, perfetto ed al coperto (da ogni sguardo profano) è inaugurato all'Oriente di Bordeaux questo dì 15° del 10° mese, l'anno della vera luce 5867. Noi facciamo accesi voti per la felicità dei massoni, che esso accoglierã, e per la prosperità dei loro lavori [12]. » Chi non sente le ineffabili dolcezze di affetto che sgorgano da questa orazione? Chi non è rapito dalla sublimità dei suoi concetti? o chi non è rapito dal sentimento di profonda devozione in questa cerimonia? Essa è degnissima della triplice batteria o battimano massonico, delle grida di acclamazioni teatrali, ond'è seguita, e della sonata, con che si chiude.

    Vengano ora i massoni a farsi beffe delle cerimonie cattoliche; chiamino superstizioni le pratiche della Chiesa, ridano delle divozioni dei fedeli. Noi additeremo i loro templi, indicheremo le loro feste, rammenteremo la loro istallazione e la consecrazione e il profondo raccoglimento, con che vi assistono. Si può dare cosa più grottesca di cotesta? Non sai, se ti trovi ad uno spettacolo profano, o ad una funzione religiosa, ovvero ad una scena comica, stranamente composta dell'una e dell'altra. Un tempio, che è officina, un Dio, che è un grande Architetto; il G. Oriente, che entra nelle formole sacre, geloso del suo diritto di fronte al Dio massonico. Un uomo grave, che presiede ad una grave adunanza, e le parla per altra bocca, che prega, consacra e fa voti senza dire o sapere a chi, ed una grave adunanza in un tempio che ora è piamente raccolta ed ora batte le mani e grida come in teatro; e cento altre insipienze. Giusto giudizio di Dio su l'umana superbia, la quale, dispettando il sublime culto della Chiesa appropriato alla natura dell'uomo, volle immaginarne uno tutta da se. Ma che? scimmia di ciò che fa la Chiesa, diede nella ridicolaggine e nella contraddizione.
    III
    Del fine, per cui i massoni si adunano nelle logge.

    Passiamo dalle cose ridicole alle serie. A quale scopo convengono i massoni nelle loggie? Gli statuti inglesi, che nella prima edizione del 1717 velaronlo sotto il vocabolo generico « lavorare », lo, significarono più apertamente in quelli del 1815, in cui dicono, che « i massoni si adunano nelle loggie per lavorare, istruirsi, e rendersi dotti a perfezione nei misteri dell'antica sapienza. » Dottrina e lavoro, ossia teorica e pratica, secondo l'arte massonica; apprendervi l'una e l'altra fino ad uscirne perfetti maestri: ecco lo scopo delle adunanze massoniche. « E che? scrivea Chemin-Dupontès, volete che nelle nostre loggie trattiamo argomenti di astronomia, di archeologia o di fisica? No, no: ben altro è l'oggetto dei nostri intrattenimenti. Esso consiste nei principii, che si contengono nei varii gradi massonici, consiste nelle dottrine, che si ricavano dai medesimi, tutte acconce a reggerci nella nostra vita. Da questo trae tutto il suo pregio la massoneria; in questo è riposto il grande interesse del genere umano e di ciascuno di noi [13]». Chi non vede qui esposto senza velame, come nelle adunanze massoniche si insegnano dottrine, e dottrine proprie dell'Ordine, e dottrine che riguardano non meno l'individuo, che la vita sociale di tutta l'umanità? Volete ora conoscere in che consiste il lavoro, ossia lo studio della pratica? Leggete questo tratto dello Schleiermacher, applicato dal Findel agli esercizii della loggia. « Tutti i massoni, a guisa di chi attende ad un'arte, si studiano in generale di conformare la vita ai principii della santità e della ragione (nel modo inteso dalla massoneria) ed in particolare adoperano ogni sforzo per riuscire perfetti in certi punti. Regna fra essi una nobile gara, e il desiderio di fare alcun che, degno di tale e tanta società, sprona ognuno ad asseguire con tutta la diligenza quello scopo, che è più appropriato alla sua natura. Quanto maggiore è la cura e la buona volontà, che pongono nel comunicarsi e parteciparsi mutuamente l'esito fortunato dei loro conati, tanto più grande è il ravvicinamento a quella unità, che deve tutto dominare ». In somma essi devono in loggia studiare l'applicazione dei principiì, immaginare, proporre e discutere i mezzi più acconci, farne saggio di fuori, comunicarne gli effetti ottenuti e va dicendo. Sicchè alla loggia conviene a capello la definizione, che il Findel deduce dal luogo citato, vale a dire: « esser ella una scuola pratica destinata, non solamente a fedeli amici che vivono in comunanza secondo la regola della vita sociale più perfetta (in quanto massonica), ma eziandio indirizzata particolarmente all'educazione de' suoi membri, ed a formarli in pro del mondo e della umanità [14]. »

    Questa medesima sentenza trovasi inculcata e nella Scuola del Frammassone del secolo passato, e nel Manuale per lo stesso del presente [15]. Istruzione teorico-pratica nella loggia! - é il grido ripetuto dagli scrittori massoni. Il Wieland addita in prova del dovere, che ne corre alle logge, ciò che simboleggia il Tempio massonico [16]: il Krause, sbozzando la forma del Maestro in cattedra o Venerabile, pone come precipuo incarico, che egli istruisca la loggia tanto nei principii, quanto nella pratica seconda lo scopo massonico [17]. La deficienza di questa istruzione è sfolgorata come il supremo guaio della massoneria dal Boubée [18], dal Dupuis [19], dal Bertrand [20], dal Rebold [21], da Bernard-Acarry [22], i quali nei loro discorsi e nei loro scritti or appuntano amaramente la trascuratezza del G. Oriente, or assegnano mezzi.per ovviarvi, or descrivendo il rilasciamento di qualche loggia ne menano alto querele, come se tutta la Società desse la volta e sprofondasse nel nulla. La loggia adunque, secondo le testimonianze di tanti valentuomini, è, o almeno deve essere un' ampla scuola dove si appara in teorica ed in pratica la scienza massonica.

    Ebbene, in che consiste la teorica, che si apprende, e la pratica, di che si fa pruova in loggia? Abbiamo veduto negli articoli antecedenti, che dalla massoneria è professato il razionalismo più schietto, e la democrazia più pura, e che l'uno e l'altra uniti ne costituiscono la natura ed il fine. Messo base questo fatto, potrebbero lo dottrine e la pratica della loggia esser diverse da quelle che spacciano e cercano di attuare i razionalisti e la democrazia? Impossibile: altrimenti la massoneria in loggia non sarebbe più massoneria. Dunque è uopo conchiudere, che le dottrine predicate nelle adunanze massoniche siano fiore di razionalismo e di democrazia, e che gli adunati a poco a poco ne escano razionalisti e democratici in fino al midollo, ardenti e sperti ad un tempo a propagare ed a praticare nel mondo profano quanto hanno appreso nella loggia.

    Tale è di fatto il loro dovere. Quindi la loggia è scuola istituita non solamente in pro dei massoni, ma eziandio, merce l'opera del costoro apostolato, a vantaggio dei miseri profani. E però il F.·. Ruffoni, considerandola sotto questo riguardo, dicea che « ogni loggia, a guisa di corpo luminoso, dee raggiare la coscienza dell' umanità [23]; » ed il F.·. Frapolli scrivea, che la pura scienza massonica, fiammeggiando dagli alti gradi infino a' minimi delle loggie simboliche, dee riverberare da queste su tutta la nazione [24]. Questi sono appunto i voti che fece il F.·. Hermitte nella consecrazione del Tempio di Bordeaux [25]. Tant'è: giacchè « la prima e vera missione della massoneria è quella di rischiarare l'umanità, di far penetrare la istruzione (secondo i principii massonici) in tutti gli ordini dei cittadini, di combattere e vincere lo spirito invasore d'uomini, che con alto tradimento del loro divino mandato (i preti?), vogliono soffocare la intelligenza, affine di dominare più sicuramente [26].» Che se non foste ancora persuasi di cotesta missione, aprite gli Statuti della Massoneria italiana al Rito simbolico. Leggete: « Art. 1. La Mass.·. italiana è una società di persone riunite insieme da un patto di fede comune nei principii universali della Mass.·. e di mutuo impegno a cooperare in comune al loro trionfo. - Art. 3. Suo fine diretto e immediato si è di concorrere efficacentente all'attuazione progressiva di questi principii nell'Umanita, si che divengano gradualmente legge effettiva e suprema di tutti gli atti della vita individuale, domestica e civile ». Aprite questi altri, pubblicati dal G. Oriente della Massoneria in Italia l'anno passato. Eccovi l'articolo 4: « Tutti i membri dell'ordine sono tenuti d'istruirsi, perfezionarsi ed aiutarsi reciprocamente; di cooperare con assiduo lavoro a compiere la missione sua ». Quelli che si osservano dalle logge dipendenti dal Supremo Consiglio di Palermo, favellano nel medesimo metro: «§. 15. Estendendosi lo scopo della istituzione al perfezionamento di tutta la specie umana, il libero muratore impiega tutti i mezzi di fortuna e di talento per giungervi ». Consuona alle voci della massoneria italiana la massoneria francese ne' suoi nuovi statuti « raccomandando a tutti i fratelli la propaganda massonica per la parola, per gli scritti e pel buon esempio [27]. » Debbono dunque i massoni farsi maestri dei principii razionalistici e democratici, che apprendono in teorica ed in pratica dentro il ricinto della loggia, debbono propagarli, debbono attuarli con tutto l'ardore e coll'opera di tutti i mezzi, che hanno tra mano, nella società profana. È questo un dovere, che sgorga dal fine della loro società, è un obbligo raccomandato e imposto dagli Statuti. Un massone, che non vi si adoperasse, sarebbe un massone da nulla, sarebbe reo al cospetto della massoneria di non compiere il lavoro, a cui si è strettamente obbligato. Se ti rimembri, lettor cortese, non abbiamo noi provato negli articoli antecedenti, che tali principii sono anticristiani, e rovesciatori degli ordini sociali presenti? Non abbiamo provato, che lo scopo a cui intendono tutti gli sforzi della massoneria, si è la distruzione di tutte e singole le forme religiose e politiche esistenti e la ricostruzione progressiva della società umana, su le basi razionalistiche, e democratiche secondo le sue dottrine? Ebbene, eccoti la conseguenza, che fila diritta da queste premesse: - « La loggia è, e deve essere il centro del moto agitatore dei popoli contro tutti gli ordini sociali e religiosi! » - Laonde fintantochè vi sarà una loggia al mondo, sussisterà ancora un focolare, da cui partono gl'incentivi, prima di agitazione negli spiriti, e poscia di ribellione nel corpo sociale.

    Gravissima conseguenza, ma pur verissima. I massoni si piacciono di lumeggiarla descrivendo l'opera della massoneria. Così un massone di alto grado dicea: « Nel secolo passato le voci Libertà, Eguaglianza suonavano reamente alle orecchie dei casti depositarli del potere. La loro autorità non era assaltata dalla violenza, della quale la massoneria, checchè ne dicano, non ha fatto mai uso, ma invece veniva scalzata la base delle loro pretensioni, delle loro teoriche e del loro dispotismo politico e religioso, per mezzo di uno strumento assai più terribile, vale a dire per mezzo del pensiero, che a poco a poco traevasi dal collo il giogo, sotto cui credevasi di poterlo infrenare. Il più profondo secreto, che celasse la macchina, era quindi sommamente necessario. E però conveniva che i partigiani della nuova fede, allora in picciol numero, avessero ricoveri sicuri ed ignorati, dove potessero profondere liberamente le proprie credenze, manifestare i proprii voti e le proprio speranze, tenere continuamente acceso il fuoco sacro della Vestale loro confidato: conveniva che questi pacifici cospiratori avessero un segno incognito ai profani, ìl quale a guisa di verga magica trasformasse di tratto uno straniero in un fratello, e desse così l'aggio di parlargli in verità di cuore. I principi si avvidero della forza, che stava nella massoneria. Alcuni tentarono di farsene strumento alle proprie brame; pochi la servirono; molti la perseguitarono. Sforzi inutili! Il santo contagio della verità, uscito del Tempio, si appiccò a poco a poco al mondo profano, invase quegli ordini di cittadini, che a cagione dei loro privilegii doveano più che verun altro temere lo spirito massonico. rivoluzioneE un dì, quando il terreno fu apparecchiato a bastanza, la magnifica esplosione del 1789 venne a scrivere nel diritto pubblico della Francia i principii, che noi conosciamo e professiamo da lungo tempo [28].» Che bramate di più evidente? È un fatto dedotto da storiche osservazioni. La teorica, la quale gittò l'agitazione. negli animi e produsse la magnifica esplosione del 1789, donde quelle, del 1792 e 1793, ebbe a scuola la loggia, a secreti e fidi discepoli i massoni, che propagandola di fuori ne accesero ed agitarono fieramente le moltitudini. Volete un esempio della pratica? Ne abbiamo uno di fresca data. Entrata in sospetto la Sezione Concistoriale del Rito scozzese, sedente nella vallèa del Sebeto, ossia in Napoli, che i Paolotti diretti « dai figli tenebrosi del Loyola » avessero formate adunanze in su lo stile massonico, eccovela tutta all'opera per annientare gli sforzi dei temuti avversarii. Dà il grido di « all'arme » a tutte le logge dipendenti con una lettera circolare: « le infelici condizioni dell'Italia domandare altamente, che la massoneria adoperi tutto il suo vigore primitivo, e che ridìvenga quell'operaia attivissima, che fu in altri tempi: ìl pericolo minacciare non solamente l'Italia, ma ancora l'Ordine. Onde per ripararlo tutte le logge si mettano al lavoro con tutta la forza, chiudano la porta in faccia a quei fratelli, che avessero maculato o tentassero di maculare comechessia i principii massonici, rannodino più strettamente le loro file, le accrescano con nuovi arruolati, nella Camera di mezzo, si propongano e si discutano tutti que' mezzi, che paiono più opportuni a troncare l'orditura tenebrosa, e infine dichiarino al Concistoro quanto reputano più giovevole all'Alleanza, a rischiarare il popolo ed a combattere l'errore, ed i pregiudizii. » Avete sentito ciò che sogliono fare i massoni a sostegno delle proprie teoriche? Spiano i cattolici che hanno in conto di avversarii funesti, ne studiano i divisamenti: scopertili, i capi chiamano a consiglio tutti i fratelli, propongono, deliberano il modo più acconcio con che attraversarli, renderli inefficaci presso ogni ordìne di cittadini.

    Tale è la loggia massonica: ridicola nel suo apparato, superstiziosamente comica nelle sue cerimonie, centro di agitazione e di ribellione contro l'ordine politico e religioso nelle sue adunanze.

    Note:

    [1] V. questo volume pag. 39 e segg.

    [2] Encyclopädie der Freimaurerei von Lenning, durchgesehen und, mit zusätzen vermehrt, herausgegeben von einem Sachkundigen, Leipzig 1824.

    [3] V. Clavel, Histoire pittoresque de la Franc-maçonnerie, pag. 3. - Pavia, Il libero Muratore teorico-pratico, pag. 40. - Ragon, Rituel de l'Apprenti, pag. 21.

    [4] A chaque tenue, on y dessinera ce tableau mistérieux, avec de la craie, et, après les travaux, on l'effacera avec une éponge légèrement imbibée d'eau. C'est le moyen d'éviter la dépense et l'abus d'un tableau peint, qui peut tomber dans des mains profanes. Ragon, Rituel de l'apprenti pag. 22, 23. Pavia ripete la stessa cosa nel lib. cit. pag. 38.

    [5] « §. 30. Ciò che è comune ai due riti (moderno e scozzese) si è.... 9.° Le statue di Minerva, di Ercole e di Venere rappresentanti la Sapienza, la Forza e la Bellezza, la prima alla diritta dell'oriente a poca distanza del trono, la seconda presso lo scanno del primo sorvegliante, e la terza presso a quello del secondo sorvegliante: 10.° Tre candelabri situati ove sono le statue. » Statuti sopra citati.

    [6] The Masons in London and its environs... resolved to cement themselves under a new Grand Master, etc. With this view, the Lodges at the Goose, and Gridiron; the Crown; the Apple-ree Tavern; and the Rummer and Grapes Tavern... met at the Apple-tree Tavern above mentioned in February, 1717. Preston, Illustrations of Masonry, ed. by Oliver. London 1861, pag. 155, 156. Vedi Kloss, Geschichte der Freimaurerei in England, Irland und Schottland, presso del quale a pag. 5 leggesi: Die Logen, welche zusammentraten, waren: 1 die zur Gans und Rost, in einem Bierhause: 2 zur Krone, in einem Bierhause: 3 zum Apfelbaume, in einem Weinhause: 4 zum Römer (lezione sbagliata) und Trauben, in einem Weinhause.

    [7] Histoire cit. pag. 288, 289.

    [8] Cf. Allgemeines Handbuch e la Encyclopädie der Freimaurerei del Lessing, alla voce Loge.

    [9] Vedi Ragon, Rituel d'Installation d'une Loge: Statuts et Réglements généraux de l'Ordre maçonnique en France 1839, art. 112-119.

    [10] Pour les Maçons, le glaive est la sanction de la loi, sans laquelle nulle société n'est possible. Il est la garantie de la paix que les méchants cherchent toujours à troubler et qui est le but principal des sociétés. Bulletin de Grand Orient do France, Avril 1868, pag. 68.

    [11] Honorer Dieu et étudier ses desseins pour en faire la règle de nos actions et nous préparer par les oeuvres de la vie présente à cette initiation à la vie future, qu'on appelle la mort et dont la tombe est le chemin mystérieux. Loc. cit, pag. 69.

    [12] Au nom du Grand Orient de France, le Temple élevé par la Maçonnerie bordelaise ayant été reconnu juste, parfait et à couvert, est inauguré à l'Orient de Bordeaux ce 15 jour du 10° mois de l'an de la vrai lumière 5867. Nous faisons des voeux ardents pour le bonheur des Maçons qu'il abritera et pour la prospérité de leurs travaux. Ibid.

    [13] L'objet principal de notre institution ce sont les enseignements, que nous donnent les différents grades pour la conduite de la vie. Elle n'a plus de prix que par là; c'est le grand intérêt du genre humain et de chacun de nous. Ferons-nous dans nos ateliers des cours d'astronomie, d'archéologie, de physique? Cela ne servirait ni à faire de meilleurs Maçons, ni à reculer les limites de ces sciences. Cours pratique de Franc-maçonnerie, I Cahier. Paris 1841, pag. VII.

    [14] La loge est donc un institut pratique destiné non seulement à des amis fidèles, vivant en société d'une manière conforme aux données de la vie sociale la plus parfaite, mais destiné surtout à l'education de ses membres, destiné à les former pour le monde et pour l' humanité. Histoire de la Franc-maçonnerie, v. I, pag. 19.

    [15] L' Ècole des Francs-Maçons. Jerusalem 1748, pag. 2. Manuel maçonnique. Paris 1820, Avant-propos.

    [16] Analekten, Heft 1, pag. 31.

    [17] Allgemeines Handbuch, vedi Meister von Stuhl.

    [18] Études sur la Maçonnerie, pag. 179 e segg.

    [19] La Franc-Maçonnerie du G. Orient de France, pag. 26.

    [20] Bulletin du G. Orient, numero de Mai 1847, pag. 159.

    [21] Histoire des trois Grandes Loges, pag. 287; 418 ed altrove.

    [22] La Franc-Maçonnerie du G. Orient cit. par Bernard-Acarry, Père, 30.

    [23] Bref, il faut qu'on sache que toute loge maçonnique est un point lumineux, d'ou rayonne la conscience de l'humanité. Bulletin du GrandOrient, n. d'Avril 1859, Pag. 51. Cf. Rebold, loc, cit. pag. 311, 312.

    [24] La Franc-Maçonnerie reformée.

    [25] Que de cette Loge la Maçonnerie répande son enseignement et ses bienfaits; qu' elle rayonne au midi, au nord, à l'occident et à l'orient. Loc. cit.

    [26] Notre première, notre veritable mission, c'est d'éclairer l'humanité, de faire pénétrer l'instruction dans tous les rangs, de combattre et vaincre l'esprit envahisseur d'hommes, qui trahissant leur divin mandat, veulent étouffer toute intelligence afin de mieux dominer. Bulletin du Grand Orient n. d'Octobre, Novembre 1856, pag. 246.

    [27] Art. 4. La Franc-Maçonnerie aspirant à étendre à tous les membres de l'huntanité les liens fraternels qui unissent les Francs-Maçons sur toute la face du globe, la propagande maçonnique, par la parole, les écrits et le bon exemple, est recommandée a tous les Maçons.

    [28] Monde maçonnique 1863, pag. 145.

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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    La Civiltà Cattolica Serie VII, vol. IV, fasc. 445. 22 Settembre 1868.
    SAGGIO CRITICO
    DELLA SOCIETÀ MASSONICA[1]
    NATURA E FINE
    IV
    Lo scopo della Società massonica secondo quattro gravissimi autori.

    Il Razionalismo e la Democrazia sono gli elementi, che armonizzando le intelligenze creano la unità di cognizione in massoneria.. L' abbiamo dimostrato nei paragrafi antecedenti. Conviene ora indagare il fine, che derivante da tali elementi armonizzatori forma la unione o concordia delle volontà nella prosecuzione del lavoro massonico. Trovatolo, ci folgorerà limpido ed intero il concetto della confraternita. Il fine, come ognun sa, è di due maniere: ultimo o rimoto, prossimo o mediano. Il rimoto è quello, a cui tende con tutti i suoi sforzi la società operante, il prossimo, quello che ha ragione di mezzo o di scalino per giungere al rimoto. Qual è il fine ultimo inteso dalla massoneria, quali sono i fini mediani precipui, per i quali intende di conseguirlo? Ricerchiamoli.

    Chiari e savissimi uomini, datisi allo studio di sicuri documenti, si misero all'opera del definirlo. Riportiamo le sentenze dei più nominati. Il francese Barruel, penetrando animoso nelle logge, che celansi dopo le spalle dei massoni più minuti (arrière-loges), trasse alla luce le grand objet de leur conspirations. Foschi sono i colori, ond'è dipinto, terribile il sembiante, pieni di ferocie i suoi propositi.

    Infatti, cotesto grande obbietto o fine è un mostruoso composto, proveniente dagli intendimenti di tre sette cospiratrici, incarnatesi nella massoneria: « la setta dei sofisti increduli ed empii, che si propone di sterminare dal mondo fino l'ultimo sentore di cristianesimo, la setta dei sofisti della rivolta, che mira all'annientamento di ogni autorità regia esistente, e la setta dei sofisti della empietà e dell'anarchia, germinata dalle due antecedenti, la quale non solamente cospira contro il cristianesimo e contro l'autorità regale, ma eziandio contro ogni maniera di religione, contro ogni maniera di Governo e contro ogni specie di proprietà [2].»

    Lo scozzese Robison, professore di filosofia naturale e segretario della società reale di Edimburgo, si addentrò pure nelle segrete cose della massoneria e ne dedusse la stessa conchiusione. Iniziato a Liegi nella splendida loggia de la Parfaite Intelligence e graduato maestro scozzese , visitò le logge della Francia, del Belgio, della Germania, della Russia, e tale fu la stima, a cui salse, di valente massone che ebbe l'orrevole incarico di oratore in una loggia di Pietroburgo. Invitato a montare più in su ne' recessi degli alti gradi, rifiutò. Intanto certe dottrine che udì, certe cerimonie che vide ne' suoi viaggi, lo misero in sospetto, che bollisse in segreto alcun che di grave: i gradi del perfetto massone scozzese, i rituali, i catechismi, le istruzioni, che intorno ad essi capitarongli alle mani, gli apersero gli occhi; ed i fatti che osservò nelle logge lo convinsero di ciò che avea incominciato a sospettare. Imperocchè egli osservò, che queste divenivano spesso il ritrovo dei novatori in politica ed in religione; che la segretezza del tetto della loggia era adoperata per divulgare impunemente e propagare in ogni contrada sentimenti avversi alla religione ed all'autorità politica; che tale impunità incoraggiava a poco a poco uomini di licenziosi principii a darla per mezzo, insegnando dottrine sovvertitrici di ogni nozione della moralità, di ogni confidenza nel reggimento di una sovrana provvidenza, di ogni speranza circa la vita futura, ed inculcando la impossibilità di aver contento e pace nello stato di civile soggezione. In fine dopo di aver osservato, come sotto colore di illuminare il mondo colla face della filosofia e di sgombrare la fitta nebbia della superstizione civile e religiosa, che mettea le nazioni dell'Europa in tenebre ed in ischiavitù, venivano consummati reiissimi attentati, vide sotto l'influsso di coteste dottrine, diffusesi a poco a poco e mescolatesi in tutti i sistemi della massoneria, sbucare formata un'associazione con determinato proposito di sradicare tutte le religioni e di rovesciare tutti i Governi esistenti in Europa [3].

    Quarant'anni dopo si pose alla stessa impresa lo svizzero Carlo Ludovico di Haller. Volto precipuamente il suo studio circa la massoneria della sua patria, la ricercò in tutti i suoi andamenti e le sue opere. Ciò che ella fosse prima della rivolta del 1798, ciò che ella facesse insidiatasi dominatrice, come rinvigorisse dopo un breve abbattimento al principio del secolo, per quali vie si allargasse, con quali mezzi si rafforzasse, tutto egli espose, disaminò, discusse al lume chiarissimo dei fatti contemporanei, degli statuti e degli scritti massonici fino al 1840. Ebbene qual è la conchiusione, che sgorga perenne da questo suo studio? Dal fondo delle brame massoniche, balenare di luce sinistra, quale obbietto di un pertinace lavorio, l'annientamento di ogni religione, il rovesciamento di ogni autorità esistente, l'abolizione di ogni diritto naturale, che porti qualche civile disuguaglianza [4].

    Chi ignora la lotta mortale ingaggiata da Emilio Edoardo Eckert, avvocato sassone, con tutto l'Ordine massonico? Giratogli dal fisco un processo, perchè avea scritto in una sua relazione, che tre spartimenti del Ministero eran venuti a mano della società massonica, rifiutò di comparire dinanzi al tribunale prima che fosse abolita la massoneria in Sassonia, avendo saputo, che la maggior parte dei giudici se le era venduta schiava. A sua giustificazione scrisse una Memoria di due grossi volumi, che da capo a fondo è una terribile inquisizione di tutto l'Ordine, specialmente in Francia ed in Germania, e la indirizzò al Parlamento sassone a modo di petizione [5]. Pochi anni appresso rincarì la derrata con un'altra scrittura, e col titolo, che le mise in fronte, disse aperto, quale fosse la conchiusione di questi suoi lavori e lo scopo, a che mirava, nei termini seguenti: Raccolta di argomenti per la condanna della Frammassoneria, come principio attivissimo di distruzione a danno della religione, dello Stato, della famiglia e della proprietà per mezzo dell'astuzia, del tradimento e della violenza [6]. I documenti, che porta, sono gravi, conchiudenti, numerosi: l'argomentazione, quando si appoggia ad essi, trae una gagliardia di persuasione irresistibile.

    Il fine, che in tutte e quattro le testimonianze citate si pone a carico della società massonica, non si presenta egli sotto la figura di una mostruosità orribile, infame e degna di tutti gli odii e di tutte le imprecazioni? No: accusa più forte e più veemente poteasi bandirle addosso. Eppure le viene apposta da quattro gravi scrittori, i quali, appartenenti a quattro nazioni diverse, in tempi differenti e dopo un serio e prolungato studio di documenti e di fatti convengono per vie disuguali nella medesima sentenza! Questa concordia, chiamatela come volete, porta seco un grande valore, e deve esercitare non piccola forza sull'animo del lettore. Infatti, le opere del Barruel e del Robison, uscite alla luce nell'Inghilterra, gittarono lo sgomento nei popoli dell'Europa, e per testimonianza del massone Preston vi arrestarono la marcia progressiva della confraternita [7]. La Memoria dell'Eckert potè tanto sui Deputati sassoni, che il Ministro riputò cosa più savia accettarla, istituire una giunta, che la esaminasse, rispondere alle interpellanze fattegli in proposito, benché poscia trovasse modo di spacciarsene senza danno della società accusata [8].

    Passeremo noi oltre senza udire le difese della massoneria sotto il peso di tante accuse? Mainò: quest'atto sarebbe un atto villano, sarebbe un'ingiustizia. Esse sono di tre specie. Eccovi in compendio la prima: - «I quattro citati scrittori non meritano alcuna fede. Il Barruel fonda la sua dimostrazione su pietre sconnesse; rappresenta la scena della sua congiura in Francia e va a rifornirsi di prove in un chiostro di Baviera; mancando di fatti gl'inventa, e fallendo i documenti, gli attinge con ingegnose interpretazioni a lezioni che sono ancora da discoprirsi. Il Robison, svolgendo i gradi scozzesi, trae conseguenze che non portano le premesse. Il libro dell'Haller «è un libello infamissimo, ridicolissimo, disprezzabilissimo per chi ha in capo un granellino di buon senso: esso afferma e non prova il nesso tra la massoneria e la vera società cospiratrice».

    Quanto all'Eckert, non ti curar di lui, ma guarda e passa: somiglia tutto a quel vecchio, di cui è detto nel Fausto, che, quando parla, sembra un coro di cento mila pazzi. La massoneria, qual è, e quale deve essere, fiammeggiar pura di ogni macchia e comparire innocua alla religione ed allo Stato: i gradi aggiunti meritar forse la riprensione come novità; quanto al loro valore intrinseco, doversi tenere in conto d'innocenti ed inoffensivi trastulli [9].» Finquì la prima difesa. Qual è il suo valore? Quel delle ciance, perchè tutta composta di asserzioni senza prove: quello della calunnia, perchè grava scritti e scrittori di accuse mendaci. Le ciance e la calunnia percuotono l'aere, non convincono le intelligenze. Il Barruel, il Robison, l'Haller, e l'Eckert hanno portato documenti, hanno prodotto testimonianze, hanno recato fatti, donde filano diritte quanto alla sostanza le loro conseguenze. Perchè i massoni non ne hanno mostrata la falsità? Hanno invece preferito il mezzo più ovvio di gittare colla maldicenza lo sprezzo e il discredito in sul capo degli avversarii: sprezzo e discredito iniquo, che ricade sopra gli autori.

    Ben altra fu la seconda specie di difesa, in cui, messe da banda le ciance, si venne a fatti. Le Memorie del Barruel furono, per opera della consorteria, proibite, sotto un cumulo d'ingiurie giornalistiche, in grandi monarchie: furono involate con arte finissima a persone di grado altissimo nella società politica [10]. L'Eckert vide la sua potente Memoria soppressa senza rumore; vide i singoli numeri del giornale, da sè fondato contro la massoneria, ghermiti senza pietà dalle unghie del fisco. Ruinato nell'avere se n' and`ó a Berlino per ottenere la soppressione della massoneria nel reame prussiano. Ma vi pagò tosto il fio di avere osato assaltare con tanta baldanza la società nel suo quartier generale pressochè di tutta Germania, perchè fu fatto prigione dalla polizia sotto pretesto di una congiura, tramata contro il Re ed il Principe reggente, ed ebbe in conto di grazia l'uscirne salvo [11]. Essendo chiaro, che contro i fatti e tali fatti non valgono gli argomenti, non aggiungiamo sillaba di confutazione.

    Non così il Wat-kins. Egli entra diffilato nella discussione, ed argomentando in difesa del proprio Ordine, dice: - « Uomini leali e pii continuare la benevolenza del loro patrocinio verso la Società; altri di somma saviezza e di alto grado aver visitato le logge di diverse nazioni, e trovatele incolumi dal morbo dei rei principii apposti: lo stesso Robison, finché visse fuori d'Inghilterra, non avervi incontrato in che appuntarle. Or come è possibile, che la massoneria siasi di botto mutata di buona in rea, di religiosa in empia, di devota verso i principi in ribelle cospiratrice; e quando fosse ciò accaduto, tanti uomini savii e pii non se ne sarebbero avveduti, non le avrebbero negata la loro protezione? Sì per certo. Il Robison adunque ed il Barruel hanno esagerato senza modo le accuse, e quanto hanno scritto è lavorio di fantasia riscaldata da travolti giudizii e non conseguenze fondate nella verità.» - Tanto il difensore: ma egli colpeggia al vento. Non si tratta di qualechesiasi possibilità, sibbene della reale esistenza di numerosi documenti, che mettono in piena luce dottrine sovvertitrici di ogni ordine, come proprie della massoneria; si tratta di un fatto terribile, dello scoppio della rivoluzione francese e de' suoi atti spaventosi, siccome strettamente connessi colle dette dottrine e coi loro professori. Ecco il punto da percuotere: esistono sì o no tali documenti; le dottrine contenutevi sono sì o no proprie della massoneria; la rivoluzione francese é si o no connessa con tali dottrine e colle società massoniche. Lasciato intatto questo punto dal difensore, dura in tutta la sua gravità l'accusa dei quattro avversarii contro la massoneria.

    Lo stesso Wat-kins sembra che non lo disconosca: concede quindi la probabilità, che alcuni massoni moderni datisi alla incredula filosofia siensi intruppati sotto la bandiera massonica per occultarsi; nega sdegnosamente l'opinione che dalla massoneria siano usciti gli assalti della rivoluzione francese, che rovesciarono Governo e religione, fa appello ai futuri storici, i quali, secondo lui, daranno la taccia di critici insipienti ai Robison ed ai Barruel [12]. Ma che? il Cremieux, il Barbier, il Lamartine, il Grisar, Luigi Blanc, l'Angherà, il Rebold, il Pelletan, il Sydow e cento altri massoni e non massoni, citati da noi altrove, provando colle loro testimonianze la sagacia del Robison, del Barruel e di quanti con essi giudicarono la massoneria quale fucina, dove si è lavorata la rivoluzione francese, e poi tutte le altre, che le sono venute appresso, hanno per l'opposto dato al Wat-kins la taccia di falso profeta.

    Il conte di Moira, G. Maestro della massoneria inglese, entrò pure in campo con una sua difesa [13], la quale tutta simile alla precedente è da tenersi in simil conto. A sterpare i principii della rivolta e dell'empietà, che s'erano radicati nell'Inghilterra, il Parlamento decretò la soppressione di tutte le società e di tutte le riunioni: fece una sola eccezione, e questa in favore delle logge massoniche. Grandi sono i vanti, che ne hanno menato i massoni, citandola quale splendida confermazione della propria innocenza. Ma con poco prò: perchè se il Parlamento fece cortesia alle logge d'Inghilterra, non ne usò niuna con quelle della Scozia, e nella cortese eccezione pose loro tali vincoli di giuramenti, di denunzie e di altro, che, come esseri pericolosi, le affidò alla sopraveglianza del Governo, e fecele dipendenti nella lor vita dal cenno dei consigli degli spartimenti provinciali [14]. .

    Ondeché ragguagliate le partite delle accuse e delle difese, troviamo, che queste o non valgono punto, perchè senza prove, o se pure valgono alcun che, questo è tutto in favore degli accusatori. Fino a nuove e valide discolpe la società massonica rimane quindi sotto il gravissimo pondo delle apposte cospirazioni contro la Chiesa, contro lo Stato e contro la Proprietà.
    V.
    Lo scopo della Società massonica descritto dai Massoni.

    Contuttociò noi non intendiamo di arrestarci. I massoni negano, che lo scopo dell'Ordine sia quale ci viene foscamente dipinto dai quattro citati scrittori. Or bene ci dicano essi di grazia in che propriamente consista. Se ne contentano? Noi ci acconciamo alle loro asserzioni. I massoni tedeschi affermano, che il puro concetto della massoneria rifulse limpido infino a' tempi moderni solamente nella Germania. Cerchiamolo nei loro scritti. Fra questi sono altamente commendati, come savissimo testo massonico , quelli del Lessing. Ecco quanto vi rileviamo di netto:

    «Gli Stati riuniscono gli uomini in corpo sociale, affinchè i singoli individui abbiano l'agio di godere in modo migliore e più sicuramente la propria parte di felicità. Ma che? in questi corpi così ordinati v'è un profondo guaio: la diversità delle nazioni, la diversità delle credenze religiose, la diversità delle condizioni, ed altrettali distinzioni. Donde sgorga, che la società civica non può unire in corpo gli uomini senza spartirli, nè spartirli senza cagionare tra essi larghe scissure, senza levarvi alto il malefico muro della divisione. Di qui il diritto di lavorare di nuovo contro cotali separazioni. A tale uopo è da desiderare grandemente, che in ogni Stato v'abbiano uomini, che siano scevri dei pregiudizii di nazionalità; che conoscano bene, dove il patriottismo cessa di essere virtú; che non soggiacciano ai pregiudizii della religione in cui son nati; che non credano dover essere necessariamente buono e vero, quanto essi professano, come buono e come vero; cui la grandezza cittadina non acciechi; e la piccolezza non annoi; nella cui società l'alto si abbassi, ed il piccolo francamente s'innalzi.... Che direste, se i Frammassoni fossero cotesti uomini che hanno tolto a proprio conto di unire il più strettamente che sia possibile, quei disgregamenti, onde gli uomini sono resi stranieri gli uni agli altri? Io certo me li figuro, come gente, la quale ha per l'appunto preso liberamente sopra di sè l'incarico di lavorare contro i mali inevitabili dello Stato. Badate, non contro i mali inevitabili, che necessariamente provengono da una data forma di Governo, come tale. Di questi non s'impaccia più che tanto il massone, almeno in quanto massone. Ei lascia la cura di alleviarne il peso e di torli al cittadino, il quale a misura del suo intendimento e del suo animo può occuparsene a tutto suo rischio. Mali di ben altra specie, mali di ben altra gravita sono l'obbietto della operosità del massone. No: non sono i mali che fanno malcontento il cittadino, a cui egli mira; ma sibbene quelli, onde il più felice tra i cittadini non può esser libero. Lavorare contro di questi (entgegenarbeiten)! Forse per annientarli affatto? Ciò non può essere: lo Stato verrebbe parimenti annientato. Neppur conviene disvelarli tutti di un colpo a quelli che non ne hanno alcun sentimento conoscitivo. Il cagionare in essi cotesto conoscimento vivissimo a poco a poco, curarne i germogli, trapiantarli altrove, addoppiarli, procacciarne il rigoglio, ecco ciò che qui significa lavorar contro [15]»

    Testimonianza tutta sfavillante di luce massonica. Secondo essa : 1° la società umana nel suo ordinamento presente è rosa dal canchero della separazione dei regni, delle credenze e delle condizioni; 2° v'è il diritto di sanarla, colmando ogni maniera di separazione coll'unificare tutti gli uomini in un corpo nuovo di società; 3° per l'esercizio di tal diritto vi bisognano uomini, che sappiano rinnegare all'uopo il sentimento di patria, le credenze della religione in cui son nati, e la condizione del proprio stato; 4° i massoni sono uomini di questa tempera, e lavorano alla grande opera della unìficazione generale degli uomini, annientando il sentimento di patria, annientando le credenze religiose e la diversità delle condizioni merce un'assidua, accorta ed ostinata insinuazione ad ogni costo dei principii demolitori. Una duplice idea leva quinci arditamente il capo: la unificazione universale dei popoli, e lo sterminio di tutti gli ordinamenti esistenti. La unificazione comparisce quale ultimo intendimento dell'ordine, lo sterminio quale opera necessaria, o fine mediano per giungervi: questo è determinato dagli obbietti, su cui dee cadere, quella è lasciata indefinita nel mistero, salvo l'odorarvisi da lontano la repubblica umanitaria socialistica.

    Il Fichte, filosofo e massone, scrisse filosoficamente della massoneria. Indagò e discusse il fine a cui tende, ed eccovelo bello e raggiante. Pensi tu, egli dice, che la massoneria abbia in mira alcuno di quei fini, per cui s'è formato quale che siasi ordine di cittadini nella società? Tutt'altro. Essa gli esclude tutti interamente e risolutamente. Tanto è cosa ridicola e da pazzo il credere, che gli adepti si adunino in segreto per fare buone scarpe, quanto il supporre, che studino a riformare in tutto o in parte lo Stato. Il massone, che dicesse altrimenti, non solamente sarebbe sprezzato come uomo di niuna coscenza massonica, ma ancora metterebbe in forse la sanità del proprio cervello. - La massoneria dee pur avere un qualche fine: - Sì; hallo, ma ben diverso da quel fine dannoso sopraindicato: se non fosse cosi, dovrebbe riputarsi una folle e vota buffoneria, anziché seggio di saviezza e di virtù. A voi massoni è proposto un fine, a cui non può mirare la più grande tra le società umane; un fine che non può essere conseguito altrimenti che al patto di appartarsi dalla società, di segregarsi compitamente da essa; un fine sì alto è questo: torre di nuovo gli svantaggi della forma di organamento, adoperata nelle più grandi società, e fondere e tramutare la forma particolare dello stato, o condizione separata, nella forma comune ed universale di tutti gli uomini, in quanto uomini. Questo scopo è nobile, perchè ha per obbietto gl'interessi più grandi degli uomini: è ragionevole, perchè esprime uno dei nostri più santi doveri: è possibile, perchè è tutto possibile ció che vogliamo. Dicendo che è necessario di appartarci dalla società civica non intendo, che dobbiamo chiuderci in solitudine: ma che spogliatici dei gretti sentimenti della nostra condizione particolare e della società civile in cui viviamo legati, ci poniamo dinanzi agli occhi, e dentro il cuore il fine della umanità, che è quello della unificazione degli uomini in una forma comune di ordinamento; che fatto nostro questo scopo, lo diffondiamo per tale, che vi lavoriamo attorno con mille ingegni per compierlo, e che solleviamo all'altezza di pura forma umanitaria quella che noi abbiamo. O è questo lo scopo della società massonica, o non ve ne ha alcun altro: sapienza e virtù vi sono strettamente associate [16].

    Così filosofa il Fichte tutto in conformità del Lessing: forma di organamento unificante tutti gli uomini, fine ultimo, e annientamento progressivo di tutte le separazioni di stati, di religioni, di condizioni, opera necessaria, o fine mediano, per giungervi: a questo dover lavorare incessantemente il massone, svestitosi di ogni sentimento che il porti in contrario, e ciò non solo per naturale diritto, ma per istretto obbligo imposto dalla umanità. In somma la duplice idea di unificazione e di sterminio anche nel Fichte non fallisce punto con quel mal odore di repubblica universale o socialistica, che ne esce da ogni lato.

    Terzo tra cotanto senno poniamo il Seydel, il quale pure studiò la massoneria sotto il riguardo. filosofico, e compose un discorso per i non massoni da avergli meritato il titolo d'ispirato [17].

    Le sue conchiusioni, spogliate del misticismo che fa lor velo, sono in sostanza: «lo scopo della massoneria esser quello della umanità, cioè l'unione della natura e di Dio, ottenuta coll'annobilire la morale: i massoni lavorare intorno ad esso infaticabilmente. Il passo mediano per giungere a tanta altezza essere il rannodamento delle parti divise nella società, sicchè n'esca un tutto; quindi gli adepti strettisi in unità di pensiero e di sentimento ed avendo in mira il bene universale della umanità essersi obbligati a pugnare in ogni luogo e con tutte le loro forze, e ad annientare ogni tendenza personale, ed ogni elemento di divisione contrario al detto mezzo tanto in sé medesimi, quanto in altrui. Di che rendersi manifesto, che la tendenza o lo spirito personale non deve regolarsi, sia da certe considerazioni o da certi insegnamenti (religiosi), sia da certi riguardi o da certe condizioni dello spirito (posti o tradizioni domestiche), sia dallo spirito di nazionalità o di famiglia, o da quale che si fosse attraimento di propria scelta (sposa), ma dalla tendenza originale, che guida all'ultimo scopo [18].» In poche parole che cosa vuole l'autore ispirato? Vuole, che ogni più nobile sentimento del cuore sia indegnamente calpestato dagli individui. Vuole che siano distrutte le naturali separazioni nell'ordinamento sociale. Vuole che tutto questo venga sacrificato in omaggio della unificazione generale degli uomini sotto una forma sola, velata col mistico titolo di unione della natura e di Dio.

    Abbiamo tre uomini Lessing, Fichte, Seydel, riputatissimi per conoscenze massoniche presso l'Ordine. Tutti e tre scrivono dell'ultimo scopo della massoneria, tutti e tre ne favellano colla freddezza del filosofo. Eppure, non ostante che l'uno abbia scritto nel 1788, l'altro nel 1802, il terzo nel 1859; non ostante che il primo abbia ragionato movendo, come da un punto sodo, dallo svolgimento storico della umanità, il secondo dall'ultimo fine della medesima, il terzo dalle tendenze dell'individuo, tutti e tre, perchè retti dallo stesso lume massonico nel loro discorso, sono giunti alla medesima conchiusione, la unificazione dei popoli, ultimo scopo; l'annientamento degli ordinamenti civili presenti, di ogni Chiesa , della ineguaglianza sociale in risguardo delle condizioni, qual mezzo necessario, o fine immediato. Una ventina di testimonianze di altri chiari massoni tedeschi vi citeremo ad un fiato in confermazione, se non temessimo di andar troppo per le lunghe.

    I massoni tedeschi si danno il vanto di aver eglino soli conosciuto infino a questi dì il vero concetto dell'Ordine. Sia pure. Ma eccovi da questa parte i massoni inglesi, i quali indicano la G. Loggia di Londra, come la madre e la prima ispiratrice di tutte le logge dell'universo: eccovi da quella i massoni francesi, i quali affermando di aver ricevuto l'arte reale dalla G. Loggia di Londra, sostengono ancora, che fu loro mercè, se essa aggrandì nel mondo e fiammeggiò nitida nella sua idea e ne' suoi principii. Ebbene convengono gli uni e gli altri circa lo scopo massonico cogli scrittori tedeschi? Giudicatelo dalle seguenti testimonianze.

    Il cav. Ramsay il più ardente tra i primi inglesi propagatori della massoneria in Francia, cosi ne descrisse lo scopo, come Grande Oratore dell'Ordine in un suo discorso del 1740. «Il nobile ardore, che voi dimostrate, egli disse ai novamente iniziati, nell' arrolarvi all'antichissimo ed illustrissimo Ordine dei frammassoni, è prova sicura, che voi possedete tutte le qualità necessarie per diventarne membri. Queste qualità sono: filantropia savia, morale pura, secreto inviolabile e buon gusto delle belle arti. Licurgo, Solone, Numa e tutti gli altri legislatori politici non hanno potuto dare ferma durata alle proprie fondazioni, nè quantunque savie fossero le loro leggi, si sono estese a tutti i paesi, ed a tutti i secoli... La filantropia non ne era punto la base. L'amor della patria mal conosciuto, e portato all'eccesso annientava nelle repubbliche guerresche, da essi fondate, l'amor dell'umanità in generale. Gli uomini non sono tra sè distinti essenzialmente per la differenza delle lingue che parlano, nè per la diversità degli abiti che vestono, o de' paesi che occupano, o delle dignità che tengono. Il mondo intero non é che una grande repubblica, della quale ogni nazione è una famiglia, ed ogni individuo un figlio. Per far rivivere e propagare coteste massime antiche, ricavate dalla natura dell'uomo, fu stabilita la nostra società... [19].» Tale è la sua conchiusione: le premesse sono titubanti, malamente poste. L'oratore non potea fare altrimenti attesa la condizione delle persone, a cui favellava, allora allora iniziate, e la qualità dei tempi e delle opinioni, che correano. Ciò non ostante chi non vede tutto intero nella sua luce il duplice scopo capitale della massoneria: l'ultimo nella repubblica unificante tutti i popoli e tutti gl'individui mercè un ordinamento comune proveniente dalla loggia, e l'immediato nell'annientamento delle forme e delle dottrine esistenti, civili e religiose, mercè il lavorio continuato degli adepti nell'impiantare e crescere principii ed anciennes maximes, prises dans la nature de l'homme, cospiranti all'ultimo fine? Tant'è: il Ramsay quindi ci chiarisce, che il concetto massonico circa lo scopo dell'Ordine professato nell'Inghilterra, donde egli traevalo, era quel desso, intorno a cui filosofavasi dalle logge figlie in Germania, e che importato in Francia, veniva lavorato in miglior forma dalle logge erettevi.

    Volete vedere il grado di perfezione, a cui fu condotto nei tempi moderni? Il Rebold, storico approvato delle tre G. Logge francesi, vi si mostra cortesissimo nel descrivervelo. «La Frammassoneria dei nostri giorni, egli dice, proclama la fraternità universale, quale scopo, a cui si è proposto di mirare; i suoi conati tendono costantemente a spegnere tra gli uomini i pregiudizii di casta, le distinzioni de' colori, di origine, di opinione, di nazionalità; ad annientare il fanatismo e la superstizione, a sterpare gli odii nazionali e con essi il flagello della guerra; in una parola, a pervenire, per la via di un progresso libero e pacifico, allo stabilimento del diritto eterno ed universale, secondo il quale ogni individuo possa liberamente e totalmente esplicare tutte le sue facoltà e concorrere con tutta la pienezza delle sue forze alla felicità di tutti, ed a formare con questo mezzo di tutto il genere umano una sola e stessa famiglia di fratelli, uniti col triplice legame dell'amore, della scienza e del lavoro. Questo scopo è simboleggiato dal tempio universale della verità, della umanità, della fraternità, tempio che in vastità vince qualunque altro, avendo a confine i confini della terra, intorno alla cui costruzione i veri adepti lavorano senza posa, affinchè giunga un dì a mostrarsi in tutto lo splendore della sua maestà e della sua bellezza, quale eterno omaggio di riconoscenza alla gloria del Grande Architetto dell'Universo [20]. » Così il Rebold. Il riassunto di tutta la sua descrizione sono due parole: distruzione e ricostruzione. Distruzione di tutte le distinzioni sociali esistenti, su cui levansi i diversi ordinamenti politici: ricostruzione di un nuovo tempio sociale, sopra il disegno di una forma universale, in cui scomparse le discrepanze di religione e di politica, le distinzioni di ricchi e di poveri, le varie caste di sacerdoti e di laici, di re e di sudditi, di padroni e di operai, segga reina la sola fratellanza universale.

    Francesco Favre, redattore del periodico Le Monde maçonnique assai riputato, ci diè un Saggio filosofico dell'Ordine. Indicati in esso i principii proprii della società, quanto al fine immediato ci dice tondo, che questo consiste: «nell'emancipazione compiuta dello spirito umano, nel rispetto verso tutte le credenze sincere, nell'annientamento della ignoranza e dei pregiudizii, nella distruzione dei privilegi... giacchè tel est le but de leurs efforts et de leurs travaux, cioè dei massoni. Ma badate che, secondo lui, il modello tipo di un Governo è la democrazia delle logge, che «chi rimane fisso in uno statuto politico e religioso, corre diffilato alla sua rovina,» che la base della massoneria essendo «il libero pensiero, la libera discussione, il libero ragionamento», il domma, punto di dottrina invariabile, non può esser cosa massonica, che in fine «l'esercizio della beneficenza è un affronto al principio della dignità umana.» Di che avete tutto l'agio di capire, come l'opera massonica della distruzione si stenda sopra la Chiesa, che professa dommi, e sopra gli statuti politici, che non eguagliano il modello tipo, e sopra il principio di proprietà in servigio della dignità umana. Quindi intendete ancora ciò che valga questo suo sospiro circa l'ultimo scopo: «cosi operata la purificazione esposta, saranno compiuti e raffermati i veri principii della nostra società. Ma lungi dall'essere con ciò terminata la nostra impresa, sarà ancora in sul cominciare: imperocchè nulla si sarà operato infino a che l'opera non avrà tenuto dietro al precetto, infino a che noi non avremo attuati su tutta la faccia della terra ed ovunque applicati i tre termini indivisibili, contenuti nella divisa massonica: Libertà, Eguaglianza, Fraternità [21].

    Qualche anno prima del Favre, il Marchal mise alle stampe un suo Studio critico e filosofico intorno la Massoneria. Le cui conchiusioni in sostanza sono: la massoneria considerata in astratto, apparire una forza, un'idea teorica e pratica; sua vita essere il movimento, sua legge il progresso; bisognare al suo svolgimento, che ella s'incarni in una forma sensibile e visibile, appropriata alla sua natura; questo verificarsi ne' rituali e nella associazione, e compirsi efficacemente nel seno degli Stati; il suo movimento e la sua forma gittare una profonda e recisa separazione tra la società massonica e le religioni positive, inceppate dai dommi e dalle filosofie esclusive. Ciò posto «la massoneria opera liberamente fuori della sfera dell'attività individuale e sociale;» che è quanto dire o non incaricandosene, o calpestandola ogni qual volta cotesta attività le sia opposta: giacchè, «suo scopo (immediato) si è impadronirsi della iniziativa dell'individuo, renderla operativa ed efficace, quanto è possibile, rischiarandola, dirigendola e moltiplicandone le forze coll'associazione e colla unità degli sforzi: sua tendenza principale la unificazione del genere umano.» A dir tutto in breve, «essa deve creare un nuovo ordine d'idee negli spiriti, e condurre ad effetto ciò, che fu segnalato dal Prudhon alla politica contemporanea in quelle sue parole: affrettare il ritorno alle istituzioni ed ai principii dell'ottantanove, affermare il diritto dell'uomo e l'incarnazione della giustizia nella umanità.» Guai al Principe od al Governo, che non dà mano alla massoneria nell'attuare cotesto consiglio del Prudhon! «L'idea massonica entrerà nelle popolazioni sotto forma di sentimento, di forza cieca: essa diverrà l'anima delle rivoluzioni e delle società secrete, nella significazione più selvaggia della parola [22].» Avete capito a qual grado di perfezione sia stato condotto il concetto massonico in Francia? A quello di mettere le società alle strette, come fa l'assassino, con terribile pugnale in mano e con più feroce dilemma in sul labbro: consentite, che i principii iniqui e schifosi, predicati dal Prudhon, circa la famiglia e la proprietà si traducano in atto, oppure sarete preda del saccheggio, della violenza e della strage più sanguinosa: distruzione di ogni ordine esistente, unificazione socialistica, o morte. Orrido scopo presentato sotto più orrida e truculenta proposta!

    L'Italia massonica, al dire del Favre, va a fianco della Francia e procede con essa per la via tutta favorevole al progresso ed alle riforme. Pigliate in prova gli Statuti della Massoneria italiana al rito simbolico. Eccovi i termini dell'articolo VII: «A meta ultima de' suoi lavori si prefigge di raccogliere tutti gli uomini liberi in una gran famiglia, la quale possa e debba a poco a poco succedere a tutte le sètte, fondate sulla fede cieca e l'autorità teocratica, a tutti i culti superstiziosi, intolleranti e nemici fra loro, per costituire la vera e sola chiesa della umanità. » A tal uopo l'articolo VI vi dice, che «il campo della sua azione abbraccia il progresso del bene sociale sotto tutte le condizioni e le forme, che possono convenire al suo fine; e quindi ogni progresso del bene economico, intellettuale, morale e politico.» Il Frapolli, G. Maestro fa sapere ai Figli della Vedova nell'indirizzar loro i nuovi Statuti, qualmente «la massoneria è il sistema sociale, che essa aspira ad assorbire l'umana società intera», e ciò col far scomparire ogni interesse politico e religioso dei sistemi presenti. Che più? la massoneria siciliana per la penna del F.*. Finocchiaro-Aprile ci dice a dirittura, che l'Ordine è la scuola della Democrazia, che tende a compiere i programmi del Mazzini, di Ledru-Rollin e dei consorti [23], tutti fiore di repubblicani socialisti. Insomma l'eco di distruzione e ricostruzione socialistica viene fieramente ripercosso da un capo all'altro della penisola o per meglio dire in tutta Europa e fuori più o meno spiccato e minaccioso, secondo le congiunture de' tempi e de' luoghi.

    Lasciate da banda le superfetazioni degli alti gradi, come testimonianza sospetta, non curati i riti, in cui si mostra il pugnale stillante sangue di strage e di morte, ci siamo fatti da presso a quei massoni, che colla freddezza del filosofo e di proposito hanno studiato l'intima natura dell'Ordine, abbiamo cercato quei volumi, che ebbero le più ample lodi massoniche. Alla domanda lor fatta: qual è lo scopo, a cui tende la vostra società? la risposta fu concorde, fu una: i nostri lettori l'hanno sentita. Or bene non si accorda essa nella sostanza con ciò che hanno asserito i quattro autori citati nel paragrafo antecedente? Tant'è: la massoneria, in quanto società, vuole la distruzione della religione, vuole la soppressione di qualunque distinzione civile. Lo dicono i quattro citati scrittori, lo dicono gli stessi massoni. La differenza sta solamente nel modo di proporne il programma; giacchè quelli lo disegnano su feroci documenti e lo incarnano nella immagine truculenta della rivoluzione francese; laddove questi gli danno un'aria di pace, di giustizia e di beatitudine senza pari. É tolta l'orridezza estrinseca, rimane la intrinseca, balenando nel vessillo massonico la terribile epigrafe: DISTRUZIONE, RICOSTRUZIONE.
    VI.
    Lo scopo della Società massonica, dedotto dalla natura de' suoi principii. Conseguenze pratiche.

    Gravissime sono le testimonianze arrecate, ma pure individuali. Lo scopo massonico ricavatone non potrebbe egli quindi essere la espressione di opinioni particolari? Tutt'altro: esso fluisce dagli elementi di conoscenza, costitutivi della massoneria, come rigagnolo da fonte. Di guisa che se la società massonica non si proponesse lo scopo anzidetto, cesserebbe di essere; sarebbe una contraddizione. La ragione è facile. La unità di fine in ogni società deriva dalla unità di conoscenza, essendo, a modo di esempio, impossibile che uomini di commercio formino una data società industriale nel supposto, che siano in disaccordo circa i principii fondamentali della stessa. Abbiamo dimostrato nei paragrafi II e III, che gli elementi costituenti il fondo della natura massonica ed armonizzanti in unità di pensiero le intelligenze dei massoni sono due: il razionalismo nell'ordine religioso, e la democrazia, più ampla nell'ordine politico. Or chi non vede a colpo d'occhio, che il fine o scopo massonico derivante da cotesto duplice elemento armonizzatore, deve portarne seco le qualità, come fa il rigagnolo in risguardo della sua fonte? Dunque la forma dell'ordinamento, a cui tende la società massonica, come a fine, deve essere schiettamente razionalistica in religione, e democratica nel senso più ampio della parola in politica. Ma questa forma è da attuarsi in società basate sopra religioni dommatiche, sopra distinzioni sociali, sopra principii più o meno monarchici od aristocratici, eccovi quindi la necessità per i massoni di annientare le religioni dommatiche, di sopprimere ogni distinzione sociale, di torre dal mondo ogni principio monarchico od aristocratico. Pognamo per un poco che la massoneria si dia a rassodare il domma religioso, la distinzione sociale, il principio monarchico. Quale vi comparirebbe in qúést'atto? Un assurdo, una contraddizione: perchè essendo i suoi principii opposti alle sue opere, distruggerebbe sè stessa. Adunque il grido che gitta tra i suoi adepti, è il grido più feroce di guerra: rovesciate, distruggete, annientate dommi, distinzioni e autorità, cada tutto in un fascio nell'abisso dell'oblio!

    Badate però, che cotesta distruzione si può compiere in due modi: col mandare in aria tuttò il vecchio edifizio per uno scoppio di mina, ed indi sgombrati i ruderi, fabbricare il nuovo; oppure col ruinarlo alla sordina e col sostituirvi a poco a poco il disegnato. Lo scoppio della mina fu adoperato nella grande rivoluzione francese, ma con pessima prova per la massima parte degli adepti. Ora si tenta il secondo, più lento, è vero, ma più sicuro tanto per i lavoratori, quanto per l'esito. Gli ammonimenti, che un oratore massone dava ad alcuni iniziati maestri, valgano di prova. «Gli uomini, egli dicea, riversati dalla massoneria nel seno della società civile vi giungono col pensiero di operarvi una riforma paziente, sicchè sfrondando gli abusi non sono stolti a segno da pigliarli di fronte : essi scavano a poco a poco il terreno, insinuano a grado a grado i loro principii liberali e filosofici, e giungono insensibilmente a persuaderli senza scosse e senza reazioni. Gittate dell'acqua bollente in una tazza; ella si fende e va in pezzi; ma se voi la fate passare per tutti i gradi della calda temperatura, ella durerà intatta, e l'ardente bollimento dell'acqua non le cagionerà niun reo effetto, non ostante la sua fragilità. Così noi, prudenti riformatori, dobbiamo procedere lentamente ed aspettare dal tempo il compimento dell'opera nostra. Che se per l'opposto temerarii noi vorremo sterpare violentemente gli abusi, che ci travagliamo di torre , incontreremo la resistenza, pericolerà tutto il nostro lavoro. Camminiamo dunque con prudenza nella via del progresso, affine di conseguirlo più sicuramente [24].» L'arte è fina, è sommamente insidiosa, tendendo a scambiarvi, senza che ve ne avvediate, i santi principii, che avete succhiato nella famiglia e nella società cristiana con quei distruggitori della massoneria! Ma tant'è: tale si è lo scopo della massoneria, tale si è l'arte per conseguirlo. Conchiudiamo.

    Che cosa è la Massoneria? Per rispondere a questa domanda ci è bisognato risolvere due quistioni. La prima circa la unità di conoscenza, e fu risoluta nell'articolo antecedente; la seconda circa il fine, ed è stata l'opera del presente. Dall'una e dall'altra unite ci spunta tutta da sé la risposta alla fatta domanda:

    «La Massoneria è una società politico-religiosa, che professando la democrazia più pura nell'ordine civile ed il naturalismo razionalistico più schietto in religione, tende con tutto lo sforzo a distruggere il presente edifizio sociale, ed a ricostruirlo tutto su la base de' suoi principii.»

    Volete vedere uno esempio di ciò, che sia questa ricostruzione? Guardate la grande rivoluzione francese! Decapitato il Re, scannati i sacerdoti, abolita ogni memoria di autorità regia ed ecclesiastica, i ricostruttori massoni si divorarono, si distrussero tra sè. Così Iddio punisce l'orgoglio umano!

    Intanto eccovi alcune conseguenze a compimento di questo articolo:

    1° Una società umana quale che siasi importa «la cospirazione di molti uomini al conseguimento comune di un fine da essi conosciuto e voluto.» Il fine immediato conosciuto e voluto dai massoni si è la distruzione della Chiesa, dell'autoritâ regia, delle distinzioni cittadine, provenienti o dalla nascita, o dalla proprietà. Per altra parte abbiamo provato che tra i differenti gruppi massonici v'è unità di dottrina, unità di fine ed unità di sforzo al comune intento [25]. Dunque la società massonica non è altro che una vasta cospirazione contro la Chiesa, contro i Re, contro la proprietà. Gli scrittori massoni hanno gridato, hanno schiamazzato contro questa affermazione. Ma tant'è; essa è una semplice conseguenza dedotta da fatti irrefragabili, perchè confermati dalle loro testi monianze.

    2° La Chiesa cattolica ha per fondamento la fede divina, insegna che la ragione ultima di ogni autorità si appoggia a Dio: la società massonica invece si fonda sopra il razionalismo, e dice che l'ultima ragione di ogni autorità sta nel popolo. Sono quindi di natura avversa, sono incompossibili. E però non v'è scampo, o cattolico colla Chiesa, o anticattolico colla massoneria.

    3° Per la stessa ragione, la massoneria ne' conati che fa per estendersi tra i fedeli, deve tendere necessariamente al distruggimento della Chiesa per surrogar sè stessa. Dunque il massone e chi lo giova nell'opera sua è un persecutore ed un distruggitore della Chiesa.

    4° Niun cattolico può rendersi massone senza che si renda ad un tempo fedifrago verso la Chiesa, in quanto si collega co'suoi nemici e la combatte con essi. E però la sentenza di scomunica statuita dal Papa contro di lui è giustissima, non essendovi capo di niuna schiera, il quale non metta al bando e non cassi dalle sue file il soldato, che passa al campo nemico.

    [1] V. il volume precedente, pag, 421 e segg.

    [2] Mémoires pour servir a l'Histoire du Jacobinisme, Hamburg 1833. Discours préliminaire.

    [3] I have observed these doctrines gradually diffusing and mixing with all the different systems of Free Masonry; till, al last, an association has been formed for the express purpose of rooting out all the religious establishments, and overturning all the existing governments of Europe. Proofs of a conspiracy against all the religions and Governments of Europe. London 1797, v. Introduction.

    [4] La Frammassoneria e sua influenza sulla Svizzera, esposta e dimostrata istoricamente da Carlo Ludovico di Haller, tradotta con tutta fedeltà in lingua italiana da un amico del popolo e del progresso. Lucerna 1847.

    [5] Der Freimaurer orden in seiner wahrenn Bedeutung. Dresden 1852.

    [6] Magazin der Beweisführung fur Verurtheilung des Freimaurer-Ordens, als Ausganspunkt aller Zerstörungsthatigkeit gegen jedes Kirchenthum, Staathenthum, Familienthum und Eigenthum mittelst List, Verrath und Gewalt. Schaffhausen 1857.

    [7] The circulation of these publications excited a general alarm, and for some time checked the progress of the Society in Europe. Illustrations of Masonry, B. IV, §. 13.

    [8] Univers, 4 Mai 1852.

    [9] Preston, loc. cit. pag. 255 e segg. Findel, Histoire de la Franc-Maçonnerie, v. II, pag. 13 e segg. 401, 402. Masonic miscellanies, 1811, pagine 195, 221.

    [10] Carlo L. De Haller, La Frammassoneria e sua influenza sulla Svizzera, pag. 1, 2.

    [11] La Franc-Maçonnerie dans sa veritable signification, par Ed. Em. Eckert, traduit de l'allemand par l'abbé Gyr. Liége 1854, pag. VII. La Franc-Maçonnerie en elle-même, par l'abbé Gyr. Liége 1859, pag. VII.

    [12] Freemasons' Magazine, v. X, pag. 35.

    [13] Lettera circol. del 3 Giugno 1798.

    [14] V. Atto del Parlamento del 12 Luglio 1798. Cf. Continuation de l'histoire d'Angleterre du Docteur John Lingard, par M. De Marlès. Paris

    1846, v. V, pag. 475.

    [15] Ernst, und Falk, Gespräche für Freimaurer, Gesp. II, 1778.

    [16] Philosophie der Maurerei, Briefe an Constant in den Eleusinien des 19 Jahrh. Berlin 1802.

    [17] Nous suivrons un écrivain maçonnique contemporain M. Rud. Seydel, l'auteur inspiré des maçonnerie etc. Findel, v. I, pag. 13.

    [18] Cf. Reden über Freimaurerei an denkende Nichtmaurer. Leipzig 1859. Findel v. I: Introduction.

    [19] Discours prononcè à la réception des Freemaçons par Mr. de R., Grand-Orateur de l'Ordre.

    [20] Histoire des trois G. L. de Francs-maçons en France, pag. 41.

    [21] Documents maçonniques recueillis et annotés par François Favre. Paris 1866. Essai historique et philosophique §. II.

    [22] Etude critique et philosophique sur la maçonnerie, par E. Marchal Paris 1861.

    [23] La Massoneria e i suoi detrattori.

    [24] Le Globe, Archives des initiations,1840. Discours prononcé en tenue de maître, pag. 11.

    [25] V. Serie VI, vol. XI, pagg. 521 e segg.

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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    La Civiltà Cattolica anno XVII, vol. VII. della serie VI, Roma 1866 pagg. 402 - 415.
    CLEMENTE V E I TEMPLARI

    L'abolizione dell'Ordine dei Templari, fatta da Clemente V nel 1312, è uno di quegli avvenimenti, intorno a cui la luce della storia non sembra avere per anco dissipate tutte le tenebre del mistero. Anche oggidì, dopo cinque secoli e mezzo, e dopo che tanto si è studiato e scritto sopra questo celebre soggetto, rimangono degli enimmi da sciogliere, i quali forse non si scioglieranno mai; ed intorno, alla sostanza medesima del fatto e al giudizio da recarsi sopra gli attori principali di quella gran tragedia, le opinioni degli scrittori vanno tuttavia stranamente discordi. Benché i più e i migliori non esitino punto ad approvare, come giusta e necessaria, la gran sentenza che cancellò dal mondo quella milizia, già al gloriosa e potente, dei Cavalieri del Tempio, parecchi nondimeno stanno in forse; e non mancano eziandio difensori dichiarati e ardenti, che celebrano come martiri i Templari, o li compiangono almeno come vittime di una grande iniquità, della quale fan pesare il tremendo carico sopra il capo di Clemente V e di Filippo il Bello, congiurati con empio patto, ovvero cospiranti, l'uno per debolezza, l'altro per prepotenza, alla medesima, ingiustizia. Di modo che il gran processo, che tenne allora per ben cinque anni incerta ed ansiosa tutta la cristianità, non sembra ultimato nemmeno al presente, e le passioni d'allora sembrano avere tramandate fino a noi quasi un eco delle loro commozioni.

    In tal condizione di cose, ogni filo di luce che possa rischiarare la questione, dileguare qualche dubbio, confermare le verità già note, dee raccogliersi con diligenza; e poichè i documenti autentici e contemporanei sono la base più sicura della verità storica, a questi soprattutto si dee volgere l'attenzione studiosa del critico. Ora, principalissimo tra questi documenti è senza dubbio la Bolla di abolizione con cui Clemente V, nel Concilio ecumenico di Vienna, soppresse in perpetuo l'Ordine dei Templari.

    Di essa parlano tutti gli storici e ne indicano in succinto la sostanza; ma, cosa strana! il testo della Bolla non si legge presso niuno di loro; e, quel che è più strano, esso si cerca indarno eziandio nelle grandi Collezioni degli Annali ecclesiastici e degli Atti dei Concilii e dei Pontefici.
    immagine
    Papa Clemente V

    Il Rainaldi, nella sua Continuazione del Baronio, reca bensì vari Decreti pontificii, relativi alla causa dei Templari, ed all'anno 1312 recita eziandio l'esordio della Costituzione apostolica Considerantes dudum, del 6 Maggio, nel quale il Papa brevemente ricordando il contenuto della Bolla di abolizione, con cui, dic'egli, praefatum quondam Templi ordinem ae eius statum, habitum, atque nomen sustulimus, removimus et cassavimus, ac perpetuae prohibitioni subiecimus, ne parla come di cosa già fatta, e passa quindi a decretare varie disposizioni intorno alle persone dei Tempiari: ma, quanto al testo medesimo della Bolla di abolizione, ben si vede che l'Annalista non l'ebbe alla mano; altrimenti, piuttosto che citarne la breve e indiretta menzione che se ne fa in una Costituzione posteriore, non avrebbe mancato di allegare il tenore primitivo della Bolla medesima, che in così grave materia, era il documento capitale. La stessa lacuna incontrasi in tutti i Bollarii; la stessa, nelle grandi Raccolte dei Concilii dell' Harduino, del Labbe, del Mansi, dove si ha bensì la Bolla Ad providam del 2 Maggio, nella quale Clemente V prescrive quel che sia da farsi dei beni dei Templari soppressi, ma non si fa verbo della Bolla antecedente, con cui furono soppressi.

    Laonde dovrebbe dirsi che questa Bolla o sia al tutto perduta o sia rimasta sepolta in modo da sfuggire alle ricerche degli eruditi anco più illustri e diligenti. Quindi è che generalmente gli storici, e fra essi, ancor quelli di maggior merito, come il Becchetti continuatore dell'Orsi [1], il Rohrbacher [2], il Iager [3], il Christophe [4], il Wilcke [5], sono facilmente caduti nell'inganno di credere che la Bolla di abolizione altra non fosse che la Bolla Ad providam, o l'altra Considerantes dudum, del 2 e del 6 Maggio: con tutto che in queste due Costituzioni apostoliche, le quali non hanno altro scopo che di decretare disposizioni intorno ai beni e alle persone dei Templari soppressi, la soppressione dell'Ordine si supponga come già succeduta e promulgata, e solo venga menzionata storicamente nell'esordio delle medesime.

    La notizia pertanto dell'essersi alfine rinvenuta e richiamata alla pubblica luce delle stampe la vera e primitiva Bolla di abolizione dei Templari, deve giungere tanto più gradita, quanto era meno aspettata dall'universale dei dotti. Nell'estate del 1863, l'illustre Benedettino, D. Pio Gams, viaggiando in cerca di erudite notizie per la Spagna, ebbe contezza che il P. Caresman avea, già in sul cadere dei secolo scorso, ritrovato nell'archivio dì Ager, in Catalogna, il testo intero della Bolla predetta; che essa cominciava colle parole: Vox in excelso audita est lamentationis; che portava la data degli XI Kal. Aprilis (22 Marzo); e che insieme con essa aveasi pure intero il testo dell'altra Bolla, meno prolissa, del 6 Maggio, Considerantes dudum, di cui il Rainaldi, negli Annali, avea pubblicato il solo esordio. Ritornato poi di Spagna, il medesimo.D. Gams ebbe la ventura .di trovare queste due Bolle stampate per intero nella grand'opera di Gioacchíno Lorenzo Villanueva, intitolata: Viage literario à las iglesias de España. Madrid, 1806; al Tomo V, nell'Apendice de Documentos, pag. 207-221 e 22l-224. Siccome nondimeno quest'Opera è rarissima, le due Bolle, che il Villanueva probabilmente copiò dall'archivio di Ager, seguitarono a rimanere ignote al mondo erudito quasi al modo stesso che prima; come apparisce dal non averle adoperate nè accennate niuno dei molti Autori che nel secolo corrente scrissero intorno ai Templari e alla loro soppressione. È stato pertanto ottimo consiglio quello dell'illustre Hefele, di dare nuova luce a queste Bolle, traendole dall'oscurità in cui finora giacquero sepolte e dimentiche; e perciò, appena egli ebbe dal suo dotto amico, il Gams, partecipazione delle notizie or ora riferite, si affrettò di ristampare esattamente e integralmente l'una e l'altra Bolla nel Theologische Quartalschrift [6], dotto periodico di Tubinga, del quale egli è, con altri Professori di teologia cattolica nell'Università di Tubinga, scrittore principale.

    Non è già nostro intendimento di recitare qui intero il tenore del prezioso documento, che abbiamo sott'occhio; ma sibbene speriamo di far cosa grata ai nostri lettori col darne loro un esatto ragguaglio, recandone testualmente i passi più importanti, e fermandoci poi a trarne alcune considerazioni, utili a meglio intendere e giudicare quel grande avvenimento, che fu la distruzione dei Templari. Prima però, per maggiore chiarezza, giova richiamare brevemente alla memoria la serie degli atti principali che a cotesto avvenimento appartengono.

    Nel 1307, Filippo il Bello diede il primo e gran colpo all'Ordine dei Templari, coll'ordinare ed eseguir che fece in un medesimo giorno (13 Ottobre), per tutto il reame di Francia, l'imprigionamento dei Cavalieri; la reità dei quali era presso di lui cosa omai indubitata. Quest'atto della potestà laicale contro un Ordine religioso e sovrano che dipendeva unicamente dalla S. Sede, dispiacque fortemente al Papa Clemente V; e non solo ei ne mosse al Re gravissime rimostranze, ma rivocò immantinente al proprio tribunale tutta fa causa dei Templari, e costrinse il focoso e prepotente Filippo ad aspettare dalla bocca della Chiesa il solenne giudizio che ella porterebbe sopra i medesimi. Clemente V avea finora poco o nulla creduto alle orribili accuse di cui venivano gravati quei Cavalieri, ed erasi perciò sempre mostrato restio alle iterate istanze che contro di loro facevagli il Re, nel quale egli avea per altro buona ragione di sospettare che lo zelo di religione e di giustizia servisse a mantellare per avventura biechi intenti di avarizia o di despotismo. Ma, tosto che ebbe cominciato a recarsi in mano la cognizione giuridica della causa, furono sì spaventose le rivelazioni che ottenne, e sì convincenti le prove degli abbominevoli eccessi onde i Templari erano incolpati, ch'egli ne inorridì, e risolvette di scoprire fino al fondo cotesta orribile e gran piaga, per estirparla tosto fin dalle radici e purgarne per sempre il seno della Chiesa. Pertanto non solo ordinò, che in Francia si ripigliassero dai Vescovi e dagli Inquisitori i processi già cominciati contro i Templari, ma con lettere e Bolle, indirizzate ai Principi e al Vescovi in Inghilterra, in Italia, in Germania, in Ispagna e in tutte le terre della Cristianità, dov'erano Templari, intimò, che all'esempio della Francia, si arrestassero tutti i membri dell'Ordine, si sottomettessero a rigoroso esame, e gli atti giuridici di cotesti esami s'inviassero alla S. Sede. Quattr'anni interi, dal 1307 al 1311, durò questo gran processo, per cui tutta l'Europa parea divenuta un vasto tribunale; ed esaurite finalmente le inquisizioni e le indagini della più scrupolosa giustizia, il Pontefice risolse di venire all'ultimo atto della sentenza.

    A tal fine egli avea già fin dal 12 Agosto 1348 intimato colla Bolla: Regnans in coelis triumphans Ecclesia, un Concilio generale, da aprirsi in Vienna (nel Delfinato) la festa degli Ognissanti del 1310, che poi prorogò al dí 1 Ottobre dell'anno seguente. Radunato adunque il Concilio, Clemente nella prima Sessione, tenutasi il 16 Ottobre 1311, espose ai Padri gli oggetti proposti alle loro deliberazioni, fra i quali primo e principale era la causa dei Templari. Indi, fatta eleggere dal Concilio una numerosa deputazione di Prelati a trattare specialmente di tal negozio, comunicò loro tutti gli atti de' processi, che da ogni parte del mondo erangli stati trasmessi; e volle avere da ciascun di loro il suo parere. Infine, dopo lunghe conferenze e maturi esami, continuati per ben cinque mesi, Clemente V promulgò la sentenza finale di abolizione, dapprima in un Concistoro secreto di Cardinali e di molti Vescovi, tenuto il dì 22 Marzo 1312, poi nella solenne adunanza di tutto il Concilio, cioè nella seconda Sessione ch'esso tenne il 3 Aprile, ed a cui intervenne in persona anche il Re di Francia, Filippo il Bello, coi tre suoi figli e col Conte di Valois suo fratello, e coi magnati della sua Corte. Questa doppia promulgazione è attestata dai biografi di Clemente V, presso il Baluzio [7] e il Rainaldi [8]; ed è fuor di dubbio che la Bolla, la quale allora ivi fu promulgata, è appunto là Bolla: Vox in excelso, che or ora esporremo. Abolito l'Ordine del Tempio, restava a determinare l'uso da farsi dei beni immensi da lui posseduti, e a decretare i provvedimenti da pigliarsi intorno a' suoi membri disciolti. Quanto ai beni, il Papa decretò, colla Bolla: Ad providam, del 2 Maggio 1312, che essi venissero interamente trasmessi, in servizio di Terra santa, all'Ordine dei Cavalieri gerosolimitani; salvo che nei regni di Castiglia, di Aragona, di Portogallo e delle isole Baleari, dove li concedette poscia ai Sovrani di questi Stati per la guerra contro i Mori. Quanto alle persone dei Templari, stabilì i varii ordinamenti da tenersi, coll'altra Bolla: Considerantes dudum, data il 6 Maggio, nella terza ed ultima Sessione solenne del Concilio. Queste due Bolle pertanto sono come il compimento della Bolla di abolizione, del 22 Marzo; ma non si debbono altrimenti con essa confondere, come han fatto finora generalmente gli storici: e benchè ambedue nel loro esordio ricordino la sentenza già data dell'abolizione medesima, questa però non forma già il tema loro proprio, ma vien solo storicamente allegata come fondamento necessario alle ordinazioni che in ciascuna si decretano.

    Ciò premesso, veniamo al testo di questa Bolla fondamentale.

    Ella comincia con un eloquente esordio, in cui il Papa con profondi sensi di dolore, ed usando con appropriazione mirabile il sublime linguaggio dei Profeti, deplora l'orrenda ed incredibile prevaricazione, in cui quell'Ordine già sì illustre del Tempio era caduto e per cui rendeasi degno dell'estrema maledizione. Esso è un sì bel tratto di eloquenza ecclesiastica, che non ci dà l'animo di frodarne pur d'un iota il nostro lettore. Eccolo pertanto nella sua originale interezza:

    Vox in excelso audita est lamentationis, fletus et luctus; quia venit tempus, tempus venit quo per prophetam conqueritur Dominus. In furorem et indignationem mihi facta est domus haec; auferetur de conspectu meo propter malitiam filiorum suorum, quia me ad iracundiam provocabant, vertentes ad me terga et non facies, ponentes idola sua in domo, in qua invocatum est nomen meum, ut polluerent ipsam. Aedificaverunt excelsa Baal, ut initiarent et consecrarent filios suos idolis atque daemoniis (Ierem. XXXII, 31-35); profunde peccaverunt, sicut in diebus Gabaa (Osea, IX, 9). Ad tam horrendum auditum tantumque horrorem vulgatae infamiae (quod quis unquam audivit tale? quis vidit huic simile?) corrui cum audirem, contristatus sum cum viderem, amaruit cor meum, tenebrae exstupefecerunt me. Vox enim populi de civitate, vox de templo, vox Domini reddentis retributionem inimicis suis. Exclamare Propheta compellitur: Da eis, Domine, da eis vulvam sine liberis et ubera arentia (Osea, IX, 14). Nequitiae eorum revelatae sunt propter malitiam ipsorum. De domo tua eiice illos. El siccetur radix eorum, fructum nequaquam faciant, non sit ultra domus haec offendiculum amaritudinis, et spina dolorem inferens (Ezech. XXVIII, 24); non enim parva est fornicatio eius immolantis filios suos, dantis illos et consecrantis daemoniis et non Deo, diis quos ignorabant; propterea in solitudinem et opprobrium, in maledictionem et in desertum erit domus haec, confusa nimis et adaequata pulveri; novissime deserta et invia, et arens ab ira Domini quem contempsit; non habitetur, sed redigatur in solitudinem, et omnes super eam stupeant, et sibilent super universis plagis eius (Ierem. L, 12, 13). Non enim propter locum gentem, sed propter gentem locum elegit Dominus; ideo et ipse locus templi particeps factus est populi malorum, ipso Domino ad Salomonem aedificantem sibi templum, qui impletus est quasi flumine sapientia, apertissime praedicante: Si aversione aversi fueritis, filii vestri, non sequentes et colentes me, sed abeuntes, et colentes Deos alienos et adorantes ipsos, proiiciam eos a facie mea, et expellam de terra quam dedi eis, et templum quod sanctificavi nomini meo, a facie mea proiiciam, et erit in proverbium et in fabulam, et populis in exemplum. Omnes transeuntes videntes stupebunt et sibilabunt, et dicent; quare sic fecit Dominus templo et domui huic? Et respondebunt, quia recesserunt a Domino Deo suo, qui emit et redemit eos, et secuti sunt Baal et Deos alienos, et adoraverunt eos et coluerunt; iccirco induxit Dominus super ipsos hoc malum grande (III Reg. IX, 6-9).

    Dopo questo esordio, il Papa entra nella esposizione storica del fatto, ritessendo tutto l'ordine dei procedimenti da lui tenuti nella causa dei Templari. Questa esposizione può distinguersi in due parti: l'una comprende gli atti precedenti all'apertura del Concilio, l'altra le discussioni agitate dal Pontefice coi Padri del Concilio medesimo. Quanto alla prima, siccome non è altro che la ripetizione quasi letterale di quel che già leggesi nella Bolla Regnans in coelis sopra citata, non accade che noi ne rechiamo il testo, potendolo ognuno facilmente riscontrare in cotesta Bolla presso il Cherubini [9] o il Mansi [10] o il Rainaldi [11]. Bensì ne ricorderemo sommariamente la sostanza, affinchè si abbia intera sotto gli occhi la contenenza del documento che qui descriviamo.

    Narra dunque il Papa, come fin dai principii del suo pontificato e prima eziandio di coronarsi in Lione, fossero a lui riferite gravissime accuse contro il Gran Maestro, i Precettori ed i Cavalieri del Tempio, incolpati di apostasia, d'idolatria, di disonestà nefande e di varie eresie. Ma, perocchè siffatti eccessi gli erano parsi cosa incredibile in un Ordine religioso, consecrato specialmente a militare per Cristo, e a cui, oltre i meriti antichi, non mancavano tuttavia grandi apparenze di pietà e di virtù, perciò non aver egli voluto da principio dare orecchio a tali delazioni. Ma poi, avendo Filippo, re di Francia, non già per gola dei beni dei Templari, ai quali anzi aveva interamente rinunziato, ma sì per zelo della fede, prese intorno a ciò ed inviate alla S. Sede molte e gravi informazioni; e d'altra parte crescendo ogni dì più per la divulgazione dei predetti eccessi la pubblica infamia contro l'Ordine; ed avendo egli medesimo, il Papa, da uno dei principali Cavalieri avuto confessione giurata degli orrendi riti che praticavansi nel ricevere i nuovi membri dell'Ordine (cioè rinnegare Cristo, sputare sopra la Croce, con altri atti illeciti e sconci); essergli stato impossibile il non porgere finalmente ascolto alle clamorose istanze che il Re, i Duchi, i Conti e Baroni, e il Clero e il popolo del regno di Francia da ogni parte alzavano contro il Gran Maestro e i Cavalieri del Tempio, i quali d'altra parte già erano rei confessi per le deposizioni che avean fatte al tribunale dell'Inquisitore e di molti Prelati. Perciò aver egli determinato di procedere con seria inquisizione all'esame degli apposti reati; è in primo luogo, aver egli medesimo, coll'assistenza di più Cardinali, esaminati ben settantadue de' principali Cavalieri, i quali liberamente rinnovarono con giuramento le confessioni, già fatte dinanzi ad altri tribunali; indi, aver chiamato a sè in Poitiers il Gran Maestro, il Visitatore di Francia e i Precettori maggiori di Normandia, di Aquitania, del Poitou e della terra oltremare (sostenuti allora a Chinon), ma non potendo alcuni d'essi per infermità imprendere il viaggio, aver egli mandato loro per esaminarli i tre Cardinali Berengario, Stefano e Landolfo, ai quali gli accusati con giuramento confermarono la verità delle deposizioni che aveano già fatte (in Parigi) al tribunale dell'Inquisitore di Francia, e specialmente confessarono d'avere rinnegato Cristo e sputato sulla Croce, quando erano stati ricevuti nell'Ordine, e d'avere poi essi con simile rito ricevuti molti altri, e infine con umile pentimento chiesero l'assoluzione dalle censure, la quale fu loro dal Cardinali, secondo l'espressa autorità che ne aveano dal Papa, benignamente compartita; gli atti autentici poi di queste loro confessioni essere stati dai tre Cardinali presentati al Papa, ed essersi egli convinto quindi della reità del Gran Maestro, del Visitatore e dei Precéttori predetti. Finalmente, aver egli, col consiglio del Collegio de' Cardinali, decretato che in ogni parte dei mondo dov'erano Templari, i Vescovi o altri Delegati pontificii procedessero a somiglianti esami contro i singoli membri dell'Ordine; e gli atti di questi processi essere già pervenuti nelle sue mani, ed essere stati da lui e dai Cardinali e da altri savii e zelanti Prelati, diligentemente letti ed esaminati.

    Fin qui la prima parte della esposizione storica, quella cioè che narra gli atti precedenti all'apertura del Concilio. La seconda, men prolissa, abbraccia il tempo del Concilio medesimo, dalla sua prima Sessione del 16 Ottobre 1311 fino al Marzo seguente; ed espone come, attesa l'impossibilità di esaminare in piena adunanza la causa dei Templari, il Papa fece deputare a tal esame una eletta di Padri, coi quali, dopo che ebbero con lunga e diligentissima opera studiati i processi, egli deliberò qual sentenza fosse da pronunziare e in qual modo; se cioè l'Ordine intiero potesse condannarsi e abolirsi come reo, ovvero, senza formale condanna, dovesse soltanto sopprimersi per via di provvedimento prudenziale, attesa l'indubitata reità di tanti e principalissimi suoi membri; ed enumera infine le gravissime ragioni, per cui il Papa si attenne all'ultimo partito. Ma, poichè questa seconda parte è la più nuova, ed al tempo stesso la più importante a conoscersi per ben intendere la questione principale, non ci graveremo di recarne per intiero il testo. Essa dunque dice così:

    Post quae dum venissemus Viennam, et essent iam quamplures patriarchae, archiepiscopi, episcopi electi, abbates exempti et non exempti, et alii ecclesiarum praelati, nec non et procuratores absentium praelatorum et capitulorum ibidem pro convocato a nobis Concilio congregati, Nos post primam sessionem, quam inibi cum dictis Cardinalibus et cum praefatis praelatis et procuratoribus tenuimus, in qua causas convocationis Concilii eisdem duximus exponendas, quia erat difficile, immo fere impossibile, praefatos Cardinales et universos praelatos et procuratores in praesenti Concilio congregatos ad tractandum de modo procedendi super et in facto seu negotio fratrum Ordinis praedictorum in nostra praesentia convenire, de mandato nostro ab universis praelatis et procuratoribus in hoc Concilio existentibus certi patriarchae, archiepiscopi, episcopi, abbates exempti et non exempti et alii ecclesiarum praelati et procuratores de universis christianitatis partibus quarumcumque linguarum, nationum et regionum, qui de peritioribus, discretioribus et idoneioribus ad consulendum in tali et tanto negotio et ad tractandum una Nobiscum et cum Cardinalibus antedictis tam solemne factum sive negotium credebantur, electi concorditer et assumpti fuerunt. Post quae praefatas attestationes super inquisitionem Ordinis praelibati receptas coram ipsis praelatis et procuratoribus per plures dies et quantum ipsi voluerunt audire, publice legi fecimus in loco ad tenendum Concilium deputato, videlicet in ecclesia cathedrali, et subsequenter per multos venerabiles fratres nostros, patriarcham Aquileiensem, archiepiscopos et episcopos in praesenti sacro Concilio existentes, electos et deputatos ad hoc, per electos a toto Concilio, cum magna diligentia et sollicitudine, non perfunctorie, sed moratoria tractatione dictae attestationes ac rubricae super his factae, visae, perlectae et examinatae fuerunt. Praefatis itaque Cardinalibus, patriarchis, archiepiscopis et episcopis, abbatibus exemptis et non exemptis, et aliis praelatis et procuratoribus, ab aliis, ut praemittitur, electis propter praemissum negotium , in nostra praesentia constitutis, facta per Nos propositione et consultatione secreta, qualiter esset in eodem negotio procedendum, praesertim cum quidam templarii ad defensionem eiusdem Ordinis se offerrent, maiori parti Cardinalium et toti fere Concilio, illis videlicet, qui a toto Concilio, ut praemittitur, sunt electi et quoad hoc vices totius Concilii repraesentant, vel parti multo maiori, quinimo quatuor vel quinque partibus eorundem cuiuscumque nationis in Concilium existentium indubitatum videbatur, et ita dicti praelati et procuratores sua consilia dederunt, quod ipsi Ordini defensio dari deberet, et quod ipse Ordo de haeresibus, de quibus inquisitum est contra ipsum, per ea quae hactenus sunt probata, absque offensa Dei et iuris iniuria condemnari nequeat; aliis quibusdam e contra dicentibus, dictos fratres non esse (ad) defensionem dicti Ordinis admittendos, nec Nos dare debere defensionem eidem, si enim, ut dicebant praemissi, eiusdem Ordinis defensio admittatur vel detur, ex hoc ipsius negotii periculum, et non modicum terrae sanctae subsidii detrimentum sequeretur, et altercatio et retardatio ac decisionis ipsius negotii dilatio; ad haec multas rationes et varias allegantes.Verum, licet ex processibus habitis contra Ordinem memoratum ipse ut haereticalis per definitivam sententiam canonice condemnari non possit; quia tamen idem Ordo de illis haeresibus, quae imponuntur eidem, est plurimum diffamatus, et quia quasi infinitae personae illius Ordinis, inter quas sunt generalis Magister, Visitator Franciae et maiores praeceptores ipsius, per eorum confessiones spontaneas de praedictis haeresibus, erroribus et sceleribus sunt convictae, quia etiam ipsae confessiones dictum Ordinem reddunt valde suspectum, et quia infamia et suspicio praelibatae dictum Ordinem reddunt Ecclesiae sanctae Dei et praelatis eiusdem ac regibus aliisque principibus et caeteris catholicis nimis abominabilem et exosum, quia etiam verisimile creditur, quod amodo bona non reperiretur porsona, quae dictum Ordinem vellet intrare, propter quae ipse Ordo Ecclesiae Dei, ac prosecutioni negotii terrae sanctae, ad cuius servitium fuerant deputati, inutilis redderetur, quoniam insuper ex dilatione decisionis seu orditiationis dicti negotii, ad quam faciendam vel sententiam promulgandam terminus peremptorius fuerat in praesenti Concilio praefatis Ordini et fratribus assignatus a Nobis, bonorum templi, quae dudum ad subsidium terrae sanctae et impugnationem inímicorum fidei christianae a Christi fidelibus data, legata ed concessa fuerunt, totalis amissio, destructio et dilapidatio, ut probabiliter creditur, sequeretur; inter eos qui dicunt, ex nunc contra dictum Ordinem pro dictis criminibus condemnationis sententiam promulgandam, ed alios qui dicunt, ex processibus praehabitis contra dictum Ordinem condemnationis sententiam iure ferri non posse, longa et matura deliberatione praehabita, solum Deum habentes prae oculis, et ad utilitatem negotii terrae sanctae respectum habentes, non declinantes ad dexteram vel sinistram, viam provisionis et ordinationis duximus eligendam, per quam tollentur scandala, vitabuntur pericula et bona conservabuntur subsidio terrae sanctae.

    Qui termina l'esposizione storica dei procedimenti tenuti dal Pontefice nella causa dei Templari. Dopo la quale viene immantinente la parte dispositiva della Bolla, cioè il decreto di abolizione, che è dei tenore seguente :

    Considerantes itaque infamiam, suspicionem, clamosam insinuationem et alia supradicta, quae contra Ordinem faciunt supradictum, necnon et occultam et clandestinam receptionem fratrum ipsius Ordinis, differentiamque multorum fratrum eiusdem a communi conversatione, vita et moribus aliorum Christi fidelium, in eo maxime quod recipientes aliquos in fratres sui Ordinis, receptos in ipsa receptione professionem emittere faciebant et iurare, modum receptionis nemini revelare, nec religionem illam exire, ex quibus contra eos praesumitur evidenter; attendentes insuper grave scandalum ex praedictis contra Ordinem praelibatum subortum fuisse, quod non videretur posse sedari eodem Ordine remanente, necnon et fidei et animarum pericula, et quamplurimorum fratrum dicti Ordinis horribilia multa facta, et multas alias rationes iustas et causas, quae nostrum ad infra scripta movere animum rationabiliter et debite potuerunt; quia et maiori parti dictorum Cardinalium et praedictorum a toto Concilio electorum, plus quam quatuor vel quinque partibus eorumdem, visum est decentius et expedientius et utilius pro Dei honore et pro conservatione fidei christianae ac subsidio, terrae sanctae, multisque aliis rationibus validis, sequendam fore potius viam ordinationis et provisionis Sedis Apostolicae, Ordinem saepe fatum tollendo et bona ad usum, ad quem deputata fuerant, applicando, de personis etiam ipsius Ordinis, quae vivunt, salubriter providendo, quam defensionis iuris observationes el negotii prorogationes; animadvertentes quoque quod alias, etiam sine culpa fratrum, Ecclesia Romana fecit interdum alios ordines solemnes ex causis incomparabiliter minoribus, quam sint praemissae, cessare: non sine cordis amaritudine et dolore, non per modum definitivae sententiae, sed per modum provisionis seu ordinationis apostolicae praefatum Templi Ordinem et eius statum, habitum atque nomen irrefragabili et perpetuo valitura tollimus sanctione, ac perpetuae prohibitioni subiicimus, sacro Concilio approbante, districtius inhibentes, ne quis dictum Ordinem de caetero intrare, vel eius habitum suscipere vel portare, aut pro templario gerere se praesumat. Quod si quis contra fecerit, excommunicationis incurrat sententiam ipso facto. Porro, Nos personas et bona eadem Nostrae ac apostolicae Sedis ordinationi et dispositioni, quam, gratia divina favente, ad Dei honorem et exaltationem fidei christianae ac statum prosperum terrae sanctae facere intendimus, antequam praesens sacrum terminetur Concilium, reservamus; inhibentes districtius, ne quis, cuiuscumque conditionis vel status existat, se de personis vel bonis huiusmodi aliquatenus intromittat, vel circa ea in ordinationis, sive dispositionis nostrae per Nos, ut praemittitur, faciendae praeiudicium alíquod faciat, innovet vel attentet. Decernentes ex nunc irritum et inane, si secus a quoquam scienter ved ignoranter contigerit attentari. Per hoc tamen processibus factis vel faciendis circa singulares personas ipsorum templariorum per dioecesanos episcopos et provincialia concilia, prout per Nos alias extitit ordinatum, nolumus derogari. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae ordínationis, provisionis, constitutionis et inhibitionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri el Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. — Datum Viennae, XI calendas Aprilis, pontificatus nostri anno septimo.

    Tal è la sostanza e il tenore della Bolla, che estinse in perpetuo l'Ordine già sì illustre dei Cavalieri del Tempio, dopo quasi due secoli di vita. Ella sparge non poca luce sopra quel grande avvenimento, e soprattutto serve mirabilmente a giustificare Clemente V delle accuse onde molti scrittori hanno aggravato, quanto al fatto dei Templari, la sua memoria, Ma di ciò ci riserbiamo a discorrere in un altro articolo.
    Seconda parte


    NOTE:

    [1] Storia ecclesiastica, Lib. LXXVII, §. 46.

    [2] Storia universale della Chiesa, Lib. LXXVII.

    [3] Histoire de l'Eglise catholique en France, Tome X, pag. 458. Paris, 1865. Quest'Opera insigne è ancora in corso di pubblicazione.

    [4] Histoire da la Papauté, pendant le XIV siècle, Tome 1, pag. 261 - Paris, 1853.

    [5] Geschichte der Ordens der Tempelherrn (Storia dell'Ordine dei Templari) 1860. Vol. II, p. 307 e 483.

    [6] Vedi il primo fascicolo trimestrale (Erstes Quartalheft) del corrente anno 1866, pag. 56-84 Le due Bolle sono precedute da brevi notizie ed osservazioni dell'editore intorno alla loro storia e contenenza.

    [7] Vitae Paparum Avenionensium, T. 1.

    [8] Annales Eccles., a. 1312.

    [9] Bullarium romanum, T. I, pag. 164, dal §. 5: Dudum siquidem, sino al fine del §. 11 (Edizione romana del 1638).

    [10] Collect. Concil. T. XXV.

    Fonte http://progettobarruel.zxq.net/novit...emplari_I.html
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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    La Civiltà Cattolica anno XVII, vol. VII. della serie VI, Roma 1866 pagg. 402 - 415.
    CLEMENTE V E I TEMPLARI
    (Prima parte)


    L'abolizione dell'Ordine dei Templari, fatta da Clemente V nel 1312, è uno di quegli avvenimenti, intorno a cui la luce della storia non sembra avere per anco dissipate tutte le tenebre del mistero. Anche oggidì, dopo cinque secoli e mezzo, e dopo che tanto si è studiato e scritto sopra questo celebre soggetto, rimangono degli enimmi da sciogliere, i quali forse non si scioglieranno mai; ed intorno, alla sostanza medesima del fatto e al giudizio da recarsi sopra gli attori principali di quella gran tragedia, le opinioni degli scrittori vanno tuttavia stranamente discordi. Benché i più e i migliori non esitino punto ad approvare, come giusta e necessaria, la gran sentenza che cancellò dal mondo quella milizia, già al gloriosa e potente, dei Cavalieri del Tempio, parecchi nondimeno stanno in forse; e non mancano eziandio difensori dichiarati e ardenti, che celebrano come martiri i Templari, o li compiangono almeno come vittime di una grande iniquità, della quale fan pesare il tremendo carico sopra il capo di Clemente V e di Filippo il Bello, congiurati con empio patto, ovvero cospiranti, l'uno per debolezza, l'altro per prepotenza, alla medesima, ingiustizia. Di modo che il gran processo, che tenne allora per ben cinque anni incerta ed ansiosa tutta la cristianità, non sembra ultimato nemmeno al presente, e le passioni d'allora sembrano avere tramandate fino a noi quasi un eco delle loro commozioni.

    In tal condizione di cose, ogni filo di luce che possa rischiarare la questione, dileguare qualche dubbio, confermare le verità già note, dee raccogliersi con diligenza; e poichè i documenti autentici e contemporanei sono la base più sicura della verità storica, a questi soprattutto si dee volgere l'attenzione studiosa del critico. Ora, principalissimo tra questi documenti è senza dubbio la Bolla di abolizione con cui Clemente V, nel Concilio ecumenico di Vienna, soppresse in perpetuo l'Ordine dei Templari.

    Di essa parlano tutti gli storici e ne indicano in succinto la sostanza; ma, cosa strana! il testo della Bolla non si legge presso niuno di loro; e, quel che è più strano, esso si cerca indarno eziandio nelle grandi Collezioni degli Annali ecclesiastici e degli Atti dei Concilii e dei Pontefici.
    immagine
    Papa Clemente V

    Il Rainaldi, nella sua Continuazione del Baronio, reca bensì vari Decreti pontificii, relativi alla causa dei Templari, ed all'anno 1312 recita eziandio l'esordio della Costituzione apostolica Considerantes dudum, del 6 Maggio, nel quale il Papa brevemente ricordando il contenuto della Bolla di abolizione, con cui, dic'egli, praefatum quondam Templi ordinem ae eius statum, habitum, atque nomen sustulimus, removimus et cassavimus, ac perpetuae prohibitioni subiecimus, ne parla come di cosa già fatta, e passa quindi a decretare varie disposizioni intorno alle persone dei Tempiari: ma, quanto al testo medesimo della Bolla di abolizione, ben si vede che l'Annalista non l'ebbe alla mano; altrimenti, piuttosto che citarne la breve e indiretta menzione che se ne fa in una Costituzione posteriore, non avrebbe mancato di allegare il tenore primitivo della Bolla medesima, che in così grave materia, era il documento capitale. La stessa lacuna incontrasi in tutti i Bollarii; la stessa, nelle grandi Raccolte dei Concilii dell' Harduino, del Labbe, del Mansi, dove si ha bensì la Bolla Ad providam del 2 Maggio, nella quale Clemente V prescrive quel che sia da farsi dei beni dei Templari soppressi, ma non si fa verbo della Bolla antecedente, con cui furono soppressi.

    Laonde dovrebbe dirsi che questa Bolla o sia al tutto perduta o sia rimasta sepolta in modo da sfuggire alle ricerche degli eruditi anco più illustri e diligenti. Quindi è che generalmente gli storici, e fra essi, ancor quelli di maggior merito, come il Becchetti continuatore dell'Orsi [1], il Rohrbacher [2], il Iager [3], il Christophe [4], il Wilcke [5], sono facilmente caduti nell'inganno di credere che la Bolla di abolizione altra non fosse che la Bolla Ad providam, o l'altra Considerantes dudum, del 2 e del 6 Maggio: con tutto che in queste due Costituzioni apostoliche, le quali non hanno altro scopo che di decretare disposizioni intorno ai beni e alle persone dei Templari soppressi, la soppressione dell'Ordine si supponga come già succeduta e promulgata, e solo venga menzionata storicamente nell'esordio delle medesime.

    La notizia pertanto dell'essersi alfine rinvenuta e richiamata alla pubblica luce delle stampe la vera e primitiva Bolla di abolizione dei Templari, deve giungere tanto più gradita, quanto era meno aspettata dall'universale dei dotti. Nell'estate del 1863, l'illustre Benedettino, D. Pio Gams, viaggiando in cerca di erudite notizie per la Spagna, ebbe contezza che il P. Caresman avea, già in sul cadere dei secolo scorso, ritrovato nell'archivio dì Ager, in Catalogna, il testo intero della Bolla predetta; che essa cominciava colle parole: Vox in excelso audita est lamentationis; che portava la data degli XI Kal. Aprilis (22 Marzo); e che insieme con essa aveasi pure intero il testo dell'altra Bolla, meno prolissa, del 6 Maggio, Considerantes dudum, di cui il Rainaldi, negli Annali, avea pubblicato il solo esordio. Ritornato poi di Spagna, il medesimo.D. Gams ebbe la ventura .di trovare queste due Bolle stampate per intero nella grand'opera di Gioacchíno Lorenzo Villanueva, intitolata: Viage literario à las iglesias de España. Madrid, 1806; al Tomo V, nell'Apendice de Documentos, pag. 207-221 e 22l-224. Siccome nondimeno quest'Opera è rarissima, le due Bolle, che il Villanueva probabilmente copiò dall'archivio di Ager, seguitarono a rimanere ignote al mondo erudito quasi al modo stesso che prima; come apparisce dal non averle adoperate nè accennate niuno dei molti Autori che nel secolo corrente scrissero intorno ai Templari e alla loro soppressione. È stato pertanto ottimo consiglio quello dell'illustre Hefele, di dare nuova luce a queste Bolle, traendole dall'oscurità in cui finora giacquero sepolte e dimentiche; e perciò, appena egli ebbe dal suo dotto amico, il Gams, partecipazione delle notizie or ora riferite, si affrettò di ristampare esattamente e integralmente l'una e l'altra Bolla nel Theologische Quartalschrift [6], dotto periodico di Tubinga, del quale egli è, con altri Professori di teologia cattolica nell'Università di Tubinga, scrittore principale.

    Non è già nostro intendimento di recitare qui intero il tenore del prezioso documento, che abbiamo sott'occhio; ma sibbene speriamo di far cosa grata ai nostri lettori col darne loro un esatto ragguaglio, recandone testualmente i passi più importanti, e fermandoci poi a trarne alcune considerazioni, utili a meglio intendere e giudicare quel grande avvenimento, che fu la distruzione dei Templari. Prima però, per maggiore chiarezza, giova richiamare brevemente alla memoria la serie degli atti principali che a cotesto avvenimento appartengono.

    Nel 1307, Filippo il Bello diede il primo e gran colpo all'Ordine dei Templari, coll'ordinare ed eseguir che fece in un medesimo giorno (13 Ottobre), per tutto il reame di Francia, l'imprigionamento dei Cavalieri; la reità dei quali era presso di lui cosa omai indubitata. Quest'atto della potestà laicale contro un Ordine religioso e sovrano che dipendeva unicamente dalla S. Sede, dispiacque fortemente al Papa Clemente V; e non solo ei ne mosse al Re gravissime rimostranze, ma rivocò immantinente al proprio tribunale tutta fa causa dei Templari, e costrinse il focoso e prepotente Filippo ad aspettare dalla bocca della Chiesa il solenne giudizio che ella porterebbe sopra i medesimi. Clemente V avea finora poco o nulla creduto alle orribili accuse di cui venivano gravati quei Cavalieri, ed erasi perciò sempre mostrato restio alle iterate istanze che contro di loro facevagli il Re, nel quale egli avea per altro buona ragione di sospettare che lo zelo di religione e di giustizia servisse a mantellare per avventura biechi intenti di avarizia o di despotismo. Ma, tosto che ebbe cominciato a recarsi in mano la cognizione giuridica della causa, furono sì spaventose le rivelazioni che ottenne, e sì convincenti le prove degli abbominevoli eccessi onde i Templari erano incolpati, ch'egli ne inorridì, e risolvette di scoprire fino al fondo cotesta orribile e gran piaga, per estirparla tosto fin dalle radici e purgarne per sempre il seno della Chiesa. Pertanto non solo ordinò, che in Francia si ripigliassero dai Vescovi e dagli Inquisitori i processi già cominciati contro i Templari, ma con lettere e Bolle, indirizzate ai Principi e al Vescovi in Inghilterra, in Italia, in Germania, in Ispagna e in tutte le terre della Cristianità, dov'erano Templari, intimò, che all'esempio della Francia, si arrestassero tutti i membri dell'Ordine, si sottomettessero a rigoroso esame, e gli atti giuridici di cotesti esami s'inviassero alla S. Sede. Quattr'anni interi, dal 1307 al 1311, durò questo gran processo, per cui tutta l'Europa parea divenuta un vasto tribunale; ed esaurite finalmente le inquisizioni e le indagini della più scrupolosa giustizia, il Pontefice risolse di venire all'ultimo atto della sentenza.

    A tal fine egli avea già fin dal 12 Agosto 1348 intimato colla Bolla: Regnans in coelis triumphans Ecclesia, un Concilio generale, da aprirsi in Vienna (nel Delfinato) la festa degli Ognissanti del 1310, che poi prorogò al dí 1 Ottobre dell'anno seguente. Radunato adunque il Concilio, Clemente nella prima Sessione, tenutasi il 16 Ottobre 1311, espose ai Padri gli oggetti proposti alle loro deliberazioni, fra i quali primo e principale era la causa dei Templari. Indi, fatta eleggere dal Concilio una numerosa deputazione di Prelati a trattare specialmente di tal negozio, comunicò loro tutti gli atti de' processi, che da ogni parte del mondo erangli stati trasmessi; e volle avere da ciascun di loro il suo parere. Infine, dopo lunghe conferenze e maturi esami, continuati per ben cinque mesi, Clemente V promulgò la sentenza finale di abolizione, dapprima in un Concistoro secreto di Cardinali e di molti Vescovi, tenuto il dì 22 Marzo 1312, poi nella solenne adunanza di tutto il Concilio, cioè nella seconda Sessione ch'esso tenne il 3 Aprile, ed a cui intervenne in persona anche il Re di Francia, Filippo il Bello, coi tre suoi figli e col Conte di Valois suo fratello, e coi magnati della sua Corte. Questa doppia promulgazione è attestata dai biografi di Clemente V, presso il Baluzio [7] e il Rainaldi [8]; ed è fuor di dubbio che la Bolla, la quale allora ivi fu promulgata, è appunto là Bolla: Vox in excelso, che or ora esporremo. Abolito l'Ordine del Tempio, restava a determinare l'uso da farsi dei beni immensi da lui posseduti, e a decretare i provvedimenti da pigliarsi intorno a' suoi membri disciolti. Quanto ai beni, il Papa decretò, colla Bolla: Ad providam, del 2 Maggio 1312, che essi venissero interamente trasmessi, in servizio di Terra santa, all'Ordine dei Cavalieri gerosolimitani; salvo che nei regni di Castiglia, di Aragona, di Portogallo e delle isole Baleari, dove li concedette poscia ai Sovrani di questi Stati per la guerra contro i Mori. Quanto alle persone dei Templari, stabilì i varii ordinamenti da tenersi, coll'altra Bolla: Considerantes dudum, data il 6 Maggio, nella terza ed ultima Sessione solenne del Concilio. Queste due Bolle pertanto sono come il compimento della Bolla di abolizione, del 22 Marzo; ma non si debbono altrimenti con essa confondere, come han fatto finora generalmente gli storici: e benchè ambedue nel loro esordio ricordino la sentenza già data dell'abolizione medesima, questa però non forma già il tema loro proprio, ma vien solo storicamente allegata come fondamento necessario alle ordinazioni che in ciascuna si decretano.

    Ciò premesso, veniamo al testo di questa Bolla fondamentale.

    Ella comincia con un eloquente esordio, in cui il Papa con profondi sensi di dolore, ed usando con appropriazione mirabile il sublime linguaggio dei Profeti, deplora l'orrenda ed incredibile prevaricazione, in cui quell'Ordine già sì illustre del Tempio era caduto e per cui rendeasi degno dell'estrema maledizione. Esso è un sì bel tratto di eloquenza ecclesiastica, che non ci dà l'animo di frodarne pur d'un iota il nostro lettore. Eccolo pertanto nella sua originale interezza:

    Vox in excelso audita est lamentationis, fletus et luctus; quia venit tempus, tempus venit quo per prophetam conqueritur Dominus. In furorem et indignationem mihi facta est domus haec; auferetur de conspectu meo propter malitiam filiorum suorum, quia me ad iracundiam provocabant, vertentes ad me terga et non facies, ponentes idola sua in domo, in qua invocatum est nomen meum, ut polluerent ipsam. Aedificaverunt excelsa Baal, ut initiarent et consecrarent filios suos idolis atque daemoniis (Ierem. XXXII, 31-35); profunde peccaverunt, sicut in diebus Gabaa (Osea, IX, 9). Ad tam horrendum auditum tantumque horrorem vulgatae infamiae (quod quis unquam audivit tale? quis vidit huic simile?) corrui cum audirem, contristatus sum cum viderem, amaruit cor meum, tenebrae exstupefecerunt me. Vox enim populi de civitate, vox de templo, vox Domini reddentis retributionem inimicis suis. Exclamare Propheta compellitur: Da eis, Domine, da eis vulvam sine liberis et ubera arentia (Osea, IX, 14). Nequitiae eorum revelatae sunt propter malitiam ipsorum. De domo tua eiice illos. El siccetur radix eorum, fructum nequaquam faciant, non sit ultra domus haec offendiculum amaritudinis, et spina dolorem inferens (Ezech. XXVIII, 24); non enim parva est fornicatio eius immolantis filios suos, dantis illos et consecrantis daemoniis et non Deo, diis quos ignorabant; propterea in solitudinem et opprobrium, in maledictionem et in desertum erit domus haec, confusa nimis et adaequata pulveri; novissime deserta et invia, et arens ab ira Domini quem contempsit; non habitetur, sed redigatur in solitudinem, et omnes super eam stupeant, et sibilent super universis plagis eius (Ierem. L, 12, 13). Non enim propter locum gentem, sed propter gentem locum elegit Dominus; ideo et ipse locus templi particeps factus est populi malorum, ipso Domino ad Salomonem aedificantem sibi templum, qui impletus est quasi flumine sapientia, apertissime praedicante: Si aversione aversi fueritis, filii vestri, non sequentes et colentes me, sed abeuntes, et colentes Deos alienos et adorantes ipsos, proiiciam eos a facie mea, et expellam de terra quam dedi eis, et templum quod sanctificavi nomini meo, a facie mea proiiciam, et erit in proverbium et in fabulam, et populis in exemplum. Omnes transeuntes videntes stupebunt et sibilabunt, et dicent; quare sic fecit Dominus templo et domui huic? Et respondebunt, quia recesserunt a Domino Deo suo, qui emit et redemit eos, et secuti sunt Baal et Deos alienos, et adoraverunt eos et coluerunt; iccirco induxit Dominus super ipsos hoc malum grande (III Reg. IX, 6-9).

    Dopo questo esordio, il Papa entra nella esposizione storica del fatto, ritessendo tutto l'ordine dei procedimenti da lui tenuti nella causa dei Templari. Questa esposizione può distinguersi in due parti: l'una comprende gli atti precedenti all'apertura del Concilio, l'altra le discussioni agitate dal Pontefice coi Padri del Concilio medesimo. Quanto alla prima, siccome non è altro che la ripetizione quasi letterale di quel che già leggesi nella Bolla Regnans in coelis sopra citata, non accade che noi ne rechiamo il testo, potendolo ognuno facilmente riscontrare in cotesta Bolla presso il Cherubini [9] o il Mansi [10] o il Rainaldi [11]. Bensì ne ricorderemo sommariamente la sostanza, affinchè si abbia intera sotto gli occhi la contenenza del documento che qui descriviamo.

    Narra dunque il Papa, come fin dai principii del suo pontificato e prima eziandio di coronarsi in Lione, fossero a lui riferite gravissime accuse contro il Gran Maestro, i Precettori ed i Cavalieri del Tempio, incolpati di apostasia, d'idolatria, di disonestà nefande e di varie eresie. Ma, perocchè siffatti eccessi gli erano parsi cosa incredibile in un Ordine religioso, consecrato specialmente a militare per Cristo, e a cui, oltre i meriti antichi, non mancavano tuttavia grandi apparenze di pietà e di virtù, perciò non aver egli voluto da principio dare orecchio a tali delazioni. Ma poi, avendo Filippo, re di Francia, non già per gola dei beni dei Templari, ai quali anzi aveva interamente rinunziato, ma sì per zelo della fede, prese intorno a ciò ed inviate alla S. Sede molte e gravi informazioni; e d'altra parte crescendo ogni dì più per la divulgazione dei predetti eccessi la pubblica infamia contro l'Ordine; ed avendo egli medesimo, il Papa, da uno dei principali Cavalieri avuto confessione giurata degli orrendi riti che praticavansi nel ricevere i nuovi membri dell'Ordine (cioè rinnegare Cristo, sputare sopra la Croce, con altri atti illeciti e sconci); essergli stato impossibile il non porgere finalmente ascolto alle clamorose istanze che il Re, i Duchi, i Conti e Baroni, e il Clero e il popolo del regno di Francia da ogni parte alzavano contro il Gran Maestro e i Cavalieri del Tempio, i quali d'altra parte già erano rei confessi per le deposizioni che avean fatte al tribunale dell'Inquisitore e di molti Prelati. Perciò aver egli determinato di procedere con seria inquisizione all'esame degli apposti reati; è in primo luogo, aver egli medesimo, coll'assistenza di più Cardinali, esaminati ben settantadue de' principali Cavalieri, i quali liberamente rinnovarono con giuramento le confessioni, già fatte dinanzi ad altri tribunali; indi, aver chiamato a sè in Poitiers il Gran Maestro, il Visitatore di Francia e i Precettori maggiori di Normandia, di Aquitania, del Poitou e della terra oltremare (sostenuti allora a Chinon), ma non potendo alcuni d'essi per infermità imprendere il viaggio, aver egli mandato loro per esaminarli i tre Cardinali Berengario, Stefano e Landolfo, ai quali gli accusati con giuramento confermarono la verità delle deposizioni che aveano già fatte (in Parigi) al tribunale dell'Inquisitore di Francia, e specialmente confessarono d'avere rinnegato Cristo e sputato sulla Croce, quando erano stati ricevuti nell'Ordine, e d'avere poi essi con simile rito ricevuti molti altri, e infine con umile pentimento chiesero l'assoluzione dalle censure, la quale fu loro dal Cardinali, secondo l'espressa autorità che ne aveano dal Papa, benignamente compartita; gli atti autentici poi di queste loro confessioni essere stati dai tre Cardinali presentati al Papa, ed essersi egli convinto quindi della reità del Gran Maestro, del Visitatore e dei Precéttori predetti. Finalmente, aver egli, col consiglio del Collegio de' Cardinali, decretato che in ogni parte dei mondo dov'erano Templari, i Vescovi o altri Delegati pontificii procedessero a somiglianti esami contro i singoli membri dell'Ordine; e gli atti di questi processi essere già pervenuti nelle sue mani, ed essere stati da lui e dai Cardinali e da altri savii e zelanti Prelati, diligentemente letti ed esaminati.

    Fin qui la prima parte della esposizione storica, quella cioè che narra gli atti precedenti all'apertura del Concilio. La seconda, men prolissa, abbraccia il tempo del Concilio medesimo, dalla sua prima Sessione del 16 Ottobre 1311 fino al Marzo seguente; ed espone come, attesa l'impossibilità di esaminare in piena adunanza la causa dei Templari, il Papa fece deputare a tal esame una eletta di Padri, coi quali, dopo che ebbero con lunga e diligentissima opera studiati i processi, egli deliberò qual sentenza fosse da pronunziare e in qual modo; se cioè l'Ordine intiero potesse condannarsi e abolirsi come reo, ovvero, senza formale condanna, dovesse soltanto sopprimersi per via di provvedimento prudenziale, attesa l'indubitata reità di tanti e principalissimi suoi membri; ed enumera infine le gravissime ragioni, per cui il Papa si attenne all'ultimo partito. Ma, poichè questa seconda parte è la più nuova, ed al tempo stesso la più importante a conoscersi per ben intendere la questione principale, non ci graveremo di recarne per intiero il testo. Essa dunque dice così:

    Post quae dum venissemus Viennam, et essent iam quamplures patriarchae, archiepiscopi, episcopi electi, abbates exempti et non exempti, et alii ecclesiarum praelati, nec non et procuratores absentium praelatorum et capitulorum ibidem pro convocato a nobis Concilio congregati, Nos post primam sessionem, quam inibi cum dictis Cardinalibus et cum praefatis praelatis et procuratoribus tenuimus, in qua causas convocationis Concilii eisdem duximus exponendas, quia erat difficile, immo fere impossibile, praefatos Cardinales et universos praelatos et procuratores in praesenti Concilio congregatos ad tractandum de modo procedendi super et in facto seu negotio fratrum Ordinis praedictorum in nostra praesentia convenire, de mandato nostro ab universis praelatis et procuratoribus in hoc Concilio existentibus certi patriarchae, archiepiscopi, episcopi, abbates exempti et non exempti et alii ecclesiarum praelati et procuratores de universis christianitatis partibus quarumcumque linguarum, nationum et regionum, qui de peritioribus, discretioribus et idoneioribus ad consulendum in tali et tanto negotio et ad tractandum una Nobiscum et cum Cardinalibus antedictis tam solemne factum sive negotium credebantur, electi concorditer et assumpti fuerunt. Post quae praefatas attestationes super inquisitionem Ordinis praelibati receptas coram ipsis praelatis et procuratoribus per plures dies et quantum ipsi voluerunt audire, publice legi fecimus in loco ad tenendum Concilium deputato, videlicet in ecclesia cathedrali, et subsequenter per multos venerabiles fratres nostros, patriarcham Aquileiensem, archiepiscopos et episcopos in praesenti sacro Concilio existentes, electos et deputatos ad hoc, per electos a toto Concilio, cum magna diligentia et sollicitudine, non perfunctorie, sed moratoria tractatione dictae attestationes ac rubricae super his factae, visae, perlectae et examinatae fuerunt. Praefatis itaque Cardinalibus, patriarchis, archiepiscopis et episcopis, abbatibus exemptis et non exemptis, et aliis praelatis et procuratoribus, ab aliis, ut praemittitur, electis propter praemissum negotium , in nostra praesentia constitutis, facta per Nos propositione et consultatione secreta, qualiter esset in eodem negotio procedendum, praesertim cum quidam templarii ad defensionem eiusdem Ordinis se offerrent, maiori parti Cardinalium et toti fere Concilio, illis videlicet, qui a toto Concilio, ut praemittitur, sunt electi et quoad hoc vices totius Concilii repraesentant, vel parti multo maiori, quinimo quatuor vel quinque partibus eorundem cuiuscumque nationis in Concilium existentium indubitatum videbatur, et ita dicti praelati et procuratores sua consilia dederunt, quod ipsi Ordini defensio dari deberet, et quod ipse Ordo de haeresibus, de quibus inquisitum est contra ipsum, per ea quae hactenus sunt probata, absque offensa Dei et iuris iniuria condemnari nequeat; aliis quibusdam e contra dicentibus, dictos fratres non esse (ad) defensionem dicti Ordinis admittendos, nec Nos dare debere defensionem eidem, si enim, ut dicebant praemissi, eiusdem Ordinis defensio admittatur vel detur, ex hoc ipsius negotii periculum, et non modicum terrae sanctae subsidii detrimentum sequeretur, et altercatio et retardatio ac decisionis ipsius negotii dilatio; ad haec multas rationes et varias allegantes.Verum, licet ex processibus habitis contra Ordinem memoratum ipse ut haereticalis per definitivam sententiam canonice condemnari non possit; quia tamen idem Ordo de illis haeresibus, quae imponuntur eidem, est plurimum diffamatus, et quia quasi infinitae personae illius Ordinis, inter quas sunt generalis Magister, Visitator Franciae et maiores praeceptores ipsius, per eorum confessiones spontaneas de praedictis haeresibus, erroribus et sceleribus sunt convictae, quia etiam ipsae confessiones dictum Ordinem reddunt valde suspectum, et quia infamia et suspicio praelibatae dictum Ordinem reddunt Ecclesiae sanctae Dei et praelatis eiusdem ac regibus aliisque principibus et caeteris catholicis nimis abominabilem et exosum, quia etiam verisimile creditur, quod amodo bona non reperiretur porsona, quae dictum Ordinem vellet intrare, propter quae ipse Ordo Ecclesiae Dei, ac prosecutioni negotii terrae sanctae, ad cuius servitium fuerant deputati, inutilis redderetur, quoniam insuper ex dilatione decisionis seu orditiationis dicti negotii, ad quam faciendam vel sententiam promulgandam terminus peremptorius fuerat in praesenti Concilio praefatis Ordini et fratribus assignatus a Nobis, bonorum templi, quae dudum ad subsidium terrae sanctae et impugnationem inímicorum fidei christianae a Christi fidelibus data, legata ed concessa fuerunt, totalis amissio, destructio et dilapidatio, ut probabiliter creditur, sequeretur; inter eos qui dicunt, ex nunc contra dictum Ordinem pro dictis criminibus condemnationis sententiam promulgandam, ed alios qui dicunt, ex processibus praehabitis contra dictum Ordinem condemnationis sententiam iure ferri non posse, longa et matura deliberatione praehabita, solum Deum habentes prae oculis, et ad utilitatem negotii terrae sanctae respectum habentes, non declinantes ad dexteram vel sinistram, viam provisionis et ordinationis duximus eligendam, per quam tollentur scandala, vitabuntur pericula et bona conservabuntur subsidio terrae sanctae.

    Qui termina l'esposizione storica dei procedimenti tenuti dal Pontefice nella causa dei Templari. Dopo la quale viene immantinente la parte dispositiva della Bolla, cioè il decreto di abolizione, che è dei tenore seguente :

    Considerantes itaque infamiam, suspicionem, clamosam insinuationem et alia supradicta, quae contra Ordinem faciunt supradictum, necnon et occultam et clandestinam receptionem fratrum ipsius Ordinis, differentiamque multorum fratrum eiusdem a communi conversatione, vita et moribus aliorum Christi fidelium, in eo maxime quod recipientes aliquos in fratres sui Ordinis, receptos in ipsa receptione professionem emittere faciebant et iurare, modum receptionis nemini revelare, nec religionem illam exire, ex quibus contra eos praesumitur evidenter; attendentes insuper grave scandalum ex praedictis contra Ordinem praelibatum subortum fuisse, quod non videretur posse sedari eodem Ordine remanente, necnon et fidei et animarum pericula, et quamplurimorum fratrum dicti Ordinis horribilia multa facta, et multas alias rationes iustas et causas, quae nostrum ad infra scripta movere animum rationabiliter et debite potuerunt; quia et maiori parti dictorum Cardinalium et praedictorum a toto Concilio electorum, plus quam quatuor vel quinque partibus eorumdem, visum est decentius et expedientius et utilius pro Dei honore et pro conservatione fidei christianae ac subsidio, terrae sanctae, multisque aliis rationibus validis, sequendam fore potius viam ordinationis et provisionis Sedis Apostolicae, Ordinem saepe fatum tollendo et bona ad usum, ad quem deputata fuerant, applicando, de personis etiam ipsius Ordinis, quae vivunt, salubriter providendo, quam defensionis iuris observationes el negotii prorogationes; animadvertentes quoque quod alias, etiam sine culpa fratrum, Ecclesia Romana fecit interdum alios ordines solemnes ex causis incomparabiliter minoribus, quam sint praemissae, cessare: non sine cordis amaritudine et dolore, non per modum definitivae sententiae, sed per modum provisionis seu ordinationis apostolicae praefatum Templi Ordinem et eius statum, habitum atque nomen irrefragabili et perpetuo valitura tollimus sanctione, ac perpetuae prohibitioni subiicimus, sacro Concilio approbante, districtius inhibentes, ne quis dictum Ordinem de caetero intrare, vel eius habitum suscipere vel portare, aut pro templario gerere se praesumat. Quod si quis contra fecerit, excommunicationis incurrat sententiam ipso facto. Porro, Nos personas et bona eadem Nostrae ac apostolicae Sedis ordinationi et dispositioni, quam, gratia divina favente, ad Dei honorem et exaltationem fidei christianae ac statum prosperum terrae sanctae facere intendimus, antequam praesens sacrum terminetur Concilium, reservamus; inhibentes districtius, ne quis, cuiuscumque conditionis vel status existat, se de personis vel bonis huiusmodi aliquatenus intromittat, vel circa ea in ordinationis, sive dispositionis nostrae per Nos, ut praemittitur, faciendae praeiudicium alíquod faciat, innovet vel attentet. Decernentes ex nunc irritum et inane, si secus a quoquam scienter ved ignoranter contigerit attentari. Per hoc tamen processibus factis vel faciendis circa singulares personas ipsorum templariorum per dioecesanos episcopos et provincialia concilia, prout per Nos alias extitit ordinatum, nolumus derogari. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae ordínationis, provisionis, constitutionis et inhibitionis infringere vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri el Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. — Datum Viennae, XI calendas Aprilis, pontificatus nostri anno septimo.

    Tal è la sostanza e il tenore della Bolla, che estinse in perpetuo l'Ordine già sì illustre dei Cavalieri del Tempio, dopo quasi due secoli di vita. Ella sparge non poca luce sopra quel grande avvenimento, e soprattutto serve mirabilmente a giustificare Clemente V delle accuse onde molti scrittori hanno aggravato, quanto al fatto dei Templari, la sua memoria, Ma di ciò ci riserbiamo a discorrere in un altro articolo.
    Seconda parte


    NOTE:

    [1] Storia ecclesiastica, Lib. LXXVII, §. 46.

    [2] Storia universale della Chiesa, Lib. LXXVII.

    [3] Histoire de l'Eglise catholique en France, Tome X, pag. 458. Paris, 1865. Quest'Opera insigne è ancora in corso di pubblicazione.

    [4] Histoire da la Papauté, pendant le XIV siècle, Tome 1, pag. 261 - Paris, 1853.

    [5] Geschichte der Ordens der Tempelherrn (Storia dell'Ordine dei Templari) 1860. Vol. II, p. 307 e 483.

    [6] Vedi il primo fascicolo trimestrale (Erstes Quartalheft) del corrente anno 1866, pag. 56-84 Le due Bolle sono precedute da brevi notizie ed osservazioni dell'editore intorno alla loro storia e contenenza.

    [7] Vitae Paparum Avenionensium, T. 1.

    [8] Annales Eccles., a. 1312.

    [9] Bullarium romanum, T. I, pag. 164, dal §. 5: Dudum siquidem, sino al fine del §. 11 (Edizione romana del 1638).

    [10] Collect. Concil. T. XXV.

    [11] Annales Eccles. a. 1308, n. 4-7.


    Clemente V ed i templari seconda parte
    Ultima modifica di Luca; 15-08-11 alle 20:05

  10. #10
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    Predefinito Rif: L'idra massonica nei suoi fondamenti dottrinali

    Mi sembra che a questo punto la traduzione della fatidica Bolla sia d'obbligo: Guelfo, non ti puoi esimere!

 

 
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