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  1. #1
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    Predefinito Il fantastico mondo impossibile di Escher

    Escher ha saputo rappresentare in modo geniale l'ambiguità del nostro tempo. Le sue "figure impossibili", i suoi paesaggi ingannevoli, le prospettive invertite, le architetture irreali, i mosaici fantastici incantano e sconcertano l'uomo affascinato dal surreale e, al tempo stesso, ne soddisfano il bisogno di ordine e di equilibrio.

    Nei contrasti giorno-notte, cielo-acqua, pesci-uccelli delle incisioni più famose, l'ambiguità visiva diventa ambiguità di significato e il positivo e il negativo sono diabolicamente intercambiabili. Traspaiono dall'opera e dalle invenzioni di questo artista i suoi molteplici interessi e le variegate fonti di ispirazione, che vanno dalla psicologia alla matematica, dalla poesia alla fantascienza.

    Il suo nome completo, dal suono misterioso come certe sue opere, è Maurits Cornelis Escher.


    Inferno e Paradiso

  2. #2
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    MAURITS CORNELIS ESCHER, UN ARTISTA NON CATALOGABILE

    Un giorno una signora mi telefonò e mi disse: «Signor Escher, sono affascinata dai suoi lavori. Nella sua composizione "Rettili" ha raffigurato in maniera convincente la reincarnazione.» Le risposi: «Se Lei crede di trovarvi ciò, sarà davvero così.»


    Rettili (1943) - litografia

    È possibile che i titoli che Escher stesso diede ai suoi fogli portassero a interpretazioni profonde, che però non avevano nulla a che fare con le intenzioni dell'artista. Lo stesso Escher ha sottolineato che non si dovrebbero cercare più profonde interpretazioni al di là della rappresentazione. «Non ho mai voluto rappresentare qualcosa di mistico; quello che alcune persone giudicano misterioso, non è altro che un consapevole o inconsapevole inganno! Ho giocato ad un gioco, mi sono sbizzarrito in immagini mentali con nessun altro scopo se non quello di indagare le possibilità della rappresentazione stessa. Tutto ciò che presento nelle mie opere sono notizie circa le mie scoperte.»
    Ma, nonostante questo, rimane il fatto che su tutte le opere di Escher grava qualcosa di inspiegabile, se non di abnorme. Ed è questo ciò che affascina l'osservatore. Così è accaduto anche a me: per anni, ogni giorno, ho osservato Su e giù nei particolari e, più approfondivo l'esame della litografia, più essa mi risultava indefinibile.

    Nel suo libro Grafica e disegno, non dice nulla di più di quello che ognuno può vedere da sé: «Se l'osservatore rivolge lo sguardo dal basso verso l'alto, vedrà il pavimento piastrellato sul quale si trova ripetersi come soffitto al centro della composizione. Nello stesso tempo, però, questo fungerà da pavimento per la metà superiore del quadro. La superficie piastrellata si ripete ancora una volta sul bordo superiore, questa volta chiaramente come soffitto.» Questa descrizione appare tanto ovvia, chiara, che io mi domandavo: «Come può relazionarsi tutto ciò e, come mai tutte le linee verticali sono arcuate? Quali princìpi di fondo si nascondono dietro l'opera di Escher? Perché ha fatto questo disegno?» Era come se mi fosse stato permesso di lanciare un fuggevole sguardo sul dritto di un complicato fregio da tappeto, e questo mi interrogasse: «Com'è l'altra faccia? Come è tessuta?»

    Da Lo specchio magico di M. C. Escher di Bruno Ernst (Taschen 2007, pag. 18)


    Alto e basso (Su e giù) - 1947, litografia

  3. #3
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    Fino a poco tempo fa, Escher non veniva riconosciuto come artista. La critica d'arte non riusciva a giustificare una riflessione intorno alla sua opera, e così era portata semplicemente a ignorarla. Inizialmente furono matematici, fisici e cristallografi a mostrare grande interesse.

    In occasione della retrospettiva all'Aia del 1968, organizzata per il settantesimo compleanno di Escher, si tentò di tracciare paralleli storici. Tuttavia il tentativo fallì: Escher rimase (e rimane) in disparte. Non si riesce a catalogarlo poiché si è sempre proposto scopi completamente diversi da quelli dei suoi contemporanei. Prima del 1937 non sarebbe stato così difficile valutare la sua opera, dal momento che allora, tutto sommato, era puramente pittorica.

    Dopo il 1937, la dimensione pittorica passò in secondo piano. Da quel momento in poi, ciò che lo conquisterà saranno simmetrie, strutture matematiche, continuità e infinito, e il problema che è presente in ogni suo quadro: la riproduzione di tre dimensioni su di una superficie bidimensionale. Era ossessionato da questi temi. Si avventurò lungo percorsi che non erano ancora stati tentati da altri e qui c'erano infinite cose da scoprire.

    Da questo momento la critica d'arte non troverà più una via d'accesso alla sua produzione. Merita di essere ricordato che ciò fu detto, peraltro da un critico assai benevolo, dell'opera di un artista che oggi gode della massima stima: «La domanda che continuamente si ripropone di fronte all'opera di Escher è se i suoi lavori giovanili rientrino nel concetto di"arte" ...di solito ne vengo colpito, eppure mi è impossibile giudicare come buona la sua intera opera. Sarebbe ridicolo, e Escher è abbastanza furbo da riconoscerlo.» (G.H. Gravesande, De Vrjie Bladen, L'Aia 1940).
    Lo stesso critico continua dicendo: «Gli uccelli, i pesci, le lucertole di Escher sono indescrivibili: richiedono un modo di pensare, una forma mentis che si trova solo in pochi.»

    Il tempo ci ha insegnato che Gravesande sottovalutava il suo pubblico o che forse aveva davanti agli occhi solo la stretta fascia di persone che visita gallerie e mostre e che non tralascia mai di andare ad un concerto. È straordinario come lo stesso Escher - apparentemente non sfiorato dalla critica - abbia sempre proceduto per la sua strada senza tentennamenti. I suoi lavori si vendevano male, la critica d'arte ufficiale li ignorava, perfino nella sua cerchia aveva pochi ammiratori, eppure continuò sempre a dar forma a ciò che lo affascinava.

    Chi volesse considerare l'arte quale espressione di sentimenti, dovrebbe ricusare tutta l'opera di Escher posteriore al 1937; essa è infatti caratterizzata dalla razionalità, sia per quanto concerne lo scopo che l'esecuzione. Eppure tutti i critici che ammirano Escher evitano, pieni di paura, la parola "razionale". Nella musica, e in misura ancora maggiore, nelle arti figurative, tale parola è quasi sinonimo di non-arte. È strano che ciò che appare logico, in questi due campi, venga con tanta paura rimosso.

    Da "Lo specchio magico di M. C. Escher" di Bruno Ernst (Taschen 2007, pag. 19 e 20)



    Le tre sfere II – 1946, litografia

  4. #4
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    Il nastro di Möbius II (1963) - xilografia di filo




    Vortici (1957) - xilografia di filo





    Serpenti (1969) - xilografia di filo
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 07-03-10 alle 00:04

  5. #5
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    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 20-07-12 alle 23:20

  6. #6
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    I lavori che hanno reso noto Escher in campo internazionale sono le opere successive al 1937, a lungo ignorate dai critici d'arte. Da allora alla morte, nel 1972, la sua arte ruota intorno a un concetto unico e fondamentale, quello dello spazio, che però non è la semplice riproduzione su un piano dell'ambiente tridimensionale secondo le leggi della prospettiva. Il tema indagato da Escher va oltre e si sviluppa sulla base di accorgimenti geometrici che vanno a cercare le situazioni limite, nelle quali la percezione dello spazio è incerta, ambigua e gli elementi che lo popolano possono ben essere definiti "oggetti impossibili" (Marco Bussagli).

    Attraverso le sue fantastiche creazioni, Escher è stato capace di tracciare un simbolico ponte tra i reami dell'arte e della scienza.

    "... I miei soggetti sono spesso giocosi. Non posso esimermi dallo scherzare con le nostre inconfutabili certezze. Per esempio, è assai piacevole mescolare sapientemente la bidimensionalità con la tridimensionalità, la superficie piana con lo spazio, e divertirsi con la gravità. Siete proprio sicuri che il pavimento non possa anche essere il soffitto? Siete del tutto convinti che salendo una scale vi troverete più in alto? È vero che la metà di un uovo è anche la metà di un guscio?" (Escher).



    Autoritratto (1943)

  7. #7
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    Predefinito Cerebrale e razionalissimo, ma certe volte ambiguo…

    Marco Bussagli

    ESCHER FRA MATEMATICA, CRISTALLOGRAFIA E SIMBOLISMO


    Una delle questioni che emergono nell'analisi dell'opera di Escher riguarda il significato delle sue opere, ovvero se l'autore abbia cercato di esprimere messaggi più complessi di quelli che potrebbero apparire a una lettura superficiale. Una dichiarazione dell'artista sembra risolvere il problema alla radice: «Non ho mai voluto rappresentare qualcosa di mistico; quello che alcune persone giudicano misterioso, non è altro che un consapevole o inconsapevole inganno!». Su questa base, Bruno Ernst (matematico, amico e biografo di Escher) precisa che, a suo parere, nell'opera dell'artista olandese «non si dovrebbero cercare più profonde interpretazioni al di là della rappresentazione». [1] Tuttavia, proprio alcune opere di Escher giocano su un'ambiguità che l'autore non ignora e che, anzi, come egli stesso ammette, è perfettamente consapevole. Evidentemente però, con il termine "mistico" Escher intende una dimensione spirituale o trascendente che, a quanto afferma, non ha mai voluto rappresentare. Ma queste sue dichiarazioni sembrano contrastare palesemente con il contenuto di alcune sue stampe ed Escher a volte si muove sul filo del rasoio nella scelta dei soggetti che possono suggerire prospettive simboliche. E’ il caso della celebre xilografia intitolata Drago (1952) che pare proprio riprendere il tema antico dell’Ouroboros, intervenendo sul tema iconografico in maniera del tutto coerente rispetto al significato primario dell'immagine.



    Drago (1952)


    Non sarà difficile notare, infatti, che le anse del corpo del fantastico animale si annodano a formare il simbolo dell'infinito, che di sicuro non contrasta con il significato d'eternità che la tradizione attribuisce a questa figura. Vi si aggiunga il fatto che le zampe del drago artigliano una formazione complessa di cristallo di rocca, riconoscibile per i prismi esagonali che terminano in piramidi a sei facce. E così ci si avvicina a riferimenti alchimistici. Non è infatti un segreto che gli alchimisti vedessero nelle pietre e nei cristalli la metafora tangibile della più pura conoscenza e che addirittura il Cristo, detto anche "lapis" (pietra), fosse assimilato alla pietra filosofale, come spiega Jung con dovizia di particolari. [2]. Appare perciò quanto meno singolare che Escher, pur non sapendo nulla di tali argomenti e volendo fornire un «consapevole o inconsapevole inganno», abbia finito per centrare in pieno un tema simbolico arricchendolo di un'iconografia nuova.

    Per quanto riguarda il tema dei cristalli, poi, non si può certo dire che manchi nella produzione di Escher. E il suo interesse non fu certo superficiale (tanto che se ne avvantaggiarono gli stessi gemmologi), ma partendo dallo studio dei solidi platonici e da quelli detti di Archimede l'artista olandese seppe applicare queste sue conoscenze alla realizzazione di opere straordinarie, come per esempio Stelle, una xilografia del 1948 che sembra entrare nel cuore della struttura geometrica dei cristalli.



    Stelle (1948)


    Del resto il senso profondo, ma non per questo meno evidente, del messaggio contenuto secondo Escher nei cristalli, nei solidi geometrici o nelle forme regolari in genere, pare sintetizzato bene dalla litografia intitolata Ordine e caos (1950 ) nella quale il primo concetto è rappresentato da un dodecaedro stellare racchiuso in una sfera trasparente e il secondo da oggetti inutili e rotti che, però, si riflettono nel solido traslucido; come a dire che dal primo si può risalire al secondo e viceversa.



    Ordine e caos (1950)


    Mi pare già questa una dichiarazione d'intenti che si chiarisce ancora, almeno per certe implicazioni, in Planetoide tetraedrico del 1954 dove il solido geometrico si rivela come una sorta di piccolo universo urbano a due facce, una di terra e una d'acqua, che fluttua nel vuoto del cosmo.



    Planetoide tetraedrico (1954)


    Allora è tutta qui la mistica di Escher: la ricerca della trama di perfezione matematica e geometrica in un universo apparentemente caotico. È proprio quanto afferma il nostro artista nel 1965, in occasione del conferimento di un premio assegnatogli dalla città di Hilversum: «Nei miei quadri cerco di rendere testimonianza del fatto che viviamo in un mondo bello e ordinato e non in un caos senza regole come a volte può sembrare». Ma non è forse questo lo scopo perseguito dagli alchimisti e dai teologi dei secoli passati? Non per nulla, a proposito dei cristalli, Escher scrive: «Nei principi fondamentali dei cristalli c'è qualcosa che toglie il fiato. Non sono creazioni della mente umana [...] essi "sono", esistono. In un attimo di lucidità, l'uomo può al più scoprire che esistono e rendersene conto». In altre parole, attraverso i cristalli, concretizzazione delle leggi geometriche e matematiche, Escher vede il riflesso dell'insondabilità del mistero della vita, dell'uomo e del cosmo. E altrove lo afferma in modo ancora più esplicito: «La bellezza e l'ordine dei corpi regolari sono irresistibili [...] se tu insisti a parlare di Dio, hanno qualcosa di divino, per lo meno nulla di umano».


    NOTE

    [1]Tanto l'affermazione di Escher, quanto quella di Ernst
    sono in B. Ernst, Lo specchio – pag. 14
    [2]C. G. Jung, Psychologie und Alchemie (tr. it. Psicologia
    e alchimia, Torino 1981), pp. 352-438.



    Sintesi dell’articolo di Marco Bussagli Escher fra matematica, cristallografia e simbolismo
    (pubblicato su Art Dossier n° 196 - Giunti Editore)

  8. #8
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    Andrea Bonavoglia

    LA PINACOTECA DI BABELE

    Periodicità e limiti di Maurits Cornelis Escher


    Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze.
    Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita ...
    Io m'arrischio a insinuare questa soluzione: la Biblioteca è illimitata e periodica.

    Jorge Luis Borges (da "La Biblioteca di Babele")




    Relatività (1953) – litografia


    "Sulla scala superiore procedono due persone, una accanto all'altra nella stessa direzione. Evidentemente è impossibile che queste persone entrino in contatto perché vivono in due mondi diversi e, per questo, l'uno non è a conoscenza dell'esistenza dell'altro"(M. C. Escher, Grafica e Disegni). Per Escher quindi l'immagine non è ambigua, ma doppia, cioè sovrapposta: la sua intenzione non è di rappresentare un mondo in cui non si sa se si sale o se si scende, ma di rappresentare contemporaneamente due mondi intersecati tra loro in uno dei quali, su quella rampa di scale, si scende, mentre nell'altro, su quella stessa rampa di scale, si sale. Per ottenere questo effetto mirabolante, Escher manipola da maestro gli oggetti e costruisce ad esempio gradini che hanno, a differenza di quasi tutti i gradini del mondo, l'alzata uguale alla pedata (di solito il rapporto è invece nettamente diseguale, anche di uno a due) e non sono rivestiti.

    Detto in altri termini: Escher qui come in tanti altri quadri ci inganna, gioca con l'architettura come con le montagne, con le ali degli uccelli come con i volti degli uomini, e ci rende partecipi dell'inganno. Per questo ha bisogno di semplificare le immagini, perché le sfumature o i dettagli renderebbero impossibile il trucco, la sovrapposizione, la doppiezza; e anche quando la struttura prospettica non è complessa, il suo segno di intagliatore rimane netto, pulito, quasi da grafico pubblicitario, con figure che sembrano definite - sia detto senza alcuna intenzione dispregiativa - in guisa di fumetto.

    Una cifra stilistica e una scelta tecnica molto precise, che tuttavia lo hanno limitato in qualche modo, lo hanno escluso dalla Pittura intesa come grande arte della rappresentazione o dell'astrazione, arte dei mille colori del mondo o della fantasia, arte della ricchezza della natura o dei sogni, e che di fatto lo hanno escluso da gran parte dei manuali di Storia dell'Arte. Un paradosso, se si guarda alla grande e vasta popolarità di Escher, ma anche un segnale del suo essere considerato, da molti addetti ai lavori, più un virtuoso che un vero grande artista, più un disegnatore che un pittore autentico, erede in questa sorta di declassamento storico-critico tanto di un altro grande eccentrico, il manierista Arcimboldo, quanto di un altro fantasioso incisore, il romantico-neoclassico Giovanni Battista Piranesi.

    Ecco allora proporsi in modo intuitivo, ma su basi senz'altro ragionevoli, una spiegazione alla curiosa negligenza degli storici nei confronti di Escher: nel contesto dell'arte del Novecento, Escher non ha proposto temi espliciti legati al pensiero politico o sociale, al disagio esistenziale, all'ambiguità della cultura, e non ha proposto soluzioni e invenzioni tecniche, anzi si è comportato da provetto artigiano. Eppure, le sue immagini sono utilizzate spesso per illustrare, in articoli o libri, proprio quello che Escher non voleva proporre, allegorie, simbologie, metafore, schizofrenie. […]



    Concavo e convesso (1955) – litografia


    Ma se l'artista vuole rimanere al di sotto della soglia dell'indicibile e proporre esclusivamente paradossi grafici e matematici a un pubblico curioso, è lecito utilizzare i suoi disegni per illustrare tutt'altro? E' lecito investirli di altri significati e simbologie? La domanda è retorica, perchè chiunque si occupi di arte sa bene che tutto ciò è lecito e anzi inevitabile. Anche Escher lo sa, ma sembra entrare in antagonismo addirittura con tutti, quando scrive che "anche se la maggior parte dei miei temi mi sembrano obiettivi e impersonali, ho constatato che quasi nessuno percepisce nello stesso mio modo ciò che si può osservare nel nostro ambiente.

    A Escher il proprio gioco appare esplicito e trasparente, obiettivo e impersonale; non crea angosce o dubbi, deve solo stupire e divertire, come una prestidigitazione. Ma nel momento in cui un'opera non resta nello studio dell'artista e viene consegnata al pubblico, quell'opera apparterrà a tutti ed è assolutamente legittimo trovare nelle opere di Escher ambiguità o ironia, incertezza o liricità, ottimismo o disperazione, nei limiti ovviamente di interpretazioni calibrate e razionali. E se quindi, come si diceva prima, Escher non ha coscientemente proposto determinati temi, ci hanno pensato le sue opere a farlo.

    L'intuito e alcuni dati concreti sembrano allora volerci dire che Escher, seppure isolato, seppure alieno dai movimenti, non esce fuori dal nulla; era un artista indipendente, che va comunque collocato in una dimensione parallela alle Avanguardie del Novecento, tra Surrealismo e Optical Art. Non si tratta di una novità, mille altri personaggi difficili e difficilmente etichettabili sono sempre esistiti, e non sembri incongruo ricordare qui per tutti il nome non di un pittore, ma di un poeta e narratore tra i più grandi, Jorge Luis Borges, accomunabile a Escher anche per altre vie. Se, infine, nei manuali di Storia dell'Arte del futuro Escher sarà compreso o no, è impossibile a dirsi naturalmente, ma le impronte lasciate da Maurits Cornelis Escher nella storia della pittura, e non solo della grafica, sono probabilmente più profonde di quanto oggi potremmo immaginare.



    San Pietro (1935) - xilografia su legno di testa

    Stralcio da un articolo di Andrea Bonavoglia - da Kainos - Rivista on line di Critica Filosofica

    L'articolo completo

  9. #9
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    Predefinito Wentelteefjes


    Wentelteefjes (animaletti girevoli)


    "... Prima di procedere con i giochi di relatività, vi prego di dare un'occhiata all'animale fantastico a sinistra. Mi ha sempre sorpreso il fatto che la ruota sia un'invenzione dell'uomo. Quando Dio creo il mondo, Egli ha dimenticato di dare vita a degli animali che sapessero deliberatamente adoperare il proprio corpo come una ruota, o come un cerchione, per spostarsi. Alcuni animali sanno arrotolarsi e assumere la forma. di una palla, per proteggersi dai loro nemici. Ma un riccio raggomitolato, per esempio, se ne sta fermo come un sasso, a meno che non venga spinto o gli si dia una pedata.

    E' per ciò che mi vanto di avere assolto a un'antica necessità disegnando questo "rotolone" (come lo chiama uno dei miei amici inglesi). L'ho ritratto in quattro diversi stadi di locomozione: mentre cammina lento e con cautela sulle sue tre paia di gambe, poi mentre gradualmente si arrotola sino a diventare un disco compatto, e infine mentre parte rotolando, e accelera spingendo più volte sul pavimento con piedi quasi umani. I suoi occhioni, posti come antenne ai lati della testa, rimangono al centro mentre rotola via.


    Casa di scale
    (1951)


    La stampa a destra mostra un grande numero di questi animali che si avventurano su e giù per delle rampe di scale. Entrano in processione, e sempre in processione si arrotolano ed escono. Il loro movimento serve a dimostrare una relatività di tipo simile a quello già mostrato nelle stampe precedenti, ma ho aggiunto un nuovo elemento al gioco: un riflesso speculare del tipo che vi ho mostrato ieri l'altro, con le tassellature simmetriche. Quasi tutta la parte superiore della stampa è un'immagine speculare di quella inferiore. La rampa di scale in alto, che scende da sinistra a destra, è stata rovesciata due volte: la prima al centro e la seconda in basso.

    Le nozioni di "sopra" e "sotto" appaiono intercambiabili. L'animale più in alto scende le scale sino al pianerottolo. Poi gira a destra, si arrampica di nuovo e scompare dietro una porta. Nel frattempo, da un orifizio nel muro ne spunta un altro, che scende. Gli animali camminano affiancati nella stessa direzione, eppure quello a sinistra sale e quello a destra scende. I muri e i pavimenti si confondono, scambiando i loro ruoli..."


    M.C. Escher - da "Esplorando l’infinito" (Edizioni Garzanti 1991)

  10. #10
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    Predefinito Rif: Il fantastico mondo impossibile di Escher

    La matematica nell'opera di M. C. Escher

    Benvenuti nel mondo matematico di Escher

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 06-03-10 alle 14:36
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

 

 
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