Il fisico nucleare: la paura dell’atomo nasce da un difetto di cultura scientifica
«Se la nostra paura vince sulla ragione»
L’ entità dell’eventuale «disastro nucleare» di Fukushima, se valutata razionalmente e collocata nel contesto di un cataclisma che ha fatto decine di migliaia di vittime, potrebbe non essere tale da contribuire in maniera essenziale al bilancio drammatico dell’after day giapponese oltre alla perdita di una frazione consistente di energia elettrica. E sarà grazie alle centrali nucleari tuttora funzionanti (44), oltre alle fonti fossili soprattutto d’importazione, che l’approvvigionamento elettrico potrà essere reso disponibile per la ricostruzione. Ripensamenti o pause di riflessione di carattere politico, oltre alle verifiche di carattere tecnico, saranno all’ordine del giorno ma non porteranno, temo, a discussioni e confronti che non siano dettati da specifici interessi e contrapposizioni politiche e ideologiche difficilmente conciliabili, in particolare in un clima referendario come nel nostro Paese.
Gli «stress-test» atti a verificare e/o a migliorare gli standard di sicurezza non saranno sufficienti a superare ancora una volta il «gap culturale» che sovrasta ogni valutazione del rischio nucleare.
Per quanto riguarda l’Italia la decisione governativa di una «moratoria» di un anno, che sospende l’applicazione delle normative riguardanti l’installazione di centrali nucleari, anche se opportuna, rischia di ritardare, forse sine die, un programma in partenza dopo 20 anni di attesa. Se a questa decisione non si accompagnasse anche una sospensiva del referendum, non vedo con quale serenità e capacità razionale tale pausa di riflessione verrebbe affrontata. Torneremmo ai tempi di Chernobyl e addio decisioni ponderate.
Ragionevoli e puntuali argomentazioni sono state fatte da autorevoli ed esperti colleghi almeno per spiegare che il caso Fukushima, a differenza di Chernobyl e Three Mile Island, non è avvenuto per cause intrinseche ma per cause esterne di gigantesche proporzioni, che tali impianti erano alquanto datati, che già gli impianti tuttora in funzione in Europa e nel mondo, Giappone incluso, non hanno tali punti deboli e che la terza generazione avanzata, che riguarda le centrali previste per il programma nucleare italiano, offre ancora maggiori garanzie.
Tutto ciò non basterà tuttavia per riportare il discorso sulla necessità dell’energia nucleare in un mondo che avrà sempre più fame di energia, perché vi sono due aspetti essenziali, di carattere squisitamente culturale. Il primo è che per una centrale nucleare si chiede che essa venga costruita a prova di qualsiasi evento esterno di qualsiasi natura e dimensione esso sia, senza riferimento a scale di misura o a ragionevoli previsioni. Il secondo è la vera chiave di volta di ogni ragionamento antinucleare: la paura delle radiazioni. Cui fa eco il leit-motiv sintetizzato dalla domanda: «Come si fa a non avere paura dell’atomo?».
In effetti il rischio e quindi la legittima paura, è percepito tanto più grande quanto più grande è l’ignoranza delle reali e misurabili conseguenze. E il caso della radioattività è emblematico. È pertanto doveroso fare alcune considerazioni che, come fisico nucleare, mi permetto di enunciare. Il rapporto rischi/benefici, nel caso nucleare, viene completamente invertito: si sottostimano i vantaggi e se ne sopravvalutano i rischi. Diventa difficile spiegare, per esempio, che la radioattività è uno dei più semplici e meglio compresi agenti ambientali, molto meglio di altri agenti di origine industriale e agricola, e che il pericolo che ne può derivare è misurabile (e quindi prevenibile e controllabile) fino alle minime dosi contrariamente a ciò che accade per gas tossici, inquinanti atmosferici, additivi chimici, emissioni da combustione fossile che pur perdurano nel tempo e non decadono con leggi precise come le radiazioni.
Il fatto è che il difetto di cultura scientifica adeguata lascia l’opinione pubblica nell’impressione che il rischio da radiazioni sia incommensurabilmente più elevato di quanto possa essere espresso dai dati scientifici. È ciò che sta accadendo e forse più da noi che in Giappone dove il rischio nucleare (ossia le radiazioni da fughe radioattive) è tuttora contenuto e si confronta realisticamente con l’immane disastro già avvenuto e palpabile. Ma resta la paura. Che, per dirla con Angelo Panebianco, diventa una fuga dalla ragione.
RENATO ANGELO RICCI
Professore emerito all’Università di Padova
Angelo Ricci – La paura dell’atomo nasce da un difetto di cultura scientifica | Forum Nucleare Italiano